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Autore: Melchan    03/01/2012    1 recensioni
"E' sempre la solita storia. Lui ama lei, che ama l'altro. E l'altro è quasi sempre il tuo migliore amico."
Invertendo l'ordine degli addendi il risultato non cambia.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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3.

 

 

 

 

 

"La violenza può avere un effetto sulle nature servili, ma non sugli spiriti indipendenti."

 (Benjamin Jonson)

 

 

 

 

L’ultima volta che erano usciti era partita con un disastro.

Mentre attraversavano il cortile talmente pieno di neve da non riuscire a camminare bene, Rose si era sentita chiamare. E aveva anche sentito un minuscolo nodo allo stomaco che non avrebbe mai ammesso a voce alta.

Sapeva già cosa stava per accadere, e sapeva anche che avrebbe preferito mangiare una Tuttigusti al cerume che affrontare ancora una volta William e i suoi dannati occhi.

- Rose! – l’aveva chiamata tutto allegro – Ehi Rose! Merlino, si gela qua fuori. –

Si era stretto meglio sciarpa e tunica intorno, poi aveva continuato a rivolgerle quel gran sorriso.

- Che ne dici di prenderci una Burrobirra? –

 

- Non saprei, Will. – Non capiva mai se chiamarlo col nomignolo migliorava o meno la situazione, se lo illudeva o lo rinfrancava. Se fosse giusto preoccuparsi dell’effetto che aveva una qualsiasi cosa su William Parkinson.

I nomignoli sapevano essere dannatamente frustranti.

- Forse più tardi. Dopo che ho comprato un paio di cose con… con gli altri. –

Stava cercando la voglia di guardarlo in faccia, mentre lo diceva, quando due o tre Grifondoro si erano avvicinate ridendo come cretine. Del resto sono cretine, si era detta, cercando di sembrare quieta come il lago ghiacciato a pochi metri da loro.

 

- Poverino. – ridacchiò una passandogli accanto.

- Parkinson, ma non lo sai che quando una donna dice dopo vuol dire mai e poi mai? – trillò l’altra, con il tono di voce più alto possibile.

- Non badarci. – aveva detto William, continuando a sorriderle come il ragazzo più allegro della Terra. – Sono solo delle stupide ragazzine che finiranno a lavorare in brutti negozi babbani o divorziate da politici ancora più brutti superati i quarant’anni. Ignorale. –

Era in momenti come quello che Rose trovava la prova che sì, quella di William era tutta una farsa, e no, il Cappello Parlante non aveva problemi di senilità e non aveva buttato un Tassorosso in bocca a quella Casa.

 

Gli aveva risposto con un verso senza significato e poi aveva tentato di sorridere anche lei.

Non era riuscita a guardarlo negli occhi nemmeno una volta.

 

Adesso che erano solo loro e il professore si sentiva leggera come se avesse perso dieci chili. L’idea di libertà che le trasmetteva essere fuori mentre il resto (tutto il resto) della scuola stava chiuso nelle aule le faceva venire voglia di ridere come una scema e buttarsi nella neve a fare angeli e casino.

Mentre Albus rispondeva a una domanda di Lumacorno che lei non aveva ascoltato, cercò Scorpius con lo sguardo. Avanzava con la schiena dritta, come se sapesse già dove la neve era più profonda, e non aveva detto una parola da quando avevano incontrato il professore davanti alla porta del suo ufficio.

- Scorpius, sembra che ti abbiano infilato una palla di neve giù per il maglione. Rilassati. –

Lumacorno scoppiò a ridere. - Il suo senso dell’umorismo zittirebbe chiunque, signorina Weasley. – diss, con un’allegria irritante che le ricordò gli occhi bovinamente felici di Will. La cosa triste secondo Rose era che anche lui ci credeva davvero, in quel che diceva. - Si dice che le donne adorino un uomo che le fa ridere, ma lei di sicuro è capace di fare per due. -

Mugugnò qualcosa, occupata com’era a liberarsi dal mucchio di neve dove si era impantanata e a prendere la bacchetta per impermeabilizzarsi le scarpe.

Forse nemmeno quella era poi una gran giornata. Trovava tristissimo che Lumacorno ridesse a battute che non facevano ridere solo perché le faceva lei, e demenziale l’uscita sulle donne, che era proprio del tipo che suo padre sciorinava di tanto in tanto.

A irritarla era soprattutto il fatto di sapere bene che razza d’idiozie fossero.

Teddy quando era piccolo e aveva una giornata di spiccato buonumore, riusciva a far sganasciare dalle risate gli adulti e a far divertire tanto i piccoli che quelli si dimenticavano di andare in bagno e finivano per farsi la pipì addosso.

Quello a cui succedeva più spesso era James, che aveva cercato di diventare anche lui un grande barzellettiere per tutta l’infanzia, fallendo miseramente e riuscendo a guadagnarsi solo pacche sulla testa di zii vari durante pranzi e cene di famiglia (quindi almeno una volta alla settimana) e frequenti “James, taci” da zia Ginny quando esagerava.

Quando si era reso conto che le sue speranze di imitare Teddy alla perfezione erano nulle aveva ripiegato sugli scherzi più di prima, e palesemente si era sentito molto più nel suo ambiente. Il fatto che di solito oltre a lui facessero ridere solo Teddy sembrava che fosse abbastanza.

Da questa storia Rose ne aveva ricavato la convinzione che James era proprio stupido, e che se le risate che Teddy le suscitava erano spassosissime ma molto rischiose per la sua vescica.

Adorava il suo l’umorismo, e adesso aveva risolto anche il problema del bagno, ma non aveva mai avuto una cotta per suo cugino più grande. Nemmeno per sbaglio.

Poi ovviamente era andata a Hogwarts, e aveva scoperto che gli occhi più seri e risoluti del mondo erano capaci di smontare definitivamente ogni leggenda metropolitana sui gusti di chi ha una vagina.

Un momento dopo si rese conto di aver messo le parole vagina e un’allusione a Scorpius nella stessa frase, e si sentì male.

 

- Professore, le va bene se una volta arrivati facciamo un giretto? Prometto che non compreremo Whisky Incendiario. -

Albus la guardò di sbieco. A volte si faceva schifo da sola.

- Vorrei ben vedere, Signorina! Comunque si può fare, su. L’idea è di tenervi vicini, ma con questo freddo un goccetto per scaldarmi non mi dispiacerebbe. Voi potete bere una Burrobirra mentre mi occupo di un piccolo affare ai Manici di Scopa. -

Come non detto, Rose a volte si adorava da sola.

 

Finirono per fare molto più che bersi una Burrobirra. Albus chiese il permesso di passare dal negozio degli zii, e lo ottenne da un Lumacorno molto allegro e molto ansioso di presentarlo al Medimago con cui stava bevendo e giocando a carte.

Quando riuscirono a staccare il professore dal suo pupillo il cielo ormai era di un bluastro chiaro, e i lampioni si erano appena accesi.

Rose era abbastanza sicura che se Lumacorno fosse stato del tutto sobrio non li avrebbe lasciati uscire da soli a quell’ora, ma per loro era meglio così.

 

Passarono subito dal negozio, senza restare molto perché Scorpius in presenza dei loro parenti diventava ancora più muto del soluto, e poi andarono a svaligiare Mielandia. Rose approfittò dell’occasione per comprare il manuale Incantesimi Perfezionati appena uscito, e Scorpius si prese del lucido nuovo per la scopa.

Si fermarono di fronte a un chioschetto a ruote per comprare delle cioccolate calde, e mentre Albus finiva la sua lei diede un'occhiata al nuovo manuale, appoggiata al muro accanto al baracchino: c'erano Incantesimi previsti solo per il secondo tremestre, e si buttò avidamente sulle istruzioni per uno di Mimesi, a metà tra il capitolo sugli Incanti di Veglia e quello sugli Incantesimi di Attrazione avanzati.

 

Si rimisero in marcia verso I Tre Manici di Scopa con i sacchetti di acquisti che sbatacchiavano sulle ginocchia, cercando di coprirsi la faccia con baveri e giacche. Si era alzato un vento da Nord che pungeva la pelle libera come un bisturi.

L’idea di entrare nel brutto a pochi metri dal pub fu, strano a dirsi, di Albus. Apparentemente venne fuori il suo istinto da gazza ladra.

- C’è qualcosa che brilla! – disse, e arrancò nella neve che si era accumulata ai bordi della strada per entrare nel vicoletto. A un’occhiata più attenta il brillio si rivelò un contenitore di caramelle di Mielandia che qualcuno aveva abbandonato lì.

Rose a quel punto capì che era saltato qualcosa. Tipo il cervello di suo cugino, che all'improvviso si comportava come un bambino di quattro anni che vede una cosa buffa per terra e la vuole. Le si rizzarono i peli del collo, come quando aveva i brividi o si sentiva osservata in una stanza vuota (con i fantasmi che c’erano a Hogwarts non era una cosa rara).

Arricciò il naso. “Andiamo, questo posto puzza.”

Non voleva fare la figura di quella che se la fa addosso nei vicoli bui, ma prima uscivano da lì prima il suo senso del pericolo avrebbe smesso di ronzarle nelle orecchie come un mezzo sciame di api isteriche.

Albus si era ficcato le mani sotto le ascelle per scaldarle. “Qui però non batte il vento. Aspettiamo un momento, se il Professore ci avesse voluto trovare lo avrebbe già fatto.”

“Possiamo andare nel locale, genio. È a mezzo metro, ci congeliamo l’anima e basta.”

 

Poi lo sentì anche Scorpius. O forse gli venne la stessa idea che colpì il cervello di Rose come un tram in piena fronte: Incantesimi Attraenti avanzati. Aveva letto pochi minuti prima, ma il suo istinto le urlava che se ne'era ricordata troppo tardi.

Scorpius disse “Via.”, e Rose si stava già girando quando l’aria davanti all’entrata del vicolo brillò, e il suo stomaco capì che da lì non sarebbe più uscito nessuno.

“Che diav-“

Li vide piovere giù come gigantesche e orribili gocce umane. Erano due uomini, stupidamente simili a Stanlio e Olio. Uno grasso e uno magro, ma chissà perché dubitava che volessero farli ridere.

Atterrarono con l’agilità di chi è allenato a saltare da altezze sconsigliabili, e Rose non fece in tempo a estrarre la bacchetta dalla tasca della divisa che Scorpius le diede uno spintone. Picchiò la faccia contro il muro di mattoni, finendo nell’angolo tra il muro normale e quello magico (il rimbalzo che ci fece il suo braccio le confermò che c’era), ma quando si toccò il mento d’istinto vide che non c’era sangue. I suoi sacchetti si sparpagliarono sulla neve.

 

Lo chiamò prima di cercare la bacchetta. “Albus.”

Vide che era finito dall’altra parte del vicolo, con la sua bacchetta in mano e la faccia spaventata e determinata insieme. Più spaventata, però. Senza nessun motivo le venne in mente di quando avevano saltato la corda in giardino a sette anni, e lui era inciampato e si era messo a piangere, anche se non voleva. Aveva ripreso a saltare con la faccia accartocciata per il male e non aveva smesso finché non era riuscito a fare dieci salti di fila, come faceva lei.

In effetti forse c’era un motivo, se le veniva in mente proprio adesso.

L’uomo che gli stava davanti, un tizio di cui Rose non riusciva a mettere a fuoco la faccia, urlò Expelliarmus e poi lo prese per la collottola. Vide la bacchetta di Albus rimbalzare sul muro invisibile dietro di lui e finire sulla neve.

Mentre suo cugino cercava di strattonargli via la mano l’uomo puntò la bacchetta contro di lei e urlò Incarceramus. Rose sentì le catene affondarle nella carne, nonostante gli strati di vestiti in mezzo. Si rese conto di non aver mai avuto paura in vita sua, non davvero, e che solo adesso si stava facendo un’idea di cosa volesse dire.


Poi si ricordò che anche lei aveva avuto una bacchetta magica con cui fare cose orribili alla gente, e si dimenò per sentire dove era finita. Si accorse di non averla più addosso.

Doveva essere caduta quando Scorpius l’aveva spinta indietro.

Si sforzò di non cedere al panico totale e si guardò intorno per capire cosa stava succedendo ancora: Albus continuava ad agitarsi tra le mani del tizio che lo aveva afferrato per il collo della divisa, che sembrava divertirsi a guardarlo annaspare e dimenarsi, come un coglione di cattivo da cartone animato babbano. Sembrava trovarlo troppo comico anche solo per legarlo come aveva fatto con lei.

 

Scorpius invece si urlava incantesimi con quello che doveva essere l’intelligente della compagnia, il tizio magro. Vide che occhi spiritati aveva e pensò che non doveva essersi aspettato la complicazione di un quattordicenne cresciuto in una famiglia che insegnava incantesimi di Magia non propriamente bianca ai suoi pargoli come fossero Lumus.

Ma la cosa davvero importante era che Scorpius era agile. Schivava i getti d’incantesimi, che andavano a sfracellarsi sui muri di mattoni o in aria (il tizio aveva abbastanza cervello da non lanciarli alla cieca e rischiare di colpirsi da solo), e rispondeva con altri che Rose non riusciva ad afferrare. Le fischiavano forte le orecchie.

Sentì bene invece il cuore sbatterle ancor più in gola quando Albus le finì accanto, buttato contro il muro come un sacco di stracci vecchi. Aveva la faccia rossa come una mela, e gli occhi verdi gli brillavano come quando aveva la febbre.

Cercò subito di alzarsi, tirando allo stesso tempo una delle catene che la stringevano per cercare di liberarla, ma l’uomo che lo aveva scaraventato lì li raggiunse in un passo e gli annodò le braccia dietro la schiena.

Rose sentì le ossa delle spalle scricchiolare come bastoncini di zucchero spezzati a metà.

 

Albus voleva sempre la parte curva.

 

 

“Lui lo aprirò in due. Le rosse si vendono benissimo.” Disse quello, ridendo come un giullare ritardato.

Strinse più forte le braccia di Albus e lui urlò.

 

Imperio!”

Rose sentì la voce dell’uomo che duellava con Scorpius urlare l’Incantesimo come se si stesse strozzando con la voce.

Aveva colpito Scorpius al petto.

Albus invece cercava di non dire niente, ma le braccia dovevano fargli così male che continuavano a uscirgli di bocca lamenti strazianti.

Lei non disse niente; non lo aveva ancora fatto, dopo aver chiamato Albus, perché sapeva che era sarebbe stato inutile e al massimo avrebbe peggiorato la situazione. Fissò Scorpius, invece, per cercare di capire se e quanto riuscisse a opporsi all’Imperio: aveva gli occhi furibondi e stava immobile con le braccia abbandonate lungo i fianchi, la bacchetta ancora stretta nella mano sinistra. Ne dedusse che aveva i movimenti bloccati, ma non il cervello, o almeno non tutto quanto.

Il tipo che aveva incantato Scorpius si stava asciugando la fronte madida di sudore con una manica, e nel mentre lo fissava. Rose si rese conto solo dopo qualche secondo che doveva essere per mantenere il contatto visivo e non far indebolire l’Incantesimo. Aveva pensato d’istinto a qualche ragione romantica, tipo il cattivo che osserva con odio il suo rivale anche dopo averlo battuto.

Nella testa si urlò della stupida.

 

Lo vide digrignare i denti. “Razza di idiota, stendi il ragazzino!”

“Non ci penso proprio” protestò quello grande e grosso che teneva stretto Albus. “Questo cosino è divertente. Voglio…”

 

Il capo continuò a fissare Scorpius negli occhi, che sembravano enormi, e lo interruppe alzando solo una mano.

“L’hai già detto, non me ne frega un cazzo. Scordati di fare qualunque cosa prima di ritornare indietro.”

 

“E con Malfoy?”

“Lo schianto dopo, a questo punto.” rispose, senza staccare gli occhi da quelli di Scorpius “È il più stronzetto dei tre. Ti ricordi cosa pensano i Malfoy dei sangue sporco, no? Sono anche peggio di quell’altra feccia.”

L’uomo più grosso grugnì, e diede uno strattone ad Albus, come se si fosse ricordato di qualcosa di spiacevole che lui gli aveva fatto.

Albus non riuscì a ingoiare un grido.

 

“Voglio fargli vedere.” Continuò “Se gli capiterà di tornare a casa avrà tante cose da dire a mamma e papà su quello che sanno fare i figli di babbani con una bacchetta in mano. Adesso Schianta gli altri due.”

 

E Albus gridò di nuovo, le prime parole intellegibili da Aspetta un momento: “ROSE, CE L’HO FATTA!”

Si girò di scatto, ma vide che non era cambiato nulla tranne la faccia di Albus, che adesso la fissava con gli occhi sgranati come quelli di Scorpius.

Era un’idea idiota che poteva funzionare solo con degli idioti, ma non le venne in mente niente di meglio.

Prima che la voce di Albus si spegnesse tirò lo strillo più alto che le riuscì, senza sapere se questo rendesse la recita più convincente o più demenziale: “Adesso, Albus!”

Forse lo avevano infastidito le grida e lui non era abbastanza addestrato a concentrarsi sulla sola cosa importante. O forse aveva creduto davvero che avessero trovato un modo per liberarsi, ma il risultato fu lo stesso: girò lo sguardo su Albus.

La testa no, ma la catenella che lo univa a Scorpius si spezzò.

Fu abbastanza.

Rose guardò Eagle puntargli addosso la bacchetta e gridare Expelliarmus, correre verso la bacchetta mentre l’uomo magro si fissava la mano vuota con le dita ancora piegate. La prese mentre rimbalzava sul muro (Rose non aveva idea di quanto c’entrasse la fortuna e quanto l’attenzione alle traiettorie di Scorpius), poi la spezzò in due.

 

Il colorito pallido dell’uomo che aveva tenuto sotto Imperio Scorpius per quanto?, due minuti?, divenne cereo.

Mentre Scorpius gli puntava la bacchetta addosso sputò “merde, purosangue di merd…”, e prima che la parola finisse era scomparso.

Scorpius non perse tempo e pronunciò Pietrificus Totale, con la bacchetta puntata contro quello rimasto, che aveva dimostrato ulteriormente il suo acume restando a guardare lo svolgimento degli ultimi dieci secondi a bocca aperta.

Se fosse stato solo un po’ più sveglio sarebbe potuto finire tutto in modo molto poco romanzesco, ma non lo era.

 

Capita anche questo, allora.

 

 

Rose si sentiva muta. Non riusciva a nemmeno ad aprire la bocca.

Mentre l’uomo cadeva a terra come un morto, lasciando libere le braccia di Al, Scorpius indirizzò la bacchetta sul suo petto e disse “Diffindo”. Si sfracellò sulla neve, letteralmente, come se invece di esserne stato liberato il suo corpo avesse ceduto a un peso improvviso. L’angolo del suo libro le premeva contro una guancia.

Accanto a lei Albus si stava toccando le spalle, come se temesse che fossero scomparse mentre non poteva controllarle.

Lei aspettò che la sensazione di pesantezza diminuisse un briciolo e con gli arti che pulsavano raccattò la sua bacchetta dalla neve.

 

 

Scorpius era immobile, in piedi.

Guardava il corpo dell’uomo steso a terra, a cui minuscoli fiocchi di neve finivano sulla faccia enorme.

Rose si schiarì la voce, per cercare di allontanare la sensazione di mutismo. Non sapeva cosa ci fosse da dire, ma quel silenzio era spaventoso.

Era sicura, sapeva, che non avrebbero potuto trovarsi in un momento peggiore di quello.

Aveva ascoltato le storie dei suoi e dello zio un mucchio di volte, ma una parte di lei, sotterrata, e potente, le diceva che niente poteva essere peggio di quello che stava succedendo.

 

Sì schiarì di nuovo la voce, per dire ”Scorpius” adesso, ma non fece in tempo.

                                                                                                         

- Scorps. –

Albus stava fermo in piedi, e guardava Scorpius. Aveva appena detto l’unica cosa che potesse dimostrare che la parte sotterrata e potente di Rose si sbagliava completamente.

Rose lo guardò. Sentiva la gola secca, oltre alla voglia di urlare contro Al. Era di nuovo del tutto in possesso delle sue facoltà verbali.

 

 

Si era sentita sola per il primo mese di scuola al primo anno, e in nessun’altra occasione per tutti i suoi quattordici anni di vita. Perché c’era sempre stato Al.

Ma quando lui, proprio lui, diceva quell’unica parolina di sei lettere, a Rose sembrava che qualcuno le ficcasse una mano schifosa e ossuta nel petto e le strattonasse quel che c’era dentro per portarglielo via e farla affogare nel suo stesso sangue.

Avevano appena vissuto un tentativo di rapimento (nel migliore e più improbabile dei casi), si era sentita spersa nell’Universo mentre stavano tutti e tre lì ritti come statue a guardare un criminale rincoglionito e violento steso da un Incantesimo che si impara al primo anno, e lei si sentiva morire perché Albus aveva chiamato Scorpius Scorps. Sapeva che miserabile era la parola giusta per definirsi.

 

Ogni cosa la facevano in tre, prima l’avevano fatta in due. Da quando avevano cominciato a stare insieme se avevano lezioni diverse parlavano attraverso due pergamene che Scorpius aveva incantato apposta. Dormivano sul prato incrociandosi le gambe tra loro. Rose aveva accarezzato i capelli biondi di Scorpius tutte le volte che era stata sicura che lui fosse addormentato e Albus non stesse guardando, Scorpius sapeva che aveva delle mutandine coi cuoricini e lei che Albus non aveva mai baciato una ragazza.

Ma c’era una sola persona al mondo che chiamava Scorpius Scorps, e non era lei. Ecco tutto.

Un nomignolo simpatico, nient’altro che una cosa giocosa e che avrebbe dovuto divertire tutti, o al massimo scatenare un’atmosfera di complicità generale, le faceva solo venir voglia di urlare.

 

Guardò Al tirare Scorpius per una manica dell’uniforme, per convincerlo a venire via. Guardò Scorpius, che lei aveva provato a strappare da lì nel momento giusto e nello stesso identico modo, guadagnandoci una spinta all’indietro, per essere protetta, come una stupida fanciulla in difficoltà buona solo a guardare il suo amore che duella per lei. Lo fissò mentre si voltava verso Albus e recuperava uno sguardo umano, o quantomeno vicino a quello che era tipico di lui.

 

- Andiamo a casa. - disse Albus. Cercava di tenere un tono determinato, ma sembrava che gli tremassero le corde vocali. – Non mi piace qui, e nemmeno a Rose. Andiamocene via. –

Scorpius lo ignorò. - Ti ha fatto del male? - chiese, come se non avesse già deciso la risposta.

Albus scosse la testa. – Non è nulla. Andiamo via e basta. Lasciamolo qui. -

 

Scorpius guardò ancora l’uomo per terra. Aveva gli occhi dilatati e la stessa espressione di prima, ed era ovvio, visto che si trovava sotto Pietrificus Totale. Ma Scorpius lo guardò lo stesso, come se volesse essere sicuro di memorizzare i suoi lineamenti, dal naso storto agli occhi così chiari da sembrare ciechi.

Non abbassò la bacchetta.

 

Rose sapeva cosa stava pensando, e lo sapeva anche Albus.

 

Faceva lo sbruffone.

Voleva farci paura.

Quello pericoloso era l’altro.

È un idiota.

 

Era tutto vero, e a Scorpius non importava niente.

“Lui lo aprirò in due. Le rosse si vendono benissimo.”

Lo aprirò in due.

Lo aprirò in

Le rosse

- Scorpius, ti prego! Scorps, andiamo a casa… -

 

Rose sentì della bile risalirle lo stomaco e bruciarle la gola come vomito rancido. Fece un verso orribile mentre Albus stringeva forte il braccio di Scorpius e spingeva la faccia contro la parte più alta del suo braccio che riuscisse a raggiungere.

- Ti prego, andiamo. –

 

Scorpius non lo guardò. Non serviva. Con gli occhi che le lacrimavano per il sapore che aveva in gola Rose lo vide ficcarsi la bacchetta in tasca, girarsi mentre Al lasciava andare il suo braccio con la manica macchiata dove prima aveva pigiato gli occhi.

Rose chiuse i suoi.

Sì lasciò sollevare, non fece un verso.

 

Quando fu sicura che la voce le reggesse, disse: “A Lumacorno diciamo che sono inciampata.” Scorpius non rispose, continuando a tenerla come se la neve non rendesse una fatica assurda portare una persona a braccia.

Albus usò la mano libera dai loro sacchetti di acquisti fradici per prenderle un momento una mano, e gliela stritolò.

Rose pensò solo che era davvero in una situazione di merda.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note di Melchan:

Ecco la terza e penutilma parte ^^!

Spero qualcuno ne sia contento xD

 

A questo proposito, ragazzi, parliamonr un attimo: io lo so che la sezione HP qui è quello che è, e infatti nemmeno sono così scema da rimanerci male solo perché non raggiungo le millemila letture con la mia fic piccia a rating né carne né pesce (imho il giorno in cui uno pubblica con quell'angoscia gli conviene cercarsi qualcosa di diverso da fare che non gli causi pare).

Il fatto è che non riesco a capire se continuare a pubblicare i capitoli qui abbia senso o no °_°'' Nel senso, se la fic non piace o altro è comprensibilissimo, solo che se non me lo dite io non lo posso sapere, e quindi continuo a pubblicare sperando in bene e col dubbio che stia facendo schifo a tutti quelli che provano a leggere ''XDD Quindi se mi sto rendendo un unt antino ridicola nel perseverare nel caso perfavore ditemelo, okay? Okay.

Scusate, è solo che questa situazione mi confonde x_x

Spero di capirci qualcosa a breve, intanto vi saluto :3


  
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