Sbatti la porta e corri.
 
Corri, via da quella casa, via da quel ragazzo cresciuto troppo in fretta, troppo simile ai genitori che non ha mai conosciuto.
Corri, senza aver scelto una meta precisa, ma consapevole che i tuoi piedi ti stanno portando dove devi andare.
Corri mentre inizia a piovere, e i ricordi ricominciano a bombardarti.
«Remus, basta! Non ci farai del male, smettila di nasconderti dietro questo tuo dannato problema, smettila di credere che tu sia solo questo. Piantala di fare il codardo e torna a vivere!». Le voci di Sirius e James ti risuonano prepotentemente nelle orecchie, a distanza di anni, come non ti succedeva più da mesi. Ti butti letteralmente, in un vicolo stretto, buio, isolato specchio di te stesso negli ultimi anni. Ti accasci, con le gambe improvvisamente molli e il corpo pesante contro un freddo muro di mattoni, fino a ritrovarti seduto, le ginocchia contro il petto, la testa ciondolante.
Tossisci, ancora e ancora tentando di riprendere fiato, mentre il respiro diventa un singhiozzo disperato.
Piangi, e ti ritrovi a sbattere la testa contro il muro per il dolore dei ricordi.
Le loro voci ti rimbombano ancora in testa quando cominci ad alternare piano i loro nomi, sussurrandoli alla pioggia che cade incessantemente intorno a te: «Sirius, James, Lily» ancora e ancora.
 
«Guardami, non mi farai male, Remus» una nuova voce, nuovi ricordi, stavolta più recenti.
«Aspetto un bambino» l’attimo più felice della tua vita, che si trasforma, qualche istante dopo, in quello più triste. Dubbi, incertezza, consapevolezza sensi di colpa si insinuavano in te ad una velocità devastante, distruggendoti.
Uno, due, tre giorni, vissuti come un fantasma; il suo sguardo preoccupato perennemente fisso su di te mentre il tuo vagava senza sosta, nella stanza, su qualsiasi cosa che non fosse la ragazza e il suo bambino.
Lei, tua moglie.
Lui, tuo figlio.
Quattro giorni e te ne sei andato, oppresso dai sensi di colpa. Una missione per l’Ordine, due, tre; sono passate solo tre settimane e quattro giorni: a te sembrano un eternità…
E poi questa mattina in Grimmauld Place. Qualche quarto d’ora, qualche parola, uno scambio di notizie, una discussione. Uno Stupeficium non gridato, solo pensato qualche attimo, un tempo però sufficiente a far partire l’incantesimo contro il ragazzo colpevole solo di averti sbattuto in faccia la verità: codardo.
Piangi e ti rendi conto di questa verità.
Piangi e ti accorgi di tutto il tempo perso.
Piangi, chiedendoti con che coraggio ti presenterai di nuovo davanti a lei.
Lei, quella che avrebbe dovuto esitare, aver paura, scappare.
Lei che ti ama come pochi hanno fatto, che ti ha accettato senza mai porsi problemi, domande, dubbi.
Lei che aveva fatto la scelta che quasi nessuno avrebbe fatto, sposandoti, desiderando un figlio da te.

Ti rialzi e ricominci a correre.

Corri e stai tornando da lei.
Corri e sai che l’ami.
Corri perché accarezzerai tuo figlio.
Corri e sai già di amarlo come ami solo lei.
Corri e stai tornando a casa .
Corri e niente ti rende più felice.
Corri e ti senti giusto perché lei ti vorrà sempre.
Corri, piangi, ridi e non c’è niente di più bello al mondo.
 
Corri e ti senti vivo come non lo eri da tempo.