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Autore: Love_in_London_night    01/01/2012    9 recensioni
Cosa succede quando Mila si ritrova in una situazione fuori dal comune, in un giorno speciale per lei?
E se non fosse sola?
"Lui, leggermente più calmo, si guardò intorno, studiando ciò che lo circondava – No, penso sia stato un blackout. Vedi – disse indicando il soffitto – Le luci si sono spente, ma sono in funzione quelle di emergenza. O meglio, quello che ne rimane.
Perché una delle due era fuori uso, probabilmente fulminata, e l’altra aveva un brutto aspetto, illuminandosi in modo sinistro a intermittenza.
- Quindi non stiamo morendo? – chiese cercando di recuperare la calma e la dignità.
- Non penso proprio – rispose più sereno."
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premette il bottone per chiamare l’ascensore.
Abitare al ventottesimo piano non era il massimo, se potevi farti poi a piedi tutti quei piani. Specialmente se calzavi delle scarpe con plateau e tacco tredici.
La luce illuminò il quinto piano. Era veloce l’ascensore, lenta invece era la gente che lo utilizzava.
Pestava il piede ripetutamente sulla moquette, atta a smorzare i passi dei condomini, in quel gesto impaziente che tanto la caratterizzava.
Anche il dito ticchettava frenetico sulla piccola clutch rigida.
Con la mano libera sistemò al meglio le pieghe del vestito, candido ed elegante, lisciando il tessuto impreziosito da alcuni giri al collo di una lunga collana. Era sofisticata, faceva parte del suo essere e della sua educazione.
Dodicesimo piano.
Alle sue spalle si aprì una porta. Subito dopo, scattò la serratura.
Accanto a lei si presentò un ragazzo, il vicino che si era trasferito da poco dal west village. Era bello, l’aveva sempre notato, ma non era quello a metterla in ansia. Aveva sempre quell’aspetto misterioso, un po’ troppo serio, che la metteva in soggezione.
Eppure niente nel suo aspetto era altero o così autorevole da far pensare a un uomo chiuso. Indossava una maglietta chiara, dei jeans e delle semplicissime sneakers e tra le mani stringeva un sacchetto di pasticceria.
Si sorrisero in modo freddo ma garbato, giusto per manifestare l’un l’altra la propria presenza, dato che si conoscevano solo di vista. Ma in quella città era così, nessuno pensava ad altri, tranne che a se stesso.
La porta dell’ascensore si aprì davanti a loro con il più classico dei plin, facendo tirare a Mila un sospiro di sollievo. Lui la invitò a entrare nell’abitacolo per prima, proprio come un cavaliere.
Lo ringraziò con un gesto del capo, precedendolo.
Lasciò a lui il compito di premere il pulsante che li avrebbe portati al piano terra, infine, si appoggiò al piccolo corrimano posizionato all’interno.
Guardò l’ora sul cellulare che, come il giorno precedente, non prendeva a causa della rottura del ripetitore che supportava la linea. Una volta appurato l’orario, lo gettò con poca grazia nella borsa.
Era in spropositato anticipo per la festa della sera, quella organizzata in suo onore dalle amiche, dato che era il suo compleanno, ma era in enorme ritardo rispetto a tutti i giri che si era prefissata di fare prima.
Già, perché smisurate erano le vie, quindi i quartieri e le stesse città. Tutto, negli Stati Uniti, era estremizzato, esagerato. Come i centri commerciali, i market e le confezioni alimentari, che di solito sfamavano famiglie di sei persone, anche quelle per i single. Esagerati erano i girovita delle persone, i prezzi della Fifth Avenue e i ritmi di vita. Lo erano pure gli affitti, ma non gli appartamenti cui facevano riferimento. Quelli, erano anche più piccoli del normale.
Tutto era ‘mega’ o ‘iper’, tranne il tempo da dedicare alle altre persone.
Perché in America non c’erano mezze misure, tanto meno a New York.
Non avevano entrambi molta voglia di uscire di lì, glielo si leggeva in faccia. L’aria climatizzata era una benedizione durante quei giorni così caldi. Era insopportabile vivere con quel caldo afoso, ma lo stesso si poteva dire del freddo pungente che colpiva la grande mela d’inverno.
All’improvviso, uno scossone fece oscillare l’ascensore, facendo gridare Mila.
- Cosa succede? – urlò mentre si ritrovò contro la parete, stritolando la barra alle sue spalle, come se quella potesse impedirle di far barcollare il tutto – Stiamo precipitando?
L’ascensore si fermò subito.
Lui, leggermente più calmo, si guardò intorno, studiando ciò che lo circondava – No, penso sia stato un blackout. Vedi – disse indicando il soffitto – Le luci si sono spente, ma sono in funzione quelle di emergenza. O meglio, quello che ne rimane.
Perché una delle due era fuori uso, probabilmente fulminata, e l’altra aveva un brutto aspetto, illuminandosi in modo sinistro a intermittenza.
- Quindi non stiamo morendo? – chiese cercando di recuperare la calma e la dignità.
- Non penso proprio – rispose lui più sereno.
- Bene – detto quello, si sistemò il tessuto leggero del vestito bianco, prima di stropicciarlo, si schiarì la voce e si avvicinò alla pulsantiera, premendo il bottone di dialogo con… beh, con qualcuno. Chi fosse, e dove, era irrilevante.
- C’è qualcuno? – iniziò titubante.
Dopo poco una voce maschile le rispose – Sì, tutto bene?
- Sono bloccata in un ascensore sospeso tra il diciannovesimo e il diciottesimo piano in compagnia di uno sconosciuto, senza offesa – si girò a dirgli – Mentre dovrei già essere in centro, dato che ci sono persone che mi aspettano. Ora, secondo lei, sto bene?
- Signorina, questa è una cosa che non sta accadendo solo a lei, purtroppo. Vorrei sapere se c’è qualche persona in difficoltà. Ad esempio anziani o qualcuno che ha bisogno di aiuto per via di crisi di panico e cose simili.
Cameron alzò entrambi i pollici nella direzione della ragazza, facendole intuire che stava bene.
- No, siamo in due e stiamo tutti bene… ma venite lo stesso a tirarci fuori! – urlò esasperata.
- Lo faremo il prima possibile – rispose l’uomo chiudendo la comunicazione.
- Addio aria condizionata – le disse soltanto il ragazzo.
- Fosse quello il vero problema – sussurrò Mila tra sé.
Nell’allontanarsi da quella specie di interfono si inciampò nella sua stessa borsa, che, durante la scossa, aveva gettato a terra per aggrapparsi al corrimano.
Si piegò per raccogliere il contenuto.
Cameron rimase stupito per la gran quantità di oggetti riversati sul pavimento, vista la grandezza ridotta della borsa. Iniziò ad aiutarla in quell’operazione con una certa cura, dato che sapeva quanto fosse rischioso mettere le mani sulla borsa di una donna o, comunque, su ciò che conteneva.
Le passò portafoglio e cellurare, e lei lo guardò ancora, come a cercare segnale.
- Non funziona, il ripetitore è rotto – disse lui.
- Lo so, non sono scema, vivo nel mondo moderno anche io – replicò un po’ stizzita. Quella situazione stava mettendo a dura prova i suoi nervi, ma a sua discolpa si poteva dire che non aveva per nulla intenzione di iniziare i suoi ventisei anni in quel modo disastroso.
- Scusa, volevo solo essere gentile – rispose risentito.
Lei sospirò, e resasi conto dell’errore decise di scusarsi – Hai ragione, ma questa situazione mi fa impazzire. Comunque, io sono Mila – e gli allungò la mano.
- Cameron, piacere – la strinse forte, ma non troppo. Il giusto per non sembrare uno smidollato senza personalità, dato che non lo era.
Sorrise appena, in fondo Mila gli ricordava molto se stesso, erano davvero simili.
Si mise a sedere, abbandonando con delicatezza sul pavimento il sacchetto che aveva con sé – Meglio, accomodarsi, sarà una cosa lunga.
- Dici? – era preoccupata – Ma il signore prima ha detto che avrebbero fatto il prima possibile!
Lui alzò solo un angolo della bocca, un po’ sbruffone – Già, ma ha ragione. Prima, soccorrono i casi più gravi. C’è molta gente nella nostra situazione. Tra cui anziani spaventati, gente che soffre di claustrofobia, magari donne incinte. Di sicuro, non abbiamo la precedenza. Quindi, ti conviene metterti a sedere.
Ma Mila declinò l’invito. Sedersi su quel dannato pavimento avrebbe voluto ammettere la lunga durata di tutta quell’assurda situazione e non era ancora disposta a crederci.
- Fumi? – le domandò lui all’improvviso.
- No! – esclamò indignata – Perché? – quella domanda l’aveva ferita a morte. La sua pelle aveva forse quel colorito poco sano di una persona che fumava? Era impossibile, dati i trattamenti assidui cui si prestava dall’estetista. Una pulizia del viso ogni tre settimane rendeva la sua pelle splendente e levigata. In più, dall’estetista, c’era stata il giorno prima. La prova si poteva trovare ovunque, sul suo corpo, visto e considerato che esponeva gambe perfettamente depilate.
Ma la domanda la fece risentire.
- Per questo – disse Cameron allungandosi verso uno degli angoli dell’ascensore, prendendo poi un semplice accendino e mostrandoglielo. Iniziò a giocare con la pietra, il gas e la fiamma, cercando a volte di sistemare i capelli arruffati e un po’ ricci che gli ricadevano davanti agli occhi. Ma ogni volta il gesto risultava inutile.
- No, lo tengo per sicurezza. Sai quanti ragazzi ti chiedono l’accendino per attaccar bottone? Almeno do loro motivo di rimanere a far due chiacchere. Si possono incontrare sempre persone interessanti.
Si ricordava di aver letto quel consiglio su una rivista per teenager, moltissimi anni addietro.
Di certo Mila non poteva raccontare il vero motivo della presenza di quel piccolo arnese.
La faccia di lui era sorpresa, come se non si aspettasse una simile spiegazione. Sembrava deluso.
Lei non aggiunse nulla, non sapeva cosa dirgli e non aveva certo voglia di fare conversazione, voleva solo uscire da lì il prima possibile.
Cameron non fece nulla per riempire quel silenzio, non era certo uno di molte parole. Lui stava bene anche così.
I minuti passavano in un silenzio interrotto solo da qualche domanda che non portava da nessuna parte. Infatti, in un’ora, nessun dialogo aveva preso forma grazie a uno dei due.
Mila, sempre più scoraggiata, estrasse dalla borsa il cellulare per controllare l’ora, per l’ennesima volta.
- Ah! È passata solo un’ora e mezza. Non ce la faccio più – piagnucolò.
- E questi tacchi mi stanno uccidendo! – urlò esasperata, alzando prima un piede e poi l’altro.
Fu la prima volta che vide un sorriso – divertito, per giunta – sulla faccia di Cameron.
Levò i tacchi, scalciandoli davanti a sé in malo modo, infine, si mise a sedere sul pavimento, appoggiata a una parete diversa rispetto a lui, ma abbastanza vicina per poterci parlare.
Iniziò a massaggiarsi i piedi doloranti, conscia che li dentro ci sarebbero rimasti ancora un bel po’. Si era arresa all’evidenza.
- Non lo capisco, giuro – esordì lui dal nulla.
- Cosa?
- Voi. Tutto questo. Il trucco, i capelli, il bel vestito e i tacchi. Sono torture, soffrite, eppure vi ostinate a mettervi in tiro, a indossare scarpe alte e arrivare a casa strisciando a causa del mal di piedi. Perché? – era concentrato su di lei, per ascoltare al meglio la sua risposta e capire cosa si nascondeva dietro il mistero di ogni donna.
- Per conquistare voi stupidi uomini che vi fermate solo all’involucro, non al contenuto! – rispose concitata e soddisfatta. Aveva tutte le ragioni del mondo a considerarli stupidi, se non capivano che tutto quello era fatto apposta per loro.
- Quindi sei a caccia? – era divertito.
- A caccia ci vanno i cavernicoli e le donne disperate, e io non lo sono – rispose incrociando le braccia.
Prima le aveva dato della fumatrice, come se la sua pelle fosse spenta, smorta e orribile, in quel momento le stava dando della disperata. Cosa aveva di sbagliato quel ragazzo? E cosa aveva di sbagliato lei?
- Allora cosa sei?
- Single.
- E dov’è la differenza? – anche se non era di molte parole, quel discorso lo stava divertendo.
- Quante domande! Sei sicuro di essere uno che riesce a sopravvivere a New York? Comunque, le single decidono di esserlo perché stanno bene da sole. Se incontrano un uomo interessante, bene; altrimenti non ne fanno un dramma. Le disperate, invece, ne fanno un caso di stato.
Non era così male quella vicina. Oltre ad essere una bella ragazza, era ironica, sarcastica e brillante. Era stupito. Se avesse incontrato in giro una simile donna, mai si sarebbe fermato a guardarla, considerandola troppo frivola per uno come lui.
Si stava pian piano ricredendo.
- Vorresti farmi credere che sei single per scelta tua e non del sesso maschile?
- Certo. Se non mi interessa qualcuno, non vedo perché accontentarmi del primo che capita – alzò le spalle, come se quel passaggio fosse ovvio. Non era una che si accontentava, non si vedeva, forse?
- Cos’hai detto prima? Che usi l’accendino per attaccar bottone e scambiare due chiacchere con i ragazzi che ti fermano, perché potresti trovare persone interessanti – iniziò, come se stesse indagando – Giusto?
Mila annuì, così lui continuò – Io ho il tuo accendino da un’ora e mezza, stiamo parlando da un po’, ormai. Devo dedurre che tu mi stia trovando interessante?
Era divertito e arrogante, ma in senso buono. Non avrebbe saputo spiegare bene come.
Per la prima volta in quel tardo pomeriggio, si ritrovò davvero a ridere e il merito era di Cameron – Mi dispiace deluderti, ma sei una scelta obbligata – e nel dirlo, indicò il posto in cui erano bloccati.
- Carina, davvero! – le fece lui allegro e con una smorfia fintamente infastidita.
- Dove stavi andando? – la domanda che gli fece era stata forse indiscreta, ma ormai l’aveva posta, non poteva rimangiarsela.
- A trovare mia cugina. È casa in convalescenza. È stata operata qualche giorno fa al ginocchio. Volevo portarle il cupcake al cioccolato più buono di tutta New York – rispose con naturalezza.
Quel gesto la colpì davvero. Non pensava fosse quel genere di ragazzo. Quello premuroso e protettivo. Anche se, avrebbe potuto immaginarlo, dato che non appena l’ascensore aveva avuto problemi aveva fatto di tutto per tranquillizzarla e farla svagare senza cercare di ricordarle che erano bloccati all’interno di un minuscolo spazio vitale.
L’unica luce di emergenza, in quel momento, tremolò e poi si spense, lasciandoli completamente al buio.
Mila si alzò e si sedette accanto a lui – Scusa, ma ora che non ci vedo nulla non mi piace averti lontano. Non mi piace l’oscurità.
- Tranquilla, non c’è problema – e allungò una mano, cercando il suo braccio, per farle capire che erano vicini, non c’era da aver paura.
- E tu, dove stavi andando? – quella volta fu Cameron a continuare il discorso, tentando di calmarla – Allo sconosciuto hai detto che c’erano delle persone ad aspettarti.
La ragazza sospirò, odiava sbandierare ai quattro venti quel dettaglio, ma non poteva evitarlo davanti ad una domanda diretta – Stavo andando alla mia festa. Oggi è il mio compleanno. Ecco il vero perché dell’accendino. Le mie amiche portano le candeline, ma se lo dimenticano sempre.
Lui lo prese per illuminare un poco l’ambiente – Mi dispiace per l’inconveniente… auguri!
Lo disse sincero. Intanto, continuava a giocare con i propri ricci e con quel filo di barba che aveva sulle guance. Era veramente carino, e alla luce della piccola fiamma, Mila non poteva negarlo, valorizzava ancora di più i suoi tratti, enfatizzando la sua bellezza.
- Grazie.
Rimasero in silenzio. Ascoltare il respiro di Cameron la aiutava a ritrovare la tranquillità necessaria per affrontare la situazione.
- Lo reggi per un minuto, per favore? – esordì lui, dopo poco.
- Ok – rispose lei, incerta.
Lo guardò piegarsi verso sinistra, non riusciva però a vedere cosa stesse facendo, sentiva solo il rumore del sacchetto mentre Cameron ci armeggiava.
- Mi ripasseresti l’accendino?
Annuì soltanto, non capendo cosa volesse fare.
Lo prese e per qualche secondo tornarono al buio totale.
Poi si girò verso di lei. In una mano aveva il cupcake, con l’altra teneva l’accendino – acceso – al centro della crema al cioccolato che sovrastava il piccolo dolce.
- Lo so, non è il massimo, ma non ho altro – le sorrise cercando di infonderle coraggio – Quindi… tanti auguri.
Era la cosa più carina che le avessero mai dedicato.
Si stava per commuovere seriamente. Sbatté le palpebre più volte per evitare di piangere.
- Esprimi un desiderio – la esortò indicando con il mento quella specie di candelina.
Mila chiuse gli occhi e pensò a cosa potesse volere. L’idea le sorse spontanea, anche se era irrealizzabile, perché Cameron non la conosceva per nulla, e soffiò lo stesso.
Lui le porse la piccola torta, ma lei la divise a metà.
All’inizio l’altro rifiutò, ma la ragazza fece leva sul suo tono dolce e sulla giornata così importante – È il mio compleanno. Non vorrai andar contro al volere della festeggiata, vero?
- Mai – rispose regalandole una risata lieve.
- È davvero il cupcake più buono di tutta New York! – disse entusiasta, ma poi, l’entusiasmo si spense – E tua cugina? Sono stata terribilmente egoista…
Non era un buon modo di iniziare quell’anno in più.
Cameron le sorrise premuroso – Tranquilla, gliene comprerò un altro!
Sospirò rasserenata.
Passarono qualche altro minuto a parlare e conoscersi meglio alla luce dell’accendino, almeno finché il gas all’interno non si esaurì.
- Oh, la solita sfortuna!
Cam si alzò in piedi.
- Cosa fai? – gli chiese impaurita, dato che non vedeva dove fosse.
Lui le allungò un braccio, invitandola ad alzarsi – Faccio le cose per bene.
Mila appoggiò la propria mano in quella di lui, che poi la aiutò a sollevarsi.
- Dove sono le mie scarpe? Cosa vuoi fare? – non capiva il perché di quel gesto.
- Le scarpe lasciale dove sono, non ti servono – lo sentì mentre le circondava la vita con un braccio, mentre con l’altro corse delicato lontano da loro, con la mano di lei intrecciata alla sua.
Era la posizione di ballo più conosciuta del mondo. Difatti, poco dopo, Cameron iniziò a ondeggiare sul posto, facendole fare lo stesso.
- Ma perché stiamo ballando? – interrogativo lecito, visto il contesto.
- Perché un ballo alla festeggiata non si nega mai – le disse sorridendo.
Mila lo percepì dal suo respiro. Era così vicino da sentirlo chiaramente.
- Nessuno mi ha mai fatto ballare al mio compleanno.
- Ma con che razza di cavernicoli sei uscita, finora?
- Me lo sto chiedendo anch’io.
Tacquero, continuando a muoversi sul posto, abbracciati.
Per lei, quello, fu un dono inaspettato e quanto mai gradito.
- Mila? – la richiamò lui.
- Sì? – fece lei staccando il viso dal suo petto, cercando di fargli capire che lo stava guardando e quindi ascoltando, tutta l’attenzione era rivolta a lui.
La mano che prima stringeva la sua, si posò sulla guancia. Poco dopo, la bocca di Cameron baciò quella di lei.
Che le avesse letto nel pensiero? Impossibile.
Si alzò sulle punte, perché senza tacchi non era poi così alta. Voleva prendersi quel bacio senza altra fatica, aveva già aspettato troppo.
E una festeggiata non poteva attendere i propri regali.
Con impazienza, passò la lingua tra il labbro superiore e l’interno del labbro, sorprendendolo per quell’intraprendenza, e avendo di conseguenza facile accesso.
Lui si riprese subito, stringendola a sé e contribuendo a rendere unico quel compleanno.
Mila gli allacciò le braccia dietro al collo, giocando con i ricci più corti alla base della nuca, provocando un brivido a entrambi.
Continuarono a baciarsi per parecchio tempo, non accorgendosi nemmeno che le luci erano tornate e l’ascensore aveva ripreso la propria discesa.
Lo capirono solo al terzo piano, quando le porte si aprirono. Qualcuno, ore prima, probabilmente aveva schiacciato il bottone, prenotando la fermata. Poi, a causa del blackout, aveva cambiato programma.
Si allontanarono con il fiato corto e rossi in viso.
Le porte si richiusero, e mentre Mila riprendeva le proprie cose, infilandosi anche le scarpe, Cameron recuperò dal pavimento il sacchetto ormai vuoto.
Le porte si aprirono al piano terra, dove ad accoglierli c’era il tecnico della ditta che aveva prodotto il macchinario – Tutto bene?
- Sì, grazie, benissimo – risposero guardandosi.
- Allora io vado – e così dicendo prese la propria valigetta e si diresse all’esterno del palazzo.
Si salutarono un po’ imbarazzati, ma molto più soddisfatti.
Come quando la fece entrare in ascensore, la invitò a uscire per prima.
- Cameron? – lo richiamò prima che potesse allontanarsi.
- Sì?
- Grazie per aver esaudito il mio desiderio – gli sorrise grata. Era stato il miglior regalo ricevuto.
- Quale? – era stupito di quella rivelazione.
- Quello di baciare il ragazzo più interessante dentro l’ascensore – solo in quel momento realizzò che avrebbe voluto vederlo di nuovo.
Sorrise, compiaciuto. Infine le si avvicinò per baciarle la fronte. Mila gli piaceva – Di nulla. Credimi, è stato un piacere.
Sapeva dove abitava. Non sarebbe stato certo un problema suonare il suo campanello per poi invitarla ad uscire. Avrebbe, ancora una volta, tentato di sorprenderla.
- Auguri ancora – e così dicendo, si diresse verso la pasticceria per poter prendere un altro cupcake per la cugina.
Mila andò nella direzione opposta. Era in ritardo di mezz’ora per la sua festa.

***

Sera! Eccomi qui, con questa OS che mi girava nella testa da Natale, ma che ho scritto tra ieri e oggi.
Ho voluto inaugurare così l'anno nuovo. Dato che alcune di voi mi avevano chiesto la OS di Natale ma avevo detto di no per mancanza di idee e di tempo, ho voluto recuperare con questa storia, spero possa essere un regalo gradito.
Ora corro, ho già detto abbastanza.
Spero vi sia piaciuta.
A chi mi conosce dico solo che ci si sente mercoledì con il solito aggiornamento, sbaciucchiamenti e buon anno a tutte, Cris.

   
 
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