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Autore: Negative Creep    31/12/2011    2 recensioni
Barret ricorda le sue ragioni per votare sì alla Mako.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Barett Wallace
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
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Nota tecnica: La fic dovrebbe essere scritta – CREDO – con qualche tocco di afro-americano… ma non ne sono molto sicura, né so bene qual è il modo migliore per renderlo in italiano D: Nel dubbio ho tradotto in semplice italiano, registro bassino, con qualche piccolo scivolone qua e là.



The Nitty-Gritty of It All ~ Il punto di tutta la storia


Barret non ci sa fare con la memoria – tutti i ricordi che ha della sua breve infanzia sono di un polveroso color seppia, rapide istantanee scattate da dietro il vetro di una finestra imbrattata di smog – ma le cose che gli sprizzano in testa quando è costretto a ricordarle bastano e avanzano a fargli piantare i grossi piedi a terra e a opporsi quando gli altri parlano di rifiutare la proposta della Shinra Company.

Si ricorda di papà, che tornava a casa alle sei di sera ricoperto di sudore e di polvere di carbone, un’enorme ombra nera che si stagliava sull’arancione del tramonto e sul fosco viola dell’incombente catena montuosa di Corel. Eli Wallace aveva la pelle così scura che la polvere della miniera manco si notava, davvero… Almeno fin quando non gli cadeva dal naso e si mischiava alla polvere della strada. Di solito c’era un sentiero fatto di chiazze di sudore e carbone che andava dalle miniere al portico di casa loro, se ci si prendeva la briga di seguirlo tanto lontano. Papà Wallace rideva e diceva che sembrava gli si stesse staccando il colore, specie quando mamma prendeva il secchio e lo obbligava a pulirsi prima di entrare.

« Là fuori puoi perdere tutto il colore che vuoi, Eli Wallace » diceva sempre, « ma porta anche solo un granello di quella porcheria in casa mia e ti ritroverai il culo nero e blu, parola mia. »

E allora papà tirava fuori la sua risata tonante e profonda e schizzava l’acqua del pozzo su tutta la veranda davanti casa mentre goccioline, fiumiciattoli e piccole cascate di quella specie di inchiostro scivolano giù fino al terreno. Era la parte della giornata che Barret preferiva, mamma che preparava la cena e papà che si lavava nella brezza fresca della sera e tutti i suoi fratelli e sorelle tra i piedi e risate che rimbombavano dappertutto…

Era l’unico momento in cui li vedeva ridere. Faticando tutto il giorno nelle miniere, papà era quasi sempre troppo stanco per fare alcunché oltre a tornare a casa, lavarsi, mangiare al lume di candela e poi mettersi subito a letto. Quando gli venne la tosse cominciò a sudare sette camicie anche per mangiare e dormire; Barret sentiva sempre più spesso il cigolio della porta con la zanzariera che si apriva a tarda notte e poi un potente attacco di tosse e conati di vomito proprio davanti casa – erano cose che gli facevano ficcare la testa sotto il cuscino di piume per smorzare i tremendi rumori di asfissia che sembravano non finire mai.

Verso la fine il suo papà grande e grosso aveva degli incavi al posto delle guance, e non rideva più. Se ne stava sdraiato sul lettone con gli occhi vitrei e ciechi che parevano perforare il baldacchino, e emetteva suoni solo per tossire schiuma nera screziata di sangue sul bel copriletto pulito che mamma aveva cucito tanti anni prima. Quando lo misero sotto terra ce lo avvolsero dentro – tanto con quelle macchie non sarebbe potuto servire a molto altro.

Seppellirono papà nella cassa più schifosamente grande che Barret avesse mai visto. Quello era l’ultimo ricordo che aveva di suo padre, buttato nella vecchia bara che avrebbe potuto contenere uno stramaledetto pianoforte se solo non ci avessero messo dentro Eli Wallace.

Ricorda anche sua mamma, le sue gonne di calicò svasate, la sua presenza avvolgente, l’odore che era un misto di cannella, mele, liscivia, gocce di profumo economico e sudore, senza essere sgradevole. Avrebbe dato qualunque cosa perché il suo primogenito si trasferisse a Costa del Sol, dove avrebbe potuto ricevere un’educazione decente e fare qualcosa della sua vita al di fuori del mondo di Corel e delle sue miniere. Purtroppo, lui aveva dovuto occuparsi dei suoi fratelli minori mentre lei sfregava i pavimenti, cucinava quel poco che c’era da mangiare e appendeva i panni ad asciugare; gli aveva promesso di mandarlo a quella scuola di lusso non appena le cose fossero migliorate, ma poi papà si era ammalato e in casa c’era stato ancora più bisogno di Barret.

Quando alla fine suo marito morì, Willie-May Wallace divenne il guscio vuoto della bella donna che suo figlio ricordava. La pelle liscia e morbida del colore del caffè con panna si raggrinzì e si sbiadì molto in fretta, le tenere mani si irritarono e screpolarono a furia di essere immerse nel secchio d’acqua e sapone un giorno sì e l’altro pure nel caso in cui dovesse pulire la bocca del suo amato quando si tossiva addosso quello sputo nero e appiccicoso. Aveva giurato che gli avrebbe fatto patire le pene di diecimila inferni diversi semmai avesse portato la polvere di carbone nella sua casa immacolata, ma non appena gli attacchi di tosse si erano fatti veramente brutti aveva come dimenticato quelle parole alla velocità della luce.

Barret a scuola non c’era andato, e a mamma non rimase molto da vivere dopo la morte di papà. Lavava le case degli altri per pagare le bollette, ma già togliere la fuliggine e la polvere di carbone da una casa era stato sfiancante. Morì poco dopo suo marito, le unghie annerite da quella schifezza, le dite contorte in posizioni strane e innaturali da una vita passata a sbrigare le faccende domestiche degli altri. L’unica cosa che gli lasciò fu la capacità di leggere, capacità che gli aveva faticosamente impartito a piccole dosi quando trovava il tempo di sedersi sui gradini della veranda con una lavagnetta e un gessetto nel tentativo di insegnargli qualcosa per qualche minuto al giorno. Non era molto, ma meglio che niente.

Da lì in poi Barret era diventato il capofamiglia, e aveva lavorato come un matto nelle miniere di carbone perché non dovessero andarci anche i suoi fratelli e sorelle. Quasi tutti sono partiti dopo aver raggiunto l’età sufficiente per farlo (e proprio non ce la fa ad avercela con loro per questo), ma lui è rimasto, e lavora nelle miniere come papà, e cura con affetto i fiori davanti alle tombe di roccia dei suoi genitori ogni volta che ne ha la possibilità.

Myrna ha portato un po’ di colore nel suo mondo triste e sporco, e di quello sarà per sempre grato, ma l’immagine di suo padre che vomitava il rivestimento dei propri polmoni su una trapunta bianca mentre sua madre gli sedeva pazientemente accanto con uno strofinaccio stretto tra le mani stremate lo tormenta ancora. Non permetterà che capiti anche a loro due, mai e poi mai, cazzo. Se solo ci fosse una via di scampo da quel recinto di merda acchiapperebbe sua moglie per la cintola e ci filerebbe di corsa come si corre verso un’uscita durante una frana, con tutta l’energia che ha in corpo. Deve esserci qualcosa in grado di rivitalizzare il suo adorato paese tenendoli contemporaneamente alla larga dalle fosse delle miniere, ci ha pensato e sperato tante di quelle volte…

… E adesso quel qualcosa è arrivato, sotto forma di uniformi azzurre e di un vestito da sera rosso come una mela candita, sotto forma di grandiosi progetti disorientanti e di parole lusinghiere sul potere e sulle opportunità offerti dalla Mako. E Dyne vorrebbe pure che lui li mandasse a fanculo per poter tornare tutti quanti a picconare alla luce delle lanterne aspettando di non farcela più e creparci?

Si alza dal divano, conscio della mano che Myrna gli ha posato sul ginocchio per dirgli: controllati, tesoro. Barret per lei si controllerà, sicuro, ma votare contro il reattore, contro la loro unica speranza, solo perché al suo migliore amico è appena venuta una botta di sentimentalismo del cazzo?

Mai e poi mai.





Note della traduttrice: Betata dalla cara Frannie.
Dopo aver assillato la povera autrice per un anno sono riuscita a scucirle il permesso di tradurre le sue storie ;_; Poi le ho postate comunque a distanza di mesi e anni. Seems legit.
È un po’ triste che ci siano così poche storie su Barret. È un po’ avvilente che dopo tanti anni l’unica cosa che tre quarti abbondanti di fandom abbia da dire su di lui sia “Ah, sì, Barret, quel cafone, però fa ridere ah ah” (ovvero il copia&incolla della tipica descrizione di Cid), e spesso solo perché non è un pretty boy.
Questa traduzione era inoltre dedicata a Caska, perché Sacred/Profane, ai tempi, mi diede sicuramente una bella spinta a guardare il personaggio sotto una luce diversa, tra le tante altre cose. E anche perché è Caska ffs e dobbiamo corromperla per farla tornare fra noi.
Ultima traduzione del 2011, da me. Buon anno :)
   
 
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