- Lei e Sim troverete suo fratello,
su questo non ho
dubbi -
- Holmes… - iniziò Watson, ma lui non gli permise
di
finire.
- Conosce i miei metodi -. Tono perentorio. Nessuna
possibilità di replica.
- …e so dove andrà – finì il
dottore.
- Nessuna soluzione poteva essermi più congeniale di
questa –
Come sempre Watson fu colpito dal suo sguardo: profondo e deciso, un
misto
fra la lucidità esatta e pura esaltazione. Non si
voltò a guardarlo mentre se
ne andava, solo due parole, dette a mezza voce - Faccia attenzione -.
Holmes sentì, ma non fermo il passo. Troppo era in
gioco perché lui fermasse, anche solo un attimo, a pensare a
quelle parole.
Troppo aveva da dire, ma ancora una volta non l’avrebbe
fatto. Non quando c’era
in gioco una guerra mondiale.
L’aria sul balcone era
gelida, dura come il marmo
con cui era plasmato il castello. La musica nel salone sembrava lontana
anni
dietro la porta chiusa. Lo sguardo di Holmes si perdeva nella notte e
nello
scrosciare incessante della cascata, la mente invasa da mille logici
pensieri
attraverso cui ne spiccava uno, talmente illogico da non sembrare suo:
il
pensiero di qualcuno da poter perdere. Qualcuno di inconfessabile che
avrebbe
pagato al suo posto, se avesse fatto anche solo un minimo…
- Mi scusi. È un brutto momento? –
La voce pacatamente cortese di Moriarty lo
interruppe bruscamente.
- Non potrebbe essere migliore –
Mostrarsi sicuro era la sua abilità migliore.
- Può prendere l’orologio? -
Il professore annuì e prese il segnatempo, ponendolo
sul tavolo.
- Quindi
possiamo giocare al nostro gioco -
Il tono calmo nascondeva la soddisfazione perversa
di avere finalmente davanti il suo nemico, di concedergli
un’ultima grande
sfida consapevole di aver comunque già vinto.
Prese una pelliccia e la mise sulle spalle del
detective - Eccoci qui… -
Strinse un attimo le mani sulle sue spalle in un
gesto grottescamente premuroso.
- Non voglio che si ammali - disse, al tempo stesso ridendo
dentro di sé nel sapere della sua ferita, nel sapere che
quella ferita era stato
lui a procurarla. Un merito notevole.
- Partita da 5 minuti? –
- Se pensa di farcela… -
Le prime mosse scorsero rapide e precise, mentre
all’interno del salone Watson cercava febbrilmente il
fratello di Sim. La
mente di Holmes pareva seguirlo: metà sugli
scacchi, metà in sala.
- Abbiamo entrambi la coppia degli alfieri. Posso
essere assente dal salone, ma i miei metodi non lo sono –.
Prima regola:
intimidire.
- Non parlerà certo del dottor Watson – rispose
Moriarty fingendosi ironicamente sorpreso, quasi risentito - Non mi
sembra equo
–.
Lui lo ignorò muovendo di nuovo; la risposta fu
rapida, quasi istantanea. Il suo rivale pareva avere pronta la mossa
ancora prima
che lui elaborasse la propria.
- E mi dica… - riprese il professore – al suo
Watson
manca la propria consorte? –
La domanda ebbe l’effetto di acqua gelida. Il
detective si irrigidì e la ferita alla spalla
pulsò dolorosamente.
- Una domanda insolita – rispose impassibile - non
sapevo avesse a cuore il mio socio -. Seconda regola: mai mostrare
debolezza.
- È che l’ho vista
stranamente…attaccata al buon
dottore. Deve essere doloroso per lei interrompere una relazione
durata così a lungo -. Altra acqua gelida.
Per un attimo Holmes si sentì nuovamente agganciato
all’amo, sollevato dall’uncino di acciaio del
proprio rivale. La ferita riprese
a bruciare intensamente. Non poté evitare di chiedersi
quanto effettivamente
sapesse il suo nemico riguardo al legame tra lui e Watson. O,
quantomeno, di
quello che era per lui quel legame. I suoi occhi si alzarono,
incrociando il
suo ghigno beffardo.
- Il suo tempo scorre…le devo rammentare che è
una
partita lampo. Un solo errore di calcolo le costerà la
partita –.
Sorrise di rimando – So di poter contare sulle mie
pedine –.
- Ed io sulle mie –.
“Andiamo,
vecchio mio, si dia da fare” pensò il detective
rivolto al collega nel salone, e
senza poterlo impedire a quel pensiero ne seguì subito un
altro “E la prego, non si faccia
uccidere”.
Mosse attaccando l’avversario e costringendolo a una
mossa di difesa. Ripeté l’assalto di nuovo
mangiando una torre e facendolo
arretrare.
- Mi sono sempre chiesto che effetto potrebbe farle
perdere questa partita. – disse col suo tono più
irritante - Vediamo…sarebbe
più o meno frustrante del vedermi sgusciarle ogni volta fra
le dita mentre
comprometto i suoi piani? -. Terza regola: deconcentrare
l’avversario.
Moriarty strinse impercettibilmente i denti in un
impulso di rabbia. I suoi occhi scintillarono un momento, ma subito
torno a
farsi spazio la sua solita aria di beffarda cortesia.
- Io credo…sarebbe più o meno come è
stato per lei
perdere Miss Adler, detective -.
Altro nervo scoperto. Stavolta toccò a lui
trattenere la rabbia.
- O forse no – si corresse il professore. Holmes si
irrigidì: intuì in un istante dove sarebbe andato
a parare.
- Sa mi sono interrogato spesso su Lei e Miss Adler.
– iniziò l’altro, calmo - Due spiriti
molto diversi, è vero, eppure attratti
l’uno dall’altra. E tuttavia sempre così
distanti, sempre indipendenti. Perché,
mi sono chiesto… -. Fece una pausa. Una leggera goccia di
sudore scivolò lungo
la tempia del detective, gelandosi subito a contatto con
l’aria.
– Forse, mi sono detto, c’è
dell’altro. E quale
prova migliore per me della sfortunata morte della stessa Miss Adler?
Oh, Lei è
stato bravo: quasi nessuna emozione davanti a me. Ma il problema, vede,
è che
non ne ha avute nemmeno dopo. Non ha rallentato, non si è
deconcentrato.
Diversamente, potrei affermare, da quando ha rischiato di perdere il
suo
collega… -.
Di nuovo pausa. Gli angoli della bocca si allungano
in un ghigno.
- Mi dica, cosa si prova a sapere il proprio
compagno giacere con una donna, mentre Lei perde le notti, solo, col
suo
intelletto come unico conforto? -. Sapeva di aver colpito nel segno. Un
centro
perfetto.
Per un istante i pensieri di Holmes si annebbiarono:
davanti ai suoi occhi scuri scorsero tutti i fantasmi che aveva cercato
di
sopprimere, passò Watson che sorrideva a Mary durante il
matrimonio “Sì, lo
voglio”, passarono i loro
interminabili litigi, i momenti inconfessabili, passò lui
stesso, solo,
abbandonato sulla poltrona a suonare il violino. Una morsa lo strinse
al petto
e il dolore per la ferita gli tolse il respiro. Per un secondo
vacillò,
perdendo la propria impassibilità.
Dei rumori nel salone lo scossero: uno sparo, grida,
qualcuno che veniva trascinato via. Watson ce l’aveva fatta.
La sua razionalità
riprese il controllo e lo sguardo che rimandò a Moriarty era
lucido e fermo.
- Non è un buon segno, vero? – chiese, come se
ignorasse
la risposta.
- A quanto pare il suo alfiere non è stato…del
tutto
inutile – concesse l’altro rivolgendo un pensiero
d’odio verso il dottore che
gli aveva appena allontanato la vittoria sul rivale. Per poco.
Si fissarono.
- La partita è agli albori -
- Veramente…è già allo zenit
–
Sembrava che sapesse qualcosa, qualcosa di
fondamentale, un elemento che lo stesso Holmes ignorava e che pareva
renderlo
certo della vittoria. Pochi secondi, poi altre grida.
- Io credo che lei abbia perso il suo pezzo più prezioso
–
Renè era morto. L’unico testimone di quella trama
malefica giaceva ora avvelenato dal suo cecchino. Niente lasciato al
caso.
- Una strategia vincente a volte richiede dei
sacrifici – ribatté il detective senza scomporsi.
Moriarty lo guardò, quasi con compassione, mista a
follia - Vede, celato nell’inconscio,
c’è un’insaziabile desiderio di
conflitto. Quindi lei, non combatte me, ma piuttosto la condizione
umana. Io
voglio solo possedere fasciature e armamenti. La guerra su scala
industriale è
inevitabile. La scateneranno da soli fra pochi anni. Io non devo fare
altro che
aspettare-.
Si guardò attorno assaporando la vittoria. Eccola,
la sua carta vincente.
- Mi piace
Si alzò, voltandosi per andarsene. “Non
così in fretta, mio caro”,
pensò
Holmes, immobile, lo sguardo fisso sulla scacchiera. - Alfiere cattura
cavallo,
scacco -.
- La partita è finita – marcò irritato
il professore
- Dovrebbe farsi curare la spalla -.
- A proposito di quel suo patrimonio- si intromise
lui - Temo sia appena stato considerevolmente…ridotto -.
Moriarty si bloccò, girandosi di nuovo verso il suo
rivale con malcelata incredulità. Le sue dita corsero ala
tasca interna della
giacca ad avvertire la sporgenza rassicurante del taccuino.
- È stato ad Oslo che ho intravisto per la prima
volta il suo taccuino rilegato in pelle rossa da Smithson di Bond
Street… -
iniziò il detective, spiegando con ogni dettaglio le
deduzioni che l’avevano
portato a considerarlo per ciò che era: il taccuino
contenente tutti i conti
del geniale professor Moriarty. Descrisse di come se ne era appropriato
nonostante le ferite fisiche, del modo di decifrarlo e di come,
attualmente,
tutti i suoi conti fossero stati violati dai suoi collaboratori.
- La mente criminale più formidabile d’Europa si
è
appena fatta rubare tutto il suo denaro dal detective forse
più inerme e
incapace di Scotlan Yard -. Si fermò un attimo, lasciando
che il suo rivale
prendesse il falso taccuino che lui aveva sostituito e vi leggesse la
beffa
all’interno: “Attento a cosa pesca”.
- Lei sta per fare una donazione anonima al fondo
per le vedove e gli orfani di guerra – disse, tornando alla
scacchiera.
- Alfiere in alfiere 8, scacco di scoperta. E, per
inciso, matto - concluse, con esattezza implacabile.
Portò la pipa alla bocca ed estrasse l’accendino,
guardandolo con aria ironica.
- Sembra mi sia lesionato una spalla…le spiace? -
- È un piacere – replicò
l’altro.
La mano era ferma, ma l’intera figura emanava una
furia gelida e malcelata.
- Quando avremo concluso i nostri affari qui, è
importante lei sappia che mi sforzerò di trovare una fine
assolutamente
creativa per il dottore – si interruppe per un ultimo affondo
- …e per sua
moglie –.
Holmes sorrise, colpito di nuovo dalla
consapevolezza di non avere possibilità se non ucciderlo.
Ora che l’aveva
umiliato e privato si ogni cosa non si sarebbe placato prima di aver
distrutto
ciò che amava, e solo dopo averlo fatto nel modo
più sadico e doloroso concepibile.
Lo capiva dagli occhi, accesi dall’odio e dalla follia. Era
il momento di
giocare l’ultimo round, l’ultimo atto per garantire
la salvezza delle nazioni,
o, almeno, per concedere al suo fedele compagno d’avventura
la vita tranquilla
che meritava.
Anche a costo di non rivederlo.
Il
suo
vantaggio, la mia ferita. Il mio vantaggio, la sua rabbia.
Assalto in arrivo. Selvaggio, ma esperto. Usare il suo slancio per
rispondere.
‘La prego, pensa di essere l’unico che sa giocare a
questo gioco?’
Intrappolare braccio. Individuare punto debole. A seguire, gancio
largo.
‘Ah, ecco il campione di Cambridge!’
Capace, ma prevedibile.
‘Ora mi consenta di risponderle.’
Arsenale agli sgoccioli, adattare strategia.
La ferita si fa sentire
…come temevo.
La lesione rende difesa si fa insostenibile.
Prognosi, sempre più negativa.
‘Non sprechiamo il nostro tempo…’ voce
suadente, violenza più acuta ‘sappiamo
entrambi come finirà.’
Conclusione, inevitabile.
A meno che…
Sorrise, poi con un gesto
repentino soffio le braci addosso al suo nemico, distraendolo quel che
bastava
per cingerlo saldamente a sé.
Fece appena in tempo a
vedere Watson, il suo Watson, aprire la porta, fissarlo. E capire.
Uno sguardo di un attimo.
“Tempismo
perfetto. È sempre un piacere, Watson”.
Un respiro.
Poi il vuoto.
Gli ultimi attimi furono il
pensiero di lui, sulla porta, lo sguardo consapevole ma fermo in una
richiesta
muta. Il pensiero della sua nemesi stretta nell’ultimo
abbraccio mortale, il
pensiero che quell’abbraccio non sarebbe dovuto essere per
lui. E poi l’idea
lucida di un’ultima speranza di soddisfare quella richiesta
muta, una minuscola
possibilità se fosse riuscito a…
Il rombo della cascata
inghiottì la sua ultima riflessione.
*
Le ultime parole pesarono sui tasti
come macigni:
THE END.
Un sospiro e poi Watson sorrise a sua moglie, quella
splendida creatura dai capelli ramati che amava, ma che non capiva il
suo
vuoto.
- Lui avrebbe voluto che andassimo –
- Lui sarebbe venuto con noi – scherzò lei.
“L’avrei
voluto anch’io…”
- Arrivo… -
Aprì il pacco che aveva fra le mani:
stupore, sì, per un attimo. Poi capì.
Una scarica di vita sembrò attraversarlo
improvvisamente. Gli sembrò di respirare allora per la prima
volta dopo
un’apnea. Sorrise per la metafora uscendo rapido dalla
stanza.
- Cara, chi ti ha consegnato questo pacco? -.
Al ritorno, una piccola ma significativa correzione: THE END ?