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Autore: Jo Shepherd    05/01/2012    1 recensioni
In un certo mondo, il ruolo del "postino"... è di importanza fondamentale.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Erian Shubisky

 

Una nuvola d’uccelli scivolò dinnanzi al sole, la cui luce tremolò a intermittenza. Un gabbiano, sì separò dagli altri, e  si gettò in picchiata sulle acque del mar Stibe, fendendo l'aria che gli scompigliava le piume. Si drizzò in tempo, sfiorando con le zampe un’ onda; qualche goccia zampillò. Puntò una nave merci. La superò, con maestria: volteggiando fra l'albero maestro e le sue candide vele gonfie. S'abbassò ancora e rasentò la superficie del mare, disegnando spumose scie con la punta delle ali. S’issò e proiettò l’ombra su un paio di piccole barche e, dalla seconda, rubò un pesce che guizzò in aria sfuggendo alla presa del pescatore: l'acchiappò piegando appena la testa e lo tracanno con secchi colpi di collo.

Sfrecciò verso il porto, dove scomparve in una foresta di alberi, corde e vele; dai colori che sfumavano dal panna al cadmio. Si rovesciò ai piedi degli scalini di marmo che dal mare sorgevano solidi e appena impiastricciati da piccole e viscide alghe. Andò oltre la banchina zeppa di cittadini, per ripuntare in alto e sbucare sulla distesa infinita cremisi dei tetti. Volò dritto e a tutta velocità, mentre sotto i vicoli bui e le larghe vie principali, i canali e i rii si susseguivano labirintici.

Varcò i pennacchi di fuligine delle canne fumarie, roteò costeggiando campanili e torri che violavano la legge di tenersi ad un massimo di cinque piani per abitazione; evitava balconi ricchi di verde e finestre spalancate; ripiegò su una delle strade più larghe ed affollate dell'intera città; zigzagò fra i panni ancora umidi da poco stesi, che correvano fra le varie facciate. Stufo si volare, planò verso il mercato. Si preparò all'atterraggio: tirò fuori le zampe e stese le ali verso l'alto, smuovendo l’aria che scoppiò sorda, e le agitò con pochi battiti secchi e decisi. Affondò le zampe su un'asse di una delle tante bancarelle che occupavano ambo i lati del ciottolato. Il brusio delle voci dei cittadini, riversati in strada, mescolati alle urla dei vari venditori, erano poco piacevoli per l'amico volatile. Così, decise di andarsene, ma non prima di aver inzaccherato per bene un mal capitato: tirò fuori il posteriore, drizzò per bene le penne e fece fuoco, provando un immediato sollievo. Nel momento esatto in cui il passante sfortunato riversò verso il pennuto sentitissime imprecazioni, il gabbiano prese il volo, scomparendo nella volta limpida, lasciando qualche penna a volteggiare lì dove prima era.

 

Nessuno udì l'eco del trillo del campanello…

Il chiacchiericcio cessò, così come gli scalpitii. Non fiatava il più insignificante degli insetti. Il fiume di compratori, ormai più simili a statue inanimate, si aprì nel mezzo, accalcando tutti i cittadini ai lati della strada. Un rotolio, qualche cigolio ferroso e il fruscio di una catena proruppero in quel cimitero di suoni. Il ciclista sfrecciò fra la folla, ed una volta sorpassata, il trillo riverberò ancora: il fiume di folla si richiuse e i rumori della vita tornarono a infastidire chi affacciava su quella strada.

 

I suoi occhi tenevano sotto controllo la strada, riflessa nelle sue iridi lucide ed etero cromatiche. Seguivano l'itinerario che figurava ben distinto in mente.

Mancava poco ormai e non poteva permettersi il lusso di alcun ritardo, o sarebbe finito in tragedia. Ancora ricordava perfettamente quando gli capitò: l'emozione legata a quel momento era così tanta e così negativa che un gran senso di pesantezza e soffocamento gli attanagliò stomaco e petto. Socchiuse per qualche attimo gli occhi ed espirò a fondo.

- OHI! OHI! OHI!

Sobbalzò. Aprì gli occhi e vide il collega, parallelo a lui di un paio di metri, impaurito e impegnato nel tentare di riprendere il controllo della bici momentaneamente fuori controllo. Riuscitoci, guardò verso il collega.

- Erian!
     - Eh… scusami. Mi sono distratto un attimo.

Inizialmente titubante, il collega, alla fine, decise di accostarsi ad Erian.

- Ci vediamo dopo, al bar? Io ho ancora due consegne.

Erian esitò: - Uhm. E va bene. A me manca solo questa, poi chiudo per oggi.

- Perfetto, allora ci becchiamo fra mezz'ora, al bar. - Gli diede un leggero buffetto sulla spalla con la punta della coda vaporosa, che subito si sistemò alla base della schiena arricciandosi.

- Io giro di qui, e fa' attenzione a dove vai, che me la sono vista brutta… per entrambi. Ciaooo! -E ripiegò in un vicolo striminzito, dal quale si sentì trillare il campanello.

 

Giunto davanti una casetta un po' diroccata ai limiti della laguna, scese dalla bici e la portò con sé verso il piccolo giardinetto antistante all'entrata. La casa era piccola e quadrata, sommersa per tre quarti da piante rampicanti che gli donavano un aspetto selvaggio ma elegante. Grandi finestre rettangolari serrate da cornici di stucco bianco, aggraziavano l'aspetto esterno squarciando quel manto verde,

Si soffermò vicino la porta, dal legno umido e consunto; poggiò la bici alla parete in mattoni di terracotta e si adagiò la tracolla di canapa sulla spalla, dalla quale prese una busta di un bianco quasi accecante e pateticamente sottile; eccetto per un piccolo rigonfio nell'angolino in basso a sinistra.

Bussò tre volte alla porta e di rimando una voce maschile proruppe dal didentro. La porta si spalancò e colui che sembrava essere il padrone della casa, con occhi sgranati, accolse calorosamente l'arrivo di Erian, con un sorriso tanto grande da fargli vedere chiaramente anche la dentatura più interna.

- Oh! E’ giunto in tempo! Eravamo tutti tesissimi! L'aspettavamo con ansia… - prese la zampa di Erian fra le sue e le scosse con fermezza - non sa quanto sono stato in pensiero che... -

- Scusi... – Erian interruppe quella bocca nervosamente logorroica. - credo sia il caso di... - e gli fece intendere di farlo entrare gettando uno sguardo oltre lui.

- Oh, ma certo! Ma certo! Entri pure!

 

I sommessi rantoli di dolore fecero ben intendere a Erian dove doversi dirigere, ma il signore gli fece comunque strada. Sorpassarono un piccolo e rustico soggiorno e all'inizio di un breve corridoio, sulla sinistra, il padrone di casa esordì:- Mia moglie è lì dentro, nella camera da letto. -
Erian fece un piccolo cenno d'assenso e si diresse immediatamente verso la stanza della signora. Entrato, vide due domestiche accerchiare il letto.

- ... Finalmente! – Disse una domestica, e tutte rilassarono il volto alla vista di Erian, che non si fece pregare: subito si inginocchiò ai piedi del letto. Le domestiche si fecero da parte e Erian pose la busta alla padrona di casa. Quest'ultima la prese senza fare complimenti e si impegnò a possederne in fretta il contenuto.

Ad Erian, nel frattempo, venne spontaneo percorrere con gli occhi la piccola collina nel bel centro del letto, che si mosse per un sussulto di gioia della signora. Erian la guardò in volto, smunto e provato, ma raggiante per la contentezza. Quest'ultima, ricambiò l'occhiata di Erian e sussurrò un sentito: - Ti ringrazio; davvero tanto! - E abbellì quella frase uscitale dal cuore con un sorriso degno di far parte di un eterno dipinto.

- Padrona, la prego ce lo faccia vedere!

La signora non si fece scongiurare oltremodo, e aprì delicatamente le zampe mostrando ciò che stringeva gelosamente: un piccolo e sottile cristallo emettente luce propria.

- Oh, è bellissima mia signora!

- Sarà una creatura senza eguali!

- Certamente! - Esclamò fra minuti singulti il marito, che se ne stava poggiato all'uscio tentando inutilmente di trattenere lacrime felici.
Un forte urlo di dolore dissolse la confortevole atmosfera generatasi. Il piccolo cristallo svanì, con un lampo abbagliante e un sottile sibilo. Le domestiche ripresero posto attorno al letto ed Erian si distanziò tanto da sbattere contro il comò, dal qual cadde in terra un vaso che si frantumò in mille cocci. Il padrone di casa si gettò anch'egli accanto alla moglie, stringendole le zampe ormai vuote.

- Spinga mia signora; SPINGA!

Un altro urlo straziante squarciò l'aria. Erian scappò dalla stanza, infastidito da quei suoni troppo violenti per le sue orecchie. Si precipitò verso l'esterno chiudendo subito la porta dietro di sé.
Prese la bici e, poco prima di varcare la soglia della staccionata bianca, forti vagiti gli stuzzicarono le orecchie che guizzarono in un’unica direzione dietro di sé: ascoltò anche risate e commenti di giubilo.

Ad Erian venne da sorridere, scoprendo le zanne, soddisfatto del buon lavoro fatto. Si massaggiò il collo avvolto dalla folta pelliccia che gli ricopriva l'intero corpo: bianca sul davanti, dal muso al petto e giù fino alle zampe posteriori; e rossastra, da sopra le arcate sopraccigliari, toccando l'estremità delle orecchie fino alla punta della coda arricciata.

- È una femmina! - Urlò contento il padrone di casa. E su quel commento, Erian montò sulla bici e se ne tornò verso la città lagunare.

 

Fra i tanti bar del quartiere Nettuno, ce n’era uno assai ben voluto dai residenti della zona. Era una costruzione circolare e a due piani; l'unico edificio a poggiare le fondamenta su di un isolotto tutto per sé, nel bel centro di un rio, le cui acque formavano non pochi mulinelli sotto i suoi sei ponti. Le finestre erano a nastro e correvano lungo tutto il perimetro, incastonate in telai in legno di noce. Il tetto era conico, con tegole azzurre, terminante con sei canne fumarie che spruzzavano continuamente fumo e cenere nell'aria. L'intera struttura era circondata da palazzi più alti di ben tre piani capaci di eclissare il tramonto alle loro spalle, soffocando tutto il cortile con fredde ombre. Le finestre, quindi, brillavano di una vivida, ammaliante e calda luce, che invogliava chiunque ad entrare per farsi un goccio e riscaldarsi; e, su ognuna di essere, v’era dipinto il nome del bar, perfettamente leggibile, in una calligrafia sinuosa ed elegante, animata dalle figure dei numerosi clienti che occupavano i tavoli interni.

 

Il bar (“Tazza di latte”, si chiamava) era molto rinomato, sia per l'ottimo cappuccino che per la celeberrima accoglienza familiare dei proprietari; fra tutti, il figlio del proprietario, che instaurava quanti più rapporti d’amicizia possibili. Alcuni lo canzonavano alle spalle facendo invece buon viso alla sua presenza garantendosi favori e magari sconti. Altri, ci stringevano volentieri amicizia; ci si trovava facilmente della simpatia in lui: Erian era uno di questi ultimi.

 

Questo, quando arrivò al Tazza di latte, il viavai era quasi interminabile. Approfittò degli ultimi uscenti per entrare; seppur quasi strisciando. Cercò per tutta la sala, colma di gente che beveva, mangiava, fumava e chiacchierava, l'amico Emme, ma il figlio del proprietario lo intercettò prima:

- Erian!

- Ciao Pire! 
Pire Ceiane era un tipetto molto caloroso e per lui la stretta di mano era decisamente da evitare, da preferirsi un forte abbraccio. Così, cinse Erian, che ricambiò senza trattenersi troppo, ormai abituato ai modi di fare dell'amico. Pire lo fece affondare nella sua mole: era di almeno dieci centimetri più alto e il suo manto lungo e bianco quasi lo soffocava.

- Sono giorni che non ci vediamo. - continuò Pire, lasciando la presa – Ti stavamo dando per disperso! -

- No, è che ho avuto un po' da fare; c'è stato un bel boom di nascite in questa settimana. La gente deve aver passato un periodo di grande noia qualche mese fa. Eh, eh, eh.

- Ah, ah, ah...

- … Senti, hai visto Emme?

- No, starà per arrivare.

- Pire! - Qualcuno urlò riuscendo a sovrastare il baccano. Pire si girò verso il bancone, dove stava un signore simile a lui, ma ben più vecchio, che finì di riempire un vassoio colmo di pinte.

- Le ordinazioni! – aggiunse ancora questo.

- Subito! Erian devo andare. Ah, va' di sopra, lì c'è ancora posto. Ci vediamo dopo.

- Va bene, a dopo.

- Ti mando su Emme appena lo vedo.

 

Erian terminò la sua terza tazza di cappuccino, quando finalmente Emme arrivò. Ancora affannato si sedette di peso, di fronte Erian, sulla poltroncina attaccata alla finestra che affacciava sul cortile, ora illusoriamente scomparso nel buio ma rischiarato in pochi punti dai lampioni in ferro battuto e dalle finestre delle case attornianti.

- E' andato tutto a buon fine? - Chiese Erian, con una nota di agitazione.

- Tranquillo tutto bene, mi sono solo fermato a parlare con un nostro collega. Gino. Lo ricordi?

Erian s’accigliò con visibile sforzo. Così Emme aggiunse: - Quello basso e tozzo, col muso schiacciato e i denti di fuori... ha una grossa macchia sotto il collo… se può definirsi un collo quello!

- Non lo ricordo, ma vieni al punto.

- Be', hanno... Ah! Per me un tè ghiacciato... - una cameriera appena apparsa prese nota dell'ordine, - Grazie!

- Grazie a te.  

- Oh, allora? – Disse Erian.

- Ah, sì, scusa, niente...

- Come niente?

- In pratica, l'affiliato di un Collezionista gli ha rubato ben tre lettere.

Erian, stupito, spruzzò cioccolata calda un po' ovunque.

- TRE LETTERE? - Quasi urlò.

-... … … grazie per il bagno! - Emme si passò la zampa sul muso, tirato da una smorfia di disgusto.

- Ma com'è possibile?

- Anche se più che “affiliato” lo chiamerei “fottuto imbecille”. Per non parlare del suo padrone poi.

- Spero vada a fare rapporto.

- Certo che sì! Oh! Grazie! - La cameriera gli porse il tè freddo. Emme, però, guardò con un certo sconforto l'assenza di cibo. - Potresti portarmi degli stuzzichini?

La cameriera sbuffò vigorosamente. - Okay, aspetta.

- Pff, che modi; se non le piace questo lavoro che lo cambi!

- Forse è l'unico che ha trovato. - Erian bevve l'ultimo sorso di cappuccino, vuotando la terza tazza, - Comunque, spero che facciano qualcosa, perché non possiamo andare tranquillamente avanti sapendo di questi furti che continuano ad aumentare; soprattutto io! Mi mettono un'ansia! -

- Vero, vero. - Emme tintinnò volutamente il cucchiaino rubato da Erian sul vetro del bicchiere, girando, inutilmente, il tè che rovinò per alcuni rimasugli di spuma di cappuccino attaccata. Ma non parve fregarsene. Girare una qualsiasi posata in una qualsiasi bevanda era una cosa che lo rilassava, o almeno così diceva per giustificarsi quando Erian lo riprendeva.

- Solo questo dovevi dirmi Emme? - Erian si massaggiò le tempie. - Stanotte non chiuderò occhio.

- Per il momento non abbiamo altro lavoro, e magari sarà così per giorni se non settimane; quindi, non impaurirti per niente: troveranno qualche modo per garantire la riuscita del lavoro in questo arco di tempo. Vedrai.

- Speriamo. - Concluse, portando alla bocca la tazza; ma, resosi conto di aver finito il cappuccino la rimise sul tavolo con un certo dispiacere.

- Ecco a te! - La cameriera portò un piatto pieno di rustici e pasticcini vari.

- Oh, grazie mille!  

- Ma figurati!

Emme si perse nel vedere i fianchi ondeggianti della cameriera che si allontanava.

- A proposito, stasera devi lasciarmi la stanza, Howa viene a trovarmi.

- CHE? Ancora?

- Lo so, lo so, dovevo avvisarti prima, ma stamattina sei uscito presto.

- Certo, ora la colpa è mia. Potevi lasciare almeno un biglietto.

- Dai amico; non lasciare che due amanti rimangano lontani! - Emme premette sull'empatia di Erian, guardandolo con espressione sofferente.

- ... Ti lascerò la stanza.

- SI'! Dai finiamo. Che tra un'oretta dovrebbe arrivare.

- Che? Ma la stanza è un casino.

- Tranquillo, ormai lo sa che siamo dei porci. Non ci baderà.

- Ah, figurati, se lo dici tu. Non può farmi che piacere questa cosa, eh, eh, eh...

 

Mentre Emme si affrettava a riordinare la stanza il più velocemente possibile, Erian afferrò la sua chitarra e se la infilo sulle spalle.

- Dove vai? - Lo fermò Emme, con occhi strabuzzati e iniettati d’ansia e terrore.

Erian accentuò, in modo teatrale, la sua espressione stupita per l'ovvietà del suo gesto: - Ma come? ti lascio stanza libera. – aggiunse un sorrisetto sornione.

- Dammi una mano a mettere in ordine. Ti prego!

Ad Erian venne da ridere. - Un favore al giorno, Malamute!

- Non chiamarmi così!

- Ciao ragazzi! – Howa proruppe sulla soglia.

Erian sobbalzò per l'inaspettato arrivo; sperava di svignarsela prima di poterla vedere. Preso in contropiede, non seppe che fare e la sua goffaggine, accentuata dall’imbarazzo, lo condusse fuori quasi incespicando nei suoi passi. Tenne lo sguardo basso: - Ciao... Ragazzi, vi lascio. - E se la svignò lungo il corridoio.

- Ammooooreeee... - Urlò gaio Emme.

 

Il tetto era sempre stato uno dei posti preferiti da Erian: la sua pendenza gli dava anche modo di stendersi sulle tegole, poggiandosi e ancorandosi in tutta sicurezza alla canna fumaria che sbucava qualche centimetro più giù.

Steso, e con gli occhi persi nel cielo notturno, suonò le prime note lente. La notte era una meraviglia con quel cielo pieno di stelle; e anche se il profilo del pianeta Marasme ed i suoi anelli catturavano lo sguardo all'istante, Erian si allungava anche oltre.

Pizzicando corda dopo corda, si lasciava trasportare dalla calma del mondo in ombra. A quell'ora, anche il più grande e affollato degli spazi poteva dare la sensazione di ritrovarsi in una stanza piccolissima, ma sufficientemente grande a ospitare il piccolo mondo di un animo buono e introverso. Tutte le preoccupazioni volavano via su ali eteree, donando conforto e pace a chi chiedeva. Questo era il potere della musica, accentuato dalle corde di uno strumento che sembrava calmo per natura.

 

Le note evanescenti ancora si perdevano nel nulla, mentre lui faceva altrettanto nel mondo dei sogni... 

  
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