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Autore: coshicoshi    06/01/2012    7 recensioni
Un altro 1 settembre è arrivato. Primo giorno di scuola per Teddy Lupin, che si trova alla stazione di King's Cross con sua nonna Andromeda. Andromeda cerca le parole giuste per salutarlo e per prepararlo alla nuova avventura che si avvia a vivere.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Era una giornata soleggiata, luminosa. L’aria frizzante sembrava quasi vibrare dell’eccitazione che quel mattino di settembre portava con sé. La stessa eccitazione che sembrava risplendere nelle voci acute dei bambini, nei versi degli animali, nelle raccomandazioni concitate dei genitori ai loro pargoli adorati in partenza.
Non era un’atmosfera insolita quella che si respirava quel giorno nella stazione di King’s Cross; e se il binario 9 e ¾ avesse potuto parlare avrebbe guardato con aria annoiata, quasi distaccata i vari affettuosi saluti che si stavano svolgendo sulla banchina e avrebbe rassicurato i genitori ansiosi su quelle che in realtà erano scene che erano state ripetute migliaia di volte, come una commedia in cui gli attori cambiavano in ogni replica, recitando comunque le stesse battute ancora ed ancora.
Era questo che pensava Andromeda guardando il caos rumoroso attorno a lei, pur non potendo evitare di esserne contagiata.
Pur essendo consapevole di essere lì solo in qualità di accompagnatrice, la sua parte irrazionale le faceva credere di essere tornata lei stessa ad undici anni, allo stesso tempo nervosa ed eccitata per quella nuova vita che stava per iniziare. Alla fine la parte razionale ebbe il sopravvento e abbassò la testa per lanciare uno sguardo affettuoso al suo nipotino undicenne, Teddy Lupin, che quel giorno avrebbe iniziato la sua carriera scolastica ad Hogwarts.
Dire che rivedeva sé stessa in lui sarebbe stata una gran bugia, rifletté Andromeda.
Dell’ansia che l’aveva assalita quel primo settembre di tanti anni prima, non ne vedeva nemmeno la minima traccia. Solo eccitazione e tante, tante aspettative.
“Quindi ripetetemi un po’!” esclamò Teddy con quella sua vocetta squillante che tanto amava. “Tanto per vedere se ho capito bene. A Corvonero ci vanno quelli intelligenti.  A Serpeverde quelli ambiziosi e un po’ perfidi come la nonna…”
E qui si interruppe per lanciare un sorriso smagliante alla sua nonnina che, ormai abituata a quei diversivi, non si fece incantare.
“No” disse. “A Serpeverde ci vanno quelli ambiziosi e senza peli sulla lingua, come la tua nonnina.  La tua nonnina tanto buona che potrebbe decidere di non farti più quei biscotti al cioccolato che ti piacciono tanto…”
Teddy spalancò gli occhi e Andromeda dovette trattenere una risata per non guastare l’effetto della sua minaccia.
“Allora riassumendo” esclamò infine. “A Serpeverde ci vanno quelli ambiziosi, senza peli sulla lingua e quelli molto belli come la mia nonna. Così va bene?”
Fece un altro di quei larghi sorrisi innocenti e infilò le mani in tasca, negli occhi lo sguardo furbo di chi sapeva di averla fatta franca. Un atteggiamento che inconsapevolmente le ricordava sempre molto il padre.
“Oh, sì. Definizione molto accurata. Eccellente.”
Una risata allegra le risuonò accanto.
“Beh, Teddy. Dopo questa direi che sei abbastanza leccapiedi da poter veramente appartenere alla Casa di Serpeverde. Complimenti!” disse Ninfadora e si chinò ad aggiustargli la camicia nuova comprata apposta per l’occasione.
Teddy attese paziente che sua madre lo lisciasse per bene e scoppiò a ridere quando si accorse che il suo intervento aveva solamente peggiorato la situazione.
Ninfadora sbuffò. “Maledetti indumenti a bottoni. Sono scomodi sia da indossare che da infilare.”
Andromeda alzò gli occhi al cielo e preferì non ricordare alla figlia che non era strettamente necessaria la presenza di bottoni per farle combinare un disastro.
Come lei suo marito fossero riusciti a crescere un bambino come Teddy, rumoroso e molto più tendente al moto che alla quiete, evitandogli danni permanenti era per lei tuttora un mistero.
Da una parte sua figlia Ninfadora. Gli aggettivi ‘goffa’ e ‘disordinata’ erano un eufemismo se riferiti a lei. Dall’altra il marito Remus che, nonostante avesse dimostrato doti culinarie e domestiche discrete, era una delle persone più trasandate che Andromeda avesse mai incontrato. L’ordine della casa e la puntualità agli appuntamenti erano tra gli ultimi punti nella sua scala delle priorità, forse appena prima di ‘sistemarsi i capelli’ e ‘falciare il prato’.
Un altro mistero che non riusciva a spiegarsi era appunto come potesse Remus Lupin, essendo così poco preciso, insegnare con così tanto successo a tutte quelle classi di allievi che la preside McGranitt, nella sua strana concezione di giustizia, gli aveva affidato.
Sua figlia sosteneva che fosse merito del suo carattere così affabile e dalla sua capacità di farsi apprezzare per quello che era da chiunque gli desse una possibilità.
Andromeda aveva invece avanzato l’ipotesi che gli studenti fossero così timorosi di essere sbranati dal loro professore di Difesa Contro le Arti Oscure durante le notti di Luna Piena, da obbedirgli in tutto e per tutto durante il giorno. Inutile dire che questa ipotesi aveva scatenato le ire di Ninfadora e le risa incontrollate di Teddy, mentre Remus aveva fatto del suo meglio per restare distaccato. Sapeva che le sue frecciatine, da ché i loro rapporti erano diventati più cordiali, lo divertivano parecchio.
“E poi c’è anche Tassorosso!” esclamò Teddy interrompendo le riflessioni di Andromeda, ben deciso a finire il suo ripasso. “A Tassorosso ci vanno invece quelli sinceri e quelli che si impegnano molto! ”
“Proprio così” disse Ninfadora. “In barba a tutti quegli idioti che dicono che è la Casa degli scarti!”
“E poi…” aggiunse Teddy. “E’ stata la casa della mia super mamma Auror!”
“La donna che ti prepara la cena, o almeno ci prova, dopo aver passato la giornata a dare la caccia a Maghi Oscuri.” osservò Andromeda. “Ti sembra poco?”
Ninfadora le lanciò uno sguardo insieme stupefatto e compiaciuto. Andromeda non era mai stata molto generosa nell’elargire complimenti o nel riconoscere meriti, e sua figlia lo sapeva bene.
“E infine…” continuò Teddy ormai saltellando per l’emozione. “C’è Grifondoro! La Casa del mio papà!”
“Esatto. La Casa del ‘prima agiamo e poi pensiamo’!” disse Ninfadora.
“La Casa dei nobili martiri.” aggiunse Andromeda.
“La Casa dei testoni.” concluse Ninfadora ridendo.
“Via, via. Noi Grifondoro non siamo poi così male.” (*) s’inserì pacata una voce roca.
Andromeda sbuffò in direzione del genero appena sceso dal treno. Non l’aveva sentito arrivare: Remus aveva un talento nel non farsi notare. Lo guardò con attenzione mentre indicava al figlio lo scompartimento dove gli aveva sistemato il baule e alzò gli occhi al cielo.
A proposito di testoni. Erano ormai passati diversi anni dall’ultima volta in cui Andromeda l’aveva visto con quei suoi consunti completi rattoppati. La novità di uno stipendio fisso e continuo gli aveva permesso di comprarsi vestiti più che decenti e adatti al suo incarico di lavoro. Così come gli aveva permesso di mettere  su qualche chilo e di non sembrare perennemente sul punto di svenire.
Allora che scusa aveva per restare con quella camicia arrotolata sulle maniche con meno di dieci gradi? Pazzo incosciente Grifondoro.
Gli lanciò un cappotto interrompendolo a metà di una frase.
Lui lo guardò stupito e chiese “Cosa dovrei farci?”
“Infilarlo, sciocco. Ti prenderai un malanno.”
Sul suo volto apparve la stessa espressione di vacua sorpresa che era apparsa sul volto di Ninfadora pochi minuti prima. Andromeda sospettò che la vecchiaia iniziasse ad ammorbidirla troppo.
Davanti alla sua espressione feroce, Remus si affrettò ad infilarlo.
“Un pensiero.. uhm.. gentile.” osservò. “Da quand’è che ti occupi della mia salute?”
“Da quando il tuo stipendio fisso è necessario alla sopravvivenza della famiglia.” sibilò, mentendo. Sicuramente una delle ragioni era quella però. “Non vorrei mai che Minerva rinsavisse e prendesse finalmente la saggia decisione di licenziarti.”
Remus rise. Una risatina bassa, allegra. Doveva essere su di giri pure lui quel giorno.
Un fischio acuto li interruppe, seguito immediatamente da uno sbuffo di fumo. Con un gran fracasso la locomotiva rossa prese vita. Era il momento dei saluti.
Prima che avesse tempo di scappare, Ninfadora piombò su Teddy e lo baciò con trasporto sulla guancia.
Lui si pulì subito, guardandosi intorno per controllare che nessuno lo avesse visto.
Remus e Ninfadora risero della sua espressione imbarazzata.
“Mi mancherai, ometto.” sussurrò lei chinandosi ad abbracciarlo. Teddy ricambiò di buon grado. Era molto più triste per quella separazione di quanto lasciasse trasparire. “Non mi importa nulla se finirai tra i tassi, tra i corvi, tra le serpi o tra i grifoni. Per me sarai sempre il mio piccolo lupo feroce.”
“Grrr.” ringhiò Teddy, facendo ridere sua madre, una buffa risata simile a un singhiozzo.
Anche Remus si chinò davanti a lui per posargli una mano sulla spalla, ma dopo un breve attimo di riflessione lo attirò a sé in un forte abbraccio.
Teddy lo guardò stupito: sapeva bene quanto fossero rare le sue manifestazioni fisiche di affetto.
“Ma come?” chiese. “Non vieni anche tu, papà?”
“Sì, ma ti raggiungo dopo.” gli sorrise. “Là sarò solamente il tuo professore. Era la mia ultima occasione per salutarti da papà. No, ascoltami.” aggiunse quando Teddy aprì la bocca per ribattere. “In questo momento stai per partire per una delle avventure più grandi della tua vita. Stai per andare in posto nuovo, dove conoscerai nuovi amici e imparerai cose nuove. Questa è la tua più grande occasione per mettere in gioco le tue carte migliori. Non sprecarle, e saranno gli anni migliori della tua vita. E anche se di tanto in tanto trasgredirai qualche regoluccia” gli strizzò un occhio “non importa nulla. L’importante è che tu te la viva fino in fondo, senza alcun rimorso. Senza alcun rimpianto. Mi sono spiegato?”
Teddy annuì.
“Molto bene. E allora promettimi che lo farai.”
“Lo giuro solennemente.” disse. “Grazie, papà.”
Si scambiarono un ultimo abbraccio.
Un altro fischio risuonò nella stazione. Era ora di andare.
“Andromeda?”
Il richiamo giunse da molto lontano. Non voleva andarsene, ma il tempo a disposizione era scaduto.
Andromeda aprì gli occhi.


La scena che le si presentò era quasi identica a quella nei suoi pensieri. Stessa stazione caotica, stessa giornata luminosa, stessa atmosfera di eccitazione.
Sì, era tutto quasi uguale, ma erano quelle piccole differenze a contare più di ogni altra cosa.
Si rese conto che la conversazione che si era figurata si era svolta anche nella realtà, sebbene i dettagli fossero diversi. Non era stata sua figlia a difendere la sua amata Casa di Tassorosso dalle malelingue. Non aveva scherzato con lei riguardo ai Grifondoro, e non era certo Remus quello che era salito sul treno per sistemare il baule di Teddy sullo scompartimento.
Tempo di rendersi conto di queste cose e un gelo innaturale l’aveva invasa. Si rese conto che i raggi del sole erano stati molto più caldi nella sua fantasia.
Sorrise debolmente alla coppia in piedi accanto a lei, ma doveva essersi lasciata sfuggire qualche cosa in più a giudicare dagli sguardi che i due giovani le rivolsero.
“Andromeda?” ripeté Ginny Weasley, sfiorandole una spalla. “E’ tutto a posto?”
“Sì.” disse con voce spezzata. “E’ tutto a posto.”
No, non era tutto a posto. Maledizione, dov’erano finiti l’autocontrollo e la freddezza tipici di lei?
Teddy lanciò uno sguardo preoccupato al suo padrino, Harry, che gli diede un buffetto affettuoso sulla testa.
“A quanto pare hai spezzato il cuore di tua nonna con la tua partenza.” disse.
Teddy sorrise debolmente, ma dal suo sguardo capì che non si era lasciato ingannare. Era sempre stato molto intuitivo per certe cose. Molto più di quanto ci si aspetterebbe da un bambino della sua età. Proprio come…
Ginny si chinò ad abbracciarlo per la seconda volta, forse per darle tempo di rinsavire.
“Te l’ho già detto che mi mancherai, ometto?” sussurrò, proprio come se fosse stata sua madre.
Andromeda sapeva che per lei era così. Per Ginny perlomeno. Sebbene Harry fosse molto giovane all’epoca in cui aveva accettato di fare da padrino a Teddy, si era prodigato fin da subito per avere un ruolo nella vita di quel bambino orfano in cui forse aveva rivisto sé stesso.
E così Ginny Weasley, la ragazza che sarebbe poi diventata sua moglie. Per lei Teddy era, se non come un figlio, un fratello minore.
Era tutto giusto. Eppure tutto sbagliato.
Le parole che usava per incoraggiare suo nipote. Perfette, adatte all’occasione. Eppure giungevano strane e distorte all’orecchio di Andromeda. Come quando ascolti la tua canzone preferita e ad un certo punto ti accorgi che quello che stai ascoltando non è il tuo cantante preferito, quello che ami. Ma solo una cover, un’imitazione.
Un altro fischio la fece sobbalzare. Ormai il tempo a disposizione era davvero agli sgoccioli.
Si avvicinò e prese suo nipote tra le braccia, cullandolo per un lungo minuto, proprio come se invece di undici anni ne avesse uno.
Notò che la sua camicia gli cadeva perfettamente. I bottoni erano nelle asole corrispondenti e il colletto esattamente in ordine. Non aveva nulla da sistemare.
Gli occhi le pizzicarono. Perché le sembrava tutto tremendamente sbagliato?
Lui la lasciò fare e alla fine si scostò.
“A che cosa pensi, nonna?” chiese. “Perché sei triste?”
“Stavo pensando ai tuoi genitori.” ammise Andromeda. Perché mentirgli? In fondo lo sapeva ancor prima di chiederglielo.
Lui spalancò gli occhi. “Ti stavi immaginando cosa mi avrebbero detto se fossero stati qui?”
“Certo che no.” Ignorare il macigno sul suo cuore per sbuffare divertita, le costò un enorme sforzo. “Io so cosa direbbero se fossero qui.”
“Ah, già.” disse Teddy, rattristandosi un po’. “Tu li conoscevi così bene da potertelo figurare da sola.”
Nel suo sguardo una punta di gelosia. Lei li aveva conosciuti così bene, aveva potuto passare del tempo con loro. Al contrario di lui, per cui erano solo degli estranei.
“Non è così, Teddy.” gli sussurrò.
Harry e Ginny si erano scostati per lasciare loro un po’ di intimità, ma intuì che stavano sentendo tutto.
“E allora come…?” chiese, gli occhi fissi sul suo volto, affascinati.
“Me l’hanno detto loro stessi, Teddy.” gli rispose semplicemente Andromeda. “Quando ho chiuso gli occhi li ho visti, reali come lo sei tu per me ora. E puoi farlo anche tu se vuoi.”
“Questo è impossibile…” sussurrò lui. Ma i suoi occhi dicevano il contrario. La fiammella di una speranza si era accesa al loro interno.
“E invece no. E sai perché? Perché loro sono dentro di me…”
Gli prese una mano e la portò sul proprio cuore. La trattenne per un po’, abbastanza da essere certa che lui avesse percepito il caldo pulsare al di sotto della stoffa.
“… Così come sono dentro di te.”
Andromeda spostò la manina del nipote sul suo petto, in corrispondenza del cuore. Teddy chiuse istintivamente gli occhi.
“Hai ragione, nonna.” disse. “Li vedo. Mi sorridono. Ma non dicono niente. Non ricordo le loro voci.”
La voce gli si spezzò.
E in quel momento, per una volta nella sua vita, Andromeda seppe esattamente cosa doveva dire.
“Ascoltami, Teddy.” soffiò Andromeda.  “In questo momento stai per partire per una delle avventure più grandi della tua vita. Stai per andare in posto nuovo, dove conoscerai nuovi amici e imparerai cose nuove. Questa è la tua più grande occasione per mettere in gioco le tue carte migliori. Non sprecarle, e saranno gli anni migliori della tua vita. E anche se di tanto in tanto trasgredirai qualche regoluccia…”. Suo nipote aveva ancora gli occhi chiusi. Chissà se si era accorto delle lacrime che scendevano incontrollate dai suoi occhi. “…Non importa nulla. L’importante è che tu te la viva fino in fondo, senza alcun rimorso. Senza alcun rimpianto. Mi sono spiegata?”
Ora anche il viso di Teddy era contratto come se stesse per piangere. Annuì.
“Molto bene. Allora promettimi che lo farai.”
“Lo giuro solennemente.” disse. “Grazie, mamma. Grazie, papà.”
Il treno sferragliò. Un ultimo fischio acuto e si mise in marcia, lentamente.
Teddy aprì gli occhi.
“Ti voglio bene, nonna.”
Si tuffò un’ultima volta tra le sue braccia. Poi corse da Harry e  Ginny.
“Avanti, pulce! Altrimenti ti toccherà correre fino a Hogwarts!”
Teddy rise e con una breve corsa e un balzo riuscì ad atterrare sano e salvo sul treno. Pochi secondi e la sua testa sbucò dal finestrino del suo scompartimento.
Li salutò tutti agitando la mano, frenetico, urlando una serie di raccomandazioni confuse.
“Ciao, Harry e Ginny! Tirate le orecchie a James e Al! Date un bacio a Lily! Nonna, scrivimi presto! Mandami i biscotti appena puoi! E ricordati…”
Non seppero mai cosa si sarebbero dovuti ricordare. La sua voce si perse nella confusione e piano piano anche la sua testa colorata svanì alla vista.
Tuttavia Andromeda continuò a salutare con la mano la locomotiva scarlatta che si allontanava e con l’altra afferrò la mano di Ginny e la strinse.
Era molto insolito che Andromeda si lasciasse andare a gesti così affettuosi, ma come così spesso accadeva, la ragazza capì ogni cosa e ricambiò la stretta.
Perfino Harry, solitamente così impacciato e riservato, le cinse le spalle con un braccio.
In quel momento Andromeda chiuse gli occhi e le sembrò quasi che la mano che stringeva la sua si fosse trasformata in un’altra mano. Una mano dalle unghie colorate e poco curate. E il braccio attorno alle sue spalle? La presa si fece più spigolosa, tipica di un braccio molto magro, e timida, come se il suo proprietario avesse paura di essere respinto.
A quel punto si poteva anche concedere un sorriso. Quella che aveva raccontato a Teddy non era una bugia su misura: loro non se n’erano mai andati. Erano nel suo cuore. E in quello di Teddy. Per sempre.


















NDA. Ed eccomi qua, resuscitata dopo tre vergognosi mesi d'assenza. Il mio recupero è iniziato con questa One Shot e spero che vi sia piaciuta perchè ci ho messo il cuore (è normale che ti venga voglia di piangere durante la scrittura?) e soprattutto perchè sto pensando di trasformare la prima parte in una long (Oddio, la prima. *sopraggiunge il panico*). Quella con Remus professore e Teddy che va' a scuola tanto per intenderci.... Ho finito di rileggere DH giusto oggi e dopo la solita disperazione 'dopo lettura' mi sono detta BASTA. Remus e Tonks, morti? Non diciamo stupidate.
 Quindiii.. fatemi sapere se vi è piaciuta oppure no! Con una piccola recensione mi rendete davvero tanto felice.

Forse a qualcuno avrà notato il fatto che mi riferisco sempre a Tonks chiamandola 'Ninfadora'. Spiegazione? E' tutto dal punto di vista di Andromeda. Lei le ha dato il nome e non si rassegna. ;)


(*) Citazione! Non è difficile, suvvia. :)

   
 
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