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Autore: Giggle_lazy    02/01/2012    2 recensioni
Adam è un leader.
Con quel suo sguardo fiero e quella sfacciataggine è sempre stato un punto fermo
per chiunque avesse la fortuna di incrociare la sua strada.
E’ perfetto, di una perfezione che stona.
Cameron al contrario fa di tutto per passare inosservato.
Tratti duri e tendenza alla misantropia, questi sono gli aspetti che lo caratterizzano.
E’ imperfetto ed è semplicemente se stesso.
Genere: Erotico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Adam è un leader.
Con quel suo sguardo fiero e quella sfacciataggine è sempre stato un punto fermo
per chiunque avesse la fortuna di incrociare la sua strada.
E’ perfetto, di una perfezione che stona.
 

Cameron al contrario fa di tutto per passare inosservato.
Tratti duri e tendenza alla misantropia, questi sono gli aspetti che lo caratterizzano.
E’ imperfetto ed è semplicemente se stesso.
 


 
La storia è ambientata ai giorni nostri a Portland una città degli Stati Uniti d’America nello stato dell’Oregon.

 
Adam era sempre stato pigro.
Quella mattina, come tante altre, si era svegliato tardi.
Aveva sbadigliato e si era avvolto nel lenzuolo per sfuggire alla luce che penetrava dalla finestra che sua madre si era curata di spalancare.
Gli aveva lasciato il caffè sul comodino e gli aveva arruffato i capelli senza dire una parola, Abigail era una mamma che sapeva di potersi fidare del suo ragazzo. A quest’ultimo piaceva svegliarsi con il profumo della caffeina che aleggiava nella stanza, era talmente abituato da non riuscire ad alzarsi dal letto senza. Era viziato e molto felice di esserlo.
Si stropicciò gli occhi e allungando il braccio afferrò la sua tazza, quando si riscaldava vi si disegnava sopra il percorso di un Pacman vecchio e scolorito. Sorridendo la poggiò sul comò: era la sua preferita. Scese a piedi scalzi e, strusciandoli sulla moquette, andò in bagno a prepararsi per il suo ennesimo primo giorno di scuola, l’ultimo della sua vita, poi ci sarebbero stati solo un susseguirsi di giorni all’università. Come tutti gli adolescenti maschi non perse granché tempo a rendersi presentabile, indossò una maglia blu a maniche corte, dei semplici jeans a vita bassa e li abbinò alle sue amate converse di tela grigie. Si diede una lieve sistemata ai capelli e scese in cucina.
“Buongiorno” mormorò baciando i capelli profumati della madre, che stava lavando le tazze dei figli. Aveva dei lineamenti dolci, i capelli castano scuri e lunghi e scarmigliati, ma la sua particolarità erano dei profondi occhi nocciola. Aveva un corpo troppo magro per Adam e non era mai stata molto alta, la superava per quasi una trentina di centimetri. Da lei aveva preso gran parte dei tratti del viso -tranne la mascella dura eredità del padre-, gentili e stranamente questi, insieme al suo carattere aperto e schietto, erano sempre stati molto utili nella vita, soprattutto nell’accattivarsi l’amicizia delle persone.
“Buongiorno tesoro” rispose lei con un sorriso e una carezza sul braccio del figlio, era dotata di una gentilezza innata e di una luce interiore apparentemente inestinguibile.
“Rispondi anche tu nana malefica!” continuò lui facendo la linguaccia alla sorellina lì seduta al tavolo -ampio di legno scuro- che si riempiva la pancia di pane e marmellata.
La bambina, dagli occhi nocciola come la madre e dal sorriso impertinente, rispose con una smorfia al fratello e continuò indifferente a mangiare. Allora lui le si avvicinò tirandole le codine che le cadevano morbide sulle spalle.
“Ahi! Antipatico!” borbottò scontenta, allora si sciolse i capelli vermigli che condivideva col fratello e se li sistemò con aria di sufficienza.
Adam la salutò con un bacio, a cui lei reagì strofinandosi pacificamente la guancia, e si diresse verso la porta di casa.
“Vado a scuola, ci vediamo più tardi!” concluse il ragazzo aprendo la porta di casa.
“Buona giornata!” rispose la madre andando alla finestra per schiudere la porta del garage che avevano accanto alla villa, all’interno vi era la Peugeot nera metallizzata che aveva regalato al figlio per il compleanno. Lui sbloccò la portiera e partì col mezzo in direzione della scuola.
La loro era una famiglia particolare, il sorriso –talvolta stanco, ma sempre sincero- era onnipresente su ognuno dei volti dei componenti, si sentivano sereni solo l’uno accanto all’altro.
Erano una rarità.
 



Cameron aveva gli auricolari nelle orecchie,
la testa abbandonata sul finestrino pieno di scritte del bus e la stanchezza che pesava sugli occhi: tentava di non addormentarsi.
La sera prima aveva fatto tardi al pub, quando si era svegliato le tempie gli pulsavano per il forte mal di testa e a stento era riuscito a prepararsi in tempo per non perdere la circolare. La musica che proveniva -ad alto volume- dalle sue cuffie era martellante. Il cantante gracchiava di un’autostrada diretta all’inferno così come le chitarre elettriche gemevano e ferivano le orecchie tenendolo sveglio. Voleva percorrerla anche lui quella strada per l’inferno, l’avrebbe portato lontano da quel posto o l’avrebbe quanto meno distratto da ciò che lo circondava. Gli serviva proprio in quel momento.
I vari passeggeri intorno a lui, non erano capaci di catturare la sua attenzione perciò lasciava vagare lo sguardo all’esterno del mezzo. La città era accesa dai colori del primo mattino: gente che si affrettava fra le strade confusa, chi per il ritorno in ufficio dopo qualche settimana di ferie e chi per ricominciare a seguire le lezioni dopo mesi di vacanze estive. Osservandoli si rendeva conto che in quell’autobus sembrava che il tempo non passasse mai: sempre le solite persone, sempre uguali che si incontravano sempre alla stessa ora. Era stancante.
Si passò la mano sinistra sulla nuca e distolse lo sguardo dall’esterno socchiudendo gli occhi, si massaggiò il collo e le spalle doloranti per la faticosa nottata.
Penultima fermata, una vecchia signora era appena salita e non vi erano posti vuoti così si alzò lasciandole il sedile portando con se lo zaino semi-vuoto.
“Grazie ragazzo” sorrise amabilmente lei, lui le fece un breve cenno con la testa e si appoggiò al palo accanto. Era complicato stabilire un legame con lui, era abituato a contare troppo su se stesso e poco sugli altri, non per questo però si comportava da maleducato; al contrario non sopportava i ragazzi della sua età che, con le più disparate giustificazioni, si comportavano da incivili approfittando dei soldi dei genitori per cazzeggiare con gli amici.
Forse si comportavano così perché non avevano mai dovuto sudarsi nulla nella vita.
Si riscosse da quei pensieri quando l’autobus, accostandosi alla strada davanti la scuola, spalancò le porte. Allora liberò un orecchio dall’auricolare e infilò l’mp3 nella tasca centrale della felpa verde militare che indossava, raccattò lo zaino grigio scuro in Cordura, che aveva ormai quasi la sua stessa età, e scese dal bus seguendo dei ragazzi che dovevano essere poco più piccoli di lui.
Si trovò davanti un muro di mattoni rossi che recava la scritta “George C. Marshall High School”.
I ragazzetti parlottavano concitati di quanto fosse grande quella scuola e di quante cazzate avrebbero fatto da lì in poi. Cameron sorrise genuinamente delle loro grandi aspettative, doveva essere il loro primo anno. Si sarebbero resi presto conto che la scuola non era come nei telefilm, non sempre almeno.
In quell’esatto momento sentì la tasca vibrare, estrasse il cellulare velocemente. “Merda” sbottò, e dopo aver letto il messaggio lo rimise di scatto al suo posto.
Sbuffò e si voltò ma il mezzo era già sparito nel traffico della città così si passò una mano fra i capelli scuri –un abituale gesto che lo faceva sempre sentire scemo quando ricordava di essersi tagliato i capelli-, si tirò lo zaino sulla spalla destra e si incamminò a piedi alla fermata più vicina.
Assentarsi il primo giorno: bel modo di iniziare il nuovo anno.
 


Spazio Autrice!

Ciao a tutti!
Questo è il mio primo vero tentativo di long-fic quindi sono abbastanza inesperta xD

Ho alcune precisazioni da fare:
1# questo è solo il capitolo 'pilota', da adesso in poi saranno più lunghi.
2# Ci sono parolacce nella storia, perdonatemi ma alcuni personaggi devono per forza imprecare ogni due per tre e poi così è più realistico xD
3# Non sono mai stata negli Stati Uniti quindi le ambientazioni saranno solo frutto della mia fantasia.


Ho scritto questa storia per un amico.
I protagonisti sono nati dalle caratteristiche -accentuate- di questo ragazzo che si è trovato con una vita incasinata ed è riuscito sempre ad affrontare le varie situazioni che gli si ponevano davanti.

Per quanto la storia possa avere alcune volte dei tratti malinconici sappiate che ho voluto narrare qualcosa di un po’ diverso, probabilmente per questo non riceverò molti consensi ma spero comunque che a qualcuno possa piacere (:
Con affetto Giggle_Lazy

 
 
Ciao amico,
questa storia è per te.
Non è una classica storia che parla solo di amicizia
perché spero tu sappia già quanto ti sono vicina.
 
Questa storia parla semplicemente di te,
della tua forza nell’affrontare una vita stronza.
 
La tua sicurezza, la tua simpatia e la tua paura per il futuro
hanno dato vita a questo.
Sicuramente non la leggerai mai, ma va bene così
mi basta sapere che non cederai mai.
 
  
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