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Autore: Phantasmagoria    02/01/2012    5 recensioni
Ma nel mentre pareva essersi scordato come respirare, impallidendo ad ogni istante, Kurt Hummel entrava di diritto nell’occhio di vetro della telecamera che lo portò al centro esatto di quel televisione come di quello di chiunque altro fosse sintonizzato sullo stesso canale, rendendo ogni nottambulo spettatore partecipe del radioso sorriso che rivolse all’intervistatore.
Sorriso che fu come una stilettata in pieno petto. [...]
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dave Karofsky, Kurt Hummel | Coppie: Dave/Kurt
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Remember me, special needs

 Remember me when you're the one who's silver screened
Remember me when you're the one you'd always dreamed
Remember me whenever noses start to bleed
Remember me, special needs.

 Just nineteen a sucker's dream
I guess I thought you had the flavour
Just nineteen a dream it seemed
Six months off for bad behaviour.
- “Special Needs”, Placebo


David Karofsky non era mai stato un sognatore, né tanto meno quel tipo di persona ambiziosa che passava gran parte della sua infanzia a costruire castelli in aria fingendosi il re del parco giochi ed una pubertà divisa tra rocambolesche fughe di casa e pomeriggi passati ad odiare il prossimo e la propria anonima esistenza in attesa di andarsene senza rimpianti per qualcosa di ben più gratificante.
Infilò la chiave nella toppa metallica della porta d’ingresso che da anni implorava silenziosamente di essere sostituita, facendo appena pressione sulla maniglia arrugginita verso sinistra così come gli aveva consigliato il proprietario, aspettando il consueto “clic” prima di premere con spalla e gomito destro contro il legno dal colore giallino scrostato, catapultandosi all’interno per poi chiudersi la porta alle spalle.
Non era mai stato un sognatore, Dave. E per quanto assurdo, un appartamento in affitto in periferia di Lima, con le tubature che sporgevano dalla pareti del bagno e l’acqua calda che spesso faticava ad arrivare, scatenando in lui sequele d’improperi affatto carini, costituiva una solida realtà da farsi bastare e sulla quale contare.
Non che fosse proprio ciò a cui avesse sempre ambito, ovviamente.
Ma da tempo aveva messo via sciocche speranze adolescenziali per fronteggiare quello che ai tempi del liceo era il futuro ed ora gravava sulle proprie spalle da ventisettenne con la consapevolezza di uno squallido e ripetitivo presente.
Si stiracchiò il collo lasciando cadere a terra il borsone tenuto per la tracolla dalla mancina producendo un tonfo sordo in quel buco vuoto quasi quanto il suo stomaco, dirigendosi quindi in cucina alla ricerca di qualche avanzo probabilmente inesistente.
Non aveva mai pensato granché al futuro, in realtà. Né da poppante né da adolescente.
E pur non immaginandoselo rinchiuso in una topaia a pagamento del genere, l’idea di lasciare Lima per qualcosa di ben più grande e luminoso e ricco di opportunità non l’aveva mai solleticato.
Neppure nelle sue più sfrenate fantasie.
Grugnì fissando l’interno bianco sporco del frigorifero pressoché privo di tutto ad eccezione di due birre lasciate lì probabilmente da Azimio durante una delle loro serate tutto sport e cretinate che, ormai quasi trentenni ed andando contro le lamentele di Mercedes, continuavano a ripetersi con la precisione di un rituale azteco.
- Ai bei vecchi tempi del liceo! - gridava solitamente Azimio brandendo in aria una delle tante bottiglie di birra che portava quasi stesse ricordando come stringere un pallone da football con addosso la letterman dei Titans, facendola cozzare contro quella di Dave per poi tracannarne metà senza prendere fiato.
Che poi, Cristo, David – guidato da un breve sprazzo di lucidità prima di soccombere alla quinta birra – non riusciva proprio a capire quali cazzo fossero quei “bei vecchi tempi del liceo” che infiammavano così tanto l’uomo di colore. Ma arrivato a quel punto, solitamente, la birra si sostituiva alle elucubrazioni mentali e si univa ad Azimio nel ridere sguainatamene per una buona mezz’ora prima di stramazzare sulla poltrona sino al mattino seguente, quando gli toccava mettere in ordine da solo perché l’amico era di turno alla centrale di polizia.
Guardò prima una birra e poi l’altra, scrollando poi le spalle con un nuovo grugnito prima di prenderle entrambe e chiudere il frigorifero con violenza maggiore di quanta ne meritasse, strisciando i piedi a terra verso lo sgangherato salotto composto da due poltrone, una libreria che continuava a rimanere su per miracolo ed una televisione minuscola che pareva il figlio del plasma di Azimio e Mercedes.
Adocchiò la borsa che solo pochi minuti prima aveva fatto cadere sul pavimento, pensando a come, effettivamente, dentro ci fossero vestiti sporchi e sudati che andavano messi in lavatrice per poter essere riutilizzati e che non poteva continuare a chiedere pantaloncini al preside del McKinley con la scusa che a forza di insegnare a giocare a football a quelle mezze calzette dei nuovi Titans consumasse pantaloncini in maggior misura di quanto potesse mai riuscire ad insegnare loro qualcosa.
Perché David Karofsky era il coach dei Titans del McKinley High School. E seguendo tutte quelle ore di Algebra avanzata non si sarebbe di certo mai aspettato che, in futuro, l’unica cosa che avrebbe contato sarebbero stati i ritardi di quei mocciosi ai suoi allenamenti.
Stappò la prima birra con l’apribottiglie abbandonato sul microscopico tavolino tra le due poltrone, sentendo un’insensata rabbia attorcigliargli le budella a tutto quel pensare agli anni del liceo che per tanto tempo aveva addirittura cercato di cancellare.
Aveva detestato il periodo del liceo più di quanto non detestasse la propria vita di adesso.
Anni passati a fare il cazzone per i corridoi e a sprecare se stesso; a camminare sentendosi il padrone del mondo assieme agli altri del football in uno sputo di terra dimenticato da Dio come Lima. Anni passati a fare il bullo cercando di divertirsi per non destare sospetti nel gruppo. Anni passati tra granite ed insulti a persone che, nel momento del bisogno, gli erano state vicine più di quanto lo meritasse. Ma anche anni, pomeriggi, passati ad odiare se stesso e a sentirsi sbagliato, incapace, sebbene pieno di rabbia e disgusto, di metter fine ad un futuro che gli si era ritorto contro come una fottutissima punizione divina.
Ma gli anni del liceo erano stati anche quelli dove era riuscito a far emergere e ad accettare con difficoltà se stesso. Gli anni dei BullyWhips con quella despota di Santana e della vincita del campionato di football. Gli anni in cui Kurt Hum-… si attaccò al collo della bottiglia quasi con rabbia, lasciando che il liquido ambrato gli inibisse pensieri e polmoni anche se solo per pochi istanti.
Ecco perché detestava pensare al liceo se non aveva almeno una birra tra le mani.
Perché i ricordi ai quali non pensava spesso era riuscito a dimenticarli, ma quelli che ritrovava perfino nei sogni tornavano a tormentarlo con nitidezza quasi dolorosa durante la veglia e necessitavano di qualcosa come un bel sorso di birra per essere ricacciati indietro.
Specialmente quelli che riguardavano lui.
Durante e dopo il liceo, per la verità.
Specialmente quelli riguardanti i suoi diciannove anni; dolorosi come un cazzotto in pieno stomaco.
Si concesse un altro sorso di birra, perché nonostante fossero le tre di notte, il sonno l’aveva abbandonato da un pezzo e tanto valeva rimanere ad atteggiarsi da ubriaco con due birre neppure sue sparandosi uno dietro l’altro i film di serie b che mandavano in onda a quell’ora di notte.
Accese la televisione, perciò, tornando poi a stravaccarsi su una delle poltrone con la birra nella mancina ed il telecomando nella mano destra, dando il via ad uno snervante zapping col quale era solito guadagnarsi sempre le lamentele di Kur-… ‘fanculo pensieri. ‘Fanculo.
Ma almeno i programmi televisivi sembravano essere ancora più squallidi di quelli che si era immaginato, passando impietoso da un film in bianco e nero ad un quiz televisivo con un idiota in giacca e cravatta ed una ragazza tutta tette che sorrideva con fare plastico alla telecamera.
E poi ancora documentario sugli alpaca, quiz, telefilm, programma di cucina.
E dire che cercava soltanto qualcosa di sport da mettere al massimo volume – con conseguente cazziatone del proprietario al mattino dopo, ne era certo – per poter annegare nella birra e nell’apatia fino all’alba di una nuova, anonima, giornata.
Qualcosa da vedere che l’avrebbe lasciato con due bulbi oculari arrossati e l’ormai solita consapevolezza di non aver concluso nulla, ma almeno libero da qualsiasi tipo di ricordo che comprendesse anche lontanamente Kurt Hummel.
Qualcosa di sanguinolento come la boxe, che aveva imparato ad apprezzare da poco.
Qualcosa di totalmente apposto al notiziario di New York che si ostinavano a trasmettere pure a Lima nonostante non importasse nulla a nessuno e che – dannata televisione! – si vedeva pure male e dubitava che il colorito dell’inviato tendesse al bordeaux.
Bordeaux.
Non l’aveva pensato, no, Cristo. Prese un altro, lungo, sorso di birra e si costrinse a prestare attenzione allo schermo.
Un tizio dai capelli scompigliati e le occhiaie a malapena coperte non gli fece affatto rimpiangere di non aver intrapreso la carriera da giornalista televisivo. Sembrava stupido, tra l’altro, a sorridere in quel modo affabile alla telecamera quando era ovvio che avrebbe dato probabilmente anche le mutande per trovarsi altrove. Sorrise tra sé. Idiota. E tutto per una stupida intervista a…
- … ma ecco che in questo stesso istante sta uscendo Kurt Hummel, giovane e promettente protagonista dello spettacolo appena concluso scortato dalla sua guardia del corpo. Andiamo ad intervistarlo! -
E se David Karofsky non avesse avuto la mascella attaccata al resto del cranio, probabilmente se la sarebbe ritrovata a rotolare lì nei paraggi assieme alla bottiglia mezza vuota che si era infranta in mille pezzi sul pavimento facendolo sussultare.
Dio, ti prego, tutti ma non lui. Va bene chiunque ma lui no.
Ma nel mentre pareva essersi scordato come respirare, impallidendo ad ogni istante, Kurt Hummel entrava di diritto nell’occhio di vetro della telecamera che lo portò al centro esatto di quel televisione come di quello di chiunque altro fosse sintonizzato sullo stesso canale, rendendo ogni nottambulo spettatore partecipe del radioso sorriso che rivolse all’intervistatore.
Sorriso che fu come una stilettata in pieno petto.
- Allora Kurt, come ti senti dopo questa prima pazzesca? - chiese l’intervistatore con tono gioviale abilmente simulato portando il microfono vicino alle labbra del ragazzo che, sgranando appena gli occhioni cristallini, si sciolse in un nuovo sorriso prima di rispondere.
- Oh, benissimo, è stato meraviglioso! -
David deglutì tenendosi stretto ai braccioli consunti della poltrona con entrambe le mani quasi si trovasse sulle montagne russe, conficcando le unghie curate nella pelle ovviamente finta come a volerla squartare per raggiungere l’imbottitura.
La voce di Kurt, in tutti quegli anni, era rimasta la stessa.
Melodiosa, pacata, vivace. Piena di quella purezza che, nonostante fosse ormai un uomo maturo di ventisette anni, non aveva perso affatto. Il volto, invece, aveva abbandonato quei tratti morbidi e fanciulleschi per qualcosa di più adulto e definito, ugualmente scolpito nella porcellana e nel rossore delle gote che, alle parole dell’intervistatore e al di là dei colori cremisi della qualità scadente dello schermo, si erano tinte allo stesso modo di come erano solite fare nel ricordo sbiadito che aveva di Kurt adolescente.
La fisicità, ripresa a mezzo busto e nascosta da un grazioso cappotto grigio, appariva indefinita.
Ma David, fissando come in trance l’insieme di pixel che possedeva le fattezze di Kurt Hummel, non dubitò nemmeno per un istante che l’altro fosse cambiato dal corpo slanciato ed armonioso che possedeva in gioventù. Corpo sul quale aveva fantasticato nelle maniere più oscene possibili, vergognandosene subito dopo e sentendosi uno schifo per aver pensato in maniera così sporca a qualcosa di così candido ed ingenuo. Almeno fino a quei luminosi diciannove anni, dove gran parte delle fantasie che aveva avuto su Kurt si erano fatte realtà.
- Il pubblico è sembrato entusiasta della tua esibizione, non trovi? -
- Spero di essere riuscito a trasmettere loro tutto quello che questo spettacolo e cantare rappresenta per me, soprattutto. Pensare poi che siano riusciti ad emozionarsi grazie a questo mi riempie d’orgoglio! –
Ognuna delle parole che proveniva dal televisore e trasmessa lì da chissà quale intreccio di cavi elettrici ed aggeggi complessi sembrava provenire da una realtà ovattata e distante che non gli apparteneva e sulla quale si era affacciato senza averne il permesso.
Infondo, trattandosi di Kurt, il permesso non l’aveva mai avuto su nulla.
Persino quando nell’estate dei loro diciannove anni e dopo almeno due di amicizia il più piccolo era andato da lui all’improvviso, presentandosi sulla soglia di casa Karofsky con gli occhi lucidi ed il labbro inferiore tremulo degno della più teatrale Rachel Berry, urlandogli contro che non ne poteva più del suo “comportarsi da miglior amico” quando era palese che tra entrambi ci fosse qualcosa di più, baciandolo infine quasi con disperazione e rimanendo aggrappato alle sue spalle per godersi la sorpresa di Dave.
Solamente la loro rottura era stata tutta ed unicamente colpa sua.
- Perciò cantare è sempre stato il tuo sogno? -
Kurt sorrise, leggiadro. Non poteva essere vero. Non poteva essere lì, in quell’appartamento in affitto, ed allo stesso tempo essere così distante e radioso. A Dave girava la testa al solo guardarlo, perché quei tre quarti di birra non potevano aver avuto tale effetto.
- Sì, il mio sogno da sempre. -
E come pronunciate quelle parole, la voce di Kurt impegnata nel canto gli tornò alla memoria con la dolcezza e la limpidezza di quando, timoroso, andava a spiarlo in auditorium torturandosi le dita e pensando a quale scusa inventare in caso fosse stato scoperto, rosso di vergogna come nient’altro che il ragazzino che era.
Il suo sogno da sempre.
Glielo ripeteva spesso, se non sempre, con quegli occhi enormi che quasi luccicavano al pensiero dei sontuosi teatri nei quali avrebbe voluto esibirsi e alle successive interviste che avrebbe rilasciato, tenendogli strette le mani ruvide da atleta nelle sue e fantasticando su quello che avrebbe voluto fosse il loro futuro insieme, a New York, con David che gli faceva trovare un mazzo di rose bianche nel camerino alla fine di ogni spettacolo e lo baciava nemmeno fossero stati entrambi i protagonisti di una soap opera gay.
Il sogno che David, purtroppo, non avrebbe fatto altro che rallentare.
Il motivo per il quale l’aveva lasciato andare, perché rinchiudere a Lima Kurt Hummel e i suoi grandiosi sogni di gloria era troppo crudele perfino per essere pensato, e lui non era nessuno per impedirgli di realizzarsi così come aveva sempre sognato, sacrificandosi ad una routine mortificante che l’avrebbe visto spegnersi giorno dopo giorno per stare accanto a qualcuno che, amore a parte, non avrebbe saputo dargli nulla.
Quel qualcuno che, per il suo bene, poteva solo farsi da parte e lasciarlo brillare.
- Ma veniamo al gossip… è vero quello che si dice ci sia tra te e quel bell’uomo misterioso col quale sei stato fotografato solamente pochi giorni fa? –
E Kurt ridacchiò come dopo aver udito una barzelletta neppure troppo divertente, arrossendo appena mentre David, freddandosi sulla poltrona, percepì gli ultimi brandelli di cuore e raziocino andargli in frantumi. In tante piccole schegge simili a quelle di cui era pieno il pavimento sotto di sé – birra esclusa, però.
Kurt aveva detto di odiarlo per come l’aveva costretto a lasciarlo. Doveva tenerlo a mente.
Ma Cristo, non poteva negare che gran parte delle sue relazioni erano terminate perché, semplicemente, l’uomo che stava baciando non sapeva di Kurt. Non sapeva di vaniglia e pasta di dentifricio alla menta e non aveva quegli occhi azzurri da star male che Hummel utilizzava per leggergli dentro ogni volta che provava miseramente a nascondergli qualcosa. Quegli occhi che aveva visto accendersi più volte a complimenti impacciati e striarsi di grigio e lussuria mentre facevano l’amore.
E poi Kurt rispose che forse i paparazzi aveva un po’ esagerato la cosa senza però negare.
E d’istinto fu tentato a scagliare la bottiglia di birra rimasta contro il televisore, ricordandosi fortunatamente in tempo che non era suo e che Kurt poteva fare quello che voleva e che, probabilmente, non si ricordasse affatto di un David Karofsky qualunque che aveva scelto di mettere la sua felicità in secondo piano per lui come un martire d’altri tempi per il solo ritrovarselo lì, sorridente ed in televisione; immagine perfetta di tutto ciò che avesse sempre desiderato.
E Kurt intanto rimaneva al centro di quella cornice argentea che non rendeva giustizia alla sua pelle chiara, rispondendo alle domande classiche di qualsiasi intervista con fare professionale.
Era giusto così, pensò quando riuscì a farlo nuovamente.
Era stato giusto lasciare Kurt in malo modo per convincerlo a trasferirsi a New York senza un ulteriore peso sulle spalle. Giusto che Kurt lo avesse dimenticato da tempo e rivolgesse le sue attenzioni ad altri uomini senza paura di essere rifiutato. Giusto che non si ricordasse di lui e fosse diventato l’uomo e l’artista che aveva sempre desiderato essere.
- Perciò ti rivedremo ancora in qualche altro spettacolo? -
- Sì, indubbiamente. –
- Allora grazie ancora per averci dedicato il tuo tempo Kurt. –
- Figurati, è stato un piacere! Alla prossima. –
- Ed ora linea a te Rob per il servizio su… -
Spense il televisore gettando il telecomando in un angolo, privandosi della vista di quell’intervistatore dall’espressione forzata mentre il peso delle scelte fatte gli crollava addosso impietoso, costringendolo a seppellire il viso tra le mani come non faceva da parecchio tempo, piangendo la consapevolezza che avrebbe continuato ad amare Kurt Hummel probabilmente per il resto della sua patetica esistenza e dal basso di quella vita che era riuscito a risparmiargli ad ogni costo, pensando che se nuovamente necessario, avrebbe continuato ad allontanare Kurt per far sì che fosse felice con tutte le sue forze.
Perché David Karofsky non era mai stato un sognatore.
Ma avrebbe fatto qualunque cosa per vedere Kurt Hummel realizzare i propri sogni.


-
Ebbene, a volte ritornano (?).
Nel mio caso meglio di no, ma fa nulla.
Perciò che posso dire: credo nel Merzimio, Dave allenatore di football non mi piace particolarmente ma non sapevo che altro fargli fare per essere un bravo Lima Loser, amo suddetta canzone dei Placebo e sì, trovo sia dannatamente Kurtofsky perché è tragica il giusto. No, il bell’uomo misterioso di New York NON è Blaine - deal with it.
Chi capisce la cosa del “documentario sugli alpaca” guadagna mille punti. :3
E Azimio con la divisa da poliziotto non vi pare carino?
Oh, continuerò ad amare Kurt e Dave anche se Glee sta cominciando ad annoiarmi un po’ per tutto e spero di scrivere una Faberry, in futuro. (:

   
 
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