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Autore: Helena Corvonero    04/01/2012    3 recensioni
One-Shot su Ron e Hermione, ambientata subito finita la guerra.
Parla del tenero amore di Ron che, non riuscendo ad esprimerlo a Hermione, ne scrive.
Ispirata alla meravigliosa canzone 'Hey There Delilah'
CLASSIFICATA DECIMA A PARIMERITO AL CONTEST INDETTO DA SARA MARAUDERS: " HERMIONE & RON"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Piove forte.
E’ un autunno calmo e atteso, che rinfresca l’Inghilterra dal caldo insopportabile che ha invaso il paese gli ultimi di agosto.
In mezzo alle pozze fangose che si sono formate a causa del maltempo si possono vedere foglie rosse e arancioni, che galleggiano incuranti della grandine che le colpisce, come se avessero aspettato per tanto tempo di cadere dai rami spogli scossati dal vento.
E’ in mezzo alla campagna intervallata dalle pozze e oscurata dalla pioggia che si può notare, solo se si aguzza la vista, una piccola casetta: una di quelle piccole abitazioni che sembrano uscite dalle riviste di design, perché ricavata da quello che una volta doveva essere un cottage, con le pareti fatte di pesanti pietre e il soffitto fatto di travi di legno antico, riscaldata da un grande camino che nelle case di campagna non manca mai.
Se ci si avvicina ancora di più, a questa casetta sotto la pioggia, si può vedere una grossa vetrata.
E se ci si avvicina di un passettino ancora, si può vedere una ragazza dai capelli castani legati in una coda di cavallo che, con la testa appoggiata contro la finestra, legge.
Beh, di che libro si tratta non lo si può sapere,  il titolo è scritto con caratteri troppo piccoli.
Ma.. magari se si arriva fin sotto la grondaia che ripara dalla grandine, che nel frattempo si è trasformata in leggera pioggerellina, si riesce a leggere il titolo.
“Elfi domestici nella storia: il ruolo delle creature più sfruttate nel corso dei secoli”.
Che strano titolo.
Elfi domestici? Ci si può avvicinare per leggere il titolo più da vicino, magari per capire che ci è sbagliati a leggere e il titolo alla fine è un altro: no, il titolo è proprio quello.
E’ un titolo strano, impossibile. Gli elfi non esistono.
Eppure se la si guarda con cura, anche questa casetta ha qualcosa di strano, di impossibile.
I piatti nella cucina adiacente alla grande sala dai pavimenti di legno in cui la ragazza legge davanti al caminetto in pietra, si lavano da soli.
Senza nessuno che guidi la spugnetta.
E poi, i suoi tre abitanti - la ragazza che legge, uno dai capelli rossi e l’altro con gli occhiali- hanno nelle tasche dei jeans un bastoncino. E quando lo impugnano dal bastoncino escono scintille, esce magia.
E allora, quando ci si è già avvicinati abbastanza, si capisce che non è una casa normale, come d’altronde non lo sono i suoi abitanti. La parola sale da sola fino ad affiorare dalle labbra: maghi.
E ci si accorge anche di quali maghi  si tratta.
Il rosso: semplicemente e meravigliosamente Ron Weasley. La ragazza che legge: chi altro se non Hermione Granger? E anche se non ci si avvicina per poter vedere una cicatrice nella fronte del ragazzo dai capelli neri con gli occhiali, si capisce benissimo che è Harry Potter.
Beh, già che siamo qua, e allo stesso tempo possiamo ripararci dalla pioggia, appoggiamo un’orecchia alla finestra, e ascoltiamo cosa dicono.
 
“Dove stai andando Harry, non vedi che piove?” Chiede Hermione, alzando la testa dal suo libro.
“Lo so Herm, ma devo proprio andare al Ministero: Kingsley mi ha inviato un gufo chiedendomi di andarci subito.”
“Beh, sono sicuro che si tratterà di decretare qualcosa di noiosissimo” Mormora Ron, che nel frattempo è alle prese con uno strano oggettino, simile ad un accendino, dal quale entrano e escono bolle di luce.
“Credo anch’io, ma non posso non andare…” conferma Harry con un tono lievemente triste, come se fosse sicuro che anche stare a casa durante una giornata di pioggia a non far niente sarebbe più interessante che andare al Ministero della Magia.
E detto questo si adagia un mantello nero sulle spalle e si avvia verso la porta.
Ma viene interrotto a metà strada: “Ma ti vuoi materializzare con questa pioggia?” E’ la voce di Hermione.
“Usa la metropolvere!”
Al mago pare una buona idea, perché fa dietrofront, si avvia con sicurezza verso il camino, con un gesto di bacchetta spegne il fuoco, prende della polvere verde da un piccolo vasetto poggiato sulla mensola del caminetto, e dopo aver salutato i due amici dice fermamente “Ministero della Magia!” per poi sparire tra fiamme di un improbabile color verde.
Hermione si alza dalla poltrona sulla quale stava leggendo, e dopo aver aspettato che le fiamme verdi causate dalla metropolvere si siano spente del tutto fa apparire un bel fuoco scoppiettante.
Nel frattempo, Ron si è seduto sul grande tavolo nero che occupa una buona parte della sala.
Sta scribacchiando qualcosa su dei fogli.
Appena sente il rumore della penna sulla carta, la testa di Hermione si gira con uno scatto verso il ragazzo.
E’ raro che lo si veda scrivere, a meno che non si tratti di compiti, e visto che il tempo di Hogwarts è ormai finito, di compiti sicuramente non si tratta.
La ragazza si dirige verso il tavolo, curiosa di scoprire cosa stia scrivendo.
Non osa chiederlo a voce, perché rompere quel silenzio interrotto solo dai leggeri ticchettii provocati dalle ultime gocce di pioggia sembra un atto scortese. E’ un silenzio magico, perfetto, e a infrangerlo con la sua voce acuta si sentirebbe quasi in colpa.
Non si siede, resta in piedi, una mano sulla spalla di Ron e nell’altra regge uno dei tanti fogli sparsi sul tavolo.
Una piccola ruga di concentrazione le solca la fronte: capire la calligrafia del ragazzo è difficile.
Ma non impossibile, per lei, che lo conosce da tanto.
Nel frattempo il rosso smette di scrivere, alza la testa verso Hermione, per poter guardare i suoi occhi color nocciola che veloci scorrono le righe da lui scritte con tanto impegno.
La ragazza, senza mai smettere di accarezzare la spalla di Ron, legge uno a uno i fogli, fino ad arrivare a quello che fino poco prima stava scrivendo il ragazzo.
Quando finisce resta per un momento immobile, ancora con il foglio in mano, ma guardando fuori dalla finestra, verso un punto impossibile da vedere a chiunque altro. Poi posa il foglio con delicatezza sul tavolo e si gira a guardare il ragazzo, che pazientemente l’aveva aspettata.
Da sempre.
 
“E questi?” sussurra accennando ai fogli.
Ron arrossisce. Ma non abbassa gli occhi, la guarda, sorridendo mestamente, come se avesse cercato la risposta per tanto tempo, girando mari e monti, facendo viaggi meravigliosi ma non l’avesse mai trovata.
Non riesce a rispondere alla domanda di Hermione, si limita ad aprire le braccia, come fa un papà con la sua bambina, invitandola a sedersi sulle sue ginocchia.
Lei si siede, si guardano con tale intensità che noi, che li spiamo dalla finestra, siamo quasi imbarazzati, e quasi quasi ci viene voglia di andarcene per concedere un po’ di privacy.
E’ uno sguardo pieno di tutto, amore, gratitudine, desiderio e aspettativa.
Si comunicano tante cose, per colmare tutto ciò che non si sono mai detti.
Dopo minuti di silenzio che paiono anni, negli occhi del ragazzo pare accendersi una scintilla.
“Sono pensieri. Sono tutti per te…”
Hermione inclina la testa di lato, spronandolo a continuare.
E Ron continua, dicendo parole che lei non si sarebbe mai aspettata di sentirgli dire.
“Ogni volta che ti vedevo o non so.. facevi qualcosa di particolarmente bello, io avevo voglia di dirti cose romantiche e poetiche, solo che non ci riesco.. non è da me, io non sono un poeta.” A questo punto prende un attimo il fiato, come per voler mandare giù un sorso amaro.
 “Così per giorni cercavo di ricordarti, ricordare le parole che avrei voluto dirti in quel momento e le scrivevo. Sotto forma di canzoni, di brevi brani o di piccole poesie… Non è niente di speciale, eh…”
Hermione ha uno sguardo che vacilla tra l’orgoglioso e il commosso.
Riprende in mano l’ultimo foglio, pieno di cancellature e schizzi d’inchiostro:


Ehi cara Hermione, sono vicino a te ma non mi senti, è come se sentissi il cielo con un dito. Mi sono spinto più lontano di quanto farei per chiunque altro, insieme abbiamo fatto tutto, eppure non sei mia, ti guardo a distanza, anche se sei a due metri da me.
Potrei allungare la mano, accarezzarti la guancia, e poi gli occhi, che troppo spesso hanno sofferto per colpa mia.
Accarezzerei il cielo Ti sfiorerei il cuore, al quale sono sempre appartenuto: toccherei il cielo con un dito, anche oggi che piove, ma a trascinarmi giù verso la terra è la convinzione che sempre, e sarò sempre, quello che quando c’incontrammo aveva il naso sporco. Quello che resta indietro
.”
 
Visto che siamo così vicini, possiamo vedere che una goccia, e poi un’altra hanno bagnato il foglio.  Se fossimo lontani penseremmo che piove dal soffitto: e invece è dagli occhi di Hermione, che le lacrime scendono giù.
Sta per asciugarsele con la manica della maglia, ma mani più grandi, eppure delicate, raggiungono le guancie prima di lei.
Le mani di un ragazzo dai capelli rossi pieno di timori, con una t-shirt verde, jeans neri e scarpe da ginnastica. Le mani di un ragazzo che ha sempre voluto asciugare le lacrime che sono cadute per lui, le mani di un ragazzo che dice queste parole con dolcezza impacciata: “Le ho scritte per te e le riscriverei tutte, lo giuro e solo per farti mancare il fiato per un istante…solo per guardarti che leggi, solo per averti vicino un altro attimo.”
 Ecco. Siamo così vicini che possiamo sentire i respiri rallentare, per il sollievo di aver sentito queste parole, che tanto abbiamo aspettato, che finalmente sono venute fuori.
Si alzano in piedi nello stesso momento, come colpiti da una scossa. Che poi una scossa li aveva colpiti davvero, colpito i loro cuori, costringendoli a svegliarsi da quel tenero e incerto torpore che per tanto li aveva circondati.
 Ron le cinge dolcemente la vita ed Hermione si alza in punta di piedi per arrivare meglio alla bocca del ragazzo, che avvicina spingendo la sua testa verso di lei con le mani nei capelli rossi.
Ma ora è il momento di allontanarci. Per concedere un po’ di pace ai due ragazzi, che restano immobili come le statuine del carillon che tutti avevamo da bambini, in cui ci sono una bellissima principessa e un principe che ballano.
E man mano che ci allontaniamo, cercando di non cadere nelle pozze fangose, vediamo sempre più sfocate le figure dei ragazzi, che hanno preso a muoversi piano piano, come fiamme taciturne, sempre per non infrangere quel tenero silenzio che solo la magia più potente può creare: l’amore.

  
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