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Autore: shirupandasarunekotenshi    01/01/2012    2 recensioni
“Ad Atene tutto è attirato verso l'alto, palpita alato e occorre tagliare le ali alle statue, come i Greci lo fecero alla Vittoria, per impedire che prendano il volo.” (Jean Cocteau)
In una giornata estiva, quando i pensieri vanno dove non dovrebbero mai rintanarsi, Aiolos conduce Saga alla loro città, su consiglio della loro Dea.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick dell'autore sul forum e su EFP (se diverso): shirupandasarunekotenshi
Titolo: Atene – Rapsodia in Blu
Fandom: Saint Seiya
Genere: Angst, Drammatico
Rating: G, per tutti. Accenni shounen-ai.
Avvertimenti:
Prompt / canzone / citazione usata: Ispirata a Rhapsody in Blue di George Gershwin: anche se il pezzo era stato scritto in onore di New York, pensiamo che si possa sposare perfettamente anche con la nostra più antica Atene, città strana, movimentata, aperta e viva.
Proprio come la grande mela.
Citazione di Jean Cocteau, scrittore, attore e sceneggiatore francese... in realtà uomo dalle molteplici capacità artistiche della prima metà del Novecento.
Note ed eventuali dell'autore (se ce ne sono): E' solo una giornata che ci siamo concesse di scrivere, perchè il nostro viaggio avrebbe coperto, forse, un libro intero. Speriamo di avervi comunicato almeno una piccola fetta delle emozioni che ci hanno travolte in questo viaggio.
Introduzione: In una giornata estiva, quando i pensieri vanno dove non dovrebbero mai rintanarsi, Aiolos conduce Saga alla loro città, su consiglio della loro Dea.


“Ad Atene tutto è attirato verso l'alto, palpita alato e occorre tagliare le ali alle statue, come i Greci lo fecero alla Vittoria, per impedire che prendano il volo.” (Jean Cocteau)

Quel giorno facemmo nostra Atene e lei ci trascinò tra le sue braccia mai stanche e assaporammo i suoi baci e i suoi scherzi, il sorriso sincero e la risata piena. I suoi occhi ci riempirono d'azzurro e i suoi capelli solleticarono i nostri visi acerbi con ciuffi di grigio, di verde e di oro.

... Si è aperta a noi come una madre affettuosa e bella …
Sopra di noi il cielo si stende, colore del cobalto più intenso, mentre il vento ci scompone i capelli, accarezza i volti, leva l'arsura di questo luglio bruciante.
Nell'aria corrono odori di strade ancora antiche, dove cani e bambini giacciono nell'ombra o si rincorrono tra risate leggere, prive di pensieri che ancora non gli appartengono.
Le voci, allegre e vivaci, i volti sorridenti, quei corpi che si muovono cullati dal vento, per nulla ossessionati da Chrono, dal lento camminare del sole.

AIOLOS

Le nostre mani incrociate non riescono a sciogliersi, ci aggrappiamo l'uno all'altro di fronte a una città che è una scoperta ed è una sorpresa. Ci terrorizza eppure, sotto sotto, ci fa sentire a casa. Perchè Atene è stata la nostra prima casa... ma era tanto tempo fa e questa città era diversa. Il suo cuore non è cambiato, così come i suoi odori, le voci e il calore che proviene dalle abitazioni...
Ma c'è qualcosa, qualcosa di indefinibile, a renderla diversa.
Alzo gli occhi verso l'alto, distrattamente, lungo questa strada in salita dove l'asfalto sembra sfaldarsi sotto il calore del sole e l'incuria del tempo: ed ecco qualcosa che mi colpisce incuriosendomi, forse, un po', mi dona malinconia. È una casa vecchia, che ha visto così tanti anni da aver dimenticato i visi di chi l'ha abitata un tempo: si sorregge come una vecchietta testarda, aggrappandosi alle proprie mura ancora resistenti, anche se mangiate dalle intemperie e provate dalla forza incontrastata della natura. Dietro a un cancelletto roso dalla ruggine, vi è una piccola foresta e là, seminascosti dai ciuffi d'erba, vi sono due gatti selvatici, particolarmente a loro agio in quel regno ora solo loro. Con passo felpato girano indisturbati come padroni di una casa che ormai risuona di un silenzio più rumoroso delle chiacchiere.
Lo sento muoversi, accanto a me, fa qualche passo in avanti e lo vedo affacciarsi a quel giardino antico e abbandonato: gira la testa verso ogni angolo, soffermandosi poi sui due gatti. Si accuccia a terra e uno di loro si avvicina, un po' guardingo, un po' curioso e quando la mano di Saga si allunga nella sua direzione, il gatto si tende tutto per conoscere da lontano noi visitatori. Lo annusa e poi, senza alcuna paura, gli si struscia contro, come se fosse uno di loro… ogni volta che la sua mano si avvicina a un animale, la magia si ripete e Saga pare trasformarsi in un angelo cui ogni creatura si vota, con la fiducia più estrema.
Sorrido e sospiro, attirando su di me il suo sguardo incuriosito e limpido.
“Perchè sospiri?”.
“Perchè ogni volta mi sorprendi. Sei un ammaliatore di animali”.
Sorrido e lo contemplo, lui abbassa il viso e quell'ombra che conosco troppo bene gli appanna lo sguardo.
“Non so perchè si fidino di me… non credo di meritare tanta fiducia”.
“Gli animali sono istintivi” mi accuccio accanto a lui e allungo una mano verso il gatto, palmo verso l'alto. Stranamente non si allontana e mi annusa incuriosito. “Sanno quando una persona è buona”.
“Ma un uomo può tradirli sempre. E la fiducia… quella… crolla comunque...”.
Sapevo, sapevo avrebbe parlato così. Perchè stupirsi? Perchè negare anche la sua affermazione?
“E se si volesse tornare a fidarsi di quel qualcuno?”.
Un fruscio di abiti e Saga si alza in piedi, il gatto, spaventato dal movimento repentino, scappa verso il compagno.
“Sarebbe da sciocchi. Gli animali hanno troppa fiducia… anche quando sono traditi tornano dal loro padrone, anche quando li ha resi infelici...”.
Mi alzo a mia volta e lui comincia a camminare, abbandonando la strada e infilandosi tra la folla che passeggia ai piedi dell'Acropoli: devo correre per non perderlo di vista e, quando lo raggiungo, lo trovo a osservare un anziano suonatore di lira che, con il suo archetto, accarezza le corde per il pubblico straniero.
Le riconosco subito quelle note, tornano dagli anni della mia infanzia e mi catturano come fantasmi ammaliatori: i miei occhi cercano quelli di Saga e li trovo bagnati, perduti tra le note e le corde di quella lira consumata dal tempo e dalla musica stessa. Si chiudono e si riaprono, poi, sul cielo, affondando in quell'azzurro puro e acceso, lucente come doveva essere il firmamento il primo giorno del mondo.
Qui ad Atene il cielo è sempre lo stesso. È sempre aperto sull'infinito, come se volesse abbracciare la città… e la città pare un bambino sul punto di voler spiccare il volo e baciarlo, affondando in quel cobalto talmente bello da farti piangere.

SAGA

Mi sento strano... come ubriaco...
Atene ha la capacità di trascinarti nel suo vortice di variegate esistenze e sensazioni intrecciate, di renderti parte del suo mondo, non importa chi sei o da dove vieni, giungere qui significa appartenere ad Atene, non se ne può fare a meno. Non c'entra il fatto che io ci sia nato... no... non c'entra che io sia greco, da sempre, da quando ho aperto i miei occhi sul mondo.
In verità, la mia condizione è quella dell'estraneità, ancora oggi non mi sento realmente parte di nulla, le mie colpe nei confronti di questo mondo che mi circonda sono troppe perché io possa cancellarle con il semplice rimorso... con il semplice amare tutto ciò che ho intorno... perché io possa realmente sentirmi parte del mondo.
Ma Atene è così, prende per mano e travolge, senza darti neanche la possibilità di rendertene conto, prende per mano e abbraccia, con i suoi profumi, i canti, le melodie, i suoni, gli odori, le manifestazioni della gioia di vivere nonostante tutto, quella che non ha età, quella che la rende una città che si lascia andare, libera, allo scorrere del tempo senza distaccarsi dalla sua essenza.
E lei è sempre perfettamente riconoscibile, pur in questo rincorrersi senza sosta di anni che avanzano, pur continuando a cambiare e rinnovarsi, c'è qualcosa, nell'aria, che rimane uguale e che, lo so, non cambierà mai.
La musica della lira, così antica, si adatta perfettamente all'atmosfera di queste strade che forse più antiche non sono, ma che conservano intatto quel filo indistruttibile ed eterno tra passato e futuro e tale melodia mai potrà rivelarsi fuori luogo in questa città.
E io? Io non sono forse fuori luogo, qui come altrove?
“Saga...”
La voce di Aiolos mi riscuote, mentre nuovamente mi stavo perdendo nei miei pensieri, mai sereni... mai realmente sani. L'aver riconosciuto in me un identico senso di smarrimento l'ha spinto, questa mattina, a prendermi per mano, mentre dall'alto del Santuario della dea contemplavo, fra confusi pensieri, l'orizzonte riscaldato dal primo abbraccio del sole... e ancora mi chiedevo se uno come me avesse senso nel mondo... avesse diritto di stare al mondo.
Mi ha preso per mano e mi ha detto:
“Oggi Atene ci desidera... e la dea ci invita tra le sue strade.”
Ed è vero; in questa folla variegata, in apparenza ignara e immersa in ben altri pensieri, la dea respira, è tra noi, la città ancora le appartiene e la sua presenza risalta ad ogni angolo. Non parlo solo delle miriadi di effigi che è possibile scovare in ogni negozio di souvenir, nei locali, nelle insegne e negli ornamenti... no... non di quello...
La dea è la città e lei è anche qui nella melodia di questa lira, lei posa la sua mano sulle teste di ogni essere vivente che, a proprio agio, solca queste strade.
Il tocco della mano di Aiolos sulla mia è l'invito a riprendere il cammino.
Svoltiamo in un vicolo, lasciandoci alle spalle la strada dedicata a Dioniso sfolgorante di vita e colori e cominciamo a scendere.
Non esistono percorsi perfettamente pianeggianti ad Atene, solo salite e discese; non è un po' come la vita?
E lungo i declivi si aprono, improvvisi, come portali di altre dimensioni, stradine e viottoli, che celano angoli impensabili. Laggiù nuovi edifici in costruzione, qui, vicino a noi, dove meno ce lo aspettiamo, una casa in rovina che sembra erigere intorno a sé una barriera di silenzio. Benché a soli pochi passi un gruppo di bambini elevi verso l'azzurro le proprie urla spensierate, a noi arriva questo silenzio che ci trasmette la struggente nostalgia di qualcosa destinato a non tornare più e ad essere sostituito dal nuovo che avanza implacabile.
Ad ogni angolo, ad ogni svolta, una nuova dimensione, tanti universi paralleli che si intrecciano, simili alle tessere di un puzzle, ognuna delle quali dai contorni frastagliati e non del tutto precisi ma al tempo stesso in grado di creare, quando riunite, un'armonia che ha qualcosa di inimitabile e perfetto e che suggerisce una sola cosa: Atene è questo e può essere solo questo, perché Atene è simbolo della dea che protegge la vita, in tutte le sue forme e in tutte le sue contraddizioni.
Passeggiamo affiancati, ora vagando a caso tra stradine poco frequentate, sembra impossibile che qui sopra, a pochi minuti, si concentrino masse di turisti, di bambini, di cittadini a passeggio; queste sono le zone in cui si respira la quotidianità, in cui gli anziani, fermi nel loro passato e i conoscenti si scambiano cordiali parole di saluto, questa è l'Atene sempre uguale a se stessa, sebbene su essa incombano i palazzi in costruzione.
Come comuni cittadini sono proprio queste zone che adesso ricerchiamo, Aiolos me l'ha detto, dobbiamo fare nostra Atene e per questo assorbire ogni suo aspetto e anche i conflitti, per capirla e sentirci parte di lei. Oh, non è così difficile, non per me che nel conflitto ci vivo da quando sono nato, non è così difficile neanche quando il frastuono dei veicoli assalta le nostre orecchie; andiamo incontro alle strade trafficate, verso il basso e dobbiamo rallentare, perché il traffico automobilistico della Atene moderna è caotico, confusionario... e non molto rispettoso dei viandanti. Un po' di smarrimento lo provo, non è l'Atene che sento più mia, ma non posso non lasciarmi trascinare dalla risata di Aiolos che mi prende ancora la mano:
“Fa attenzione Saga, ho la sensazione che qui la gente al volante sia una minaccia pure per noi”.
Mi lascio sfuggire anche io un risolino, non ha tutti i torti e ricambio la stretta della sua mano, anche perché... non tanto per il pericolo effettivo... quanto per l'atmosfera... questo posto mi confonde... un poco mi opprime.
Sì, forse è difficile accettare che Atene sia anche questo, non posso fare a meno di pensarlo quando giungiamo nei pressi di una delle entrate della nuovissima metropolitana, che rigurgita turisti accaldati, le mani che trascinano pesanti valigie, gli occhi alla ricerca dei riferimenti utili ad orientarsi. E probabilmente il loro primo impatto con la capitale della Grecia li sconvolge... posso capirli... le prime immagini che forse colpiscono gli occhi, una volta giunti, sono ingorghi di veicoli, bidoni dell'immondizia traboccanti, i primi suoni ad aggredire le orecchie i clacson, i motori, il caos di una metropoli che al passo con i tempi ci si è messa in maniera un po' disordinata.
E io sorrido, perché Atene fa anche tenerezza in questo, sa di ingenuità ed innocenza... sa del bianco puro della dea macchiato dall'imperfezione umana e dell'azzurro dei suoi occhi che si riflette in questo cielo incontaminato, avvolge anche il caos e il traffico e forse dà un senso a tutto.
Atene sorride maliziosa a questi ignari, spaesati turisti, impaziente di schiudersi ai loro sensi, di mostrare i tesori che si rivelano proprio qui, poco distante da noi, pronti a risplendere come questo sole.
Mi volto, come attratto, verso una montagna di rifiuti e, le orecchie aguzze e attente, un gattino di neanche un mese spunta e scompare l'istante successivo; ma io so che è uno sguardo d'intesa quello che ci siamo scambiati. Il tesoro può essere lì, appena volti lo sguardo, può celarsi in due occhi cobalto che ti mettono a contatto con la dea e con l'infinito.

AIOLOS

Allo sbucare di un gattino lo vedo sorridere e la sua mano si stringe alla mia, come se mi volesse comunicare tutta la tenerezza che prova.
“Aveva gli occhi azzurri...”.
“Riflettono il cielo...” alza lo sguardo e il suo azzurro si mescola a quello sopra le nostre teste. “E' azzurro come gli occhi di Athena. Non vi è cielo più bello”.
Sarà il vento o forse sarà il mare... un azzurro accecante si sposa perfetto col bianco candido dell'Acropoli che, da lontano, ci osserva quieta e maestosa. Non vi è angolo della città che non trabocchi della sua figura imponente: così presente, silenziosa, ne percepisci la presenza anche quando gli alberi la nascondono. È là a proteggerci e a proteggere la città.
Eterna, forte, custode di memorie antiche, terribili e straordinarie.
Immerso nei miei pensieri silenziosi, la mano di Saga mi tira, insistente e mi volto a guardarlo sorpreso, decisamente troppo.
“C'è il tuo nome!”.
Mi volto a guardarlo e, stavolta, il sorriso che vedo è ancora più accentuato, mentre mi parla con un'aria così deliziata e, assieme, monella. Seguo il suo braccio e lì, davanti a noi, su una piccola piastra azzurra, vi è incorniciato il mio nome: sbatto gli occhi e mi guardo attorno, cercando di ritrovare l'orientamento perduto. Poi, la vedo sbucare tra gli alberi, alta e severa, macchiata solo in parte dal tempo e dall'incuria, la torre dei Venti.
“E' la Torre dei Venti. Siamo capitati all'Agorà Romana”.
Spuntano dal nulla questi piccoli angoli di antico: camminavamo per strade anonime, spalla a spalla con turisti di ogni sorta, bambini che si rincorrevano, affiancando cafè e ristoranti dai profumi più disparati e invitanti.
A volte fatichi a comprendere se sia la città moderna ad essere cresciuta attorno a quella antica o se, in realtà, quella antica non sia spuntata per caso in mezzo a quella moderna, come un mazzetto di margherite tra le crepe dei muri o sul ciglio della strada, incurante del pericolo. Eppure, queste rovine, a testimonianza di un tempo più glorioso – per quanto, a volte, troppo duro – non sembrano affatto turbate dalla modernità che le circonda: forse, abituate ai continui cambiamenti che hanno modellato la città, ormai si preoccupano di ben poco.
“E' la tua via ...” la voce calda di Saga mi riporta a terra e lo guardo fare quell'espressione così seria e intensa che devo distrarmi con la prima cosa che mi salta in mente.
“Oh, ecco ...io ... mangiamo qualcosa?”.
E lui mi fissa un po' stranito, come se non avesse compreso, ma è la sua mano a tirarmi verso un piccolo chiosco ed è sempre lui a suggerirmi cosa prendere.

SAGA
“Yogurt!”.
Vado a colpo sicuro, cos'altro potrei desiderare in una giornata come questa? Il limpido cielo estivo, del tutto sgombro di nubi, accentua il senso di calore che l'astro solare scaglia sulla terra. E' un caldo secco e, nonostante la temperatura sicuramente altissima, non soffoca, ma invita a nutrirsi solo di freschezza ed alimenti leggeri.
Aiolos ridacchia:
“Chissà perché, lo immaginavo”.
Mi lascia poco distante ad attendere e io mi incanto con lo sguardo levato alla targa della via; è naturale, è vero, Aiolos porta il nome del dio dei venti... eppure... non posso fare a meno di pensare che questa via porti il suo nome e non quello della divinità. Sono sacrilego? Forse... ma per me c'è una sola dea... e se deve esserci un dio... è colui che sta tornando, con due ciotole di yogurt e due bottigliette d'acqua.
“Grazie...”.
“Vogliamo andarci a sedere da qualche parte mentre mangiamo?”.
Mi stringo nelle spalle:
“Io preferirei continuare a camminare... torniamo verso l'alto? Ho bisogno di vedere il cielo più da vicino”.
La mia frase suona strana, lo so, stupisce anche me, per il modo inatteso in cui l'ho formulata... ma Aiolos no, non ne sembra stupito: mi guarda come prima, accentua anzi il suo sorriso e mi fa cenno. Così riprendiamo i nostri passi... e dopo la discesa eccoci a risalire, costeggiando l'agorà romana e il mio sguardo continua a vagare verso l'alto, si sofferma un po' sulla sommità della torre dei venti e mi sfugge un'osservazione:
“Chi aveva ideato il meccanismo per segnare le ore su questo edificio doveva essere una mente geniale...”.
Il mio compagno annuisce e ridacchia:
“Anche chi ha inventato questo yogurt è geniale”.
Fisso per un attimo la sua schiena, inarco le sopracciglia, chiedendomi se ho udito bene, poi scuoto il capo e rido, non ne posso fare a meno... può essere dissacrante, ma dopotutto ha ragione, anche se, così intento come sono stato fino ad ora a contemplare l'universo sopra di me, ne ho assaggiato ben poco.
“Ci fermiamo un attimo?”.
Non attendo la sua risposta e mi appoggio al muro che attornia l'agorà e lui si affretta al mio fianco.
“Hai cambiato idea?”.
“Non ho molta voglia di lasciare un posto così legato al tuo nome”.
Ho l'impressione di vederlo arrossire, ma per non darlo a vedere allontana lo sguardo da me e lo riporta sulla sua ciotola di yogurt, tossicchia e fa finta di nulla. Mi sento arrossire anche io mentre porto alla bocca il cucchiaino ricolmo e il silenzio che cala tra noi ci avvolge, intenerito e affettuoso.

AIOLOS
Non sono mai riuscito a sopportare bene l'imbarazzo e mai ne sono venuto fuori bene. Così tossicchio, guardo in alto, guardo attorno a me e dico la prima cosa che mi salta in mente.
“Anche se è diversa da un tempo, ha lo stesso odore ...”.
Sento il suo sguardo su di me, poi le sue parole.
“Le strade e la gente, in fondo, sono le stesse. La gente che viene da fuori ... non ne cambierà l'aspetto, credo mai. È più facile che l'odore di Atene si avvolga a loro per sempre. È lei che lascia il segno, non sono i suoi visitatori a farlo. Loro porteranno con sé i ricordi, ma Atene prenderà in consegna i loro cuori. È inevitabile”.
Quando le sue parole giungono al cuore di ogni cosa, mi sento sempre pervadere da orgoglio e ammirazione: scuoto la testa, senza una sola parola e torno a guardarlo col desiderio di sentirlo parlare. Ancora e ancora.
“Anche i nostri cuori sono ... presi in consegna?”.
Ed ecco che si imbarazza e si colora di rosa acceso, mentre inclina la testa e volge lo sguardo al cielo.
“Lo sono stati, fin dall'inizio. Ma Athena ci fa dono dei frammenti più importanti e custodisce con cura quelli che rimangono: noi siamo fortunati”.
Scendo dal muretto, avvicinandomi, con un po' di titubanza, al suo viso e finisco per poggiare le labbra alle sue: è un attimo, uno sfiorarsi leggero, forse troppo. Ma quelle parole erano così delicate, dolci ... troppo perchè la mia bocca potesse ringraziarle con un bacio delicato come una carezza.
“Già ... noi siamo fortunati ...” sussurro, prima di compiere qualche passo all'indietro e fingere di perdere il mio sguardo nell'infinito cobalto. Allora, tra i tetti delle case e l'azzurro del cielo, si erge maestosa la collina del Licabetto: come tutto in questa città pare sbucare dal nulla, innalzandosi come una punta verso il cielo, a sostenerlo roccia, terra e alberi. Si innalza alta, più alta di ogni cosa, qui ad Atene. “Andiamo al Licabetto”.
Lo vedo sobbalzare, mentre cerca di ricomporre il viso imbarazzato.
“Al Licabetto?”.
“Come preludio al finale ...”.
Sbatte gli occhi, incerto, e inclina il viso.
“Preludio al finale... di cosa?”.
“Al finale del viaggio”.
Saga mi mostra ancora quell'espressione da bambino sperduto e non resisto, mi chino di nuovo a baciarlo: poi gli prendo la mano e lo riporto di nuovo verso il basso, nella zona est della città.
Sfioriamo solamente Piazza Syntagma e passiamo in rassegna, senza troppa attenzione, le eleganti costruzioni che ospitano ambascerie di tutto il mondo da un lato, il palazzo del Parlamento dal'altra. Strade lastricate, lucide e pulite, dove il traffico si muove veloce ma abbastanza ordinato: ecco Atene mutare nuovamente la sua pelle, dando spazio al suo lato aristocratico e a improvvisi sbuffi verdi di giardini privati e spiazzi casuali nel suo cuore più vibrante.
Scorgo le indicazioni per la collina e mi lascio trascinare dall'entusiasmo, mentre risaliamo stradine strette tra alti palazzi residenziali, qualche chiosco che spunta ozioso e sonnecchiante per il caldo, dei gatti che poltriscono all'ombra di alberi strategici e qualche turista che, come noi, si è avventurato in questa ora assurda ed esagerata.
Quando incontriamo gli scalini so di essere vicino alla meta. Anche se essi paiono perdersi in alto, in un luogo poco preciso. Mi volto verso Saga e azzardo una battuta dopo questo lungo silenzio.
“E' come essere a casa, non credi?”.

SAGA
Rido: il paragone con la scalinata che porta al Santuario di Athena è sicuramente azzeccato, anche se per noi è poco più di una passeggiata. Lancio uno sguardo, con un po' di pena, ai turisti stravolti, costretti a riprendere fiato ad ogni rampa. Certo questo caldo torrido non aiuta, ma la loro fatica e gli sforzi verranno ripagati con quello che li attende lassù e la cui bellezza molti di loro probabilmente non immaginano.
Per fortuna, gran parte di questa scalinata è all'ombra di alberi che tendono i loro rami affettuosi a carezzare e riparare le teste dei viandanti; i caratteristici sipari che si aprono ai lati della strada aiutano a distrarre la mente dalla fatica: anche qui casette antiche, a volte rustiche, che spuntano, alternate a piccole trattorie, invitanti ed accoglienti, proprio perché profumano di intimità.
Su un muretto, godendosi l'ombra che questo angolo di paradiso offre, riposa un gatto grigio, del tutto disinteressato ai passanti, apre appena un occhio ai loro saluti e alle loro carezze, li gratifica a volte con qualche moina, ma torna poi a dormire, disteso lungo sul muretto, perché il fresco raggiunga una superficie il più ampia possibile del suo corpo.
Anche io, come molti altri, non posso fare a meno di fermarmi a rivolergli un saluto; non intendo disturbarlo, ma una carezza, giusto per fargli sapere che l'ho notato e che ha tutto il mio rispetto, sarà più che sufficiente.
Questo credevo, ma al mio tocco il gatto si alza, stira le sue membra che, per quanto denotino un'esistenza attiva e vissuta fino in fondo, si rivelano eleganti, perché i felini sono così: anche il più malconcio tra loro saprà sempre mostrare una dignità e una maestosità che ammantano di sacro la loro figura.
Poi miagola e si strofina contro la mia mano, chiedendomi maggiori attenzioni: rimango un po' sorpreso, mentre Aiolos si avvicina e unisce alle mie le sue carezze.
“E' inutile” afferma divertito, “non sanno resisterti”.
“Oh, che dici?!”.
Mi stringo nelle spalle, mentre un'ondata di calore sale al mio viso e distolgo lo sguardo, fingendo di essere molto concentrato sul gatto per celare l'imbarazzo: ma ad Aiolos non posso ormai nascondere nulla, lo sento ridacchiare ancora, leggermente e le sue dita mi si posano sul mento costringendomi a sollevare il viso... ed è un altro bacio, questa volta più lungo ed esplicito.
Non pensa alla gente intorno, non pensa ai possibili sguardi ma, lo ammetto, neanche io ci penso mentre non posso fare a meno di rispondere, di abbandonarmi, perché nonostante sia così plateale un simile gesto tra due uomini in mezzo alla folla variegata, sono questi i momenti in cui io mi sento più libero, vero e desideroso di vivere.

AIOLOS
Quando mi scosto da lui, mal volentieri, gli vedo quello sguardo a mezza via tra l'imbarazzato e lo stupito che lo rende ancora più irresistibile: avvicino il mio naso al suo e gli sorrido, semplicemente, guadagnando in cambio uno sguardo ancora più imbarazzato ma, stavolta, anche intenerito.
“Se continuiamo così, finiremo per non giungere più al Licabetto ...”.
“Abbiamo tutto il tempo ...” replico e lui, dolcemente, scuote la testa.
“Voglio vedere da lassù il tramonto ... voglio vederlo tingersi del sole al tramonto, stasera”.
Alle sue richieste così accorate non resisto – a dire il vero, resisto poco quando mi guarda così – e allora gli prendo la mano e affretto il passo verso i piedi del Licabetto, mentre l'aria attorno a noi si fa lievemente più fresca ed il verde compare sempre più spesso nelle strade e tra le case.
Infine, lasciati alle spalle numerosi e accaldati turisti, ci ritroviamo davanti all'entrata dell'ufficio da cui parte la funicolare: siamo gli ultimi a salirvi ed entrambi ci guardiamo un po' a disagio su quel mezzo tanto angusto quanto affollato.
Attorno a noi risuonano voci di tanti, troppi paesi da riuscire a riconoscerne qualcuno e, mentre il macchinario sale verso l'alto all'interno di un tunnel privo di sbocchi sull'esterno, qualche bambino grida di gioia mista a timore.
Scendiamo poco dopo al capolinea e, di comune accordo, ci spostiamo velocemente verso l'esterno: qualche scalino ancora e il vento sale forte e severo ad accoglierci, i capelli di Saga sembrano perdersi nell'aria in strane volute dorate e mi ritrovo a ridacchiare alla sua buffa espressione, quando, in vano, cerca di rimediare a quel 'problema'.
Tossisco per nascondere la risata che mi nasce, ma Saga è decisamente troppo impegnato nella sua missione – e il vento ruba molti suoni – così che la mia voce non giunge a disturbarlo. Mi avvicino invece alla balaustra che ci divide dallo spazio riservato al ristorante che qui domina la città e mi appoggio, schiena al paesaggio, per ammirare un adulto alle prese con un vento dispettoso: è come un buffo bambino, adorabile e impacciato. Lo vado a recuperare poco dopo, vinto dalla tenerezza, portandolo fino all'ultimo rialzo del Licabetto, accanto alla chiesetta dedicata a San Giorgio: lì il vento pare essere scomparso.
“Sembri un gattino arruffato” non riesco a non dirlo. L'espressione che mi rivolge, a quel punto, è spiazzante.

SAGA
In un momento come questo, la mia parte più combattiva potrebbe anche saltare fuori e rispondergli per le rime, ma alla fine il mio sbuffo unito ad un ringhio plateale deve rivolgersi all'ennesima folata di vento, che mi sbatte i capelli sulla faccia e me li fa letteralmente finire in gola. D'altronde devo solo prendermela con me stesso che insisto a tenerli così lunghi.
Aiolos ride ancora, poi si fa concreto il tocco delle sue mani su di me e io vengo attraversato da un fremito. Mi scosta il capelli dal viso e li porta dietro, raccogliendoli tra le dita in una lunga coda:
“Se li legassi ti darebbero meno problemi... ma mi sa che non abbiamo niente...”.
“Posso darvi il mio nastro”.
Sussulto e il mio sguardo accompagna quello di Aiolos sulla minuscola figura di una bambina chiaramente greca che tende verso di noi una striscia di stoffa blu, identica a quella che le lega in una treccia i lunghi capelli dorati.
“No... non ti preoccupare...” cerco di schernirmi, ma lei, insistente, lo porge ancora ad Aiolos
“A me non serve e tu hai i capelli ancora più lunghi dei miei.”
Aiolos non trova miglior modo di aiutarmi nel mio momento di imbarazzo se non scoppiare a ridere ancora e davanti ai miei occhi sgranati prende il nastro e ringrazia la bambina con un galante inchino. Poi raccoglie i miei capelli in una ciocca più grande che può e li lega, mentre io non so più dove guardare: lascio che i miei occhi sfuggano a terra fingendo di ignorare le pulsazioni quasi dolorose del mio cuore.
La voce squillante della bimba mi fa ancora avvampare:
“Stanno bene così!”
“Hai ragione piccola, stanno decisamente bene.”
Non mi ero mai reso conto quanto Aiolos sia in grado di diventare una tale faccia da schiaffi; faticando a trattenere uno sbuffo afferro la sua mano, rivolgo un borbottio di ringraziamento alla bimba e me lo trascino dietro finché, dopo aver aggirato la chiesetta, raggiungiamo un luogo abbastanza isolato e lì mi fermo, fulminandolo con uno sguardo.
Faccio per dirgli qualcosa, apro le labbra, butto fuori il fiato... e mi fermo... la mia voce non riesce ad elaborare neanche una sillaba, così scuoto il capo con uno sbuffo; e ad impedirmi ancor più di parlare c'è il vento, che qui si alza di nuovo e non ha pietà neanche adesso che i miei capelli sono raccolti.
Faccio per sollevare le mani e scostarli, un po' spazientito, quando Aiolos me le blocca, senza potersi trattenere dal ridere, poi mi getta le braccia al collo:
“Sei adorabile Saga, adorabile!”.

AIOLOS
Basta uno sbuffo di vento ... basta anche solo un sorriso o una parola gentile. E il mio Saga riesce a cambiare espressione. Adorabile, forse, non esprime del tutto quel ch'egli smuove in me. Ma, a volte, mi mancano le parole quando sono con lui: la mente si chiude davanti ai suoi pronfondi occhi e le parole finiscono per essere di troppo.
Mi guarda con un'espressione accigliata e imbarazzata assieme e devo nascondere la mia risata attraendo il suo sguardo verso l'alto, dove la bandiera greca sventola con violenta e orgogliosa contro il vento.
“Non è bellissima?. Nemmeno il vento riesce a distruggerne la bellezza... sembra lottare continuamente contro le avversità”.
Lo vedo alzare gli occhi, socchiuderli contro la troppa luce, e poi sospirare.
“Sembra innalzarsi verso il cielo... e il sole risplende più forte, così forte ... per quest'azzurro.”.
“Tutta la città s'innalza, continuamente” sorrido, gli carezzo una guancia. “Tutti noi, di tanto in tanto, vorremmo volare in quell'azzurro cobalto e dissolverci in esso. È il nostro destino. Forse è il destino di tutta la Grecia”.
Poi i suoi occhi si abbassano e lo sento sospirare.
“Hanno i colori delle nuvole ...”.
Muovo il capo e seguo il suo sguardo, confuso. È buffo, ma è così curioso che non riesco a distogliere i miei occhi dalla vista: distese di case che sembrano infinite, corrono in volute bianche e grigie, delle tonalità di grigio più disparate, e si inerpicano su e giù per la città come un serpente impazzito e privo di bussola.
“Le nuvole sono cadute giù...” lo sento sussurrare. “Hanno liberato il cielo e si sono acquattate a terra. Ma desiderano tornare lassù, per questo ... sembra che si innalzino verso di esso”.
Mi chino su di lui e lo bacio ancora, incapace di trattenere la tenerezza di quella sua poesia a fior di labbra: il desiderio di raggiungere il cielo è qualcosa che ci riporta all'infanzia. Ed è dolce sentirlo mormorare del passato con uno sguardo simile.

SAGA
E' da stamattina che vaghiamo in lungo e in largo per la città, non ci siamo ancora fermati se non per mangiare qualcosa; ma Atene spinge a non fermarsi mai, a seguire i suoi ritmi variegati che si alternano senza sosta, ora frenetici, ora languidi come una carezza Poi ti prendono per mano trascinandoti nel vortice di una danza, ti invitano solo ad ascoltare rapito ogni singola nota, assaporandola con ogni senso, mentre vaghi tra colonne e residui di civiltà di cui ancora si ode il respiro.
Adesso che la sera si avvicina, Aiolos ricorda il mio desiderio e decide di contretizzarlo, proprio mentre giungiamo ai piedi della scalinata che conduce all'Acropoli.
“Se non ci muoviamo, non facciamo in tempo per il tramonto...”.
I nostri sguardi si incontrano e il mio vuole essere colmo di gratitudine, credo lo capisca, perché mi sorride nel suo modo più tenero.
E così ci avviamo lungo queste scale che ai comuni turisti sembreranno infinite, come quelle che conducono al Licabetto, ma che per noi sono unicamente un tuffo in un universo che ci appartiene e al quale apparteniamo in ogni nostra fibra; se a tratti ci fermiamo non è certo per stanchezza ma per donare una carezza e un saluto ai cani, che sembrano voler assumere il ruolo di fedeli guardiani per questo luogo che li accoglie, amico per loro come per noi, perché la dea che difende la vita, questa vita la accoglie, in ogni forma e sfumatura.
I turisti intorno a noi arrancano, non solo perché le scale sono tante, ma anche perché la pietra levigata di cui sono lastricate è una minaccia per ogni singolo passo.
Non faccio in tempo a pensarlo che il mio piede si posa su un bordo particolarmente scivoloso e sento il terreno mancare sotto di me e il mio braccio immediatamente afferrato dalla mano pronta e premurosa di Aiolos:
“Saga, hai la mente ancora persa tra le nuvole?”.
Mi guardo intorno al colmo dell'imbarazzo – devo aver dato proprio un bello spettacolo! – ringrazio Athena che a godersi la scena non ci fossero altri compagni se non Aiolos... e soprattutto i piccoli bronze... Seiya di Pegasus trasformerebbe l'episodio in una barzelletta da diffondere per il mondo.
Mi ricompongo in fretta e non posso trattenermi dal lanciare ad Aiolos un'occhiata un po' risentita per quanto il suo intervento mi abbia preservato da una figuraccia ben peggiore; per celare ancor più il mio imbarazzo lo oltrepasso e lo precedo, riprendendo la salita di gran lena.
L'Acropoli si avvicina e ormai ci sovrasta, la sua massa maestosa comincia ad accoglierci, sono le braccia della dea che si tendono in uno scudo protettivo per chi accetta di affidarsi a lei. L'immensa entrata è come un portale aperto su un'altra dimensione e non è affatto dissimile dal Santuario dove noi viviamo.
Mi fermo per un po', prima di varcarlo: guardo verso l'alto, perdendomi nel marmo che travolge i sensi, poi mi volto e un panorama mozzafiato mi avvolge, un'emozione fortissima mi scende nell'anima e mi spinge alle lacrime, perché tutto questo mette in contatto con i desideri più profondi e di cui è ignota l'autentica intensità finché non li si affronta realmente, faccia a faccia.
Ed eccoci dentro.
Vento e sole si fondono a creare un'atmosfera sospesa e onirica, i raggi dell'astro prossimo al tramonto tingono il marmo di delicate sfumature di rosa e lungo le colonne generano giochi di luce sognanti.
Senza bisogno di parlare andiamo a sederci sotto la parte anteriore del tempio e la folla intorno a noi sembra scomparire, mentre ci lasciamo avvolgere dal sogno.
Il Partenone è come un sovrano, come Athena e, benché mutilato, benché ferito da eventi ingrati, mai si è piegato né ha perso un briciolo della propria dignità.
Il vocìo della folla è scomparso e solo il canto degli uccelli e del vento divengono colonna sonora ideale.
La città è ai suoi piedi e la dea la protegge, generosa, forte, la domina con mano sicura, adesso come allora: lei è viva tra quel che rimane di queste mura, respira su questo colle e canta con il vento, i suoi occhi risplendono nell'azzurro del cielo e la purezza del suo cuore palpita in questi marmi. Le stelle sono vicine, perché lei è vicina, la sua essenza mette in contatto, da qui all'eternità, due mondi che si intrecciano come la mia mano e quella di Aiolos, nuovamente avvinte.

AIOLOS
Se non avete mai visto da vicino il Partenone, non potete comprendere appieno cosa possa significare: non è solo un simbolo, un monumento prezioso, il ricordo di un glorioso passato.
È molto di più.
Io credo sia la culla di tutti noi.
I raggi di sole si dividono tra le innumerevoli colonne, ferendo le stesse impalcature così goffe e primitive rispetto alla bellezza eterna seduta qui davanti a noi.
Ci sentiamo così immensamente piccoli, ai piedi di questo marmo rosato, eppure ... non è un senso di inferiorità quello che ti coglie, qui. È il senso di ritorno e di malinconia.
È tornare a casa, dopo tanto tempo, e rivedere la propria madre, con il medesimo sorriso che ci ha donato quando l'abbiamo salutata l'ultima volta.
Torniamo come bambini e come bambini piangiamo al suo bellissimo cospetto.
Il Partenone, Athena stessa, è a guardia di tutti noi: domina la città dall'alto, ma non usa mai arroganza.
Si mostra a tutti, dal lontano Pireo, fino al più remoto quartiere di Irakleio.
È sempre presente a vegliare su di noi, sulla nostra vita: ci osserva e ci riempie il cuore, anche nei momenti peggiori, quando l'oscurità scende sui nostri cuori, inesorabile.
È strano come pensiero, ma sono felice che, quel giorno, il mio ultimo abbraccio sia andato alla mia Dea. E che l'ultimo sguardo sia stato a questo luogo.
Il mio cuore si è calmato, nonostante la disperazione.
La speranza si è accesa in me.
E voglio pensare che la presenza di queste tiepide pietre e del suo invisibile sguardo mi abbiano cullato nel sonno, con la certezza che la luce non si sarebbe mai spenta.
Stringo la mano di Saga nella mia e la porto alla bocca, baciandola: stiamo piangendo entrambi, prigionieri di sentimenti impossibili da fermare. Lui solleva la mano per asciugarsi il volto – il mio timido Saga – e alza il naso al cielo per frenare lacrime quasi incontenibili.
“E' il cielo che è troppo azzurro ...” si giustifica.
“Così gli occhi di Athena sono luminosi”.
“Sorridono ... sorridono sempre”.
Sospiro, lo guardo e increspo le labbra a quella semplice frase.
“Al ritorno c'è sempre un sorriso ad attenderci. Tornare a casa ... forse è quello il dono più grande”.
Tornare a casa e nutrirsi dei suoi occhi, specchi di questo cielo ... e venirne avvolti, per condurlo con noi, ovunque saremo, in ogni istante, in questo vasto mondo.

Atene

Antico abito a festa, ormai consunto dal tempo
Volteggia a ritmo di festa, su piedi nudi e graffiati.
Riscuote l'onde, afferra il vento e sussurra un lento
Canto d'amore.

Protesa al cielo in un bianco sporco di nubi,
Spalanca occhi accecati di mestizia
Riempiendoli di infinito cobalto.
Ecco l'antica bambina dagli occhi eterni.
Ecco Atene.

VOTAZIONI

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RAPSODIA IN BLU di shirupandasarunekotenshi

Grammatica: 10/10
Stile: 9,5/10
Originalità: 9/10
Gradimento personale: 5/5
Descrizione della città: 5/5
Punti bonus: 5/5

TOTALE: 43/45

Prima di tutto ti devo fare i complimenti per la tua grammatica superba correlata da pensieri articolati e un lessico superlativo. Sono presenti piccolissimi errori di punteggiatura ma non ne ho dato peso in quanto il resto era più che ottimo.
Adoro come hai descritto Atene, associandola spesso al suo cielo con delle similitudini bellissime. E' incredibile come descrivi il vecchio che convive con il nuovo, come se fossero due facce della stessa medaglia.
Ho molto apprezzato anche il continuo salto di pensieri tra Saga e Aiolos: in questo modo crei un'introspezione molto forte dei due personaggi, mostrando i sentimenti e le emozioni di entrambi che mi ha molto colpito.
Ci sono dei punti nel racconto in cui descrivi la città che mi hanno molto colpito: sono così scritti bene che sembrano poesia.
Grazie a te mi sono smarrita tra le stradine che non hanno un nome, sotto il cielo turchese che solo la Grecia può dare. Ho assaggiato lo yogurt greco, perdendomi tra i meandri di odori di una città millenaria.
  
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