Questa
è una Dubhe/Learco ambientata in un punto imprecisato
del terzo libro delle Guerre, prima del loro matrimonio, che ho scritto
appena
ho finito di leggere quel libro quindi un po’ di anni fa
ormai. Andrebbe rivista
un po’ ma l’avevo scritta di getto e ci tengo a
postarla così come mi era
venuta.
Premetto però che sono letteralmente innamorata
di questa coppia - sì, mmm, di Learco in realtà J
– perciò spero che vi piaccia :)
Buona lettura (spero) e uno stupendo anno nuovo a tutti!
Fede
Lei non faceva rumore. Mai
Un altro passo, poi si
fermò.
Aprì le orecchie, in attesa.
Solo silenzio.
Anche se davvero avessi sentito qualcosa,
si disse sospirando, non poteva essere
lei.
Lei non faceva rumore. Mai.
Riprese a camminare, il silenzio rotto solo dai suoi passi sulle foglie
secche.
Diamine però. Doveva
essere lei per
forza.
Non c’era un rumore, un’ombra, un indizio che
indicasse che lei era li.
Ma lui lo sapeva.
Lo capiva da come gli batteva il cuore.
Lei era lì.
“Dubhe” chiamò incerto, girandosi.
Un’aquila planò all’improvviso con un
fischio,
facendolo sobbalzare.
Di nuovo silenzio. Solo quel sordo, stramaledettissimo silenzio.
Sospirò.
“Dubhe, so che sei qui” provò di nuovo.
Niente.
Stupido, si disse.
Si voltò, un macigno al posto del cuore, e
proseguì.
Iniziò a piovere, e le gocce d’acqua si
mischiarono alle sue lacrime.
Stupido.
Dubhe si coprì
gli occhi con le mani, appoggiandosi al
tronco di un grande albero.
Non poteva continuare così.
Lo seguiva da giorni ormai, e ancora non aveva trovato il coraggio di
mostrarsi.
Lei, che non trovava il coraggio.
Assurdo, pensò.
Ma lui non doveva vederla.
Eppure voleva.
Voleva che si girasse e la trovasse.
Aveva perfino fatto rumore.
Lei, che non faceva rumore.
Mai.
Eppure aveva spezzato un ramo nascosto sotto il tappeto di foglie
scricchiolanti, mentre camminava.
Volutamente, le ricordò
una vocina
nella sua testa.
Scosse la testa, come per scacciare quel pensiero.
E riprese a seguirlo.
Anche con il rumore della pioggia battente, lo sentiva piangere.
Il suo udito non la tradiva.
E il suo cuore neanche.
Pianse anche lei.
In silenzio.
Perché lei non faceva rumore. Mai.
Arrivato alla piccola
capanna di legno, Learco si fermò.
Salì i quattro scalini che conducevano alla porta e si
fermò di nuovo.
Gli ci volle qualche istante per decidersi ad entrare.
Quando aprì la porta, nuove lacrime gli bruciarono gli occhi.
Quella casa sapeva di lei.
Tutto sapeva di lei.
Poteva vederla chiaramente seduta al tavolo, a letto, in piedi vicino
alla
finestra.
Tutto, sapeva di lei.
Si voltò per chiudere la porta, dando le spalle a quel
dolore così famigliare.
E la vide.
In piedi, in mezzo alla
piccola radura coperta di foglie
secche.
Ferma e bagnata, sotto la pioggia.
Davanti a lui, immobile.
Lei.
Ci mise un po’ a
capire che non era frutto della sua fantasia.
Non era un ricordo. Era lei.
In carne ed ossa.
In un attimo scese gli scalini, poi proseguì con lentezza.
Quasi avesse paura di farla scappare via.
Di nuovo.
Allungò un braccio e le sfiorò la spalla.
Il suo profumo lo stordì, e i suoi occhi profondi lo
colpirono. Come sempre.
Aveva pianto? si chiese.
Poi decise che non gli importava.
Non ora.
La strinse a sé.
Non l’avrebbe lasciata, mai più.
“Dubhe” disse in un soffio.
Gli rispose con un piccolo sorriso.
“Ti amo” gli disse.
Le ginocchia di Learco tremarono.
La prese di peso e la portò in casa.
Quando Learco
aprì gli occhi, il sole era già alto nel
cielo.
La figura di Dubhe riempì la sua mente, mentre una familiare
sensazione di
dolore gli opprimeva il petto.
Un sogno.
Solo un altro sogno.
Poi si girò.
No. Non era un sogno.
Lei era lì.
Dormiva piano, coperta solo da un lenzuolo candido, i capelli
scuri sparsi
sul cuscino.
Respirava in silenzio.
Lei non faceva rumore, mai.
Neppure quando dormiva.
Learco sorrise.
Le si avvicinò, cercando di fare meno rumore possibile.
Adorava vederla dormire.
Sembrava così… indifesa.
Ma i suoi sensi allenati la svegliarono.
Gli occhi si aprirono di scatto, subito attenti, e la sua mano corse
sotto il
cuscino in cerca del pugnale.
Non lo trovò.
Però trovò Learco, gli occhi chiari carichi di
amore, che la guardava
sorridendo.
“Non mi ferire più” gli disse.
Lui scivolò sopra di lei, baciandole la fronte.
“Mai” rispose lui serio.
Sentì le sue gambe cingergli i fianchi.
Lo voleva.
E lui voleva lei.
E così, in fretta come era sparita, era rientrata nella sua
vita.
In silenzio.
Perché lei non faceva
rumore. Mai.