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Autore: crazy_k    30/12/2011    12 recensioni
Si dice che Parigi sia la città dell'amore... Tra le sue vie si coronano i sogni di molte coppie. C'è un vecchio uomo che gira tra le belle strade francesi; i bambini lo chiamano Menestrello, gli adulti Folle.
In seguito alla battaglia finale di Hogwarts, Draco Malfoy è scomparso, sembra si sia volatilizzato nel nulla. Harry Potter approda proprio nella capitale della Francia dopo una ricerca durata tredici anni.
Fanfiction partecipante all'OTP Tournament - I Edizione, indetto dal « Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Harry
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Credits: La canzone citata è This Is War dei 30 Seconds to Mars. Le frasi La morte… Si sconta… Vivendo…, Non c’è più niente dopo… Delle case solo i muri… Degli amici le ossa… e Ma è il cuore… Sì… E’ il cuore il paese più straziato… sono tratte/ispirate dalle poesie Sono Una Creatura e San Martino Sul Carso di Giuseppe Ungaretti. L’ultima frase è un riadattamento della citazione di Friedrich Nietzsche che recita Meglio esser pazzo per conto proprio, anziché savio secondo la volontà altrui. Naturalmente i personaggi citati appartengono a quella santa donna di J. K. Rowling e niente di tutto ciò che ho scritto è scritto a scopo di lucro.
Note Personali: Fanfiction partecipante dell'OTP Tournament - I Edizione, indetto dal « Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »









INSANE’S MELODY
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Venite bambini, venite ad ascoltare la melodia del pazzo.
 
 
 
 
La neve cadeva lenta dal cielo; minuscoli fiocchi bianchi che turbinavano nell’aria trascinati dal vento, sospinti tra i corpi caldi delle persone che affollavano le piccole panchine in pietra. Il rumore attutito della folla sfumava in un piacevole sottofondo e dava una strana sensazione di familiarità e intima protezione.
Enormi volute di vapore impalpabile s’innalzavano dalle innumerevoli bancarelle che comparivano a tratti qua e là, come piccole stelle che si rivelano lente al crepuscolo… Una… Dopo l’altra. L’aroma speziato di qualche cibo straniero si diffondeva nell’aria stuzzicando i palati in ascolto.
Pizzi e merletti di ghiaccio ornavano i rami scuri degli alberi che, ordinati, costeggiavano il grande viale parigino.
 
Coppie d’innamorati passeggiavano mano nella mano lungo la Senna; osservavano l’acqua placida scorrere nel letto del fiume.
Sposini novelli in luna di miele o anziani coniugi che avevano passato insieme l’intera vita, rimanevano tutti affascinati dalla visione imponente della Tour Eiffel che appariva all’improvviso, spuntando dalla fitta coltre di nebbia che avvolgeva la città. Una figura elegante che pareva allora fredda e vuota, evanescente come un fantasma.
Il riso dei più piccoli risuonava nell’aria fredda e i richiami delle madri si sprecavano dietro ai figli. Gli uomini invece, si limitavano a sorridere bonariamente, stringendosi nei baveri dei cappotti costosi, avvolgendosi le calde sciarpe più strette attorno al collo, sospingendo gentilmente in avanti le consorti.
 
 
 
 
Lontano dagli sguardi invadenti della gente per bene, accovacciato in un vicolo, addossato a un freddo muro scrostato, lui se ne stava immobile.
Immobile, giaceva rannicchiato su se stesso, con le mani e i piedi gelati, con le dita insensibili che parevano volersi staccare da un momento all’altro e cadere a terra.
Immobile, teneva lo sguardo basso e mormorava una strana nenia.
 
Tutti conoscevano il Folle di Parigi.
 
Lo si poteva scorgere a tutte l’ore del giorno e della notte, mentre avanzava col suo passo strascicato, lo sguardo basso e i vestiti lerci. Camminava lento con la schiena curva, come se su quelle spalle magre gravasse l’intero peso del mondo.
Pazzo. Era quella l’etichetta che gli era stata addossata; senza pietà, senza rimorsi.
Era comparso un giorno di alcuni anni addietro e, da allora, non era più andato via.
C’era chi diceva che prima fosse un bel ragazzo, un signore distinto. Ma… Come potrebbe mai esser vero ciò? Forse, lo dicevano perché quando passava lui la folla si diramava, cedeva il passo come all’avanzare di un principe. Ahimè però; quando i grandi sovrani sfilavano tra i sudditi fedeli, non era usanza bombardarli di insulti e urla di scherno.
 
Così, in quella sera d’inverno, se ne stava solo con se stesso; a riflettere? A pensare?
Lontano dalle luci allegre che poco avevano in comune con lui, canticchiava a fil di voce con un buffo accento.
 
 

***

 
 
 
 

A warning to the people
The good and the evil
This is war
To the soldier, the civilian
The martyr, the victim
This is war
 

 
 
 
Subisco attorno a me il vuoto, un silenzio opprimente che mi comprime la cassa toracica e ne fa uscire il respiro sottoforma di cupo sibilo.
 
La neve ricopre interamente la mia figura… I capelli… Le spalle… Il grembo… Ma non sento più il freddo. Non sento più la fame, non patisco la sete. Resta da chiedersi… Sono ancora umano? Brucia ancora in me la fiamma scarlatta della vita o non è rimasto nient’altro se non l’involucro vuoto di questo corpo che non riconosco?
 
 
 
 

It’s the moment of truth and the moment to lie
The moment to live and the moment to die

 
 
 
 
Un attacco improvviso di tosse mi scuote da capo a piedi ed è… Bellissimo… Semplicemente estatico… Non perchè mi ricorda di essere ancora vivo, ancorato a questo mondo che ho smesso ormai da tempo di capire o che non ho mai capito, è lo stesso. Sono felice perchè riesco a valutare quanto effettivamente mi trovo prossimo alla morte, alla liberazione e spero così, alla pace.
Valutare… Che parolone. Non credevo neanche di essere ancora in grado di pensare parole del genere, o, per quanto ne so, esserne mai stato. Non so nemmeno dove avrei dovuto impararlo un simile vocabolo…
Vocabolo… Un’altra parola sconosciuta.
 
 
 
 

To the right, to the left
We will fight to the death
To the Edge of the Earth
It’s a brave new world from the last to the first

 
 
 
 
Alzo gli occhi al cielo ma non riesco a scorgere niente al di là del mio sguardo appannato. Un velo sottile d’un cupo color grigio mi poggia sugli occhi oscurando la percezione che ho del mondo che mi circonda. Magari è davvero tutto così… Disgustoso… Nauseante come appare…
 
Sento la testa leggera, le guance in fiamme. La febbre mi consuma ormai da… Quanto? Minuti? Ore? Giorni? Anni, forse? Quant’è inutile e insignificante il tempo; assurdamente relativo.
Il mio corpo brucia avvolto da fiamme invisibili che mi ustionano la pelle coperta da geloni e tagli, fredda e rigida come il ghiaccio. Trovo affascinante l’insano colorito violaceo delle mie labbra screpolate, riflesse nel vetro di una bottiglia d’acqua che giace dimenticata al suolo quanto me.
 
Mi stringo contro il muro ancora di più, lasciando a lui l’arduo compito di sostenermi. Le piccole schegge di mattone che mi feriscono il volto le percepisco come labili battiti d’ali di farfalle. Ho perso sensibilità da un pezzo, non mi ricordo nemmeno più cos’è la sensibilità… Qualcosa che si mangia, forse?
 
Quelli che ho il sentore siano ricordi confusi sfrecciano nella mia mente a velocità sbalorditiva. Sono solo frammenti d’immagini persi tra le pagine del tempo, conservati nei meandri più oscuri del cervello.
 
Stringo più forte le ginocchia al petto, incasso la testa nelle scapole e alzo la voce arrochita. Canto, o almeno la mia intenzione credo sia quella, una canzone che non sono nemmeno consapevole di conoscere.
 
 
 
 

Tho the right, to the left
We will fight to the death
To the Edge of the Earth
It’s a brave new world

 
 
 
 
La mano bianca come la neve accarezza i capelli del bambino rannicchiato sulle ginocchia della donna.
Sorridono.
Si stringono più vicini.
 
Una famiglia felice…?
 
C’è un libro illustrato stretto nei pugnetti del piccolo… Sono figure strane… Strani disegni…
Si muovono? Possibile?
 
L’immaginazione di un pazzo gioca brutti scherzi.
 
Un uomo elegante, dal portamento nobile, dai tratti virili, se ne sta seduto dietro una grande scrivania in legno. Il mobile ha tutta l’aria di essere antico e pregiato, riflette l’aspetto dell’intera stanza.
Una pergamena ingiallita poggia distesa sul piano lucido. E’ scritta con inchiostro verde brillante, con una calligrafia ricercata che presenta alcuni fronzoli qua e là ma non per questo da ritenersi frivola. La busta che doveva contenere la missiva giace poco più in là. Il sigillo di ceralacca rossa è staccato.
Cos’è… Quello strano disegno? Quella specie di logo sulla pergamena?
Un leone rampante, un cauto tasso, un elegante serpente e un corvo ritroso ornano una grande “H”.
 
Chi sono queste persone, questi oggetti così strani?
Cosa ci fanno nella mia testa?
 
Le domande mi affollano i pensieri e premono le pareti del cranio come a volerle sfondare, per vagare libere, per cercare le risposte che io… Non so? Non ricordo? Non voglio conoscere?
 
 
 
 

A warning to the prophet, the liar, the honest
This is war
To the leader, the pariah, the victim, the messiah
This is war

 
 
 
 
Sento la testa pesante come un macigno. Ondeggia stancamente piegata verso il basso.
 
Una voce da qualche parte ripete all’infinito la stessa cosa.
Morirò, morirò, morirò.
 
Un giovane pallido rosicchia una mela seduto sulla riva erbosa d’un lago. Ha la schiena appoggiata al tronco di un vecchio salice e le gambe distese in avanti.
Tiene un braccio infilato in una fascia bianca che gli gira attorno al collo; dev’essere ferito.
Guarda lontano, verso le montagne, all’orizzonte, oltre i picchi innevati, al di là del sole, ed il suo è uno sguardo triste.
E’ solo.
 
E’ pena quella che mi si agita dentro? Riesco davvero a provare pena per quel ragazzo? Io che non provo pena neanche per me stesso…
Una risata stridula che assomiglia in modo impressionante al rumore che provoca lo strusciare delle unghie sull’ardesia fende l’aria gelida attorno a me.
E’ la mia voce? Questo suono raschiante, sgradevole e aspro... Questo rumore a cui io stesso rabbrividisco proviene davvero da me? C’è forse qualcun altro qui?
 
 
 
 

It’s the moment of truth and the moment to lie
The moment to live and the moment to die

 
 
 
 
Uno scintillio smeraldo e il vecchio scompare al di là del cornicione in pietra al quale si era sostenuto fino pochi attimi prima. Cade nel vuoto con esasperante lentezza. La lunga barba fluttua nell’aria, i capelli argentati gli nascondono gli occhi vitrei ma coloro che l’osservano precipitare sanno che la morte l’ha preso con sè.
Il vento gelido della notte scompiglia la chioma dorata del ragazzo che se ne sta ritto in piedi al centro di quella stanza dalle pareti rovinate e curve. Ha gli occhi sgranati e immobili, tiene il braccio ancora proteso in avanti e stringe una strana asticella di legno nel pugno.
 
Ancora questa persona… Chi è?
 
Il cervello si affanna per trovare la risposta al quesito ma, ogni volta che sembra catturare l’informazione giusta, quella sfugge lontano.
 
Un uomo si volta silenzioso su sé stesso. Un mantello nero spazza il pavimento sporco della torre. Seguono passi affrettati, urla, grida, rombi, tuoni e botti che rimbalzano attorno ai due fuggiaschi.
Il battito cardiaco è irregolare, rimbomba nella cassa toracica e viene amplificato all’inverosimile. Il respiro è affannato mentre l’adrenalina scorre veloce nelle vene.
Un passo, un altro…
Corri…
Non badare alle lacrime che ti si congelano nelle palle degli occhi…
Corri…
Più veloce…
Corri!
Scappa!
 
Ripiombo nella realtà, disturbato da qualcosa.
Mi pare di sentire dei rumori nel silenzio.
Sembrano miagolii, versi acuti e rauchi.
Avverto uno spostamento d’aria accanto al viso e con fatica cerco di aprire gli occhi, invano.
 
Chi è quel ragazzo? Cos’ha fatto? Perché fugge?
Chi è quell’uomo in nero che lo trascina per il gomito?
Chi è il giovane che urla dietro di loro e si muove veloce al loro inseguimento?
 
 
 
 

I believe in nothing
Not the earth and not the stars
I believe in nothing
Not the day and not the dark
I believe in nothing

 
 
 
 
Lampi rossi mi feriscono gli occhi da dietro le palpebre chiuse. Lampi di una luce verde accecante mi fanno strillare a pieni polmoni.
Sento la gola arsa, il cuore pulsarmi nelle tempie, i polmoni bruciare e il mio intero corpo contrarsi in spasmi violenti.
 
Cosa sono? Da dove vengono? Mi domando, annegando sempre più nell’affanno che m’imprigiona.
Sono circondato. Arrivano da tutte le direzioni.
Mi assediano, spaventandomi fino a quello che dev’essere il limite dell’umana concezione.
Sono saette di puro colore che squarciano l’oscurità di una notte buia.
Sono bellissime, brillanti e potenti. Trasudano forza e magnetismo.
Assomigliano a quei disegni di luce che schizzano nel cielo, a volte, la sera. Sono accompagnate da un grande rumore come quegli strani fiori che sbocciano tra le nuvole e spariscono nel fumo grigiastro pochi secondi dopo.
 
C’è odore di bruciato e dove il colore esplode s’innalzano muri di fuoco.
 
 
 
 

I believe in nothing
One hundred suns until we part
I believe in nothing
Not in Satan, not in God
I believe in nothing
Not in peace and not in war
I believe in nothing

 
 
 
 
Un grido strozzato saetta nell’aria.
Sento improvvisamente caldo, un caldo soffocante che mi brucia le viscere dall’interno e mi attorciglia le budella.
 
Vado a fuoco!
 
Mi agito nella neve cercando di spegnere le fiamme che sono devono avvolgermi. Mi getto nei cumoli bianchi addossati agli angoli del vicolo invocando pietà senza nemmeno rendermene conto.
 
- Basta, vi prego!!! BASTA!!!
 
La vista mi si schiarisce tutto a un tratto, la lucidità della mente mi colpisce come un cazzotto in pieno stomaco e mi mozza il respiro nella trachea. Riesco a cogliere i dettagli di ogni singolo fiocco di neve che cade dal cielo ma, anziché bianco, è di rosso che è tinto il paesaggio. Vedo il mondo attraverso un fiotto di liquido caldo e viscoso.
Il sangue che sgorga dal sopracciglio gocciola sulla neve che ricopre l’asfalto. Dalle chiazze carminio s’innalza un sottile filo di vapore che mi perdo ad osservare con incredula meraviglia.
 
E’ un attimo, l’immagine torna più forte di prima.
 
Un paio di lividi occhi rossi fanno capolino da chissà quali ricordi, forse dall’Inferno stesso.
Non ho più la forza di urlare e poi… Perché dovrei? In fin dei conti quegli occhi non fanno poi così paura. Sono ammalianti, dominanti, stillano promesse di gloria e grandezza. E’ incomprensibile il terrore provato poco prima. Perfino il fuoco che mi divorava e ancor ora lambisce le mie membra stanche, adesso non è altro che un tenero tepore intento a cullarmi, un calore piacevole al quale mi abbandono.
 
 

***

 
 
 
 
Si sa che le favole, sono conduttrici di sogni e che ogni bambino adori sognare.
 
 
 
 
L’inverno è la stagione della cioccolata calda, della torta di mele, dei cappelli con in cima grossi pon-pon ondeggianti, dei guanti di lana fatti dalla nonna e delle sciarpe colorate che svolazzano al vento.
L’inverno è la stagione nella quale i bambini si divertono a lanciarsi palle di neve, creare pupazzi dalle forme più svariate e strane, scivolare coi pattini sulla superficie gelata del laghetto, nel parco dietro casa.
 
A tutti i piccoli piace l’inverno e ognuno di loro sa che verrà sgridato dalla mamma se al rientro a casa si presenta inzaccherato dalla testa ai piedi, sudato e sovraeccitato dai giochi appena conclusi ma ancora ben impressi nella memoria.
Tutti i genitori vorrebbero che, prima di rincasare, i loro figli si prendessero una mezz’oretta di tempo per calmarsi, da bravi bambini coscienziosi. A nessuno fa piacere ritrovarsi dei piccoli selvaggi in erba che scorrazzano per casa, spargendo fanghiglia e neve sciolta sul tappeto persiano del salotto, appendendosi ai lampadari e facendo impazzire le balie con dispetti e scenate.
 
 
 
 
Quando si avvicina l’ora del rientro e occorre calmare i bollenti spiriti, tutti i ragazzi interrompono i loro giochi e corrono a una delle innumerevoli bancarelle che affollano gli splendidi parchi dove sono soliti riunirsi.
Dai più grandi ai più piccoli, si mettono tutti diligentemente in fila, scherzando e ridendo con gli amici, aspettando il loro turno e, con i soldini che ha lasciato loro la mamma, comprano le più gustose leccornie che sgranocchiano, poi, mentre percorrono la strada che li separa dalla loro ultima destinazione.
 
 
 
 
Rue Du Baiser è una lunga via in un quartiere per ricchi. Sul fondo trova ubicazione un incantevole giardino quasi completamente occupato da un gigantesco albero; un pino centenario dai rami lunghi anche più di sei metri, la cui cima svettaalta nel cielo e si perde tra la nebbiolina e il fumo emesso dai comignoli parigini.
E’ sotto quel colosso della natura che i bambini hanno il loro ritrovo segreto; uno spazio solo per loro, un posticino dove nessun adulto è autorizzato a mettere piede… Bhè, nessuno tranne uno.
 
 
 
I piccini, si sa, hanno più rispetto di quanto non ne abbiano i grandi.
I loro occhi sono giovani e meno affaticati e per questo, sono capaci di vedere assai meglio di quanto possa mai fare un occhio maturo.
 
Ogni bambino sa guardare oltre le apparenze e proprio così, scrutando al di là di quello che se ne stava sotto il naso di tutti, ognuno di loro ha scoperto il volto efebo del Folle di Parigi. Sono riusciti tutti a scorgere, nascoste sotto strati di sporco sudiciume, le più fini fattezze d’angelo. Hanno notato, chi più e chi meno, dietro quel vagabondaggio senza meta, oltre le apparenze di uomo dimesso e straccione, nelle movenze, nei gesti, negli atteggiamenti, una vecchia, aristocratica nobiltà, una fierezza d’animo d’altri tempi.
A loro che hanno avuto l’accortezza di sbirciare al di là delle sembianze, si è schiuso un nuovo mondo, il mondo di cui racconta quell’uomo.
 
Quando gli occhi argentati si offuscano e sembrano sparire lontani, in altre vite forse? In altre storie? Narra, lo sconosciuto, di un mondo in cui avvengono cose straordinarie. Alcune di esse sono magiche e stupefacenti, altre terribili e spaventose. Parla di un mondo in guerra, fatto di luce e oscurità. E, in questo posto che fa luccicare di aspettativa gli occhi dei più piccoli, lui ambienta tante avventure quanti sono i granelli di sabbia sulla spiaggia e sembra così convinto, così assolutamente certo di quello che dice che in molti si sono chiesti: è davvero il mero frutto di una fantasia sfrenata o c’è qualcosa di più in questo universo? Qualcosa di cui non siamo a conoscenza...
 
Esiste una storia, in particolare, di cui l’uomo ama parlare.
La sua voce si fa più dolce di una colata di caldo miele ambrato, più zuccherina delle zollette che la regina d’Inghilterra mette nel the e più calda di una giornata d’estate ai tropici, quando, dalle sottili labbra brutalmente rovinate, fuoriescono le mirabolanti imprese di un giovane ragazzo dai poteri straordinari cui perfino la morte porta rispetto.
 
 
 
 
Dovete sapere, miei cari signori e dolci signore, che quell’uomo, pazzo, lo era davvero.
Non aveva coscienza né di chi gli stesse intorno, né di dove si trovasse.
Il caso volle che due ragazzi, cercando riparo in un giorno di pioggia, si fossero intrufolati sotto i rami del grande pino sul fondo di Rue Du Baisere avessero trovato l’uomo nel pieno dei suoi vaneggiamenti. In quelle frasi sconnesse e prive di senso, quelle tenere menti assetate di avventura scorsero la trama di un avvincente racconto. Trovarono, disseminate qua e là, piccole morali e minuscoli insegnamenti.
Il giorno dopo i due tornarono in quello stesso posto portandosi appresso gli amici e la fortuna volle che l’uomo fosse ancora lì e che ancora deliziasse le giovani orecchie di quelle che per loro non erano altro che fantastiche favole.
Gli amici portarono altri compagni, che a loro volta sparsero la voce e così, ben presto, il Folle di Parigi si trasformò agli occhi dei più piccoli nel Menestrello.
 

 
***

 
 
 
 
Le molle del letto cigolarono quando il giovane si abbandonò pesantemente sul materasso macchiato.
Una trapunta strappata e sventrata, una coperta di lana infeltrita e puzzolente, un lenzuolo muffito e un cuscino duro come il marmo, erano accatastati alla rinfusa in un angolo della squallida stanza.
 
La camera era calda, fin troppo, e piccola. Alle pareti era attaccata un po’ a casaccio e frettolosamente una tappezzeria dallo stucchevole color pesca. Qua e là erano visibili pezzi di muro scrostato e chiazzato di scuro; muro da cui filtrava decisamente troppa acqua. Un piccolo comodino, una poltroncina e un armadio senz’ante certamente invaso dai tarli completavano l’arredo povero.
Non c’era traccia del bagno.
 
- Perfetto – il sussurro si disperse nell’aria.
 
 
 
 
I raggi di sole filtravano attraverso le imposte chiuse. Il rumore della città giungeva attutito nella stanza.
La fastidiosa suoneria di un cellulare prese a trillare tutto a un tratto, disturbando il sonno dell’uomo che dormiva beato nel letto. Lo squillo insistente rimbombò tra le pareti per parecchi minuti senza sosta alcuna fino a quando, stufo del rumore, l’uomo si alzò di scatto dal letto e recuperò il molesto apparecchio dal fondo della sua sacca. Non mancò di maledire in tutte le lingue lo scocciatore, o la scocciatrice, che aveva osato disturbarlo.
 
- Pronto?
Dall’altra parte della linea una voce preoccupata tanto quanto conosciuta esalò un flebile: - Menomale.
L’uomo inspirò bruscamente. Si passò una mano tra i capelli corvini e soffocò l’abituale moto di stizza che da tempo lo coglieva anche senza motivo apparente. – Hermione, – sbadigliò infine nel microfono - si può sapere il perché di questo sospiro da tragedia greca?
- Fai poco lo spiritoso Harry! - lo rimbrottò bonariamente l’amica – Com’è Parigi? Ti stai divertendo?
Il moro scosse il capo sconsolato.
- Herm… Sono arrivato solo ieri! Non ho ancora avuto il tempo materiale per andare a zonzo!
- Forse se non te ne stessi a letto fino a mezzogiorno inoltrato a quest’ora avresti già visto un sacco di cose interessanti! Ci sono molti musei e nella guida che ti ho infilato in valigia ho evidenziato tutti gli itinerari più interessanti che potresti…
Un rumore di porcellana infranta interruppe il monologo nel quale la donna si era lanciata a capofitto. Harry sorrise alla parete. - Salutami Ron – ridacchiò mentre gli giungevano all’orecchio le imprecazioni fantasiose del rosso.
- Uomini… - si sentì borbottare poco dopo - Com’è l’albergo? E’ stata un’ardua scelta prenotartene uno adeguato… Erano tutti a dir poco meravigliosi!
 
Harry gettò uno sguardo alle stanzetta desolante nella quale aveva passato la notte.
Non gli sembrò il caso di far sapere ai vecchi compagni d’avventura che non aveva neanche voluto avvicinarsi all’albergo che loro avevano scelto con così tanta cura.
 
- E’ nel mio stile.
- Harry? – sussurrò stancamente Hermione, intuendo che l’amico non si trovava dove invece avrebbe dovuto – Tu ti ricordi perché ti abbiamo mandato a Parigi vero?
 
Il moretto strinse la mascella e scoccò la lingua contro il palato in un gesto di palese irritazione. Per amor di Merlino si trattenne dal ribattere qualcosa di cui, in seguito, si sarebbe di certo pentito.
 
- Harry, lo facciamo per te, per il tuo bene. Sono passati tredici anni ormai, mi sembra sia ora di voltare pagina.
 
La mente dell’uomo prese il volo.
Tredici anni… Era davvero trascorso così tanto? Il tempo sembrava essersi fermato dopo l’ultima battaglia.
 
- Lo so – sussurrò sconfitto nel ricevitore dell’apparecchio - Ora devo andare. Ci sentiamo Herm.
-Harry aspet…
 
 
 
 
Il bagno è infondo al corridoio. Puzza ed è rischiarato a malapena da una sottile lampada neon appesa al soffitto.
Harry si spruzza il viso con dell’acqua fredda. Tenta di ridare un po’ di lucentezza alla pelle stanca e tirata, pallida in maniere quasi inquietante. Ha le palpebre gonfie dietro agli occhiali dalle lenti sporche e gli occhi spenti.
 
Esce dai servizi e scende in strada. Inizia a passeggiare senza meta, dirigendosi un po’ per caso verso i quartieri del centro.
In testa gli ronza un unico pensiero: che cosa ci faccio qui?
 
 

***

 
 
 
 
Anche quel giorno, il Menestrello era attorniato da un nugolo di ragazzini delle più svariate età che, impazienti, aspettavano la fine del racconto. Seduti sul terreno brullo, avvolti nei cappotti pesanti e disposti un po’ a casaccio, i bambini ascoltavano rapiti.
Come spesso capitava, le guancie ricoperte d’ispida barba erano rigate da una scia di calde lacrime cristalline. Gli occhi chiari dell’uomo erano vacui e arrossati, cerchiati da profonde occhiaie nere. Le labbra bluastre e spaccate dal freddo tremavano incessantemente. I denti sbattevano gli uni contro gli altri e la voce usciva in un sussurro roco e stentato, interrotta a tratti da spaventosi attacchi di tosse.
 
- Non aveva speranza… Non aveva nessuna aspettativa… - il tono, basso e sibilante, incuteva un leggero timore nelle giovani orecchie in ascolto – Io non so proprio perché…
- E quindi… Cos’ha fatto quel ragazzo?
 
Gli occhi vitrei dell’adulto rimanevano immobili, fissi su qualcosa che solo lui poteva vedere.
 
- Non so proprio il perché… Perché l’ha fatto?
- Ma fatto cosa? Menestrello cos’ha fatto quel ragazzo?
- Lui è andato via… E l’ha lasciato. L’ha proprio lasciato.
 
Una risata triste serpeggiò tra la piccola folla raccolta.
 
- Ma è logico che sia scappato! – un bambino che non avrà avuto più di otto, nove anni al massimo, si alzò in piedi davanti a tutti – Era un codardo, no? E poi era cattivo!
 
Il freddo diventava sempre più insopportabile. Tutti si stringevano al loro vicino, cercando un po’ di sollievo.
Il pomeriggio era ormai giunto al termine. Il sole era sparito da un pezzo. I piccoli si erano attardati già di molto e i genitori non sarebbero stati contenti al loro ritorno.
 
- Non era cattivo! – replicò fermamente una ragazzina dal visetto paffuto e le trecce bionde che spuntavano dal cappellino colorato – Era solo tanto spaventato! Vero Menestrello, vero? – chiese con i grandi occhi spalancati che imploravano il cantastorie di darle ragione, di salvare il suo beniamino da quella calunnia. Ma l’adulto non riusciva a cogliere lo sguardo implorante della bambina. La sua mente era proiettata lontana…
- Io non lo so… Non so proprio perché abbia abbandonato… - sembrò fare uno sforzo per ricordare… Magari, un nome? - No, non conosco il suo nome… Ma era davvero bello… Sì… Occhi verdi resi opachi dal peso ingiusto della vita e una zazzera nera… Un ragazzo con i colori dell’inchiostro…
 
 

***

 
 
 
 
- Harry adesso basta!
- Hermione…
- NO! Silenzio! Stai zitto e ascoltami!
 
La pioggia scorreva veloce sul vetro della finestra, alle spalle della riccia. Il moro osservava con interesse le goccioline che si rincorrevano lungo la superficie trasparente, piatta e fredda come la sua vita da ormai troppo tempo.
 
- E’ ora di finirla!
 
La ragazza stringeva tra le mani una tazza di ceramica smaltata di rosso. Ron era seduto affianco a lei e se ne stava in silenzio, con lo sguardo basso e velato da una profonda tristezza, uno sguardo che poco gli si addiceva ma che ormai non era raro vedergli addosso.
E’ strano come certi particolari insignificanti rimangano impressi nella mente delle persone.
 
- Questa storia sta diventando ridicola! – le labbra di Hermione tremavano, i grandi occhi castani erano lucidi di lacrime - La tua è un’ossessione che ti consuma da troppo tempo!
- Ma questa volta sono più che sicuro che…
- Harry, - e il tono serio del sesto di casa Weasley stroncò sul nascere la replica che il moretto aveva pronta – Hermione ha ragione. Anche l’ultima volta eri sicuro, così come quella prima e quella prima di quella. Sei sempre sicuro ma alla fine, ogni volta che torni sei distrutto, completamente devastato dall’ennesimo buco nell’acqua.
 
La riccia strinse con riconoscenza la mano del marito sotto al tavolo. Harry si accorse del gesto e ne soffrì un poco riconoscendo il piccolo mostro verde della gelosia arrampicarglisi su per la schiena. A lui non era concessa quella tenerezza spontanea che si può condividere solo con la persona amata.
 
- Ora, io e Ron abbiamo deciso di pagarti una vacanza. – riprese la nuova signora Weasley poggiando un paio di biglietti aerei sulla superficie liscia del tavolo.
- Parigi. – constatò atono il moro.
- Hai sempre voluto andarci, no? Adesso hai la possibilità di prenderti tutto il tempo che vuoi per riflettere e ricominciare da capo la tua vita.
- Devi dimenticarlo.
 
La pioggia scrosciante si era trasformata in una leggera pioggerellina umida.
Harry abbassò il capo sconfitto.
Aveva sempre voluto andare a Parigi… Ma non da solo.
 
 
 
 
La cattedrale di Notre-Dame è un edificio spettacolare. Situata su una delle isole fluviali della Senna, nel cuore della città, è una delle costruzioni gotiche più celebri al mondo.
Malgrado ciò, a Harry non piacque; troppo cupa, troppo sfarzosa, troppo importante. Decisamente non era il genere di cosa che poteva catturare il suo interesse. Tuttavia, quando si visita la capitale della Francia ci sono posti dove recarsi è d’obbligo. Chissà poi chi l’aveva deciso… Il Louvre, la Tour Eiffel, la Basilica Del Sacre-Coeur, il Palazzo Borbone, tutti quei luoghi indicati sui libri che alla fine, a furia di leggerne descrizioni ed elogi, ti senti costretto ad andare a vedere.
 
Era ormai sera inoltrata e il moro passeggiava svogliatamente lungo Avenue Des Champs Elysées.
Aveva superato l’Arco di Trionfo, negozi e alberghi di lusso, innumerevoli ristoranti, caffè, cinema e teatri, uffici delle grandi banche e compagnie aeree internazionali e adesso, si stava addentrando nella parte inferiore della strada, quella che portava fino a Place De La Concorde. Quest’ultimo tratto di viaggio si districava attraverso meravigliosi giardini nei quali era facilmente possibile trovare musei, teatri e celebri ristoranti rinomati in tutta Parigi. Ciò nonostante, a Harry la folla dava alquanto fastidio quindi, decise di non fermarsi in nessuno dei posti indicati sulla guida turistica che chi gli aveva preparato la borsa si era premurato d’infilarci all’interno. Preferì cercare un posticino riparato e solitario dove riposarsi un attimo e riordinare la vita che sembrava essergli sfuggita dalle mani.
 
 

***

 
 
 
 
Freddo. Sento freddo.
 
La notte è crudele e non risparmia certo un povero matto.
A lei non importa se hai o meno il denaro necessario per comprarti vestiti adeguati che possano tenerti al caldo ed evitarti la morte per assideramento. Lei non fa distinzione alcuna. La notte invernale è sempre la stessa, uguale per tutti; fredda, dura e spietata… Ma di questo, solo chi è sfortunato può accorgersi.
 
Una panchina solitaria sotto un lampione solitario; un posto per chi è solo e solo vuole rimanere.
Uno straccione incapace d’intendere e di volere; il compagno migliore per chi di giudizi ne ha sentiti fin troppi.
Due uomini che s’incontrano alla fine di una strada; chi l’ha percorsa controvoglia e chi non s’è nemmeno accorto di camminare.
 
Giunti alla fine del nostro cammino, voltandosi indietro riguardando il tragitto lasciatosi alle spalle, chi può dire di averlo percorso come effettivamente avrebbe dovuto?
 
 
 
 
Se una delle innumerevoli persone che transitavano lungo il viale avesse aguzzato la vista e sforzato un po’ gli occhi, se avesse puntato lo sguardo sul ciglio della strada, avrebbe visto due scure figure accovacciate, immobili sotto il cielo torbido, ai due estremi di una panchina.
 
Harry fissava apertamente lo sconosciuto sedutogli affianco, senza vergogna alcuna. In fin dei conti, quell’uomo non sembrava nemmeno essersi accorto di avere compagnia.
L’oscurità della sera e la forte nevicata rendevano la visuale poco chiara anche a distanza ridotta.
 
- La luna è proprio sopra di noi.
Il moro sussultò, preso alla sprovvista dalla voce flebile che aveva mormorato quelle strane parole. Si stupì ancora di più quando realizzò che la lingua usata non era stata il francese, bensì un inglese stentato ma dall’accento perfetto come se ad usarlo fosse stato un madrelingua che aveva però dimenticato ogni parola.
- Come prego?
- La luna… Che cosa ci fa lì?
 
Il giovane Potter alzò lo sguardo verso il cielo, strizzando e sbattendo le palpebre per far scivolare via i fiocchi di neve che erano rimasti impigliati tra le ciglia scure. Una spessa coltre di nubi grigie, accavallate le une sulle altre, copriva l’intera volta.
 
- Cosa ci fa lì? – quella voce era paurosamente debole. Bisognava tendere le orecchie al massimo per riuscire captarne il suono.
- … Ci guarda…
- Cosa ci fa lì?
- Ride di noi. – sussurrò il moretto – Ride di noi mortali, uomini comuni e insignificanti. Osserva altera e distaccata il nostro mondo. Ci lascia cullare nella dolce illusione di non esser mai soli la notte.
 
Gli occhi dello straccione scivolarono sulla sagoma nera di Harry per pochi attimi prima di tornare a fissare il vuoto, lontani. Parevano in tutto e per tutto gli occhi di un morto; vitrei, così chiari da sembrare bianchi, cerchiati da profonde occhiaie violacee ed infossati nel cranio.
 
- E tu, cosa ci fai lì?
Un sorriso amaro distese le labbra secche dell’ex grifone; un sorriso per quella situazione paradossale, un sorriso per l’assurdità della conversazione se di conversazione si poteva parlare. - Ci credi se ti dico che non ne ho idea?
 
Dieci battiti di campane rintoccarono ovattati in lontananza. Una raffica di vento scompigliò le chiome dei due uomini.
Riccioli corvini e fradici, rizzati sulla nuca dalla folata improvvisa e un groviglio sporco di lunghi fili sottili dal colore indistinguibile, sciolti all’aria.
 
- Cosa ci fai lì?
- Sono… In vacanza…
E’ un’affermazione o una domanda la tua Harry?
 
Il silenzio che inframmezza quei monconi di frasi è quasi palpabile nello spazio che separa i corpi.
 
- Sto… Cercando una persona.
Gli occhi dello straccione diedero un guizzo a quell’annuncio e una scintilla d’interesse sembrò bruciare nelle iridi cerulee. Che ci fosse un fondo nella voragine di smarrimento aperta dentro quei bulbi?
- L’hai persa?
- Sì. Penso che si possa dire così.
- … Anch’io mi sono perso… - e mentre lo diceva, l’espressione dipinta sul volto dell’uomo era talmente assorta, concentrata e rapita che Potter non riuscì a trovare nient’altro da fare se non infilarsi le mani guantate in tasca, alla ricerca d’un riparo maggiore. Sorpreso ne tirò fuori un pacchetto di Piperille che si rigirò pensieroso fra le dita.
- Come ti chiami?
La domanda non ottenne risposta.
- Prendine una. - Harry allungò la mano porgendo la scatola di dolci mezza vuota. Erano dolci magici ma, infondo, doveva davvero credere che una persona in quelle condizioni si preoccupasse per un po’ di fumo uscito dalla bocca? L’avrebbe scambiato per fiato condensato o, molto più probabilmente, non se ne sarebbe neanche accorto.
Aspettò paziente un gesto da parte dell’altro, gesto che non arrivò. Così, senza fermarsi a domandarsi cosa diavolo gli stesse passando per la testa, il moretto si sporse verso la figura tremante dello sconosciuto. Gli prese dolcemente la mano gelata e vi depositò sul palmo aperto un cioccolatino.
Poi come se niente fosse tornò a parlare.
- Quella persona che sto cercando se n’è andata ed io non so nemmeno il perché. Mi ha abbandonato un giorno di tanti anni fa; senza una parola nè una spiegazione. Non mi ha lasciato nemmeno la possibilità di provare a fermarla. E’ semplicemente scappato.
 
 
 
 
Un’immagine lontana sfrecciò nella mente stremata del Folle di Parigi; troppo veloce per essere afferrata, troppo distante dalla superficie.
 
Le parole dell’uomo, suoni di cui aveva a malapena coscienza, gli giungevano alle orecchie come alla fine di un lungo tunnel. - E’ andato via e mi ha lasciato da solo come un allocco. E come un allocco io l’ho cercato per tutti questi anni… Tredici anni…
Quell’uomo che aveva avuto l’ardire di sedersi e far compagnia a un povero mendicante non sembrava curarsi del fatto che le sue parole fossero o meno ascoltate.
- C’era una guerra…
 
Botti ed esplosioni di luce, scintille rosse e verdi attraversavano le iridi annacquate del pazzo. Le mani intorpidite dal freddo avevano iniziato a tremare violentemente sul suo grembo. Nelle orecchie congelate risuonavano urla di donne, uomini e bambini; voci piene di agonia che s’innalzavano al cielo in una preghiera tanto straziante per il cuore tanto ignorata.
Ricordi lontani e sbiaditi, istantanee di terrore e vergogna, d’impotenza, agitavano le acque della memoria.
Una paura irrazionale di un passato che lo straccione non ricordava neanche di aver avuto si agitava ora nel suo cuore. Tornò a galla uno strano desiderio di fuga, una strana voglia di lasciarsi tutto alle spalle.
- Dimenticare…
 
 
 
 
Harry ripensò al passato. Ricordava bene lo sguardo debole e spaesato del ragazzo che, troppo tardi, aveva capito di amare. Ricordava i giorni di festa dopo la resa dei conti, giorni grigi, insipidi, in qualche modo sbagliati per lui che non riusciva a trovare pace. Ricordava l’ipocrisia della gente, la crudeltà delle vittime che s’erano trasformate in carnefici e condannavano brutalmente e senza rimorsi coloro che, prima, dei carnefici facevano la parte.
Ripensando a quei giorni lontani, dentro di lui si radicava l’idea che dimenticare sarebbe stata la cosa migliore da fare.
 
Dimenticare… I sacrifici.
Dimenticare… I sentimenti.
Dimenticare… I martiri e gli eroi.
Dimenticare… Il dolore, la paura e l’ansia della gente.
Dimenticare… I vinti e gli sconfitti, la pena e la sentenza.
Dimenticare…
 
 
 
 
La neve continuava a cadere, lenta. Sembrava voler ricoprire ogni cosa, lavar via tutto il male del mondo con il suo candore.
Il corpo emancipato del senzatetto tremava violentemente sotto quel cielo plumbeo. Era curvo su sè stesso, schiacciato sotto il peso che gravava sulle sue spalle e nella sua testa. Per tredici anni aveva cercato di non ricordare. Per tredici anni aveva ignorato le accuse che continuavano a risuonargli nelle orecchie. Qual’era stato il risultato? Cosa aveva ottenuto a parte una completa, assoluta disfatta?
 
- No… - sussurrò roco nella notte.
- Già… - gli diede adito Harry - Nemmeno io penso sia possibile lasciarsi una guerra alle spalle, un’intera vita per noi, per me e per lui. Non si può semplicemente ricominciare da capo. – lo sguardo del moro era triste e rassegnato - Bisogna imparare a convivere con i propri fantasmi, ad accettare i sensi di colpa, a perdonare sé stessi e gli altri.
 
Gli occhi cisposi e opachi del senzatetto rimanevano fissi nell’oscurità mentre le parole di Harry graffiavano l’aria con la loro potenza. I vestiti sozzi e laceri ondeggiavano frenetici al vento che feriva con le sue raffiche la pelle congelata del volto e apriva nuove piaghe su quel corpo ormai allo stremo.
 
- Quando tutto finisce… Quando non rimane nient’altro che il ricordo a tormentare l’anima… Bisogna solamente accettarlo. Non si può scappare… Non si può dimenticare. – Harry parlava per esperienza. Parlava per costringere sè stesso a credere in ciò che diceva.
 
 
 
 
Un film confuso, una pellicola rovinata dal tempo, logorata dal gene della pazzia veniva proiettato nella mente malata del povero matto. Un dolore sordo gli pulsava proprio al centro del petto. Sprazzi di lucidità improvvisi riportavano a galla colori, suoni, sensazioni, volti un tempo familiari.
Gemiti sommessi e lamentosi fuoriuscivano dalle labbra cianotiche; gemiti portati lontano dal vento.
La febbre lasciava una patina di sudore congelato sul volto grinzoso e afflitto, coperto per metà da una vecchia sciarpa sfilacciata che aveva sicuramente visto giorni migliori.
 
- La morte… Si sconta… Vivendo…
Harry fissò catturato il profilo scuro che si stagliava contro il grigiore biancastro del paesaggio mentre la voce roca e stranamente consapevole dell’altro uomo lo raggiungeva.
- Il pianto... Non trova sfogo… Nelle lacrime… - L’effige sbiadita di un vecchio bagno in disuso, d’uno specchio incrinato, d’un lavandino dallo smalto scheggiato, d’un volto giovane e pallido, d’un paio d’occhi grigi arrossati dal pianto, tutto questo palpitava sul fondo di un lago oscuro di memorie riportate faticosamente in superficie. - Non c’è più niente dopo… Delle case solo i muri… Degli amici le ossa… -
Harry ascoltava rapito e sussultò quando gli occhi dell’uomo dettero un guizzo e si fissarono per la prima, vera volta nei suoi.
- Ma è il cuore… Sì… E’ il cuore il paese più straziato…
Il giovane Potter rimase meravigliato da tanta… Tanta… Saggezza, forse? Era saggezza quella? O solo il delirio di un poveretto? - Chi sei tu? Parli come se la vita ti avesse regalato il mio stesso destino… - si ritrovò così a chiedere -  Chi sei?
 
Chi sei? Come ti chiami?
Traditore. Codardo. Vigliacco.
Chi sei? Da dove vieni?
Questo mondo sarà tuo. Potrai avere tutto quello che vorrai.
Chi sono? Io… Chi sono?
Feccia. Lurido Mangiamorte. Perdente.
 
- Io sono matto…
- Matto?
- Sogno… Dentro la mia testa… La realtà la distorco secondo quello che immagino… Io… Sono… Matto…
 
La notte cullava i respiri lenti.
La nebbia copriva i due corpi come una coperta, leggera e impalpabile.
 
- E tu? Chi sei tu?
- Io… - un sorriso amaro piegò le labbra secche dell’ultimo discendente di casa Potter – Temo che rassegnato sia la parola più giusta.
 
 
 
 
Il tempo trascorre lento. I minuti passano nel silenzio rotto soltanto dal tremito violento dei denti dei due uomini.
 
Harry ha i muscoli delle spalle irrigiditi e sente la schiena pulsare contro lo schienale ghiacciato della panchina. La pulsazione segue il ritmo rabbioso del cuore che pompa nel torace e sbatte contro le costole. Si accorge di sfuggita di aver iniziato a imitare il dondolio dell’uomo seduto al suo fianco, come una nave in balia della tempesta, come due alghe che oscillano molli alla corrente. Si rende conto di quanto sia simile all’altro nel tracollo rovinoso che è diventata la sua vita da quando Draco se n’è andato.
 
- Gli è stato offerto l’aiuto di cui aveva bisogno. Aveva la possibilità di salvarsi ma non l’ha fatto. E’ riuscito, Merlino solo sa come, a uscire vivo dal conflitto per poi sparire così… Senza una parola… Senza un gesto… - le lacrime si rifiutavano di sgorgare mentre la rabbia infiammava lo spirito grifondoro – L’unica cosa che è stato in grado di fare è mandare a me… A me tra tutti… Mandare a me tra tutti la sua bacchetta… Perché poi? Perché l’ha fatto? Per avere la soddisfazione ultima di torturarmi ancora un po’? Per gongolare nella certezza che mi sarei dannato l’animo per ritrovarlo? Perché anche lui è stato stupido tanto quanto me e non si è accorto del nostro legame fin quando il tempo non è scaduto?! Dannazione!
 
Le parole escono di getto dalla bocca del moro e trasudano ira troppo a lungo repressa.
Harry è furioso; con sé stesso, per come si è lasciato andare e con Malfoy, per come l’ha lasciato andare. E’ furioso senza un motivo specifico eppure si sente tremendamente in diritto di esserlo.
E mentre il moro rimane immobile, con la testa tra le mani e il corpo intorpidito sbollendo la rabbia, accanto a lui, balena, dietro le palpebre gonfie del Folle di Parigi,  l’orripilante film dei trascorsi di quella che il pover’uomo non si rende conto essere stata la sua vita.
 
- Ma adesso basta. – parlò duro l’ex grifone alzandosi in piedi e spazzolandosi la neve dai vestiti – E’ finita.
 
Quel ragazzo biondo che sogno… Non voleva restare. Il pensiero scorreva veloce nella mente del vagabondo.
 
- Ci rinuncio.
 
Non voleva affrontare quello che sarebbe venuto.
 
- Non lo voglio più trovare.
 
Ha avuto paura… Ancora.
 
- Non ci voglio più pensare.
 
Era rimasto solo… Non aveva più niente, più nessuno e… All’improvviso…
 
- Potrà sembrare una decisione avventata ma non ho altra scelta, non posso dannarmi in eterno e vivere nel ricordo di ciò che è stato e nel sogno di ciò che sarebbe potuto essere. Dimenticherò.
 
All’improvviso…
Aveva…
Avevo…
- Dopo tredici anni, all’improvviso…
Io avevo solo un’improvvisa voglia di scappare, di rifugiarmi lontano, al sicuro, di non essere giudicato… Tutto ad un tratto mi è parso chiaro  e, l’unica cosa che ho saputo fare mentre sedevo tra tutti gli altri, in quella sala dove avevo trascorso sette anni della mia vita, l’unica cosa che ho fatto è stato scappare.
- … All’improvviso mi accorgo che tutto ciò di cui ho voglia è dimenticare.
Avevo solo un’improvvisa voglia di dimenticare.
 
E così, mentre la sagoma sfocata del moro spariva nella nebbia, in uno sprazzo di lucidità si consumò l’ultimo pensiero del matto.
E ancora, mentre la febbre fa sentire il suo prigioniero libero di prendere il volo e gli chiude ancora una volta gli occhi, l’ultimo sussurro arrochito si perde nel vento.
 
- Harry…
 
 
 
 
Questa è la storia di un uomo, un ragazzo.
Se mai vi capitasse di chiedere di lui a chi l’ha conosciuto troverete chi vi dirà che, di tutte le scelte che poteva fare, quel ragazzo ha sempre fatto quelle sbagliate e troverete anche chi invece vi dirà che, in verità, non ha mai realmente avuto la possibilità di scegliere.
Alla resa dei conti tuttavia, la sua scelta l’ha fatta ed è stata quella definitiva. Ha deciso di ritirarsi in solitudine. Voleva rifarsi una vita, lasciandosi alle spalle gli orrori dell’adolescenza.
 
Capì troppo tardi che non si possono dimenticare diciassette anni della propria esistenza, che non si può vivere nascosti in un alone di buio o in un silenzio perenne. Non riuscì a scordare il passato e divenne disperato. La disperazione lo condusse alla pazzia e la pazzia lo portò a vivere in un universo parallelo di cui solo lui aveva la chiave.
Alla fine, si può quindi dire che riuscì nel suo intento. La pazzia trasformò il passato in una favola. Tutto non fu altro che un terribile, meraviglioso, confuso sogno.
 
 
 
 
Sapete come si dice, no?
Infondo, è meglio esser pazzi per conto proprio, anziché savi seguendo la volontà del mondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
THE END









Ave popolo di EFP!


Ebbene sì... Sono tornata più spaventosa che mai con un'altra storia più spaventosa che mai!!! Ma abbiate pazienza... Diventerò brava prima o poi e allora vedrete... Vi stupirò!
Dunque, dunque... Che posso dire?!?!?!?! Per prima cosa ho infranto la mia regola. Ci sono cascata signori. Ho partecipato a un concorso quando mi ero ripromessa che mai e poi mai l'avrei fatto... Amen.
Tralasciando ciò passiamo ai ringraziamenti. Per tutti quelli che hanno avuto lo stomaco di arrivare fino qua giù infondo... GRAZIE!
Ora se sareste così gentili da lasciare un commentino... Sapete, no? Le recensioni sono il pane quotidiano per uno scrittore e NON creano dipendenza!!!


Per tutti coloro che vogliono continare a seguirmi, possono trovarmi qui

Con questo passo e chiudo.
Un saluto e un bacio!
Crazy_k
   
 
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