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Autore: Helena_31    04/01/2012    3 recensioni
Beh, probabilmente questa sarà la mia prima e ultima one-shot che pubblico, non sono quella che si dice una scrittrice. Sono più una che legge.
Ho ritrovato questo tema che avevo scritto in un vecchio quaderno, credo risalga al primo superiore(quando ancora facevo i compiti a casa) e ... nulla, mi è sembrato decentemente accettabile. Spero vi piaccia :)
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Frank si svegliò in una stanza a lui sconosciuta.
Era tutta bianca, quasi accecante. Non aveva finestre, ma sembrava essere inondata dalla luce del giorno, proveniente da chissà quale fonte. Era completamente vuota. L’ unico elemento presente era una porta, anch’essa bianca, all’apparenza senza maniglia.  Dava l'impressione di una sterile stanza d’ospedale.
Frank non era affatto sorpreso di quella situazione. Fin dai suoi primi ricordi, infatti, egli era capace di viaggiare nel tempo, ma non per sua scelta: succedeva e basta, ed era incontrollabile. Era un difetto genetico che, senza alcun preavviso, lo faceva smaterializzare e riapparire chissà dove e in chissà quale anno.
L’ uomo si alzò e si avvicinò alla porta, cercando con lo sguardo la maniglia o qualcosa di simile, ma quando vi fu a qualche centimetro di distanza, l’uscio si aprì automaticamente.
Uscì e per un attimo rimase senza parole. Non era mai apparso in un futuro così remoto. Gli edifici avevano una forma arrotondata e liscia, sembravano lucidi, quasi fossero di plastica. Anche questi erano bianchi. Le strade non esistevano: al loro posto c’erano lastre di quello che sembrava vetro, molto spesse e resistenti, al di sotto delle quali scorrevano dei luccicanti corsi d’acqua che rendevano le strade di un intenso verde-azzurrino. La poca vegetazione presente era evidentemente ornamentale, perché andava a formare complessi disegni geometrici.
Le auto, se così potevano essere chiamate, fluttuavano nell’aria ad una velocità incredibile, seguendo percorsi invisibili. Il cielo, di un azzurro acquoso, aveva un’insolita trama a mo’ di alveare:si trattava evidentemente di una cupola. Chissà quanto irrespirabile era diventata l’aria.
Questa visione rese Frank nervoso. Diverse volte si era materializzato nel passato e si era visto da bambino passeggiare mano nella mano con i genitori; ed ancora più volte era capitato nel futuro ed aveva visto un ormai attempato se stesso in compagnia di sua moglie e sua figlia, giocare nel parco o uscire dal cinema. Ma questo futuro non gli dava certezze, sembrava troppo lontano. Frank ebbe la sensazione che i suoi cari non fossero parte di quel periodo, che non avrebbe visto nessun volto conosciuto, che non avrebbe mai dovuto vedere un panorama del genere.
Si sentì invadere da un insopportabile senso di solitudine e disagio. Voleva andarsene, non gli piaceva affatto quel luogo, né quella sensazione. Improvvisamente sentì una sorta di vibrazione provenire da dentro di sé, ed un istante dopo non vide più nulla.
Solo nero e nient’altro.
Riaprì gli occhi e subito sorrise sollevato. Si trovava nel salotto di casa sua, la bella carta da parati che aveva scelto di persona, l’orologio a pendolo che aveva ereditato dai suoi genitori, la familiare atmosfera calda e piacevole. Era seduto sul divano, sua moglie seduta accanto a lui intenta a leggere un libro. Intanto si accarezzava la pancia e sussultava leggermente ad ogni calcio della bimba che portava in grembo.
Poi lei alzò lo sguardo, lo posò sul volto di Frank, si soffermò sui suoi occhi  e sorrise. “Sei tornato”.
  
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