Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Ricorda la storia  |      
Autore: TittaH    30/12/2011    4 recensioni
“Marziana, ci sei?”
Una mano sventolava davanti al viso pallido e piccolo di Laureen, la mano che da anni cercava di stringere attraverso una canzone, la mano che ogni notte la portava con sé in un sogno più bello rispetto al solito incubo.
La sua mano.
Genere: Angst, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

You saved my life once.


A volte la vita mette a dura prova il tuo autocontrollo sbattendoti in faccia realtà contrastanti e rompendo ogni tuo sogno, facendoli cadere dall’altare che avevi costruito per loro.
A volte sei così sola e affranta che l’unica cosa che ti rimane da fare- e che vuoi fare- è farla finita.
Era già da un paio di mesi che Laureen ci stava pensando.
Che senso aveva continuare a vivere in una città che per lei non aveva nulla di familiare? Che senso aveva continuare a vivere in una famiglia che non è davvero sua? Che senso aveva continuare a vivere in un corpo che non aveva mai accettato?
Nessuno, almeno per lei.
Aveva preparato tutto, luogo, ora, momento e circostanze adatte per dire addio, ma prima doveva fare una cosa, l’ultima solo per se stessa, dopo aver vissuto solo per fare un favore agli altri.
Voleva esaudire un desiderio, l’unico che aveva mai avuto, l’unico che dava un po’ di colore e sapore alla sua stupida esistenza.


Uscì dal box doccia, abbandonando il calore fumante dell’acqua bollente, e sussultò al contato freddo del pavimento in marmo della sua camera.
Prese a sfregarsi l’accappatoio addosso, per assorbire le poche gocce che ancora scorrevano sul corpo rincorrendosi, lasciandolo poi cadere per cominciare a indossare intimo comodo e bianco in cotone e calze lunghe nere; frizionò i capelli corti e castani con l’asciugamano che presto raggiunse l’accappatoio e ancora mezza nuda vagheggiò per la stanza passando in rassegna ogni singolo abito presente nell’armadio.
Optò, dopo una decina di minuti, per una gonna rossa a fantasie scozzesi e una canotta nera a manica corta, poggiando sulle spalle uno scaldacuore della stessa tonalità della gonna. Ai piedi indossò degli anfibi neri lasciati sciolti e per metà aperti.
Si diresse nuovamente in bagno per asciugarsi i capelli e dedicarsi interamente al ciuffo lungo dalle meches rosse, armeggiando con phon, spazzole, pettini e piastre. Usò una quantità industriale di lacca e lavò i denti con abbondante dentifricio alla mente.
Dopo aver passato il kajal attorno agli occhi e un velo di rossetto rosso, prese la sua borsa nera e uscì da casa, guardandola poi dal di fuori come se fosse l’ultima volta.
Prese in tempo il bus che l’avrebbe condotta a destinazione e una volta seduta controllò nella borsa che ci fosse tutto: cellulare malandato, portafoglio vuoto e bucato, carta d’identità con foto vecchia di almeno sette anni e un biglietto con alcuni nomi strani.
Sorrise stringendolo tra le dita, riposandolo dov’era, e scese alla fermata giusta.
Fece un paio di metri a piedi e si ritrovò con un paio di ragazze strane, dal trucco esagerato, maglie striminzite e gonnelline inesistenti.
Tutte urlicchiavano da una parte all’altra in preda ad una trepidazione assurda e qualcuna addirittura piangeva.
Laureen capiva cosa provavano quelle ragazze, ma proprio non riusciva a provare lo stesso. Si limitò ad un cenno del capo per ottenere la loro attenzione.
“Per chi ha il GT l’entrata è invariata o…?”
Non ebbe modo di continuare la domanda perché una ragazza bassina e dalla coda alta e biondissima, sistemandosi il reggiseno, rispose: ”Per le fortunate del GT l’entrata è nel retro.”
Fortunate!, pensò sorridendo amaramente e ringraziando, avviandosi verso l’entrata giusta.
C’erano già  una decina di ragazze col GT e mancavano ancora quattro ore all’apertura dei cancelli.


Il buio e poi una serie di colpi alla batteria che annunciavano l’inizio della fine.
Escape le rimbombava nella testa mandandola direttamente su Marte dove presto la raggiunsero Jared, Tomo e Shannon con tutti gli Echelon lì presenti.
La visione dal lato del palco non era delle migliori, ma proprio non riusciva a stare fra tutta quella gente per colpa della sua claustrofobia e poi senza quel biglietto d’oro non avrebbe mai ottenuto quello che veramente voleva.
Persa nei suoi pensieri- e magari anche con una faccia da ebete- non si accorse di star fissando il filo della chitarra di Tomo e che erano già arrivati alla metà della seconda canzone: A Beautiful Lie.
Quella canzone svegliava in lei ricordi tutt’altro che gradevoli e la facevano crollare bruscamente dal pianeta rosso, frantumandosi sulla superficie terrestre.
Stava per piangere, per distruggersi, per farsi del male, quando Jared urlò di attaccare.
Attack era adrenalina pura, era carica.
Si riprese e ascoltò il concerto seguendolo senza far trasparire alcuna emozione, senza guardare in viso nessuno, facendo finta di essere inerme a tutto quello fino a fingere di non essere lì.
Tra pianti trattenuti, nodi in gola, singhiozzi nascosti dietro colpi di tosse e brutti ricordi arrivò una canzone, quella canzone che la fece sentire strana, che le fece far fare un passo indietro prima ancora di compiere quello decisivo, quella canzone dalla quale si capisce che la fine del concerto è vicina, quella canzone che non ti aspetti mai di sentire completa dal vivo.
Alibi.
I fell apart but got back up again, cantava quella voce che risuonava magnifica alle orecchie di Laureen, che credeva che stesse cantando proprio per lei.
Lei era caduta tante, troppe volte e sempre da piani più alti facendosi ogni volta più male di quella precendete e meno male di quella successiva, ma aveva sempre la forza di rialzarsi e andare avanti; la forza di combattere per i propri sogni, per se stessi e per gli altri era finita, non aveva più forze, non voleva più averne, voleva cadere e andare sempre più giù, lasciandosi succhiare via dalla voragine che volta dopo volta si era ingrandita sotto i suoi stessi piedi.
E tra i coriandoli era finito tutto, ma la fine, quella vera, doveva ancora avvenire.


Come poche ore prima si era ritrovata tra ragazze e ragazzi urlanti che aspettavano l’entrata dei loro idoli e Laureen si chiedeva cosa avessero fatto per loro i 30 Seconds to Mars.
Se lo chiese da sola, ma nel momento in cui stava per rispondersi si aprì la porta e i tre marziano vennero fuori nel loro aspetto smagliante.
‘’Ciao Kings and Queens!” esordì il frontman, stanco ma sorridente.
Tutti si levarono in un grido generale e il batterista lanciò un’occhiata strana verso la ragazza e poi verso il chitarrista.
Mentre gli altri facevano la fila per farsi fare la foto, Laureen se ne stava in disparte.
Lei non era lì per quello, no di certo, lei aspettava il suo turno per avere a sua vendetta, per avere un riscatto da quella vita di merda per poi abbandonarla per sempre.
Non voleva che tutti sapessero, solo loro dovevano sapere, lui doveva sapere.
Dopo una ventina di scatti, battutine, sguardi ammalianti e ammiccanti, pianti isterici e sorrisini di circostanza, la stanza si era quasi svuotata.
Restavano lei, i Mars, Emma, il fotografo e gli ultimi due ragazzi che si fecero la foto assieme con facce buffe e che poi si accomodarono vicino l’uscita assieme agli altri che avevano realizzato il loro sogno.
“Marziana, ci sei?”
Una mano sventolava davanti al viso pallido e piccolo di Laureen, la mano che da anni cercava di stringere attraverso una canzone, la mano che ogni notte la portava con sé in un sogno più bello rispetto al solito incubo.
La sua mano.
“Baby, non abbiamo tutta la notte, facciamo questa foto e ci vediamo alla prossima.” disse Shannon leggermente infastidito.
La moretta si riscosse dai suoi pensieri e sorrise amara rispondendo a tono: “Non sono venuta qui per una foto, un abbraccio e un cuore spezzato.”
I tre su guardarono sbalorditi mentre Emma faceva segno col dito sull’orologio da polso che indossava.
“Allora puoi andare.” esordì un tipo della sicurezza.
Laureen rise, tirando fuori dalla tasca un coltellino affilato e luccicante.
“Chiama la sicurezza!” scattò Tomo, spaventato, ma venne interrotto dal gesto brusco della mano di Jared che fissava la mano della ragazza.
“Non chiamate nessuno, no.” disse soltanto non interrompendo il contatto visivo con l’oggetto.
“Che cazzo dici fratello? Questa ci ammazza!” sbottò il batterista abbassando la mano del fratello.
Il cantante continuava a parlare dando le spalle agli amici e guardando la piccola Echelon davanti a lui.
“Cosa vuoi fare?” chiese piano.
La ragazza scosse il capo, abbassandolo e rialzandolo svelando uno sguardo assente.
Jared insistette e ripropose la domanda.
“Non ho aspettato tre anni per vedervi da vicino e urlare quanto vi ami. Non ho guadagnato i soldi per comprare il GT facendo un lavoro che non mi piace e che non desideravo. Non sono qui per dirvi grazie e per fare una foto. Non sono qui per dirvi arrivederci, ma per dire addio.”
L’uomo dagli inconfondibili occhi azzurri si avvicinò un po’ tendendo la mano alla ragazza, intuendo le sue intenzioni.
“Dammelo.” era serio e passava lo sguardo dagli occhi della ragazza all’oggetto affilato.
Nulla accadde.
“Dammelo.” ripeté più sostenuto.
Nulla, ancora.
“Sai, Jared, hai tentato più e più volte con le tue belle parole e le tue canzoni a spingere la gente a fare ciò che volevi, ciò che per te era giusto, ciò che avresti voluto fare tu ai tuoi tempi, ma non sempre funziona.”
Laureen parlava col suo idolo guardandolo quasi con odio e continuando a lisciare la lama del coltello con l’indice.
Jared ritrasse la mano e cambiò sguardo: incomprensione.
Shannon deglutì e Tomo si strinse nelle spalle, mentre Emma era pronta a chiamare la polizia.
Credi nei tuoi sogni, seguili, a costo della vita se serve, fai ciò che è meglio per te. Tutte belle parole, sì, ma nei fatti non sai quant’è dura. Nella realtà non tutto si può ottenere così facilmente, non tutto è possibile. Tu hai avuto la fortuna di avere una mamma e un fratello sempre al tuo fianco, che esaudivano ogni tuo desiderio, che tolleravano ogni  tuo capriccio, io no. Io sono stata abbandonata e adottata all’età di tre anni, pretendendo poi di sapere la verità a costo di farmi male. La mia mamma adottiva è morta, stroncata da un tumore e mio padre, quel mostro, beveva e mi picchiava. Ero figlia unica e lui è stato rinchiuso in una clinica di igiene mentale, io a soli sedici anni lasciata al mio destino.
Nessuno voleva essere mio amico, figuriamoci fidanzato. Mi guardano come un’appestata, come un’assassina, come una puttana, quando sono ancora vergine, quando ho studiato come una matta lavorando per pagarmi tutto.
Sono laureata col massimo dei voti, sono oncologa, ma non ho un lavoro, nessuno mi prende a lavorare.
Chi vorrebbe Laureen la figlia adottiva di Mark l’assassino, Mark l’ubriacone, Mark il pedofilo?”
Lasciò cadere due lacrime e alzò il capo svelando il viso macchiato di kajal colato sulle guance e le labbra morse a sangue. Strinse ancora più forte il coltellino tra le dita, rigirandoselo tra le mani e fissando poi Jared in faccia.
“Tu mi hai salvata, in un periodo buio, la tua voce mi riscaldava l’anima, la vostra musica colorava la mia vita, ma ora non ce la faccio più. Ho inseguito i miei sogni, l’ho fatto per mamma, anche per papà un po’, l’ho fatto per la gente affinché tacessero, l’ho fatto per voi. Per te.”
Laureen singhiozzò, abbandonandosi ad un pianto che da troppo tempo imprigionava per non mostrarsi debole.
I tre si mossero contemporaneamente parandosi di fronte alla ragazza.
“Laureen, non c’è bisogno di fare così, a tutto c’è rimedio…”
“Non c’è nessun rimedio per questo dolore, per questa stanchezza!” urlò improvvisamente facendo sobbalzare gli uomini.
Si asciugò le lacrime, macchiandosi viso e mani e si puntò il coltello all’altezza del cuore.
“Non… Non farlo, non ne vale la pena… Laureen…”
Jared era spaventato e agitava le mani davanti a sé per costringerla a smetterla.
“Se ti ho salvato, se l’hai fatto per noi- per me- perché ora stai così? Cosa ti spinge a volerti così male? Parlane!”
La moretta rise tra il pianto.
“La mia vita è stata uno schifo, non c’è stata una cosa, nemmeno piccola, che sia stata bella o almeno in parte. Nulla! La sfiga ce l’ho incollata al culo, la sfiga è nata con me, la sfiga è la mia unica amica, anche ora che ci siete voi nella mia vita, ora che ci sei tu.
Mi hai fatto sognare con la tua voce e mi hai fatto credere in un qualcosa che poi ho scoperto non esistere. Ho fatto tutto quello che dicevi, ma non perché lo volevo, no, ma solo per mostrare agli altri che io non sono mio padre, che io sono io. Io sono Laureen e vorrei tanto amare la vita così come credo di amare te, ma anche tu adesso mi sta fissando come se fossi una pazza e non lo sopporto…”
Stava digrignando i denti e il cantante se ne accorse.
“Non ti sto guardando così, non…”
“Non farlo, Jared, non mentirmi! Non più!” urlò in preda alla disperazione.
“Bro, ti prego…” disse Shannon mettendogli una mano sulla spalla, preoccupato.
Tomo lo tirò via sotto consiglio del fratello, lasciando Jared e Laureen da soli.
Emma se ne stava col fotografo in disparte, spaventati a morte e in agguato per qualsiasi avvenimento.
“Non ti mento, Laureen, non lo farei mai, non con i miei Echelon.”
“Non sono tua, non dire cose che possono peggiorare la situazione, non continuare a cercare di inculcare la mia mente di cose impossibili. I sogni non s’avverano, nemmeno se studi, nemmeno se lavori, nemmeno se fai sacrifici e perdi tutto, pure te stessa. Non s’avverano e basta. Ed è colpa tua se io ne ho le palle piene di questa merda di vita che vita non è, per nulla.
Tu credi che sia tutto semplice, come nei film, la povera ragazza abbandonata e orfana di madre che si prende un riscatto dal passato terribile e fugge dal giudizio altrui.
No, Jay, non è così, la vita non è un film, la vita non è come la vuoi, è come ti viene e a me non sta bene.
L’unica via d’uscita è uscirne fuori.”
Laureen si inginocchia al cospetto di Jared e si porta il coltellino alla gola, puntandolo sotto l’orecchio sinistro.
L’uomo deglutì pesantemente e fece per avvicinarsi quando la ragazza sorrise e disse: “Ho sempre sognato la mia prima volta con te. Ho sempre sognato di poter lavorare come oncologa e farlo per la mia mamma. Ho sempre sognato di poter vedervi dal vivo, di potervi parlare, di poterti ringraziare. Ultimamente però il mio desiderio impellente, oltre a quello di essere tua, era quello di dirti che sei uno stronzo che si assume responsabilità troppo grandi e che fa promesse che non può mantenere.
Ultimamente mi dicevo spesso che se mai fossi riuscita a dirtelo sarei potuta morire contenta e l’ho fatto, te l’ho detto e sono contenta.
Ho seguito i miei sogni, sono stata una brava Echelon, vi ho visti, vi ringrazio, ma il mio percorso è finito.
Addio, Jared Leto.”
Non ebbe la forza di chiudere gli occhi, diventati tendenti al grigio, e osservò la scena, fotografandola per sempre nella sua memoria.
Emma cacciò un urlo che fece ritornare Shannon e Tomo che rimasero pietrificati.
Laureen, nel frattempo, giaceva sul pavimento, col coltello sporco tra le mani, un tatuaggio sul polso che diceva You saved my life once, un segnaccio sul collo e un sorriso sulle labbra.
Un sussurro venne subito coperto dal suono assordante dell’ambulanza e della polizia.
Ho fallito.”
 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: TittaH