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Autore: snappleducated    31/12/2011    1 recensioni
In Cina, le donne sposavano uomini ricchi, per potersi permettere il lusso di farsi portare in braccio.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lenalee Lee, Rabi/Lavi
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Nota della traduttrice: questa storia è un po’ vecchiotta, per cui potrebbero esserci lievi imprecisioni e contrasti con il canon.



A Standard for Beauty



Vive uno dei momenti più surreali della sua vita a una settimana dal suo diciannovesimo compleanno, mentre legge e ascolta distrattamente il chiacchiericcio che lo circonda, individuando parole chiavi qui e lì e riavvolgendo le frasi quando qualcuno gli chiede qualcosa.

Ma è solo quando Lenalee dice: « Oh, no, nessuno vorrebbe mai sposarmi » che abbassa il libro. Dopo scopre che stava parlando con Miranda del fidanzato di un tempo della donna, un sarto tedesco che aveva il talento di far sembrare belli gli altri. Alla fine non si era presentato al matrimonio.

« Perché? » chiede, quando la vera domanda è: « Perché no? »

Lenalee sposta gli occhi a lui, i capelli corti che ora le sfiorano le spalle, e lo studia cautamente, leccandosi le labbra e cercando una via di scampo, prima di sorridere di riflesso; nota che non è felice.

« E tu, Lavi? » domanda a sua volta, le mani pallide posate come fantasmi sulle ginocchia, attorcigliate nel suo grembo. Lui le guarda. « Hai una ragazza che ti aspetta da qualche parte? »

Tante. Solo che non aspettano lui. « Solo te » risponde, e lei arrossisce e distoglie lo sguardo; nota che non ha risposto.





Più tardi chiede delucidazioni a Kanda, perché immagina che siano i più vicini per cultura. Lui gli scaglia uno sguardo truce da sotto la frangia, tenendo il volto chino nelle ombre.

« Non fare domande stupide » sbotta, tagliente, con più astio di quanto realmente necessario. L’argomento è evidentemente delicato, ma Lavi si ritrova a ripetere lo stesso la domanda.

« Non fare così » Gli urta la spalla col ginocchio tanto che la sua spina dorsale si irrigidisce quasi fino al punto di rottura, e Kanda glielo afferra in una stretta capace di frantumare le ossa.

« Che vuoi. »

« Dimmelo » insiste, e Kanda lo studia per un momento prima di togliere di scatto la mano e assumere una delle pose meditative più rigide che Lavi abbia mai visto. Ha gli occhi chiusi quando dice: « Lei non si veste come dovrebbe fare una giovane donna del suo o del mio paese. Solo una puttana da quattro soldi mostrerebbe tanta pelle. »

Lavi gli guarda la nuca per un istante. « Non lo penserai davvero, no? »

Kanda non dice nulla per un interminabile minuto. « Non più. »





Accenna la cosa ad Allen, ma con sua sorpresa, il ragazzo ha una risposta completamente diversa. Si innervosisce parecchio quando sente quello che ha detto Kanda, e si agita a passo pesante per mezz’ora giurando vendetta per l’onore di Lenalee, prima di calmarsi finalmente quel che basta per prendere un profondo respiro e dire: « Si sbaglia. Potrà essere scioccante ma non è una cosa così…tremenda. E quando la conosci, è- » Si tinge bruscamente di un rosso molto acceso e viene colpito da una specie di attacco di tosse. Lavi osserva la scena con un certo divertimento.

« Le ragazze non sono niente male, eh? » commenta con disinvoltura, e capisce che ne è valsa la pena quando vede Allen quasi accasciarsi su un fianco.

Quando si sono tranquillizzati abbastanza da poter parlare di nuovo, Allen si riavvia i capelli e sospira. « È per le cicatrici sui suoi polsi. »

Lavi pensa a quei polsi, un po’ gonfi e dilatati in corrispondenza di piccole linee bianche e brillanti. Allen si guarda mogio mogio i piedi. « È una cosa orribile da fare, da dove vengo io. Una cosa orribile. »

È buffo, riflette Lavi mentre chiude la porta, perché da dove viene Kanda, il suicidio può essere interpretato come un gesto d’onore come tanti.





Alla fine, perciò, va a chiedere direttamente a Lenalee.

Lei rimane in silenzio e si fissa i piedi per talmente tanto tempo che l’atmosfera si fa tesa e piuttosto pesante. Glieli guarda anche lui: sono scalzi, perché si trovano al chiuso, e le dita con le belle unghie colorate di smalto si flettono nel pavimento. Lei contorce la bocca, rassegnata.

« Ho i piedi troppo grandi » risponde. Lui li guarda di nuovo. A lui sembrano piedi normali.

« Veramente a me sembrano piccolini » ribatte, e allunga il suo per metterli a confronto. Le sfugge un sorriso e scuote la testa, giocherellando con le punte dei capelli, mordendosi il labbro inferiore.

E poi si prende un piede e se lo piega praticamente a metà – e Lavi è tanto, tanto sicuro di non poterla imitare.

« Sono stata portata all’ordine quando ero molto piccola » spiega lentamente, lasciando la presa, lasciando tornare l’anatomia alla normalità di scatto. « Per cui sono riusciti a ricomporre quasi tutte le ossa. Mi ci è voluto un anno per imparare di nuovo a camminare. » Si dondola sui bordi più esterni, si solleva, si risiede. « In Cina, una donna sposa un uomo ricco per potersi permettere il lusso di farsi portare in braccio. »

Incontra il suo sguardo e non lo rifugge. « Oppure striscia. »

La fissa per un lunghissimo istante, e nei suoi occhi intravede una sfumatura di vergogna, vergogna per questo affronto alla sua poca vanità.

« Avresti preferito che fossero rimasti in quello stato? » le domanda all’improvviso, perché le persone hanno il vizio dell’irrazionalità.

« Qualche volta » mormora. « No. No, io non – solo. Solo a volte, solo un pochino. »

« Io credo che tu abbia dei piedi deliziosi » le dice con molta fermezza. « Le tue cicatrici impreziosiscono le tue mani, e non mi dispiacerebbe se la tua gonna fosse più corta. »

Si scansa quando lei prova a dargli una botta con il suo blocco per gli appunti, e se ne scappa via ridendo. Si sente, magari se non meglio, senz’altro più leggero. Si guarda dietro, e la trova a studiarsi dubbiosa i piedi, e urla: « Sei pesante. Non mi divertirei a portarti in braccio dappertutto. »
   
 
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