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Autore: detoxIretox    02/01/2012    6 recensioni
[COMPLETA]
Come regalo di Natale/Capodanno ecco a voi una nuova mini-longfic sui nostri adorati Kagamine. Si applicano tutti gli avvertimenti che si applicano sempre ai Kagamine: tristezza, angst, no happy ending, ugh, why, e via discorrendo.
***
Era stata una serata orribile, il che era tutto dire. Rin era stata vagheggiata e corteggiata da quasi tutti i giovani presenti nel salone da ballo, ma non perché fosse bella. Non era da buttare, o almeno così si considerava lei: ma l’unico vero motivo per cui in tanti le avevano chiesto di ballare - uno dopo l’altro, senza sosta, quasi si fossero messi d’accordo sui turni - era che Rin aveva soldi. Molti soldi.
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[Len/tragedia, Rin/tragedia, Gumi/tragedia, insomma vedete dove sta andando a parare]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Yume Sakura, please don’t die...

- I’m not forgiven to abandon everything to love you for the rest of my life -

 
 
1~ I fell for him at the moment I saw him
 
Era stata una serata orribile, il che era tutto dire. Rin era stata vagheggiata e corteggiata da quasi tutti i giovani presenti nel salone da ballo, ma non perché fosse bella. Non era da buttare, o almeno così si considerava lei: ma l’unico vero motivo per cui in tanti le avevano chiesto di ballare - uno dopo l’altro, senza sosta, quasi si fossero messi d’accordo sui turni - era che Rin aveva soldi. Molti soldi.
Ed essendo la figlia di un consigliere dell’imperatore, come poteva essere altrimenti? Poteva considerarsi più ricca di tutta la gente presente al ballo messa insieme... e probabilmente anche la più triste.
Odiava la sua vita per una serie di valide ragioni.
Prima di tutto, era costretta a vivere sottomessa al volere degli uomini della sua famiglia, e non solo. Il fatto che avesse quindici anni la salvava - ancora per poco, però - dai doveri di moglie e madre; ma avere anche solo quelli di figlia, era estenuante e deprimente per una mente così libera.
Secondo; ogni settimana, per non dire ogni giorno, arrivavano da lei più e più principi e nobili da ogni parte del Giappone per chiederle la mano. E lei aveva il permesso di vederli? No, se non da lontano, ovviamente. Era autorizzata a passarci qualche pomeriggio, così, tanto per conoscere meglio l’uomo con il quale avrebbe dovuto condividere una vita? Neanche per sogno. Quella era una possibilità ben lungi dall’essere anche solo presa in considerazione. Bastava l’approvazione del padre, e il matrimonio era bello che fatto.
Fortunatamente il padre di Rin era un uomo dai gusti difficili, e fino a quel momento non aveva permesso a nessuna povera anima di mettere il naso nella loro lussuosa casa, nemmeno al miglior partito che gli si fosse presentato. Il che voleva dire che, finché qualche buon uomo avesse ottenuto la piena approvazione del consigliere, Rin rimaneva libera come l’aria... o almeno, solo da quel punto di vista.
La terza ragione per la quale la ragazza odiava la sua vita era proprio quella: l’assoluta mancanza di libertà.
Le pareti affrescate e costruite in marmo o avorio, che sfoggiavano una ricchezza oltre ogni immaginazione, le sembravano ogni giorno restringersi sempre di più intorno a lei, ed era certa che un giorno le avrebbero impedito di respirare fino a soffocarla. Era bloccata in una vera e proprio gabbia d’oro.
Le capitava molto spesso di sognare ad occhi aperti una vita molto diversa da quella che stava trascorrendo passivamente. Si sedeva di fronte a una finestra delle sue stanze e guardava... qualunque cosa le si trovasse di fronte.
Ogni volta era diverso. I suoi occhi curiosi guizzavano di qua e di là e si posavano su ciò che attirava meglio la sua attenzione: una foglia che si staccava pigra da un ramo, che cadeva accarezzata dalla brezza e terminava il suo ultimo viaggio sul terreno umido; uno scoiattolo che saliva su per un tronco con quella che pareva una fretta del diavolo; una nuvola che aveva proprio la stessa identica forma di un albero di ciliegio.
E passava interi pomeriggi a esplorare con la fantasia un mondo che non avrebbe potuto vedere realmente.
Quella famosa sera del ballo Rin uscì dal salone quasi correndo, tanta era la voglia di respirare un po’ di aria fresca notturna e fuggire agli sguardi interessati dei suoi pretendenti, e a quelli esigenti dei genitori. Non credeva che qualcuno si fosse realmente accorto della sua assenza, tutti presi com’erano a ripassare le regole del galateo per far colpo su di lei - o meglio, per far colpo su suo padre. Che a lei piacesse o meno un uomo da sposare, poco importava; in fondo ciò che pensava lei era del tutto superfluo, no?
Si aggiustò il fiocco tra i morbidi capelli meglio che poteva, inalando aria; quasi senza accorgersene si allontanò il più possibile dal palazzo nel quale si stavano ancora svolgendo i festeggiamenti mondani, non facendo realmente caso alla direzione che stava prendendo, ma semplicemente camminando. Quando si rese conto che le scarpe col tacco le stavano facendo gridare i piedi dal dolore, si rannicchiò un attimo per togliersele - e già pregustava quanto sarebbe stato bello sentire la morbidezza dell’erba bagnata di rugiada sotto i piedi nudi, ma il filo dei suoi pensieri venne interrotto da una musica flebile in lontananza, un punto imprecisato al di là degli alberi.
Rin piegò la testa di lato sporgendo il collo in avanti, incuriosita. Il suo orecchio esperto in fatto di musica (era una cosa che amava più di tutto, ascoltarla e suonarla in egual misura) captò all’istante il suono che produceva un archetto su delle corde tese.
Qualcuno stava suonando il violino, lì nelle vicinanze.
E pensare che se ci fosse stata anche solo un po’ di brezza in più, a scompigliare le foglie sui rami degli alberi in rigogliosa fioritura, non sarebbe riuscita a seguire quella melodia dolce fino a una radura circondata da ciliegi.
È questo che la gente chiama destino?
 

***

 
Rin era praticamente cresciuta con il suono di violini e altri strumenti classici nelle orecchie, e quella era una delle poche cose che amava sul serio della sua vita. Essendo ricca la sua famiglia si era premurata di farle imparare a suonare pianoforte, violino, violoncello, clarinetto e chi più ne ha più ne metta. Per questo il suo senso musicale allenato sapeva riconoscere all’istante se qualcuno sapesse il fatto suo in quanto a trattare con uno strumento musicale.
E quel ragazzo di certo si faceva dar del voi.
Non seppe, inizialmente, cosa la portò a nascondersi dietro uno degli alberi e origliare quella melodia malinconica per tutta la sua durata. Fu forse l’atmosfera che si era creata? Probabile. Aveva sempre amato i fiori di ciliegio... quel rosa pastello, così delicato, dava l’idea di un qualcosa pieno di speranza e dolcezza, di qualcosa che non potesse appassire né spezzarsi mai. I raggi della luna poi sembravano accentuare il loro colore facendolo splendere come non mai.
Forse, si disse, era proprio il ragazzo ad averla rapita. Per quanti sforzi facesse, Rin non riusciva a cavargli gli occhi di dosso: era di profilo, quindi non poteva vedergli l’intero volto, ma la sua bellezza bastava a farle battere il cuore così forte da sembrare in grado di distruggerle il petto e schizzare fuori. I capelli biondi e lunghi erano sparsi sbarazzini intorno al volto concentrato, e alcune ciocche che non volevano saperne di stare al proprio posto ricadevano sulla fronte, pur sempre non celandogli il volto avvenente. Gli occhi erano bassi e coperti dalle palpebre, tuttavia non pareva stesse scrutando il violino; come tutti gli amanti della musica ben sapevano, e perciò anche Rin, ciò che maggiormente contraddistingueva un vero musicista era la sua capacità di controllo dello strumento, che diventava una parte di sé. Un vero violinista, ad esempio, non guardava mai ossessivamente l’archetto o che le corde fossero ben tirate; maneggiava il suo violino come se fosse un vero e proprio arto.
E anche lo spartito per un musicista era una debole traccia, e non una guida obbligata da osservare per tutta la durata del pezzo. Quello che un artista suonava gli era dettato dal cuore, e solo quella poteva essere definita musica a tutti gli effetti. La musica non è forse un meraviglioso modo per esprimere i propri sentimenti? Allora non dovrebbe essere affidata a una risma stampata in fitto di note e accordi. Tutto ciò che serve a un musicista è la passione. Era con questo credo che Rin era cresciuta e non aveva mai smesso di ragionare in quel modo, nemmeno quella sera.
I sentimenti e la passione che il ragazzo metteva nei gesti ben misurati, in quell’aria seria eppure in un certo senso libera ma quasi sofferente, erano così tangibili che Rin sentì chiara la sensazione della pelle d’oca sulle braccia scoperte. Si lasciò sfuggire un basso sospiro, e a quell’attimo di distrazione la musica si interruppe e gli occhi azzurri del violinista si posarono su di lei, con un’espressione sorpresa.
Rin sentì le guance andarle in fiamme quasi subito, eppure non riuscì a muoversi. L’interruzione della melodia triste aveva completamente ucciso l’atmosfera, e quelle iridi così radiose che sembravano illuminare l’intera radura l’avevano immobilizzata, esattamente come un cerbiatto che alla vista di una luce improvvisa nel buio non riesce a continuare a correre.
Alla fine, la prima a cedere ed abbassare gli occhi fu proprio lei. Mai come in quel momento ringraziò il cielo che quell’incontro fosse avvenuto con il buio; sarebbe morta di imbarazzo al solo pensiero che qualcuno potesse averla vista arrossire così vistosamente.
“Mi dispiace molto... io non volevo...” borbottò quasi inudibile. “Ora me ne...” e senza la forza di terminare la frase, si voltò e imponendosi di non correre, tanto per mantenere un’ultima aria di dignità, si avviò veloce lontana dalla radura.
“Ehi, aspetta!” la chiamò il ragazzo.
Lei si fermò, incapace di ignorare una voce come quella. Chissà perché, ma le provocò un brivido ancora più forte di quando aveva ascoltato il suo violino suonare.
“Scusa” lo sentì dire, dietro di lei. “Ti ho spaventata?”
“No, non preoccuparti” assicurò Rin.
“E’ che non mi capita spesso di avere un pubblico...” spiegò lui.
Rin spalancò gli occhi. Un ragazzo così bravo, che non aveva nessuno disposto ad ascoltarlo? Non poteva crederlo possibile. Si voltò per guardarlo in faccia. Era anche più bello visto di fronte. “Sul serio? Nessuno sa quanto tu sia talentuoso?”
“Be’”, arrossì leggermente per il complimento, “suonavo per i miei genitori, ma da quando sono morti non me la sento di far ascoltare la mia musica a chiunque. Era una specie di rito, ecco...”
“Oh” fu tutto ciò che riuscì a dire lei. Abbassò lo sguardo imbarazzata per l’enorme gaffe commessa. “Scusa” mormorò. Non sapeva nemmeno lei di cosa si stesse scusando, ad essere sincera; forse era per il poco tatto che aveva usato davanti a uno sconosciuto, o magari anche per il fatto di aver interrotto una specie di cerimonia così importante... e l’ultima cosa che voleva era che quel ragazzo fosse irritato dal suo comportamento invadente.
Ad ogni modo, anche se lo fosse stato, non lo diede per niente a vedere. Al contrario, sorrise prima di replicare: “Figurati” e avvicinarsi a lei. Le tese la mano. “Io mi chiamo Len.”
“Sono Rin” si presentò la ragazza. Lui prese tra le dita quelle di Rin e le baciò galantemente.
Quella sera almeno una cinquantina di giovani dovevano averle rivolto lo stesso gesto, ma nessuno le aveva provocato un misto di compiacimento e piacevole sorpresa. Le parve persino di sentire il cuore perdere un battito con un tumulto sonoro, così tanto che si sorprese che Len non lo avesse sentito, vicino com’era.
“Quindi... vieni a suonare sempre qui?” chiese Rin. Cominciò a guardarsi intorno senza apparente motivo e mostrando finto interesse per gli alberi che circondavano la radura; riuscì a mascherare i sentimenti contrastanti solo fino a quando Len ricominciò a parlare, e sentì nuovamente le guance in fiamme.
“Sì, tutti i giorni. Nel posto dove abitavo prima io e i miei suonavamo in una radura simile, e se non fosse per loro non saprei suonare, adesso.” Sorrise nostalgico. “Spesero tutti i loro soldi per regalarmi il violino e mi insegnarono loro stessi. Dicevano che erano molto fieri di me... spero... che lo siano ancora.”
Rin mantenne un silenzio rispettoso, incerta su come fosse stato opportuno reagire. Non aveva mai dovuto affrontare un lutto importante in vita sua, e non aveva idea di come gestire la conversazione.
Fortunatamente il momento malinconico venne interrotto dallo stesso Len, che tornò al presente. “Tu sai suonare qualcosa?”
“Sì, ma non sono brava quanto te.”
E la sua non era affatto modestia; Rin era stata del tutto sincera. A dirla tutta, non era sicura di aver mai sentito qualcuno suonare bene come quel ragazzo, se non pochi professionisti.
“Posso essere indiscreto? Cosa ci fai da queste parti a sera inoltrata?”. Le rivolse uno sguardo perplesso. “Non è pericoloso?”
Per una qualche ragione Rin si era quasi dimenticata delle circostanze che l’avevano portata fino a lì; ma quando, alla domanda di Len, le tornò tutto in mente quasi folgorandola, si esibì in un’espressione di stupore e si rese finalmente conto di essere mancata davvero troppo a lungo dalla festa. Se qualcuno se ne fosse accorto, una volta tornata, avrebbe dovuto affrontare una marea di guai.
“Scusa!” implorò voltandosi di scatto. “Mi staranno cercando... devo andare!”
“Ehm... va bene” improvvisò Len, mettendo da parte la sorpresa per la reazione della ragazza. Rimase immobile a guardarla allontanarsi di corsa, le scarpe ancora in mano e il vestito che svolazzava. “Comunque... è stato un piacere conoscerti! Spero di rivederti...” le ultime parole si persero a causa della distanza che si stava facendo sempre più grande.
E che Rin stava cominciando a percepire come un dolore quasi fisico.

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http://www.youtube.com/watch?v=Egf3Sbtp9TQ

Allora.
Prima di tutto: no, non sono morta! *realizzazione*
Secondo, io vi avevo avvertiti che sarei tornata a rompere scrivere, giusto? E che ritorno! Con una storia ancora più smielosa di tutte quello che io abbia scritto in vita mia. Ma non posso farci nulla. La storia di Yume Sakura
 mi ha ispirata troppo. Sin da quando l'ho ascoltata per la prima volta, lentamente, ha risalito la classifica delle mie canzoni Vocaloidose preferite fino a superare Paradise of Light and Shadow e posizionarsi in vetta (be', non proprio LENTAMENTE ad essere sinceri... dopo un minuto che la acoltavo ho decretato: ok, questa è la mia nuova ossessione quindi si salvi chi può).
Ps. Tutti i titoli dei vari capitoli, come anche quello della storia intera, sono delle frasi prese dalla traduzione del testo. L'unica traduzione in italiano che ho trovato è un po' bruttina, ed ho preferito mettervi quella inglese che io amo e venero çwç (lato negativo di frequentare un liceo linguistico Dx)
A chiunque mi seguirà (leggi: nessuno), vi voglio bene e al prossimo aggiornamento <3

AVVISO: provvedete a prendere un appuntamente con il vostro dentista al più presto. La storia potrebbe provocarvi carie.
  
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