Certe mattine d’inverno, fredde e buie, la morte non appariva a nessuno come un evento così terrificante. In quei giorni gli esorcisti partivano circondati da una sorta di rassegnata comprensione. Quelli che restavano svolgevano i propri compiti come automi, senza metterci niente se non il peso stagnante dell’abitudine.
Certe mattine Lavi si svegliava e pensava che tutta la sua fatica nello scrivere la Storia fosse solo una bolla di sapone che sarebbe scoppiata da un momento all’altro. Scrivere la Storia… per chi? A cosa sarebbe servito? Tanto nessuno imparava mai niente dal passato. Era solo dolore che continuava a rivivere nei suoi ostinati rivoli di inchiostro.
In quei giorni, quando scendeva per la colazione, doveva sforzarsi molto per apparire vivace come al solito. Riusciva ad ingannare quasi tutti. Quasi. Solo Kanda non si faceva prendere in giro. Quando il “Buongiorno Yuu” gli arrivava come al solito a voce altissima, le sue sensibilissime orecchie coglievano subito quella nota appena meno squillante, quel residuo di sofferenza nella voce. Allora rispondeva, come sempre, “Non chiamarmi Yuu”, ma lo faceva guardandolo negli occhi, inchiodandolo a quel momento di buio, sfidandolo a smentirlo con qualche altro scherzo cretino, che non arrivava, perché Lavi ci moriva in quegli occhi che riflettevano il suo stesso dolore.
Allora le volte che arrivava l’annuncio: “Lavi, Kanda! Komui vi vuole nel suo ufficio”… era un sollievo. Si avviavano insieme, spalla a spalla,così vicini da sentire il calore l’uno dell’altro, ma senza toccarsi. Una chiamata di Komui voleva dire un’altra missione,e un’altra missione voleva dire un altro passo verso la fine e quando fossero tornati, se fossero tornati, si sarebbero fatti una bevuta  e avrebbero cercato di dimenticare insieme le battaglie e il sangue.
Meglio che stare lì a farsi domande che non avrebbero mai avuto risposta. Molto meglio.