Remember me, special needs
Remember me when you're the one you'd always dreamed
Remember me whenever noses start to bleed
Remember me, special needs.
I guess I thought
you had the flavour
Just nineteen a
dream it seemed
Six months off
for bad behaviour.
- “Special
Needs”, Placebo
David Karofsky non era
mai stato
un sognatore, né tanto meno quel tipo di persona ambiziosa
che passava gran
parte della sua infanzia a costruire castelli in aria fingendosi il re
del
parco giochi ed una pubertà divisa tra rocambolesche fughe
di casa e pomeriggi
passati ad odiare il prossimo e la propria anonima esistenza in attesa
di
andarsene senza rimpianti per qualcosa di ben più
gratificante.
Infilò la chiave nella toppa metallica della porta
d’ingresso che da anni
implorava silenziosamente di essere sostituita, facendo appena
pressione sulla
maniglia arrugginita verso sinistra così come gli aveva
consigliato il
proprietario, aspettando il consueto “clic” prima
di premere con spalla e
gomito destro contro il legno dal colore giallino scrostato,
catapultandosi
all’interno per poi chiudersi la porta alle spalle.
Non era mai stato un sognatore, Dave. E per quanto assurdo, un
appartamento in
affitto in periferia di Lima, con le tubature che sporgevano dalla
pareti del
bagno e l’acqua calda che spesso faticava ad arrivare,
scatenando in lui
sequele d’improperi affatto carini, costituiva una solida
realtà da farsi
bastare e sulla quale contare.
Non che fosse proprio ciò a cui avesse sempre ambito,
ovviamente.
Ma da tempo aveva messo via sciocche speranze adolescenziali per
fronteggiare
quello che ai tempi del liceo era il futuro ed ora gravava sulle
proprie spalle
da ventisettenne con la consapevolezza di uno squallido e ripetitivo
presente.
Si stiracchiò il collo lasciando cadere a terra il borsone
tenuto per la
tracolla dalla mancina producendo un tonfo sordo in quel buco vuoto
quasi
quanto il suo stomaco, dirigendosi quindi in cucina alla ricerca di
qualche
avanzo probabilmente inesistente.
Non aveva mai pensato granché al
futuro, in realtà. Né da poppante né
da adolescente.
E pur non immaginandoselo rinchiuso in una topaia a pagamento del
genere,
l’idea di lasciare Lima per qualcosa di ben più
grande e luminoso e ricco di
opportunità non l’aveva mai solleticato.
Neppure nelle sue più sfrenate fantasie.
Grugnì fissando l’interno bianco sporco del
frigorifero pressoché privo di
tutto ad eccezione di due birre lasciate lì probabilmente da
Azimio durante una
delle loro serate tutto sport e cretinate che, ormai quasi trentenni ed
andando
contro le lamentele di Mercedes, continuavano a ripetersi con la
precisione di
un rituale azteco.
- Ai bei vecchi tempi del liceo! - gridava solitamente Azimio brandendo
in aria
una delle tante bottiglie di birra che portava quasi stesse ricordando
come
stringere un pallone da football con addosso la letterman dei Titans,
facendola
cozzare contro quella di Dave per poi tracannarne metà senza
prendere fiato.
Che poi, Cristo, David – guidato da un breve sprazzo di
lucidità prima di
soccombere alla quinta birra – non riusciva proprio a capire
quali cazzo
fossero quei “bei vecchi tempi del liceo” che
infiammavano così tanto l’uomo di
colore. Ma arrivato a quel punto, solitamente, la birra si sostituiva
alle
elucubrazioni mentali e si univa ad Azimio nel ridere sguainatamene per
una
buona mezz’ora prima di stramazzare sulla poltrona sino al
mattino seguente,
quando gli toccava mettere in ordine da solo perché
l’amico era di turno alla
centrale di polizia.
Guardò prima una birra e poi l’altra, scrollando
poi le spalle con un nuovo
grugnito prima di prenderle entrambe e chiudere il frigorifero con
violenza
maggiore di quanta ne meritasse, strisciando i piedi a terra verso lo
sgangherato
salotto composto da due poltrone, una libreria che continuava a
rimanere su per
miracolo ed una televisione minuscola che pareva il figlio del plasma
di Azimio
e Mercedes.
Adocchiò la borsa che solo pochi minuti prima aveva fatto
cadere sul pavimento,
pensando a come, effettivamente, dentro ci fossero vestiti sporchi e
sudati che
andavano messi in lavatrice per poter essere riutilizzati e che non
poteva
continuare a chiedere pantaloncini al preside del McKinley con la scusa
che a
forza di insegnare a giocare a football a quelle mezze calzette dei
nuovi
Titans consumasse pantaloncini in maggior misura di quanto potesse mai
riuscire
ad insegnare loro qualcosa.
Perché David Karofsky era il coach dei Titans del McKinley
High School. E
seguendo tutte quelle ore di Algebra avanzata non si sarebbe di certo
mai
aspettato che, in futuro, l’unica cosa che avrebbe contato
sarebbero stati i
ritardi di quei mocciosi ai suoi allenamenti.
Stappò la prima birra con l’apribottiglie
abbandonato sul microscopico tavolino
tra le due poltrone, sentendo un’insensata rabbia
attorcigliargli le budella a
tutto quel pensare agli anni del liceo che per tanto tempo aveva
addirittura
cercato di cancellare.
Aveva detestato il periodo del liceo più di quanto non
detestasse la propria vita
di adesso.
Anni passati a fare il cazzone per i corridoi e a sprecare se stesso; a
camminare sentendosi il padrone del mondo assieme agli altri del
football in
uno sputo di terra dimenticato da Dio come Lima. Anni passati a fare il
bullo
cercando di divertirsi per non destare sospetti nel gruppo. Anni
passati tra
granite ed insulti a persone che, nel momento del bisogno, gli erano
state
vicine più di quanto lo meritasse. Ma anche anni, pomeriggi,
passati ad odiare
se stesso e a sentirsi sbagliato, incapace, sebbene pieno di rabbia e
disgusto,
di metter fine ad un futuro che gli si era ritorto contro come una
fottutissima
punizione divina.
Ma gli anni del liceo erano stati anche quelli dove era riuscito a far
emergere
e ad accettare con difficoltà se stesso. Gli anni dei
BullyWhips con quella
despota di Santana e della vincita del campionato di football. Gli anni
in cui
Kurt Hum-… si attaccò al collo della bottiglia
quasi con rabbia, lasciando che
il liquido ambrato gli inibisse pensieri e polmoni anche se solo per
pochi
istanti.
Ecco perché detestava pensare al liceo se non aveva almeno
una birra tra le
mani.
Perché i ricordi ai quali non pensava spesso era riuscito a
dimenticarli, ma
quelli che ritrovava perfino nei sogni tornavano a tormentarlo con
nitidezza
quasi dolorosa durante la veglia e necessitavano di qualcosa come un
bel sorso
di birra per essere ricacciati indietro.
Specialmente quelli che riguardavano lui.
Durante e dopo il liceo, per la verità.
Specialmente quelli riguardanti i suoi diciannove anni; dolorosi come
un
cazzotto in pieno stomaco.
Si concesse un altro sorso di birra, perché nonostante
fossero le tre di notte,
il sonno l’aveva abbandonato da un pezzo e tanto valeva
rimanere ad atteggiarsi
da ubriaco con due birre neppure sue sparandosi uno dietro
l’altro i film di
serie b che mandavano in onda a quell’ora di notte.
Accese la televisione, perciò, tornando poi a stravaccarsi
su una delle
poltrone con la birra nella mancina ed il telecomando nella mano
destra, dando
il via ad uno snervante zapping col quale era solito guadagnarsi sempre
le
lamentele di Kur-… ‘fanculo pensieri.
‘Fanculo.
Ma almeno i programmi televisivi sembravano essere ancora
più squallidi di
quelli che si era immaginato, passando impietoso da un film in bianco e
nero ad
un quiz televisivo con un idiota in giacca e cravatta ed una ragazza
tutta
tette che sorrideva con fare plastico alla telecamera.
E poi ancora documentario sugli alpaca, quiz, telefilm, programma di
cucina.
E dire che cercava soltanto qualcosa di sport da mettere al massimo
volume –
con conseguente cazziatone del proprietario al mattino dopo, ne era
certo – per
poter annegare nella birra e nell’apatia fino
all’alba di una nuova, anonima,
giornata.
Qualcosa da vedere che l’avrebbe lasciato con due bulbi
oculari arrossati e
l’ormai solita consapevolezza di non aver concluso nulla, ma
almeno libero da
qualsiasi tipo di ricordo che comprendesse anche lontanamente Kurt
Hummel.
Qualcosa di sanguinolento come la
boxe, che aveva imparato ad apprezzare da poco.
Qualcosa di totalmente apposto al notiziario di New York che si
ostinavano a
trasmettere pure a Lima nonostante non importasse nulla a nessuno e che
–
dannata televisione! – si vedeva pure male e dubitava che il
colorito
dell’inviato tendesse al bordeaux.
Bordeaux.
Non l’aveva pensato, no, Cristo. Prese un altro, lungo, sorso
di birra e si
costrinse a prestare attenzione allo schermo.
Un tizio dai capelli scompigliati e le occhiaie a malapena coperte non
gli fece
affatto rimpiangere di non aver intrapreso la carriera da giornalista
televisivo. Sembrava stupido, tra l’altro, a sorridere in
quel modo affabile alla
telecamera quando era ovvio che avrebbe dato probabilmente anche le
mutande per
trovarsi altrove. Sorrise tra sé. Idiota. E tutto per una
stupida intervista a…
- … ma ecco che in questo stesso istante sta uscendo Kurt
Hummel, giovane e
promettente protagonista dello spettacolo appena concluso scortato
dalla sua
guardia del corpo. Andiamo ad intervistarlo! -
E se David Karofsky non avesse avuto la mascella attaccata al resto del
cranio,
probabilmente se la sarebbe ritrovata a rotolare lì nei
paraggi assieme alla
bottiglia mezza vuota che si era infranta in mille pezzi sul pavimento
facendolo sussultare.
Dio, ti prego, tutti ma non lui. Va bene
chiunque ma lui no.
Ma nel mentre pareva essersi scordato come respirare, impallidendo ad
ogni
istante, Kurt Hummel entrava di diritto nell’occhio di vetro
della telecamera
che lo portò al centro esatto di quel televisione come di
quello di chiunque altro
fosse sintonizzato sullo stesso canale, rendendo ogni nottambulo
spettatore
partecipe del radioso sorriso che rivolse all’intervistatore.
Sorriso che fu come una stilettata in pieno petto.
- Allora Kurt, come ti senti dopo questa prima pazzesca? - chiese
l’intervistatore
con tono gioviale abilmente simulato portando il microfono vicino alle
labbra
del ragazzo che, sgranando appena gli occhioni cristallini, si sciolse
in un
nuovo sorriso prima di rispondere.
- Oh, benissimo, è stato meraviglioso! -
David deglutì tenendosi stretto ai braccioli consunti della
poltrona con
entrambe le mani quasi si trovasse sulle montagne russe, conficcando le
unghie
curate nella pelle ovviamente finta come a volerla squartare per
raggiungere l’imbottitura.
La voce di Kurt, in tutti quegli anni, era rimasta la stessa.
Melodiosa, pacata, vivace. Piena di quella purezza
che, nonostante fosse ormai un uomo maturo di ventisette anni, non
aveva perso
affatto. Il volto, invece, aveva abbandonato quei tratti morbidi e
fanciulleschi per qualcosa di più adulto e definito,
ugualmente scolpito nella
porcellana e nel rossore delle gote che, alle parole
dell’intervistatore e al
di là dei colori cremisi della qualità scadente
dello schermo, si erano tinte
allo stesso modo di come erano solite fare nel ricordo sbiadito che
aveva di
Kurt adolescente.
La fisicità, ripresa a mezzo busto e nascosta da un grazioso
cappotto grigio,
appariva indefinita.
Ma David, fissando come in trance l’insieme di pixel che
possedeva le fattezze
di Kurt Hummel, non dubitò nemmeno per un istante che
l’altro fosse cambiato
dal corpo slanciato ed armonioso che possedeva in gioventù.
Corpo sul quale
aveva fantasticato nelle maniere più oscene possibili,
vergognandosene subito
dopo e sentendosi uno schifo per aver pensato in maniera
così sporca a qualcosa
di così candido ed ingenuo. Almeno fino a quei luminosi
diciannove anni, dove
gran parte delle fantasie che aveva avuto su Kurt si erano fatte
realtà.
- Il pubblico è sembrato entusiasta della tua esibizione,
non trovi? -
- Spero di essere riuscito a trasmettere loro tutto quello che questo
spettacolo e cantare rappresenta per me, soprattutto. Pensare poi che
siano riusciti
ad emozionarsi grazie a questo mi riempie d’orgoglio!
–
Ognuna delle parole che proveniva
dal televisore e trasmessa lì da chissà quale
intreccio di cavi elettrici ed
aggeggi complessi sembrava provenire da una realtà ovattata
e distante che non
gli apparteneva e sulla quale si era affacciato senza averne il
permesso.
Infondo, trattandosi di Kurt, il permesso non l’aveva mai
avuto su nulla.
Persino quando nell’estate dei loro diciannove anni e dopo
almeno due di
amicizia il più piccolo era andato da lui
all’improvviso, presentandosi sulla
soglia di casa Karofsky con gli occhi lucidi ed il labbro inferiore
tremulo degno
della più teatrale Rachel Berry, urlandogli contro che non
ne poteva più del
suo “comportarsi da miglior amico” quando era
palese che tra entrambi ci fosse
qualcosa di più, baciandolo infine quasi con disperazione e
rimanendo
aggrappato alle sue spalle per godersi la sorpresa di Dave.
Solamente la loro rottura era
stata tutta ed unicamente colpa sua.
- Perciò cantare è sempre stato il tuo sogno? -
Kurt sorrise, leggiadro. Non poteva essere vero. Non poteva essere
lì, in
quell’appartamento in affitto, ed allo stesso tempo essere
così distante e
radioso. A Dave girava la testa al solo guardarlo, perché
quei tre quarti di
birra non potevano aver avuto tale effetto.
- Sì, il mio sogno da sempre. -
E come pronunciate quelle parole, la voce di Kurt impegnata nel canto
gli tornò
alla memoria con la dolcezza e la limpidezza di quando, timoroso,
andava a
spiarlo in auditorium torturandosi le dita e pensando a quale scusa
inventare
in caso fosse stato scoperto, rosso di vergogna come
nient’altro che il
ragazzino che era.
Il suo sogno da sempre.
Glielo ripeteva spesso, se non sempre, con quegli occhi enormi che
quasi
luccicavano al pensiero dei sontuosi teatri nei quali avrebbe voluto
esibirsi e
alle successive interviste che avrebbe rilasciato, tenendogli strette
le mani
ruvide da atleta nelle sue e fantasticando su quello che avrebbe voluto
fosse
il loro futuro insieme, a New York, con David che gli faceva trovare un
mazzo
di rose bianche nel camerino alla fine di ogni spettacolo e lo baciava
nemmeno
fossero stati entrambi i protagonisti di una soap opera gay.
Il sogno che David, purtroppo, non avrebbe fatto altro che rallentare.
Il motivo per il quale l’aveva lasciato andare,
perché rinchiudere a Lima Kurt
Hummel e i suoi grandiosi sogni di gloria era troppo crudele perfino
per essere
pensato, e lui non era nessuno per impedirgli di realizzarsi
così come aveva
sempre sognato, sacrificandosi ad una routine mortificante che
l’avrebbe visto
spegnersi giorno dopo giorno per stare accanto a qualcuno che, amore a
parte,
non avrebbe saputo dargli nulla.
Quel qualcuno che, per il suo bene, poteva solo farsi da parte e
lasciarlo
brillare.
- Ma veniamo al gossip… è vero quello che si dice
ci sia tra te e quel bell’uomo
misterioso col quale sei stato fotografato solamente pochi giorni fa?
–
E Kurt ridacchiò come dopo aver
udito una barzelletta neppure troppo divertente, arrossendo appena
mentre
David, freddandosi sulla poltrona, percepì gli ultimi
brandelli di cuore e
raziocino andargli in frantumi. In tante piccole schegge simili a
quelle di cui
era pieno il pavimento sotto di sé – birra
esclusa, però.
Kurt aveva detto di odiarlo per come l’aveva costretto a
lasciarlo. Doveva
tenerlo a mente.
Ma Cristo, non poteva negare che gran
parte delle sue relazioni erano terminate perché,
semplicemente, l’uomo che stava
baciando non sapeva di Kurt. Non
sapeva di vaniglia e pasta di dentifricio alla menta e non aveva quegli
occhi
azzurri da star male che Hummel utilizzava per leggergli dentro ogni
volta che
provava miseramente a nascondergli qualcosa. Quegli occhi che aveva
visto
accendersi più volte a complimenti impacciati e striarsi di
grigio e lussuria
mentre facevano l’amore.
E poi Kurt rispose che forse i
paparazzi aveva un po’ esagerato la cosa senza
però negare.
E d’istinto fu tentato a scagliare la bottiglia di birra
rimasta contro il
televisore, ricordandosi fortunatamente in tempo che non era suo e che
Kurt
poteva fare quello che voleva e che, probabilmente, non si ricordasse
affatto
di un David Karofsky qualunque che aveva scelto di mettere la sua
felicità in
secondo piano per lui come un martire d’altri tempi per il
solo ritrovarselo
lì, sorridente ed in televisione; immagine perfetta di tutto
ciò che avesse
sempre desiderato.
E Kurt intanto rimaneva al centro di quella cornice argentea che non
rendeva
giustizia alla sua pelle chiara, rispondendo alle domande classiche di
qualsiasi intervista con fare professionale.
Era giusto così, pensò quando riuscì a
farlo nuovamente.
Era stato giusto lasciare Kurt in malo modo per convincerlo a
trasferirsi a New
York senza un ulteriore peso sulle spalle. Giusto che Kurt lo avesse
dimenticato da tempo e rivolgesse le sue attenzioni ad altri uomini
senza paura
di essere rifiutato. Giusto che non si ricordasse di lui e fosse
diventato
l’uomo e l’artista che aveva sempre desiderato
essere.
- Perciò ti rivedremo ancora in qualche altro spettacolo? -
- Sì, indubbiamente. –
- Allora grazie ancora per averci
dedicato il tuo tempo Kurt. –
- Figurati, è stato un piacere!
Alla prossima. –
- Ed ora linea a te Rob per il
servizio su… -
Spense il televisore gettando il
telecomando in un angolo, privandosi della vista di
quell’intervistatore
dall’espressione forzata mentre il peso delle scelte fatte
gli crollava addosso
impietoso, costringendolo a seppellire il viso tra le mani come non
faceva da
parecchio tempo, piangendo la consapevolezza che avrebbe continuato ad
amare
Kurt Hummel probabilmente per il resto della sua patetica esistenza e
dal basso
di quella vita che era riuscito a risparmiargli ad ogni costo, pensando
che se
nuovamente necessario, avrebbe continuato ad allontanare Kurt per far
sì che
fosse felice con tutte le sue forze.
Perché David Karofsky non era mai stato un sognatore.
Ma avrebbe fatto qualunque cosa per vedere Kurt Hummel realizzare i
propri
sogni.
Ebbene, a volte ritornano (?).
Nel mio caso meglio di no, ma fa nulla.
Perciò che posso dire: credo nel
Merzimio, Dave allenatore di football non mi piace particolarmente ma
non
sapevo che altro fargli fare per essere un bravo Lima Loser, amo
suddetta
canzone dei Placebo e sì, trovo sia dannatamente Kurtofsky
perché è tragica il
giusto. No, il bell’uomo misterioso di New York NON
è Blaine - deal with it.
Chi capisce la cosa del “documentario sugli alpaca”
guadagna mille punti. :3
E Azimio con la divisa da poliziotto non vi pare carino?
Oh, continuerò ad amare Kurt e
Dave anche se Glee sta cominciando ad annoiarmi un po’ per
tutto e spero di
scrivere una Faberry, in futuro. (: