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Autore: V a m p i r e    29/12/2011    4 recensioni
Sulle prime pagine dei giornali c'è una nuova notizia: l'ereditiera Violet Landau è stata uccisa, la polizia brancola nel buio. Kaylee Harrison si trova catapultata nel suo primo caso, e questa novella Veronica Mars non è famosa per la sua calma...
Genere: Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hello :D Allora, nuovo capitolo... mi sono resa conto che è appena il terzo, eppure mi sembrava da molto più tempo che Kaylee girasse per la mia testa! Meglio per me, allora. Vorrei ringraziare quelli che mi seguono e commentano ^^ Ora, Patricia prende il nome da Patricia Marsters - la moglie di James - e Richard viene da Richard Gilmore!


3 - Bring Me To Life.

 
Occhi azzurri, capelli biondo cenere, un fisico che arrivava secondo soltanto comparato al suo ego e il carattere più irritante dell’intero pianeta. Il classico personaggio di ogni libro che fa battere il cuore di tutte le ragazzine, solo con più “stronzaggine”. Naturalmente, le suddette ragazzine direbbero che in quello stava il suo fascino, che a loro non interessavano i personaggi buoni e altre fesserie del genere.
William “Bill” Anderson troneggiava nella cucina, completamente a suo agio in ogni situazione, e non sembrava per niente sorpreso di vederla. Per forza, era a casa sua.
«Che diavolo ci fai qui?» Ripeté Kaylee, non piacevolmente stranita. Non pensava più a Bill da... da... da un sacco di tempo. Due settimane, almeno. Da quando le aveva confessato di avere una famiglia e lei gli aveva lanciato addosso un portacenere, prendendolo in pieno.
«Mi mancavi, dolcezza.» Rispose francamente, il ghigno sardonico ben impresso nella sua mente ritornava come un simpatico cliché e il passo felpato che avanzava imprigionandola.
Bill era più grande di lei, e secondo Caroline “il peggior ragazzo che sarebbe potuto entrare nella vita di Kaylee”. Peccato che lui non fosse un ragazzo, piuttosto un uomo. Almeno fisicamente, non si poteva dire ugualmente per la testa.
Quando lo aveva conosciuto, un anno prima, era ancora una studentessa all’ultimo quadrimestre delle superiori, una spumeggiante e svampita bambinetta di diciannove anni. Il nuovo professore di matematica era un vero bastardo, così sua madre – preoccupata già abbastanza dalla scelta di andare a vivere con Car – aveva deciso di farle prendere qualche ripetizione per precauzione. Non avrebbe voluto che la figlia passasse l’estate sui libri, rischiava già troppo per le altre materie, non poteva andare male anche in quella.
Mai scelta fu più sbagliata.
Ultimo anno di università, portamento signorile e un modo di fare che avrebbe fatto innamorare mezza America, Kay aveva perso la testa alla prima lezione.
Tra l’altro, quell’anno fu anche bocciata. Era sempre stata una scarpa in matematica, e passare tutte le settimane di studio a baciarsi non l’avevano fatta diventare un genio.
Così erano passati i mesi, la relazione era andata avanti e con lui aveva perso la verginità, gli occhi a cuoricino erano diventati un’abitudine per ogni suo piccolo gesto. Ricordava quel periodo come il più bello della sua vita, ma un giorno arrivò la Notizia.
Un fulmine a ciel sereno.
Era sposato, senza figli sì, però sposato. Aveva fatto una cerimonia, si era vestito elegante, magari aveva anche pronunciato i voti allo stesso modo in cui Kaylee l’aveva sognato mille volte durante le notti di sogni infantili. E lei era stata l’altra, la stronza, Anna Bolena, quella che nei film si spera sempre che muoia (a meno che non sia Natalie Portman) e che mira solo ad arricchirsi calpestando tutto e tutti. Bill aveva fatto l’amore, aveva passato notti di bugie con sua moglie e non aveva neanche avuto il diritto di sentirsi tradita, perché era lei quella da eliminare del quadro generale. Chissà se aveva mai avuto qualche sospetto, se sapeva della sua esistenza e la malediceva oppure era ingenua, credendo alla storiella del marito fedele. Chissà se era bionda, mora o rossa, se voleva dei figli o pensava alla carriera, se era più giovane o vecchia di lui, se lo amava veramente o... no, non aveva lasciato che la sua mente lo difendesse cercando giustificazioni per il suo comportamento. Aveva sbagliato, punto, e aveva pagato con i suoi silenzi e il posacenere in testa. Kaylee non era riuscita a parlarne per una settimana, poi – dopo una maratona di Xena, Legally Blonde e film con Kate Hudson – era ritornata alla routine eliminando per sempre il nome Bill Anderson. A parte quella piccola foto che ogni tanto rispuntava sullo schermo del cellulare, o in quello del computer. Per sbaglio, ovvio.
«Cosa c’è, ti ha buttato fuori?» Cercò di risultare tagliente, ma il tono tradiva quanto ci tenesse a saperlo. Non che volesse tornare insieme a lui, non dopo quello che le aveva fatto affrontare... era solo semplice curiosità.
«Stavamo divorziando quando lo hai scoperto, non la vedo da tempo... se mi avessi lasciato spiegare, forse non avrei dovuto fare Lupen III.» Si ricordava dell’ironia messa in qualunque discorso e del perenne tentativo di farla sentire in colpa, per cui le parole non la scalfirono, ma nel frattempo si era avvicinato tanto da poterla sfiorare. Quello sì che la metteva in difficoltà, così dovette fare l’unica cosa che avrebbe potuto allontanarlo. Urlargli addosso.
«Non ti ho lasciato il tempo di parlare perché non devi dire niente, miserabile stronzo! Tu pensavi a lei mentre stavi con me!»
«Non ho mai amato Patricia tanto quanto amo te!» Rispose fulmineo prendendole i polsi. Le labbra erano vicine abbastanza per sfiorarsi, un millimetro e avrebbe potuto catturarle in un bacio che, oh lo sapeva, voleva anche lei per quanto si sforzasse di trovare l’idea repellente.
«Mi stai facendo male.» Cercò di allontanarsi mentre Bill spostava le mani fino ai fianchi, per poi alzarla e posarla sul lavello, le gambe automaticamente strette al suo bacino, la schiena arcuata e un cipiglio di fastidio sul viso perfetto.
«Non ti farei mai del male.» Sussurrò contro al suo collo. La mano scendeva lentamente, pensava di avere tutto il tempo del mondo per assaporare il suo fiore di primavera.
«Già fatto.» Con uno scatto fulmineo Kaylee fu in piedi, ripresasi dallo choc. C’era riuscito ancora, maledizione!
«E lo sai che mi dispiace.»
«Non ti dispiace abbastanza da capire che non ti voglio più.»
«Non sembrava che non mi volessi qualche minuto fa.»
«Lo sai che potremmo andare avanti così per ore. Esci di qui e rendimi la vita più facile, ti prego.»
Bill sembrò sconfitto veramente, e fece la “faccina afflitta”, come la chiamava Caroline, tentando di usare l’ultima carta. Sapeva che i suoi occhioni azzurri e scintillanti l’avevano persuasa tutte le volte, però questa volta lei gli aprì soltanto la porta.
«Bill? Le chiavi.».
 
Dopo che Bill fu andato via, Kaylee dovette correre di nuovo al lavoro con il computer al braccio, pregando che nel frattempo zio Kurt non si fosse svegliato e non progettasse di licenziarla, o rovesciarle dell’olio bollente addosso... o entrambe le cose. Una volta aveva avuto la magnifica idea di farle pulire e lucidare tutto lo studio con lo spazzolino da denti, non era stata una bella cosa sbucciarsi le ginocchia nel tentativo di fare un bel lavoro.
In quel momento con il suo portatile le sembrava tutto più facile, aveva la foto gigante di James Marsters – sfondo molto poco professionale, doveva ammetterlo, ma era pur sempre un portafortuna -, la cartella musicale degli Evanescence e tutte le altre cose belle che la calmavano mentre doveva cercare informazioni su Violet Landau.
Violet... Violet... non c’erano molte notizie sulla turbolenta e ribelle figlia minore del famoso candidato al congresso Richard Landau, a parte le solite cose alla “figlia di bla bla bla, ha studiato bla bla bla, vive a bla bla bla” e naturalmente nessun sito personale, ma anche i senzatetto avevano Facebook.
Il suo profilo si apriva con una foto dark di una ragazza, probabilmente la stessa Violet, che mostrava il dito medio truccata pesantemente e vestita con toni di nero e viola. Portava una gonna a balze decorata con dei piccoli teschi, i leggins neri, le calze a rete sopra a questi e un corpetto gotico che mostrava almeno una quarta di seno, nonostante il corpicino minuto. Probabilmente se l’era rifatto, anche se la fisionomia del corpetto poteva ingannare, avrebbe dovuto vedere altre foto. Il viso era arrabbiato e triste, gli occhi dipinti mostravano una fragilità non comune mentre la posa ostentava sicurezza.
Una normale adolescente.
Kelly sembrava avere ragione quando diceva che Violet aveva un problema. Bastava vedere i suoi post per capire che quella ragazzina non stava bene, parlavano tutti di morte, distruzione e fine del mondo. Le foto riprendevano il filone, erano per lo più disegni gotici che rappresentavano fate, sirene, vampiri e semplici ragazzi muniti di sangue e lamette. C’era anche un video, ma era solo una poesia con “Bring me to life” come sottofondo. Scelta singolare di canzone, riportami in vita, dato il testo della poesia.
Mi perdo nei tuoi occhi / Vorrei restare con te / Ma sono già morta / Per il mondo non esisto più / Non ha senso sperare / Non ha senso vivere / Quando non c’è un domani.
Santo cielo.
Da brividi.
Kaylee ripensò a quando lei aveva avuto diciannove anni, ben poco tempo prima. A parte i problemi con la scuola la sua vita sembrava scritta per una sit-com di Disney Channel, non aveva complicazioni di nessun genere e poteva concedersi qualunque cosa. Un bellissimo periodo, in effetti, anche se aveva meno soldi di Violet, o nessun jet privato. Non l’avevano salvata. E non aveva senso chiederle l’amicizia, perché non avrebbe potuto accettarla. Non avrebbe potuto stare su Facebook, aggiornare il profilo con nuove canzoni e poesie. Non avrebbe potuto fare più nulla.
«Questa è fuori...» Mormorò a mezza voce, convinta di essere sola nella stanza. In effetti seduta sulla poltrona del grande capo, con il computer davanti e la tazza di caffè accanto sembrava davvero una detective professionista. Certo, se non si notava la foto di James Marsters come sfondo, la macchia enorme che il caffè stava provocando alla scrivania e lei che in quella poltrona quasi sprofondava.
Ma erano tutti dettagli, naturalmente.
«Ti lascio per cinque minuti a sbrigare un caso e tu inizi a parlare da sola? È il primo sintomo di pazzia, lo sai?»
«Zio! Mi hai spaventata, non ti ho sentito rientrare. Notizie sui Landau? Ho incontrato la sorella, Kelly, è una vera stronza.»
«Kaylee, ti devo dire una cosa.» La zittì dopo un minuto Kurt, sperando che non partisse in uno dei suoi monologhi.
«Dimmi.»
«Ne hanno trovata un’altra. Stessa modalità... non si conoscevano.».
   
 
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