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Autore: ellephedre    05/01/2012    7 recensioni
Un anno e mezzo dopo la battaglia con Galaxia, Ami Mizuno ha davanti a sé una lunga vita, un destino da guerriera Sailor e paure che preferirebbe dimenticare. Ma incontrerà chi la costringerà ad affrontarle. A vincerle.
"Ami Mizuno aveva capelli tanto scuri e lucenti da aver passato il limite del nero. Erano blu i fili corti che le adornavano la testa, schiariti da un sole che aveva deciso che il colore della notte era troppo cupo per lei. Una spiegazione romantica, a giustificare la differenza con le chiome corvine dei suoi genitori.
Sailor Mercury aveva il colore dei capelli di sua madre. Un poco più scuri, una differenza quasi irrilevante. Il taglio degli occhi era identico: grandi occhi dolci, le avevano detto le sue amiche, con lunghe ciglia e palpebre vispe che non si sarebbero mai azzardate a pesarle sullo sguardo. La bocca. Le era sempre piaciuta. La luce artificiale faceva brillare il rosa scuro delle sue labbra come un frutto maturo e delicato; il sole le donava la tonalità di un bel fiore in boccio."

Oltre il quarto capitolo la storia continua con delle scene.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga'
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acqua viva Note:
Non ho saltato i mesi tra Maggio e Settembre, li scriverò dopo :)
Ringrazio Garth Herzog per l'idea di base di questo episodio; me la diede per la raccolta 'Imagining', ma si adattava ad essere inserita in Acqua viva, per cui eccola!
Note sulle traduzioni
sap = slang per 'sdolcinato', 'smielato'
needy = bisognoso, in questo testo con accezione negativo
weak = debole
that's it = 'ecco', oppure, 'tutto qui'
that's good = 'bene'
explain yourself = 'spiegati'

Acqua viva

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

Settembre/1



Diciotto anni.
Non sono settembre
Non sono estate
Sono giorni come altri
L'mmaginazione di adesso
Voltarmi e sapere
che mi sto pensando.

Pensieri di una ragazzina impressi su carta.
Ami accarezzò la pagina ruvida. Aveva intitolato il quaderno 'Poesie': sui fogli aveva riportato con cura tutte le parole a cui negli anni aveva dato una forma degna. Erano pensieri sparsi, scampoli di lunghe giornate trascorse a studiare. 
Quattordici anni e riflettere su un futuro distante trecentosessantacinque giorni per quattro.
Sorrise.
A quel tempo si era immaginata di diventare grande, matura... diversa, perché no. Ovviamente diretta senza stop verso un cammino universitario, ma forse circondata da persone nuove. La giovane Ami pre-Usagi, pre-Sailor, pre-Alexander, aveva coltivato fantasie modeste: avere accanto una vera amica - non aveva creduto di essere tipo da gruppo - e, chissà, riuscire a incontrare un ragazzo speciale, che l'avrebbe compresa senza metterla in discussione.
Con Alexander era cascata male.
Lasciò scorrere velocemente le pagine contro il pollice, il leggero solletico un riflesso del tempo trascorso.
La prima poesia del quaderno era datata ottobre 1990. L'aveva scritta a dodici anni.
Rileggersi, pensò, era come ricordarsi e permettere ad altre Ami di rivivere. La Ami del sesto anno delle elementari, per esempio: una bambina convinta di non avere pari in intelligenza. Oppure la Ami della prima media, che si era scoperta sola per scelta altrui. Ami quattordicenne aveva scelto di ribellarsi silenziosamente a logiche sociali che non comprendeva, convincendosi di poter andare avanti senza amici: era bastato l'incontro con due code bionde a farle cambiare idea.
Ami quindicenne era serena, scriveva ascoltando melodie che trasparivano dalle rime dei suoi versi.
Ami sedicenne era spigliata. Protetta dalle sue amiche, si era avventurata con la testa fuori dal proprio mondo fatto di libri, convinta di poter essere vivace e spensierata come qualunque altra ragazza.
Ami diciassettenne era stata inquieta, da principio. Aveva accettato le proprie peculiarità e si era convinta che nulla l'avrebbe divertita come discorrere di un libro, per quanto Minako sostenesse il contrario. Ne era derivato un senso di abbandono indefinito: le sue amiche, che pure amava, non erano state più sufficienti a completarla.
Non aveva avuto il tempo di mettersi alla ricerca di una risposta. Alexander era arrivato senza preavviso e non aveva avuto pietà: l'aveva costretta ad uscire dal suo guscio e a rischiare per lui.
Posò il palmo aperto sulla pagina con gli ultimi versi che aveva scritto.
Erano solo tre parole.

Tu.
Per me.

Un'ode senza tempo. In qualunque momento, lui, per lei. La sua presenza, quello che faceva, come le stava accanto, la sua sola esistenza.
Tu, per me. Non voleva racchiuderlo neppure in un foglio, voleva solo provarlo e dirglielo a brevissimo, quella stessa mattina, nel giorno in cui compiva gli anni. Perché Ami diciottenne era felice, tanto da non desiderare parole.
Anche se, sospirò, era un pochino triste.
Alexander sarebbe partito il giorno successivo, per una vacanza di tre settimane. Il viaggio lo avrebbe portato a fare tappa a Londra - un paio di giorni, il tempo di rivedere nonna Foster - e poi... via, in giro per l'Europa. Forse in Norvegia, le aveva lui detto all'inizio, ma l'aveva vista rimirare le immagini dei fiordi scandinavi e aveva cambiato i propri piani.
Infilò il dito in una pagina a caso del quaderno e si ritrovò tra le mani, sotto gli occhi, le paure di Ami quattordicenne.
Parlava di mostri - le sue poesie più cupe - e di perdita. Qualunque timore avesse avuto a quel tempo, lo aveva riversato su carta, non sulle sue compagne.
Tra le righe, qualche pagina dopo, compariva una nota di speranza.

Tenero,
mi corteggia timido
.

Ryo Urawa, ricordò.
Insieme erano stati spaventati ma coraggiosi, più grandi dei loro anni e piccoli quanto allora non erano stati in grado di capire. In lei le certezze erano state poche: i timori dovevano rimanere sepolti e nessuno doveva morire; il sacrificio a cui era stato intenzionato Urawa, con la sua mite e spavalda arrendevolezza, l'aveva turbata. Si sarebbe comportata nello stesso modo al suo posto, ma a lui aveva dovuto fare forza.
Insieme avevano affrontato le loro paure. Insieme, un concetto chiave per lei: aveva voluto sinceramente bene a Ryo Urawa, che le era stato così simile. Per lo stesso motivo, lo aveva dimenticato con serenità, forse troppo in fretta. Non era rimasta la Ami di quei giorni, timida, esitante, nel profondo insicura. Aveva desiderato... uscire. Cambiare. Piano piano, coi suoi tempi.
Urawa se n'era andato con la Ami che in un giorno d'inverno aveva salutato la vita, partendo con le sue compagne per il Polo Nord.
Quella Ami era morta, in un certo senso.
Non pensando più a quei giorni lei aveva lasciato dietro di sé anche il senso di fallimento e solitudine - orribile - che l'aveva accompagnata nei suoi ultimi momenti di battaglia, prima di spegnersi.
Sacrificandomi faccio la cosa giusta, amo le mie amiche. Sono quella che, tra tutte, ha meno da perdere. In fondo della mia vita non ho fatto quasi niente.
Parole che non aveva scritto, ma il pensiero lo ricordava quasi a memoria. La morte era crudele nella sua sincerità.
Invece, sorrise, lei era stata crudele con Urawa.
Che cosa stava facendo lui ora?
Accarezzò la pagina. Sei cresciuto anche tu? Sei riuscito a vivere la tua vita nel presente, dimenticandoti di futuro e passato?
Un'ombra oscurò il suo quaderno.
Lei capì chi era prima di alzare gli occhi. Fu un presentimento, una sensazione.
Lui parlò. «Sempre china su un libro... Ami-san.»
Con le mani infilate nelle tasche Urawa sollevò le spalle, cercando di affossare insieme affetto e imbarazzo.
Il suo viso si era fatto meno tondo, le sue spalle un po' più larghe. Era cresciuto in altezza, non molto, ma standole davanti si presentò solamente come il ragazzino che era stato un tempo: il giovane possessore di un cristallo dell'arcobaleno, tormentato e solo, che ce l'aveva fatta.
In lei si colmò un vuoto appena creato. «Stavo pensando... a te.» La contentezza le bloccò il respiro. Si alzò in piedi e sentì formicolare le braccia: voleva abbracciarlo per essere ancora lo stesso di un tempo, per quanto stava bene.
«So che mi pensavi» annuì piano Urawa.
«Per questo ti ho trovata qui.»
Man mano che rimaneva visibile davanti a lei sembrava sempre più reale, ma il significato delle sue parole fu sufficiente ad adombrarla. «Usi ancora i tuoi poteri.»
«No, non... Solo adesso. Per rivederti. Sono a Tokyo per... Sono passati tanti anni, ma mi faceva veramente piacere l'idea di rivederti. Vedere come...» Soffocò un sorriso timido. «Non conosco il tuo presente, Ami-san. Non ho mai più guardato nel futuro di nessuno, nemmeno nel mio. Tutto quello che so davvero di te da quattro anni a questa parte è quello che vedo adesso e... sono contento.» Riuscì a trasmettere solo gioia. «Splendi. Con una forza come la tua, non potevi diventare nulla di meno.»
Lei non seppe perché, ma scoppiò a ridere. «Ryo!» Gli avvolse quaderno e braccia attorno alle spalle, ridendo ancora. «Siamo amici, quante cose abbiamo passato noi due.» Niente imbarazzi. Gli diede due pacche sulla schiena. Forza forza, a entrambi. Non era tempo di commuoversi, non potevano essere sciocchi come bambini. «Sono contenta anche io di rivederti.» Lo invitò a sedere accanto a lei, nella panchina della piazza. «Parlami di te.»
Finalmente sciolto, Ryo cominciò a splendere a sua volta.
«Mi sono trasferito prima a...»



Per il compleanno di Ami, Alexander si sentiva al contempo felice e in colpa. Felice, perché era il compleanno di lei. Aveva una scusa per costringerla a festeggiare senza freni.
In colpa... Sarebbe partito il giorno seguente. Per tre settimane, per nessuna ragione che fosse seria. Si trattava di una semplice vacanza. Era stato testardo: aveva scelto consapevolmente di andare in vacanza e di andarci senza Ami. Lei aveva deciso di non venire con lui - non aveva mai accennato all'ipotesi di potersi unire al suo viaggio - e lui... Quando aveva seriamente cominciato a riflettere sull'opportunità di non partire, la sua relazione con Ami lo aveva messo per la prima volta a disagio.
Per quale motivo, si era chiesto, non poteva sentirsi libero di andare via per sole tre settimane? Era incapace di starle lontano? Era convinto che in quelle tre settimane sarebbe successo qualcosa, che al suo ritorno Ami avrebbe improvvisamente... cosa? Cambiato idea su di loro?
Ridicolo.
Aveva diritto di partire nella vacanza che si concedeva tutti gli anni. Ami non stava neppure cercando di impedirglielo, era solo lui a farsi problemi. A lei non sembrava dispiacere troppo l'idea di una sua lontananza. Ami tendeva sempre a non volergli dare pensieri, era privi di egoismi, ma a lui pretese del genere avrebbero fatto piacere. Lo avrebbe reso felice sentirle dire 'Resta!' o vederla chiedere, con convinzione, 'Non andare lontano da me'.
Le avrebbe detto di sì in un istante, avrebbe fatto tutto quello che voleva lei e, a volte - solo a volte - gli sembrava di essere... il solo. L'unico che temeva di staccarsi, l'unico che voleva essere completamente coinvolto.
Nove mesi di relazione.
Capiva sempre meno il bisogno di distanza fisica che per lei era come un dogma: non potevano fare altro che baciarsi perché... sì? Non esisteva una ragione valida ed Ami nemmeno aveva pensato ad una spiegazione - per se stessa, sicuramente, e di conseguenza neppure per lui.
Lui non aveva trovato indispensabile averne una: aveva pensato che lei era fatta così e che con pazienza, piano piano, la situazione si sarebbe evoluta da sé.
Lo credeva ancora. Ci avrebbe sperato sino a quella fine che non voleva nemmeno concepire.
Adesso che stava per andare via, ora che per la prima volta si stavano separando davvero e che sarebbero stati lontani persino dalla possibilità di sentirsi al telefono, per non avere altri dubbi lui avrebbe voluto solo poche parole.
'Mi mancherai'.
Almeno questo. Almeno un segno che... non era il solo.
Strinse nelle mani la scatoletta che conteneva il regalo di lei.
Era andato oltre la benevola definizione di 'sap'. Stava diventando 'needy'. E debole.
Andare via gli avrebbe fatto bene.
Al ritorno, dopo tre settimane di lontananza che non erano una tragedia né tantomeno degne di nota, sarebbe tornato indietro e avrebbe visto che era rimasto tutto come prima. Sia loro due che Ami, che lo avrebbe accolto a braccia aperte.
Ne era sicuro, solo che...
Solo che, sospirò, scuotendo la testa.
Il problema era dentro di lui. Viaggiando si sarebbe fatto sparire quei dubbi e sarebbe tornato indietro più forte di prima. Come Ami. In quella situazione, in fondo, a comportarsi da adulta era proprio lei.
«Alexander!»
Si fermò in mezzo al marciapiede e cercò dietro di sé. Impiegò un momento a capire quale ragazza potesse chiamarlo per nome senza essere Ami: aveva quattro possibilità e fece il collegamento un attimo prima di intravedere una lunga massa di capelli biondi.
Squadrò la mano alta di lei alzando le sopracciglia. «Minako» annuì.
Minako Aino interruppe la propria corsa a due metri da lui. «Hello
«Hello.»
Una risata lo interruppe dal continuare.
Aino aveva un modo singolare di ridere: se il suono non fosse stato tanto musicale, sarebbe stato apertamente fastidioso.
«Ahh, che fortuna essere arrivata in tempo per beccarti! Ami mi ha chiamato per dirmi che arriverà al vostro appuntamento con un'oretta di ritardo.»
In ritardo. Perché?
«Ha avuto una piccola emergenza.»
«Quale emergenza?»
«Non me l'ha detto, forse si tratta di vestiti. Da brava amica disimpicciona, non gliel'ho chiesto.»
Da quando non era impicciona? Scosse la testa ed evitò anche il commento sul vocabolo sbagliato. «Perché non ha chiamato direttamente me? Ho il telefono.»
Minako scrollò le spalle. «Stava per farlo. Sono stata io a chiamarla a casa, per chiederle lumi sul suo regalo di compleanno. Non gliel'ho ancora comprato!» Si mangiò un labbro. «Le stavo parlando di questo problema e lei mi viene a dire che purtroppo è in ritardo e non ha tempo. Voleva chiamarti, ma io mi trovavo già in zona, era inutile. Potevo parlarti di persona, no? Meglio anzi! Posso tenerti compagnia mentre aspetti.»
La ringraziava sentitamente per il proposito, ma no.
«Ami ha pensato subito fosse una buona idea, così ha risparmiato anche sulla chiamata a te.»
Ami era in ritardo - una delle primissime volte, per di più nel giorno del suo compleanno - e non lo aveva chiamato per... risparmiare?
Doveva esserci una spiegazione più sensata. Da Minako non poteva sperare di ottenerne una.
«Okay.» Si trattava solo di un'ora, avrebbero accorciato la visita al nuovo acquario - o magari lui ce l'avrebbe portata al suo ritorno, in ottobre. Nel frattempo... iniziò a guardare dietro le spalle di Minako. Nel luogo d'incontro c'erano delle belle panchine e si era giusto portato dietro il nuovo romanzo di-
«Insisto.» Minako gli afferrò un braccio. «So che stai pensando di andare ad aspettarla lì con un libro, ma a che serve annoiarsi? Facciamo un giro.»
Perché mai?
«In realtà questa è un'occasione d'oro: era da un po' che volevo fare una chiacchierata a quattr'occhi con te.»
«Su cosa?» Si scostò all'indietro. Non smise di seguirla, ma ristabilì la distanza tra loro.
«Su Ami, no?»
Su... Ami. «Quindi... Vorresti chiedermi qualcosa o dirmi qualcosa?» Non era interessato a dare risposte, non le doveva a nessuno.
«Tutte e due.» Minako lo studiò cauta. «Penso di poterti dire qualcosa che ti interesserà molto.»
«Ami può farlo da sola.»
«Certo, ma...» Minako fece sparire ogni traccia di risata.
Non avrebbe dovuto essere capace di diventare tanto seria.
«Avrai intuito che ci sono cose di Ami che non hai compreso, no? Io... posso farti capire.»
La tentazione di andare a leggersi il libro non fu facile da vincere. Meglio della narrativa vera e propria o quella uscita dalla testa di Minako?
Naturamente Minako voleva bene ad Ami, ma tra loro due era lui a capire meglio la sua ragazza. Ne era assolutamente convinto.
«Ehi.» Minako s'imbronciò. «Adesso mi segui o non ti dico niente. Dovrai aspettare Ami e la sua pazienza.»
Alexander ebbe l'impressione che entrambi sapessero molto bene di cosa stavano parlando: le titubanze di Ami stavano iniziando a sembrare leggendarie anche a lui.
Senza dire niente, si limitò ad avanzare oltre Minako.
Lei comprese di aver ottenuto il suo interesse e camminò assieme a lui.



«Non sono mai spariti, allora.»
Ryo scosse lentamente la testa. Era diventato un ragazzo meno nervoso da quando non aveva più visioni incontrollate a turbarlo.
«Ho imparato a convivere con questi poteri. A renderli negativi ero io. Avevo paura di tutto. Gli incubi se ne sono andati dopo la vostra vittoria.»
Intuire il significato delle sue parole la stupì. «Tu... ti sei reso conto di quando abbiamo sconfitto il Regno delle Tenebre? Non hai dimenticato tutto quanto?»
«No. Ma Usagi ha fatto in modo che se ne dimenticassero tutti, non è vero?»
Sì. La memoria della battaglia finale e dei suoi effetti era sparita dalle menti di chiunque. Lei e le sue amiche avevano ricordato solo dopo, ma prima di loro c'erano stati solo Luna e Artemis a conservare memoria di quanto era accaduto. Nemmeno Yuichiro - che pure secondo Rei si rammentava del loro viaggio in montagna di tanti anni addietro - ricordava qualcosa degli eventi che si erano avuti a Tokyo mentre loro erano al Polo Nord. L'intera città era piombata nel buio - era successo in tutto il mondo, a detta di Artemis - e il cielo si era tinto di un nero crudele, pronto a porre fine al pianeta.
Ryo annuì. «Sapevo che stavate combattendo. Ero certo che avreste vinto.»
«Grazie.» Non seppe cos'altro dire in risposta. Lei non era stata certa di uscirne, ma aveva avuto fiducia che almeno Usagi ce l'avrebbe fatta. Era stata Usagi Tsukino - Sailor Moon - a vincere per tutte loro.
Gli occhi scuri di Ryo puntarono il cielo.
Il suo sguardo le faceva tenerezza: lui si era fatto più grande, ma i suoi occhi lo tradivano in continuazione. Forse stare davanti a lei lo metteva ancora in imbarazzo come tanti anni addietro.
«Ami» le disse lui d'improvviso.
Sentirlo omettere il san la sorprese, ma lo trovò un buon passo: i formalismi erano di troppo oramai. «Sì?»
«Ti chiederai perché io sia qui oggi.»
Per rivedere una vecchia amica, no? «Ehm...» Lanciò un'occhiata in tralice all'orologio da polso. Quello che si stava chiedendo lei era il motivo del ritardo di Alexander. Sarebbe dovuto essere lì già da... mezz'ora?
«Sei sempre rimasta in una parte della mia testa. Non al centro perché sono cresciuto-»
Cosa?
«Voglio dire che non mi sono fissato con te. Ho fatto la mia vita.» Esitò. «Capisci?»
«Non devi spiegarmi perché volevi rivedermi, Ryo-kun. È normale ricordare con nostalgia il passato.» Era capitato anche a lei quel giorno.
Lui prese a scuotere la testa. «Cercavo di spiegare che quattro anni fa ero un ragazzino che tu hai salvato. Non mi sentivo alla tua altezza. Oggi...» Arrossì. «Volevo rivederti. Volevo sapere...» Non seppe come andare avanti.
Lei invece iniziò a capire.
«In questo sei stata la mia sfida più grande, Ami-san... Ami. Ho resistito dal guardare nel tuo futuro e nel tuo presente, anche se volevo disperatamente sapere. Però desideravo di più un approccio... normale. Quasi. Volevo rischiare. Rivederti e sapere se...»
Lei cominciò ad aprire bocca, ma Ryo notò il movimento e si irrigidì.
«Non ti sto chiedendo niente, non voglio una risposta di quel tipo. Volevo solo sapere se ti piacerebbe... rivederci. Se potrebbe essere la stessa cosa per te.»
Lei cercò di trovare molti modi per rispondergli, ma alla fine capì che il meno crudele sarebbe stato il più breve e incisivo di tutti.
«No.» Le sfuggì un sorriso triste. «In questi anni sono...»
«Cambiata» terminò per lei Ryo. Deglutì e cominciò ad annuire al nulla, cercando di non guardarla.
Contraddirlo purtroppo sarebbe equivalso a mentire. Sarebbe stato difficile rifiutare la sua proposta se non avesse avuto nessuno, ma anche in quel caso... nella sua testa lui era rimasto solo un amico. Niente era cambiato da quando lei aveva cominciato a crescere, piano piano: Ryo aveva rappresentato ciò era stato, andato.
«Il fatto è che...»
«Eri l'unica parte del mio passato che tornava a cercarmi.»
Non lo interruppe.
«Ho già avuto una ragazza» le confessò lui. «Mi sono trovato bene con lei, ma con te...  So che abbiamo passato qualcosa insieme.»
Era così. «Qualcosa di speciale. Nei giorni in cui ci siamo conosciuti... tu hai imparato a non avere più paura dell'inevitabile, no? Ti sei ribellato. Anche io» sorrise. «Alla mia timidezza. Allora avevo davvero una piccola cotta per te.»
La dichiarazione di quel passato lo sorprese e, forse, gli diede una speranza che lei tenne a non alimentare. «Amo qualcun altro.»
Volle con tutta se stessa non avergli trasmesso tanta tristezza con quelle semplici parole: anche la sua era una battaglia, voleva farglielo capire. «Non credevo che fosse possibile trovare una persona che... Qualcuno di cui avrei voluto fidarmi.»
Ryo si rassegnò. «Lui sa di te. Di voi.»
No. «Ho paura, non voglio ancora dirglielo.»
«Ami...»
Sapeva bene che era importante! «Ho paura tutte le volte che ci penso. L'anno scorso ne ho avuta talmente tanta che sono arrivata a troncare tutto.»
Ryo non disse nulla. Disapprovava.
Non capiva.
«Sto imparando a fidarmi. Può far paura con una persona normale, ma...»
«Come puoi essere sicura che lui ti accetterà quando saprà tutto?»
Era una domanda crudele, ma privi di artifizi.
«È questo ciò che conta davvero: non ne sono sicura, ma non importa. Ho fiducia in quello che lui prova per me e so quello che provo per lui, per questo sono disposta a rischiare. A soffrire, se servirà.»
«Penso che tu abbia già sofferto troppo.»
Le uscì un sorriso. «Ryo... Stai pensando ai combattimenti che sono seguiti ai nostri?»
«Per due anni, da quel che ho visto. Sempre che adesso non stiate ancora combattendo.»
«No, non più. Quelle battaglie... non sono state meno difficili, ma io ero pronta quando le ho affrontate. Non ho sofferto tanto. Ho lottato tanto, piuttosto.»
Lui cominciò a capire. «... non sono state un peso?»
Lei guardò il cielo azzurro, privo di nuvole. «Ci si adatta, come hai fatto tu. I tuoi poteri, le mie battaglie... non potevamo mandarli via. Ma potevamo essere noi a cambiare.»
Ryo aveva aggrottato la fronte. «Mi sento di nuovo come se tu mi stessi insegnando qualcosa.»
«No, scusami.»
«Perché? Pensavo che fossi rimasta... come me.»
«Anche tu sei cresciuto. Quello che riesci a controllare ora... la tua battaglia non è stata meno dura della mia.» 
Lui stava sorridendo, infelice. «Quanti anni hai, Ami?»
«Diciotto. Oggi.» Non essere triste.
«Io li compio il mese prossimo, ma credo che ci dividano almeno dieci anni d'esperienza.»
Ryo si stava sottovalutando enormemente. E sopravvalutava lei. «Minako dice di me che a volte sembro ferma alle medie.»
Lui fu attraversato da un ricordo sereno. «Aino-san?»
«Sì. Dice che sono troppo ingenua, ancora troppo timida... Ha ragione, Ryo-kun.» Rise piano. «Ti sembro matura perché tengo a te e ti ricordo come un amico...» Rimarcare quel concetto le sembrò poco delicato. «Sei stato una persona importante. Non riesco a stare in silenzio mentre ti giudichi male e pensi che io invece sia diventata...» Scosse la testa. «Il mio ragazzo si chiama Alexander.»
Ryo cercò di mascherare il disappunto. «È straniero.»
«Somiglia sia a me che a te, a modo suo. Gli piace molto studiare.»
«A me non piaceva studiare tanto quanto a te» sorrise lui.
«Beh, anche lui è timido e chiuso, sai? Però ha affrontato il suo carattere in una maniera diversa. Si espone. Attacca.» Il che lo rendeva spesso scontroso, sorrise. «Non lascia che il mondo gli accada.»
«Questa è quello che hai fatto anche tu, Ami. Non eri stata tu a chiedermi di uscire insieme?»
Infatti. «Quello era stato il massimo del mio coraggio. Alexander... insieme io e lui siamo migliori. Io mi apro, lui... ha più fiducia.»
Ryo non era soddisfatto. «Un ragazzo diffidente è pericoloso.»
Lei non riuscì a prendersela. «A quale titolo me lo dici?»
«Come persona che tiene a te e basta. Non preoccuparti per il resto, Ami-san. Ho... capito.»
«Puoi continuare a chiamarmi Ami.» Guardò di nuovo l'orologio.
«Stavi aspettando qualcuno?» le chiese Ryo.
«Lui.» Perché non era ancora arrivato? Gli era successo qualcosa?
«Oggi non è il tuo compleanno?»
Infatti. «È in ritardo. Non è mai in ritardo.»
Ryo incrociò le braccia e si appoggiò contro lo schienale della panchina. «Non ne ho alcun diritto, però... posso chiederti una cosa?»
Lei ritornò a scrutare la via gremita di gente. La folla del sabato mattina stava cominciando a crescere in numero.
«Vorrei prendermi cura di te in un solo modo, se me lo permetti. Vorrei poter guardare questo... ragazzo. Capire che tipo è.»
«Alexander?» Le venne da ridere.
«Non dirò niente, non ti darò fastidio. Voglio solo...» Sorrise debolmente. «Secondo me tu pensi che io sia felice.»
In fondo, lo credeva anche lui. «Certo.»
«E questo ti fa contenta. Lascia che succeda lo stesso per me.»
«Non sarai geloso?»
«No, resisterò.»
Ryo era davvero più forte e non se ne rendeva conto. La sua cotta per lei era più un'idea che una realtà, ma sentirsi rifiutato lo aveva comunque ferito. Eppure era ancora lì con lei, non era fuggito.
Le venne voglia di dargli una carezza sulla spalla come incoraggiamento, ma capì che sarebbe stata ingiusta con lui. «Aspettiamo allora. Alexander sarà qui tra poco.» Sicuramente.

Per Minako, Alexander Foster aveva un grosso problema: non era ancora riuscito a conquistare Ami.
Certo, i due tubavano dal minuto in cui si vedevano fino a quello in cui si salutavano. Dicevano di amarsi e si amavano.
Ma i fatti? Ami non gli aveva ancora detto niente di sé, di quella parte di sé che era vera quanto l'altra. Non gli aveva ancora concesso fiducia, nemmeno a livelli più terra terra: dov'era la passione, dov'era quel coinvolgimento assoluto che non ammetteva segreti? Perché Ami aveva invitato anche loro in vacanza al mare a casa di lui, invece di passare quei giorni da sola col suo ragazzo?
Usagi continuava a dire che Ami era timida timida, diversa da loro. Era verissimo, ma Ami era anche innamorata. Perché non si decideva a vincere un poco quella ritrosia? E perché diavolo Alexander Foster - che le era sembrato tanto una casanova la prima volta che l'aveva visto - non riusciva a smettere di comportarsi come un pesce lesso senza sapore? Non si dava da fare!
Lei lo aveva apprezzato tantissimo per come era riuscito a far aprire Ami, ma da mesi le cose erano ferme. Mummificate! E adesso saltava fuori che lui partiva per un viaggio da solo. In Europa! Per tre settimane!
«Non penserai mica di vivere un flirt vacanziero, vero?»
Alexander stava cercando di leggere la copertina di un libro e contemporaneamente di ignorarla. «No. E non ho voglia di subire questo tipo di domande.» Passò ad un altro volume dello scaffale.
Per convincerlo a parlare Minako capì che doveva essere la prima a sbilanciarsi. «Prima non hai capito cosa volevo dire.»
«Non voglio venire a sapere da te di grandi segreti. Supposti, grandi segreti.»
Era giusto. Ma allora perché era ancora lì? «So che Ami vuole avere fiducia in te. Ma tu devi... dimostrarglielo di più.»
«Lo faccio già.»
«No, devi... Andiamo, ci sono cose per cui Ami non prenderà mai l'iniziativa, lo sai? Parlo di... esperienze.» Non per forza quella a cui stava sicuramente pensando lui. «L'amore non è una serie di bla bla bla e bacetti-»
«Grazie della lezione.»
Brontolone! «Se ti ho portato qui è perché io tengo tantissimo ad Ami.»
«Quello che hai detto e fatto finora non ha questo senso.»
Prendersi il suo sguardo divenne una sfida per lei. «Potrebbero esistere persone in grado di capirla più di te.» Come Ryo Urawa.
Alexander finalmente si voltò.
Forse tra lui e il povero Ryo non c'era paragone a livello di aspetto fisico o in quanto a capacità di risolvere inutili equazioni, ma Ryo... Poco fa, in quella piazzetta in cui Minako li aveva visti insieme, Ami aveva abbracciato Ryo Urawa, dopo tanti anni che non lo vedeva. E un simile trasporto, con Alexander... Okay, era capitato, ma...

«Stai parlando di qualcuno in particolare?»
Noo. Se ti dico che ti ho portato via dalla tua ragazza per lasciarle il tempo di stare con la sua vecchia fiamma, penso che mi ammazzi.
A breve però lei avrebbe dovuto affrontare quel pericolo, mentire a lungo termine non era un'opzione. La sua storiella non avrebbe retto.
«Il punto non sono gli altri, ma tu. Non sta a me dirti cos'ha passato Ami, ma anche noi...» No, si stava scoprendo troppo se si includeva nel discorso. «Forse non ha voglia di parlarti di qualcosa che ti porterebbe a giudicarla.»
«Forse?»
«Sì, forse.» Non aveva alcuna intenzione di servirgli su un piatto d'argento quello che lui non era riuscito a guadagnarsi da solo.
«Ami sa bene che non la giudicherei.»
«Nemmeno se, per ipotesi, fosse una cosa che creerebbe domande in qualunque persona, qualcosa di... non positivo?»
Lui aveva smesso di fingere indifferenza. Rimise a posto la rivista che aveva tirato fuori.
Accanto a loro non c'era nessuno.
«Mi stai spaventando.»
Oh, no. «No. Nono. Non nel senso che...» Non voleva farlo preoccupare, loro erano solo guerriere Sailor con superpoteri. «Ad Ami non è successo niente di orribile.» Dipendeva dai punti di vista, ma comunque tutte loro stavano benissimo, avevano superato qualunque trauma da battaglia.
Alexander non si stava divertendo. «Quindi? Tu pensi davvero che lei abbia paura di quello che penserei?»
Lei si mangiò la risposta sulla punta della lingua. «Non lo so.» Era convinta di sapere molte cose, ma non stava assieme ad Alexander e ad Ami quando erano soli. Non li vedeva quando non c'era nessun altro con loro, quando - sicuramente - Ami era più contenta che mai con lui.
Alexander cominciò ad andare via.
Certa di averlo perso, Minako lo seguì solo per confessargli la verità prima che la scoprisse da solo.
Forse si sarebbe risparmiata la decapitazione.
Lui si fermò all'ingresso della libreria, nel reparto riviste internazionali. «Forse pensi che io abbia dei problemi con Ami.»
Esatto, problemi non comuni, ma...
«Tutti hanno problemi, qualunque coppia. I nostri... non sono problemi se non li rendiamo tali.»
Era un ragionamento contorto e ingenuo.
Alexander prese in mano un giornale rosa. Lo strinse forte tra le mani. «A me non interessa se Ami adesso... Se ancora non sono riuscito a tagliare tutti i muri. Ci sono person con cui ci vogliono anni.»
Ma esattamente quanti anni voleva aspettare lui?
«A me non importa. Ho dei difetti anche io, dei problemi. L'importante è che si voglia stare insieme.»
«In generale? O voi?»
«Noi. Vogliamo stare insieme. Lo so, ne sono sicuro. Non... non posso spiegarti cosa vuol dire, Aino. Ad essere sincero, non ne ho nemmeno voglia.»
Ora lui era di cattivo umore. Ebbe l'impressione di non essere stata solo lei a metterlo in quella disposizione d'animo, ma di sicuro aveva contribuito.
Adocchiando il sacchetto di carta che lui portava in mano, Minako cercò di cambiare discorso. «Che cosa le stai regalando?»
Lui fece silenzio per un momento prima di rispondere. «Una collana.»
Uhh, una collana. Bella, sicuramente costosa... e banale. «Non era meglio un regalo più personalizzato?»
«È un regalo personalizzato.»
«Se me lo fai vedere mi tolgo dai piedi.» Ormai aveva dato a Urawa abbastanza tempo, inoltre... Alexander stava cominciando a farle pena. Forse era più innamorato di Ami di quanto lei non lo fosse di lui.
In silenzio e sempre concentrato sui giornali, lui le passò il sacchetto del regalo con un grugno annoiato. Voleva farla evaporare, era evidente.
Lei recuperò la scatolina in velluto nero dal fondo del sacchetto di carta.
Velluto nero? Ahh, se solo avesse avuto un ragazzo ricco anche lei!
La aprì con estrema cura, attenta a non sbilanciarla. Sarebbe potuto cascare fuori di tutto da là dentro. Sussultò. Non un anello, vero?!
La vista della confezione aperta le tolse quella ridicola paura. Dentro c'era proprio una collana. Una collanina brillantissima, costosissima, deliziosa. Da Ami.
Non resistette, dovette toccare le pietruzze blu. «Sarebbe... il segno dell'acqua?» Due onde?
«Dovrebbe essere il segno zodiacale, ma ad Ami non importerà. È solo acqua.»
Alexander si era girato di nuovo verso di lei. Guardava il retro della scatola aperta.
«È solo azzurro. Le starà bene. Spero che le piaccia.»
«Perché hai scelto l'acqua? Lei ti ha detto che le piace?»
«No. La guarda molto. Ma guarda anche al cielo, l'erba, gli alberi...» Gli uscì un sorriso. Accennò al regalo col mento. «Ami è come quelle onde. Scende e sale in armonia. Quando cambia o rimane la stessa, è sempre lei, sempre...» Non gli venne l'aggettivo. Forse non ebbe voglia di dirlo davanti a lei, ma trasmise ugualmente la portata di quello che provava. «Bisogna solo capirla.»
Minako richiuse la confezione. «Devo dirti una cosa.» Rimise il regalo nel sacchetto e glielo passò prima di lasciarsi scappare una sola altra parola. «Puoi uccidermi, se vuoi. Quando torni dal tuo viaggio, voglio dire. Lasciami almeno queste tre settimane.»
Forse Alexander aveva capito bene anche la natura di lei, perché la sua espressione lasciò intuire che aveva un'idea del tipo di guai che poteva avergli combinato.
«Tu cosa faresti se una tua carissima amica potesse essere molto felice?
» tentò lei. «Non le daresti un'opportunità?»
Lui la lasciò parlare, attento.
Stava cominciando a farle paura.
«Se un amore è vero e profondo, non deve temere l'incontro con piccoli ostacoli, no? È questo che ho pensato.»
«Just explain yourself
Ingiusto, era già arrabbiato!
«Ho pensato che le dovevo un momento con una persona che... beh, una persona che conosceva già quel problema di cui lei non vuole parlare al suo attuale ragazzo.» Ahhh, si era sbilanciata troppo!
Alexander era rigido. «Di che stai parlando?»
Meglio buttarsi. «Ami non era in ritardo. Ha incontrato per caso» sicuramente per caso, «un ragazzo che conoscevamo tutte tanti anni fa. Si tratta di Urawa, Rei mi ha detto che ti ha parlato un pochino di lui.»
Alexander perse ogni traccia di rabbia; a riempirlo fu un'altra sensazione, qualcosa di molto diverso dall'ira.
«Li ho visti insieme che parlavano e ho pensato che potevo dar loro qualche minuto insieme. Tanto voi due passerete tutta la giornata da soli.» E i prossimi mesi e i prossimi anni, se Ami era davvero intelligente, perché a sentir parlare di Urawa Alexander non si era ingelosito. Si era spaventato.
«Dove?» le chiese.
«Dove dovevate incontrarvi.»
«E lei pensa che io sia in ritardo nel giorno del suo-» Lui riacquistò un briciolo di rabbia, una fiammella che spense subito. Fu molto furbo nel non perdere altro tempo. Se ne andò e basta.

Cinquanta minuti dopo le dieci e mezza, Ami fu felice di alzarsi in piedi. «Ehi!»
Ryo si alzò con lei, ma non sembrò capire che la persona che stava correndo verso di loro era proprio quella che stava cercando.
Lei non fece nemmeno in tempo a preoccuparsi della fretta di Alexander. Il tempo di formulare il pensiero, e lui era già arrivato.
«È successo qualcosa?» Gli toccò una spalla, cercando di calmarlo.
«No, io-» Lui cercò di riprendere fiato. Inquadrò Ryo con lo sguardo.
«Mentre aspettavo ho incontrato questo mio amico.» Ami glielo presentò. «Si chiama Ryo Urawa, ti ricordi del ragazzo che...» Sorrise e scosse la testa. Se lui non ricordava, era meglio. «Ci siamo incontrati per caso dopo tanto tempo.»
«Sì.» Il respiro di Alexander era ancora erratico. Mandò giù una grossa boccata d'aria. «Sì, ricordo.»
... ed era agitato? «È successo qualcosa?»
«No. Te lo spiego dopo.» Allungò una mano verso Ryo. «Ciao.»
Ami fece fatica a concentrarsi su di lui, ma riuscì a notare che il contatto e il rapido scambio di sguardi era rimasto sereno. O almeno così credette, fino a che la mano di Alexander non continuò a rimanere su quella di Ryo.
«Vivi a Tokyo?» gli chiese.
«... No.»
«Starai qui a lungo?»
«Riparto oggi.»
«That's good.»
Alexander avesse inteso farsi capire o no? Non fu chiaro, ma tutto terminò lì. Annuendo una seconda volta, lui rimise le mani in tasca. Al polso aveva un sacchetto di carta.
Il suo regalo, sorrise lei. «Urawa-kun voleva solo conoscerti.» Si girò verso di lui. «Visto?»
Ryo era perplesso, ma per metà soddisfatto. E divertito. «Sì.» Le offrì un breve inchino del capo. «Ami... è stato bello.»
«Anche per me.»
«Forse...»
No, era brutto parlare di addii. «Un giorno ci capiterà di rivederci, sicuramente.» Sorrise. «Chissà quanti altri anni passeranno.»
«Buona fortuna» annuì lui. Si riempì di un momento di rimpianto prima di lasciarselo dietro.
«Buona fortuna» gli augurò lei a sua volta.
Sorrisero.
Ryo mantenne gli angoli della bocca piegati all'insù anche per Alexander. Ma il sorriso che riservò a lui fu diverso. «Ciao.»
Se ne andò così, senza girarsi di nuovo.

Non vi era alcuna ragione, si ripeté Alexander, alcuna ragione per cui quel tizio potesse sentirsi in diritto di renderlo geloso.
Lui aveva fiducia in Ami. A lei quello non interessava, se n'era reso conto appena li aveva visti insieme. «Perché trovava divertente che mi preoccupassi della sua presenza?»
Non riuscì a pentirsi della domanda: Ami poteva non aver provato niente, ma lui voleva sapere esattamente tutto quello che aveva fatto tale Ryo Urawa nei dannatissimi cinquanta minuti in cui era rimasto da solo con lei. Minako Aino era già morta e sepolta.
Ami si abbandonò a una risatina. «Beh... oggi mi ha detto che gli interessavo ancora.»
Lui aveva creduto di poter ridurre tutto quello che era successo a uno scherzo, a una specie di strano incubo. Invece non era ancora finito.
«Gli ho detto che io...» Ami scrollò le spalle. «Ovviamente. Vederti preoccupato sarà stata la sua rivincita, che sciocco.»
Davvero?
Ami si adombrò. «Saresti sciocco anche tu a preoccuparti sul serio.»
Sì. Forse. «Non sa forse cose di cui io non sono a conoscenza?» Non fu specifico, ma - diavolo - non fu nemmeno necessario: Ami capì tanto bene da impallidire visibilmente, cercando di non mostrare alcuna reazione e fallendo miseramente.
«Cosa vuoi dire?»
«Sono in ritardo per via di Aino. Vi ha visti insieme e voleva darvi un po' di tempo. Mi aveva fatto pensare che saresti arrivata dopo.»
«Minako?» Ami riprese parte del proprio controllo e deglutì. «E che cosa ti ha detto?»
«Che quel ragazzo sa cose che io non so.»
«... solo questo?»
Sì, dannazione. «Non volevo sapere niente da lei. Se c'è qualcosa di cui parlare, voglio sentirlo dire da te.»
Ami prese a scuotere la testa. «Non ho detto niente a Ryo. Lui era semplicemente lì quando...»
Basta, basta con 'quella faccia'.
«Lui era con me quando avevo quattordici anni. Per pochissimo, tutto qui. Cosa può sapere, Alex?»
Se era una bugia, era la menzogna più sincera che lui avesse mai sentito pronunciare ad anima viva.
Detestava sentirsi nella posizione di costringerla a qualunque confessione inutile che lei non volesse fare da sola. Ma detestava sentirsi escluso anche da cose inutili. «C'è qualcosa che... ?» No. «Niente.»
Ami si era fatta seria e triste. «Perché eri agitato quando sei corso qui? Pensavi di dover essere preoccupato?»
«Domani me ne vado per tre settimane.»
Ami non disse nulla.
Non capiva. Aveva ragione.
Lui non resistette più. «Non vuoi venire con me?»
La sorprese. «Cosa?» La costernò. «Io... Non posso
«Lo so. La scuola.» Era già iniziata, era un maledetto problema, la ragione per cui lui non si era nemmeno azzardato a insistere sul serio con quella proposta. «Non ti sto chiedendo se vuoi venire, ma se ti piacerebbe. Se vorresti... Se io dovrei...» Si sentì idiota. Mandò giù un bel respiro. «Facciamo una cosa.» Le prese la mano. «Ignora quello che ho detto adesso. Avevo in mente di portarti in un posto. Forse riusciamo ancora ad arrivarci.»
Voleva andare all'acquario e ritrovare se stesso nella calma di quegli ambienti semibui.
Ami non collaborò nel muoversi. «Io avrei un posto dove voglio andare.»
Sì?
«Casa tua.» Lo sorpassò senza dargli il tempo di rispondere. «Andiamo.»

Ami osservò mesta la mano di Alexander che girava la chiave di casa sua.
Per i suoi diciotto anni, come regalo di compleanno, lei desiderava innanzitutto poter sistemare qualunque cosa stesse andando storta. Non si poteva fare in un parco, per strada, in giro. C'era bisogno di silenzio e di muri che fungessero da barriera di protezione, dove potersi sentire al sicuro.
Entrò in casa. «Io...» Non riuscì ad aspettare oltre. «Certo che mi piacerebbe partire con te domani. È un bel viaggio.»
Alexander si bloccò brevemente, quindi terminò di chiudere la porta con più calma. Sembrava rassegnato. «Non importa.»
«Non devi sentirti in colpa se vuoi andare senza di me.»
«Non è questo. Non importa.»
Non comprenderlo la faceva sentire impotente. «Perché ti preoccupava che fossi con Urawa? Anche se mi ha detto che era interessato a me...» Lui avrebbe dovuto riderne. «Io non potrei mai innamorarmi di qualcun altro.»
Alexander studiò la sua frase. «Hai ragione. Alla fine, that's it.» Chiuse la distanza tra loro e le prese il volto tra le mani. «Curami un poco.»
Ma coi baci lei voleva dargli di più. Gli offrì ugualmente il primo. E il secondo. «Per cosa?»
Lui stava scuotendo piano la testa. «Mi stai già curando.» Continuò a tenere la bocca sulla sua, ad appoggiarla e ad allontanarla di pochissimo. Ad un certo punto la strinse forte e non fece altro.
Che cos'hai?
«Sai che può essere l'occasione per un bel regalo a tutti e due?»
Lei lo guardò negli occhi. Alexander la osservava come se volesse... mangiarla.
«Oggi potresti lasciare che ti baci dappertutto. Senza smettere.»
Lei si sentì evaporare, bollire, morire d'imbarazzo.
Lui iniziò a ridere piano. «Sul viso, Ami love. Stavo scherzando, sei tutta rossa.» La lasciò andare, ma continuò a tenere stretta la sua mano. «Siediti, su. E fai un bel respiro.»
La situazione si era invertita, era lui quello stabile ora.
Lei si rifiutò di lasciarsi battere da uno scherzo. «Non stai pensando di non partire, vero?»
«No.» Lui si sedette sul divano del salotto con lei. «Parto.»
Infatti. Lo aveva programmato da molto tempo. «Dovrai fare molte foto, così potrò vederle. E quando hai tempo non preoccuparti se l'orario è strano: chiamami. Così potrò sentirti.»
Lui accennò ad un sorriso incerto, scherzoso. «Ti mancherò?»
Certo, annuì lei. Ma erano solo tre settimane, sarebbero volate via. Lo sperava, almeno Se iniziava a lamentarsi già ora, come avrebbe fatto a resistere quando lui sarebbe andato in America a studiare? «Penso che quando tornerai...» Si sentì di nuovo arrossire. «Penso che sarò io a non voler smettere di baciarti.»
Lui fece un attimo di silenzio. Deglutì. «That's beautiful.» Iniziò a ridere e si sporse in avanti.
Lei si sentì accerchiata dalle sue braccia, catturata e... strana, avvolta nel silenzio, seduta sulle sue ginocchia a stringerlo. Non voleva rimanere ad abbracciarlo troppo a lungo su quel divano, senza equilibrio, senza controllo. Erano più belli i baci che poteva gustare piano e i sentimenti che poteva provare intensamente - provare davvero - senza farsene vincere.
Era lenta, lo sapeva. Fallace. Anomala, in molti sensi. Ma aveva un ché di meraviglioso abituarsi piano ai brividi sottili che le provocava il respiro di lui sul retro del collo, dove le sembrava di morire per il solletico e le troppe sensazioni dolci, intime.
Un giorno sarebbe arrivata a non morire di rossore di fronte al pensiero di quello che seguiva. Quando avesse smesso di vergognarsi, tra loro avrebbe potuto essere davvero bello. Lo sarebbe stato sicuramente, come lo era tutto il resto.
Ebbe un ripensamento e non lo trattenne. «Mi mancherai moltissimo.»
«Ma devo partire lo stesso?»
«Sì.»
Alexander posò gli occhi sui suoi, il naso sul suo. «Ti stai sacrificando?» Sorrideva.
«No. In viaggio ti divertirai.»
«In queste tre settimane magari diventerai meno altruista.»
«Con te no.»
Gli ripeté la ragione con un sussurro.
«Lo so» ammise lui. «Oggi sono stato così strano da essermi persino dimenticato di dirti una cosa.»
Hm?
«Happy birthday, my love




NdA : devo rileggere questa storia nella sua interezza. L'ho riletta pezzo per pezzo, l'ho sentita mentre la scrivevo, penso sia venuta bene, ma la sensazione che mi lascia è diversa ad ogni pezzo, è... sospesa. Era quello che volevo, credo, ma devo rileggerla.
Se mi dite cosa ne pensate voi, mi date una vera mano.

ellephedre







   
 
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