Risvegli.
Non tutti i giorni ci si può svegliare
ridendo, pensava lui.
Di solito è la prima cosa che si impara. Ancor prima delle
classiche funzioni primarie, come mangiare, bere, fare i bisognini e
tutto il resto.
Un classico esempio? La nascita.
Quell’azione terrificante non è paragonabile a un
brusco risveglio? Quale bambino, una volta tirato fuori dal ventre
materno, ride?
“Perché gioirne?”, si chiede.
Cos’è tutta quella luce? Che cosa sono quei mostri
sfocati che lo afferrano e lo schiaffeggiano?
Una sensazione orrenda, tragica, traumatica.
Delle mani fredde, diverse da quelle che lo hanno costretto a nascere,
lo prendono, lo immergono nell’acqua e lo strofinano.
Lui non sa che cosa sta succedendo e piange.
Cos’altro può fare?
Non può aprire la bocca e dire di smetterla: non sa di
averne la capacità.
Non può divincolarsi e scappare: non sa nemmeno camminare.
E allora dimostra quanto sciagurato sia stato il suo destino, quanto i
mostri senza volto siano stati crudeli con lui, quanto vorrebbe
ritornare nell’oscurità precedente.
Perché tutta quella luminosità fa male agli
occhi. Perché tutto quel rumore fa paura.
E mentre quel pianto disperato lo stanca, il buio torna ad avvolgerlo.
È confortante, ma gli sembra duri troppo poco.
Il peso di un qualcosa d’invisibile torna a gravargli
addosso, mentre delle braccia molto più dolci, morbide e
calde di quelle che lo avevano spaventato poco prima, lo cullano.
Il fragore metallico e le voci dei mostri sono spariti, lasciando posto
a un suono calmante e conosciuto.
Tutum. Tutum. Tutum.
L’odore aspro del suo primo luogo non
c’è più: un profumo delicato e
particolare, così particolare che già sa che lo
riconoscerà per tutta la vita, lo accoglie.
Profumo di mamma.
Il bambino non sa dove si trova, o perchè, né sa
che dovrebbe saperlo.
Non può ancora comprendere molte cose, come il suo nome, o
cosa sia una mamma.
Capisce, però, la differenza tra un risveglio traumatico, e
uno bello.
Traumatico, come può esserlo solo quello che, da adulto,
butta giù dal letto alle 8 e 25, solo venti minuti prima
della presentazione chiave della sua intera carriera.
Bello, come può esserlo solo quello che, in piena notte,
è accompagnato dal pianto disperato di un bambino e dal
calcio scocciato di una moglie troppo stanca.
E allora il bambino cresciuto afferra dalla culla quello appena nato,
lo abbraccia, lo accarezza e attende che si calmi.
Sa che la strada sarà dura. La vita lo è sempre.
Sa che quel bambino sta faticando nell’abituarsi a quelle
sensazioni. È successo anche a lui.
Posa un bacio sulla sua testolina, sussurrando parole dolcissime
– parole di padre-.
“Ne varrà la pena.”
E il bimbo sembra capire, perché con un buffo verso di
soddisfazione chiude gli occhi e sprofonda in un mondo in cui i bruschi
risvegli non sono contemplati. Un mondo in cui
l’oscurità tranquillizza e lascia spazio
all’oblio più dolce del mondo.
L’incoscienza.
Probabilmente non la leggerà nessuno, ma se sei arrivato fin qui ti ringrazio.
Doveva partecipare ad un concorso scolastico, ma non avendo raggiunto gli 8 mila caratteri necessari, ho deciso di tenerla per me condividerla con voi.
Questa è una storia molto personale, perchè credo in ogni singola parola scritta. La vita è meravigliosa: vale la pena viverla, ovvio.
Immedesimatevi in voi stessi appena nati e fatemi sapere se, ora, non pensereste le stesse cose.
Un bacio,
Laleith.