Libri > Amelia Peabody - serie
Ricorda la storia  |      
Autore: Kikka_11    04/01/2012    3 recensioni
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao a tutti lettori e lettrici (spero tanti!)… questa one-shot è una rielaborazione, secondo la mia contorta mente, di un pezzettino del libro “Il Flagello di Horus” della serie Amelia Peabody di Elizabeth Peters: i protagonisti, in questo caso, sono Ramses e Nefret (capirete chi sono leggendo ^.^).
Ora non so quanti di voi siano a conoscenza di questa serie… qui in Italia purtroppo non è molto conosciuta… Sono libri che sono perlopiù ambientati in Egitto (terra che amo con tutta me stessa) a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. La famiglia Emerson viene dall’Inghilterra vittoriana, ancora pervasa da una mente maschilista e piena di ristrettezze per le donne. Ma per fortuna Amelia (il racconto è narrato da lei) è contraria a tutta l’ingessata società inglese, è più di lei il marito Radcliffe. Non vi chiedo di fidarvi di me, perché il mio giudizio è ormai super di parte e positivissimo, ma posso solo invitarvi a cercare i primi volumi di questa serie e a leggerli. Ne resterete davvero meravigliati e piacevolmente sorpresi :):)
Dopo tutta la filippica vi lascio alla lettura, sperando che vi sortisca qualche curiosità e vi piaccia!
Commentini graditissimi :) grazie :)
 
Ps. Le parti in corsivo sono direttamente prese dal libro.
 
 
Da sempre e per sempre.
 
Walter Peabody Emerson, o meglio Ramses  (era così che lo avevano soprannominato sua madre e suo padre fin dalla sua infanzia per via della somiglianza con il famosissimo faraone… ed era così che ormai quasi tutto l’Egitto lo conosceva) dava le spalle alla saletta che si apriva sulla sua stanza.
Stava ritto di fronte alla finestra, con le gambe divaricate e le mani incrociate dietro la schiena. I suoi bei occhi scuri scrutavano l’orizzonte diviso tra l’arsura del deserto e il cielo color cremisi del tramonto; le sue sopracciglia scure e pesanti, che molte volte sembravano nascondere lo sguardo, erano perfettamente distese come le labbra sottili: non esprimevano la tempesta di sentimenti che gli si rivoltava dentro. Cercava un movimento, un ombra lontana che lo potesse avvisare dell’arrivo dei suoi genitori, recatesi al Cairo il giorno precedente. Sua madre per indulgere in “amichevoli incontri sociali” allo Shepheard, e suo padre per consultare qualcuno del German Institute…
Non era solo lui ad essere conosciuto per tutto l’Egitto, ma tutta la sua famiglia: il padre, Radcliffe Emerson, era il più grande egittologo inglese di sempre, soprannominato Padre delle Imprecazioni (non per caso) e sua madre, Amelia Peabody era…beh era una forza della natura che attirava sempre guai. Lei e la sua mania di calarsi nei panni dell’investigatrice li avevano resi famosi non solo per il merito di aver portato alla luce antiche ed inestimabili tracce della civiltà egizia, ma anche per aver risolto diversi casi e catturato malvagi assassini.
Di solito lui e la sua famiglia passavano le stagioni invernali in Egitto sul sito di scavo a loro assegnato, mentre d’estate ritornavano in Inghilterra.
E poi oltre loro c’era Lei, Nefret, sua ‘sorella’.
Una brezza calda gli sfiorò la pelle abbronzata, troppo spesso scambiata per quella degli egiziani e piacevolmente per quella del suo miglior amico e fratello (non di sangue) David; i folti riccioli scuri si scompigliarono e una piccola, impercettibile curvatura mosse le sue labbra; un accenno di sorriso.
Inspirò profondamente l’aria dolce della sera e il suo pensiero andò inevitabilmente a lei, chiusa nella sua stanza in quel momento. Nefret Forth si era unita alla loro famiglia quattordici anni prima, quando, lui sua madre e suo padre erano partiti per rintracciare i genitori della ragazza (vecchi amici di famiglia). Dopo essersi persi nel deserto della Nubia, ormai ritenutisi spacciati dopo la morte dell’ultimo cammello, erano stati recuperati e condotti in un oasi remota dove sopravvivevano ancora le ultime vestigia della civiltà meroitica.
Scoprirono solo allora che coloro che stavano cercando di salvare non c’erano più. Invece trovarono la loro figlia che avevano molto appropriatamente chiamato Nefret, “bella” in lingua egizia: li aspettava in un luogo nascosto per sfuggire alle maligne intenzioni del suo fratellastro ed è lì che Ramses la vide per la prima volta. Nel suo villaggio era considerata l’alta sacerdotessa della dea Iside, non a caso: la sua pelle avorio, la cascata di riccioli dorati e ramati, gli occhi color del fiordaliso la facevano sembrare realmente eterea.
Ramses inspirò ancora a fondo ripensando al primo loro incontro e all’evoluzione del loro rapporto fino alla sera prima.
Chiuse gli occhi e si lasciò pervadere dal ricordo della scena che gli si era parata di fronte quando stava tornando verso casa, dopo essersi recato al Cairo. Aveva notato la presenza di un cavallo appartenuta ad uno degli elementi della famiglia di sua madre che più odiava, il cugino Percy. Sapendo Nefret da sola in casa si precipitò su per le scale e aprì di colpo la porta. Vide lei fra le braccia di lui divincolarsi e rimanere di sasso per la sua comparsa.
Il viscido cugino riuscì a stamparle un bacio sulla bocca approfittando della sua distrazione…
Dopo, tutto per Ramses divenne nero e rosso. Attraversò la stanza a grandi falcate e prese Percy per il colletto e per la cinta dei pantaloni e lo scaraventò dall’altra parte della stanza, sostenendo poi Nefret con un braccio per non farla cadere. Sentì poi due tonfi sordi: uno contro la libreria e uno sul paviemento. Si girò per vedere il cugino lamentarsi e grugnire a carponi, mentre si tratteneva un fianco con il braccio. se Nefret non gli fosse rimasta così saldamente attaccata, l’avrebbe raggiunto e ucciso…
“Lasciami” disse Ramses. “E non prenderti la briga di fingere uno svenimento. Mi hai strappato la camicia e credo che le trafitture che sento al collo siano opera dei tuoi denti”.
“Allora mettimi giù”  rispose lei.
Il ragazzo non si era accorto che non l’aveva semplicemente trattenuta, impedendole di cadere per terra, ma l’aveva anche sollevata.
“Oh spiacente”disse mentre la deponeva per terra.
“No, non sei ferito”disse ispezionandogli la gola (Nefret studiava medicina e impiegava tutti i suoi sforzi per combattere la società maschilista inglese che non ammetteva le donne allo studio della chirurgia, restrizione che lei aveva ampiamente sorvolato grazie al suo travestimento da giovinetto inglese).
“Vuoi riprovarci, per caso?”
“Piantala!”  gridò Nefret prendendolo per le spalle e cercando di scrollarlo. “Non puoi riconoscere una volta nella vita che sei anche tu un essere umano, con emozioni umane? Volevi ucciderlo. L’avresti ucciso. Dovevo impedirtelo, in qualunque modo”.
“Perché?”esordì Ramses fissandola. Lei spalancò gli occhi fece un passo indietro e improvvisamente alzò una mano per colpirlo, ma lui la bloccò subito.
Immagino che questa sia una risposta”.
Lo sguardo del ragazzo si spostò sul collo di lei scendendo sul suo corpo snello e flessuoso. Osservò lo squarcio nella camicia che le arrivava fino alla vita, esponendo alla luce della luna la pelle chiara del petto, accanto al seno.
Tutte le barriere che si era creato per quattordici anni, il suo auto convincimento del fatto che lei fosse solo sua sorella, che le volesse bene solo come una sorella, tutto stava crollando in quel momento. Se solo lei se ne fosse andata e avesse smesso di parlare e toccarlo, se gli avesse dato la possibilità di riacquistare il controllo… Si voltò di scatto verso la finestra per non tradirsi perché in quel momento non riusciva più a trattenere i suoi sentimenti.
Respirando a fondo ricompose la maschera sul suo volto.
Nefret si accorse dei lembi strappati e accostatoli disse “Vado a cambiarmi. Resterai qui, vero? Non te ne andrai?”.
“Resto qui”rispose lui ancora di spalle.
Poi Ramses lo sentì, sentì quel suono, quel sospiro, quel mezzo singhiozzo e si voltò. Gli bastò vedere il suo viso per rimanere completamente senza fiato. I riccioli scompigliati le ricadevano sulle guance arrossate… aveva gli occhi lucidi e il labbro tremante. Sarebbe stato impossibile sbagliarsi sul significato di quell’espressione. Quell’espressione che Ramses aspettava da sempre di vedere. Sapeva che se si fosse mosso se la sarebbe ritrovata subito fra le braccia, ma si costrinse a restare dov’era. Il passo, quello decisivo, quello mancante, quello che lui voleva disperatamente doveva farlo lei.
Tutte le difese erano completamente andate, sparite, dissolte come un’onda che si scaglia su di una spiaggia piena di scritte che recano regole ed imposizioni, e le distruggesse tutte, in un sol momento.
Ramses allungò un braccio “Vieni qui” disse. “E’ troppo tardi sai” esalò con voce sommessa “Troppo tardi per me, qualunque cosa tu decida. Non puoi almeno venirmi incontro a metà strada?”.
Non era passato neanche un secondo da quando finì di dirlo a quando si ritrovarono l’una tra le braccia dell’altro a iniziare quello che Ramses aveva immaginato solo nei suoi sogni più felici. La baciò, assaporò finalmente quella piccola bocca di rosa. Restarono così per non si sa quanto tempo e solo quando bussò Fatima, la domestica, per il pranzo, si accorsero che era già mattina tardi.
Lui la baciò di nuovo e poi la allontanò delicatamente.
“Le dirò fra dieci minuti. Ti sono sufficienti?”chiese lui.
“Si. No. Dille… dille che non vogliamo cenare. Dille di andarsene”.Ramses rise per quell’affermazione, ma le disse “E’ meglio se vai a cambiarti, tesoro. Presto mio padre e mia madre saranno qui”. Lei annuì e sorrise.
Era bella e sua, bella e sua come non lo era mai stata…
Il ragazzo riaprì gli occhi destato dal rumore di zoccoli che si stavano avvicinando. Difatti una carrozza si stagliava contro il cielo come una sagoma nera, deformata dal calore che saliva dal terreno arido.
Ramses era sicuro. Non voleva più aspettare. Ormai non gli importava più nulla; niente si poteva frapporre tra loro, né le imprecazioni di suo padre, né lo shock di sua madre.
Sentì aprirsi una porta alle sue spalle, si voltò, e vide Nefret in tutto il suo splendore: i capelli oro di nuovo raccolti elegantemente, un vestito color avorio che le fasciava il corpo e una fascia alta, color dei suoi occhi, stretta in vita. Si avvicinò a lui sorridendo radiosa, lo prese per mano e gli disse solamente “Ti amo”.
Lui la guardò, sorrise (come gli veniva facile adesso, forse perché finalmente aveva trovato la sua felicità?) e le rispose “Ti amo”.
Scesero le scale quasi di corsa, beandosi della conoscenza del loro amore e della loro complicità.
Entrarono nella corte dove il padre sedeva su di una poltrona, masticando il cannello della pipa, e sua madre seduta sul divano li guardava intensamente. Quanto aveva già intuito da quelle loro dita intrecciate?.
“Ramses, Nefret, che succede?” chiese Amelia. Il professore alzò di scatto lo sguardo dal suo amato taccuino allarmato dalla richiesta formulata con un tono così intenso.
I due ragazzi si guardarono, poi Ramses, sentendosi pervadere da un onore e un orgoglio intenso e profondo aprì bocca e disse quello che avrebbe voluto dire da anni nei confronti della donna che aveva desiderato come nessun’altra.
“Mamma, papà… Nefret ed io ci sposiamo”.
 
 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Amelia Peabody - serie / Vai alla pagina dell'autore: Kikka_11