Ciao a tutte! questa è una bravissima fiction, nata come one-shot e poi divisa in due brevi capitoli. Spero vi piaccia, vi ho messo molto di me... è dedicata a tutti coloro che hanno amato e non sono stati ricambiati, a tutti coloro che il tempo a tagliato il filo della speranza. Aspetto le vostre recensioni!
Un soffio di aria gelida le fece aprire gli occhi, ancora annebbiati da fumo,
stanchezza ed alcool.
Il cerchio alla testa che l’aveva ferocemente
tormentata durante il suo breve riposo l’assalì con ancor più veemenza.
Si
massaggiò le stanche meningi abituando gli occhi alla penombra che la
circondava.
Per un attimo parve non ricordare dove, quando e perché si
trovasse lì…appuntò i gomiti alla morbida e calda superficie che sentiva sotto
di sé e si alzò.
Un piccolo gemito, fin troppo ben conosciuto, la
scosse.
Abbassò lo sguardo e si illuminò: riconobbe i tratti regolari, le
lunghe ciglia e la bocca che più lei amava al mondo; vi impresse un lungo bacio
e si adagiò di nuovo tra le sue braccia.
- Yanko…- mormorò a bocca socchiusa,
assaporando lentamente il gusto del ragazzo che aleggiava ancora sulle sue
labbra.
Non c’era modo migliore di festeggiare, quella mattina.
L’anno
nuovo era arrivato in fretta…e quella notte di frenesia aveva scandito il loro
addio e benvenuto.
Il futuro non li spaventava; il futuro, ora che finalmente
erano stretti ed insieme, non avrebbe potuto spaventarli.
Forse non il
futuro…ma il passato si.
Se qualcuno le avesse chiesto dove avrebbe passato
la magica veglia di Capodanno solo qualche giorno prima, l’avrebbe vista
arrossire ed ammettere che probabilmente sarebbe rimasta a casa, sola.
Nulla
lasciava presagire i miracoli di quel Natale: lo spettacolare ritorno di Yanko
dopo l’ennesima litigata, il loro primo "ti amo"…la loro passione romanticamente
sfogata sotto il cielo stellato.
E La Festa di Capodanno.
Quella festa
consumata dentro le mura che ora la circondavano. Quella mura che sapevano di
ricordi.
Ecco…quel passato che tornava a tormentarla.
Distolse il pensiero
sforzandosi di stringersi al suo ragazzo.
Nel sonno, lui non parve gradire
l’avvicinamento del corpo della ragazza e, con un movimento brusco, la gettò a
terra dal divano dove riposavano.
Atterrando scompostamente, la ragazza
osservò la buffa scena trattenendo a stento un sorriso: quel divano che da
bambina le era sembrato immenso, un’oasi infinita dove rifugiarsi, ora le
appariva minuscolo, avvolto dalla mole di Yanko e da una consistente quantità di
corpi indistinti, mescolati in una dormiente promiscuità.
Caparbia tentò,
silenziosamente, di ritrovare il suo posto perduto e già occupato da qualche
braccio, gamba che al minimo contatto produceva fastidiosi
lamentii.
Accarezzò il volto del suo ragazzo e si alzò, demoralizzata ed
oramai completamente sveglia.
Solo allora si accorse del famigliare
suono.
Il mare.
Un brivido la percorse.
Quanto aveva amato farsi
accarezzare da quel suono…tanti anni prima.
Lei.
Lei che, per il colore
dei suoi occhi, o dei suoi capelli, forse al mare apparteneva davvero.
Come
un richiamo selvaggio accorse alla finestra che dava sull’ampio
balcone.
Rabbrividì al contatto della sua eburnea pelle con la gelida aria di
gennaio.
Si strinse al corto vestito, avvolgendo le esili braccia al corpo,
in un estremo tentativo di scaldare le spalle.
Respirò profondamente l’odore
di salsedine misto a quello di bagnato.
Un odore che aveva imparato ad
amare.
Un odore antico…eppure quella mattina, per lei, era completamente
nuovo.
Nuovo anno, nuova vita.
Dare addio ai ricordi e salutare il futuro
proprio dal luogo che la teneva misticamente avviluppata a sé.
Serrando le
mani al parapetto si sporse pericolosamente: avrebbe voluto urlare, liberare la
sua anima, intimare al mondo che ora si sentiva donna, che ora era
felice.
Ora ne era sicura.
O almeno voleva credere di esserlo.
Un
improvviso rumore di passi la fece ritrarre, spaventata, ma soprattutto,
imbarazzata.
Quando il suo sguardo si posò sull’inopportuno visitatore le sue
gote si imperlarono di un rovente rossore.
Alto, moro,con il suo solito
sguardo glaciale come di metallo nero e lucente, lui non era cambiato
affatto.
Vegeta.
Il padrone di casa.
Colui che l’aveva inaspettatamente
invitata.
Il suo più vecchio e caro amico d’infanzia.
Colui che lei aveva,
ardentemente e contro ogni più logico criterio, desiderato ed amato.
Colui a
cui lei aveva giurato di non rinunciare.
Colui che lei si era imposta di
dimenticare.
Colui che ora la stava guardando.
Cercò di mascherare il suo,
sempre più evidente, nervosismo con un sorriso, teso e forzato.
- sei la
solita cretina…- iniziò lui, non ricambiando, come vecchia abitudine, il sorriso
di lei.
- dopo anni che ci scambiamo qualche parola solamente per i più
essenziali auguri durante le feste, non mi sembra il modo più garbato di
inaugurare una conversazione civile…scimmione…- sibilò appena l’ultima
parola, affondando nella palude di ricordi che fin dalla sera prima l’aveva
avvinghiata.
Ma appena si voltò per compiacersi dello sguardo irritato di
lui, si accorse che era svanito.
- nel nulla…come sempre Veggy…-
Sparire,
pensò amareggiata ma quasi divertita, era sempre stato uno dei suoi punti di
forza.
Per cinque anni, prima di qualche giorno avanti, non aveva sentito la
sua voce…a volte qualche distratto messaggio…nulla più.
Incrociò le braccia
sul parapetto, reclinandovi il capo.
Nulla le spiegava la sparizione
improvvisa di tanti anni prima; non un addio, non un ultimo sguardo…
E nulla
riusciva a spiegarle il perché di quell’invito.
Cercò nei suoi occhi almeno
una lacrima…ma si accorse di non trovarne più…aveva pianto fin troppo per
lui.
Sospirò e fissò come incantata la nuvola di vapore che si andava
formando con il suo respiro.
Avvertì il lieve frusciò della gonna del
vestito…poi la calda e soffice sensazione di lana poggiata sulle sue
spalle.
Senza doversi voltare riconosceva il famigliare ed arcano tocco di
lui.
- sei gelata Bulma…-
- Vegeta…-
- e non ringraziarmi…- disse,
burbero.
Bulma si aprì in un dolce sorriso…quanto le era mancato quel suo
terribile caratteraccio!
Vegeta si appoggiò con la schiena alla ringhiera
passandosi una mano nei capelli sempre ribelli…
Tra loro scese un silenzio
fitto.
Ognuno perso nei propri pensieri.
-perché?-
Tutto il coraggio di
Bulma, tutte le sue domande, i suoi dubbi, si erano condensati in quella misera
parola.
- i perché Bulma non hanno mai un senso…- rispose lui, rivolgendole
uno dei suoi enigmatico sorrisi.
Il cuore di lei si strinse come in una morsa
dolorosa…ora ricordava cosa l’aveva fatta così perdutamente innamorare da
ragazzina.
Un lamento improvviso di Yanko nel sonno la riportò velocemente
alla realtà.
Vincendo il magnetismo che legava i loro sguardi Bulma distolse
lo sguardo, forzandosi ad indossare la giacca di lana che lui le aveva poggiato
sulle spalle infreddolite.
Con stupore si accorse che era la propria.
- …e
come l’hai riconosciuta?...pensavo non mi avessi neanche notata ieri…- disse
accorgendosi della nota di rimprovero e, soprattutto, delusione, che si evinceva
dal suo tono di voce.
- Ti assicuro di averti notata…anzi…di avervi notati-
disse lui, sporgendosi per ammirare il bizzarro spettacolo di Yanko
addormentato.
- Yanko è un caro ragazzo…- Bulma si maledì…era l’appassionata
amante di quel ragazzo, non la sua mammina…
- Me ne avevi parlato in uno dei
tuoi sproloqui alla segreteria…- interruppe lui, sarcasticamente
-
Sproloqui?!...io volevo solo mantenermi in contatto…ma tu sei…sei…E ORA DOVE
VAI?- il ragazzo si dirigeva a passo spedito verso l’interno della casa.
- A
fare colazione- disse lapidario, chiudendo la porta-finestra alle sua
spalle.
- …almeno i miei messaggi li ha ascoltati…- si disse la ragazza,
trotterellandogli dietro, decisa a non rinunciare ad un chiarimento.
Bulma abituò la vista alla poca luce della sala dove dormivano, stipati sul
divano o ammassati, come sacchi a terra, decine di ragazzi.
Sentiva intorno a
sé il forte odore del sonno mentre i passi dell’amico erano coperti dal leggero
russare di quella scomposta folla.
Raccogliendo da terra quello che le
sembrava uno dei suoi orecchini, smarrito la sera prima allo scoccare della
mezzanotte, perse di vista Vegeta che, come un esperto predatore, si aggirava
per le stanze alla ricerca di cibo.
Sbuffò irritata e, scansando ed aggirando
i corpi a terra, si apprestò all’ingresso che conduceva alle camere.
Il
grande orologio alla parete segnava le 6,50…
- ho fame…- mormorò, rispondendo
al richiamo del suo stomaco, che le si contorceva, nonostante fosse ancora
illanguidita dalla sbronza del veglione.
- Un mezzo bicchiere di spumante e
un panino ai carciofini già morso…è tutto ciò che è rimasto…- la voce di Vegeta
alle spalle la fece trasalire.
- Non riesci a perdere proprio il vizio
vero?!...vuoi farmi prendere un infarto?!- disse, moderando la voce, sebbene il
volto le si fosse arrossato e le vene del collo buffamente gonfiate.
- Qui
non c’è niente…- rispose lui, ignorando la ragazza ed entrando in una delle
piccole stanze.
Bulma lo seguì, con la mente annebbiata dalla rabbia, mista a
quel desiderio di stargli vicina che la confondeva e guidava da quando era una
bambina.
Vegeta era arrogante, ostinato, orgoglioso…persino dalla sua
camminata, retta, rigorosa, quasi militare, era facile intuirlo.
Colpì con un
piede un ragazzo a terra che gemette…per un breve attimo Bulma intravide nei
suoi occhi quell’ombra che l’aveva tante volte spaventata…Malvagità?
-
idiota, spostati!- ordinò perentorio ad un suo amico che, con la testa affondata
in un cuscino, dormiva rumorosamente, stringendo ancora in mano una bottiglia di
birra vuota.
Quello era il letto dove Bulma riposava nei pomeriggi
interminabili di, ormai, antiche estati.
E quello accanto…
Le gambe lunghe
e affusolate che, sensuali,il lenzuolo non copriva, la pelle bronzea, i capelli
azzurri sciolti sulle spalle, la linea delicata del viso.
- allora con Marion
è una storia seria?- disse lei. Vegeta si voltò verso il suo letto.
Una
ragazza, una ragazza che poteva essere una copia della sua amica, riposava,
mollemente adagiata sotto le coltri pesanti…Marion.
La copia.
Ma solo una
copia sbiadita, si accorse di pensare, fissando la figura di Bulma stagliata
contro la porta socchiusa.
- che fai…non rispondi?!- riprese lei, sfoggiando
un sorriso luminoso.
- Umpft… zitta donna…- rispose lui, rovistando
alla ricerca di chissà quale tesoro nascosto.
- E questo?!- la risata
argentina dell’amica lo indusse a voltarsi.
Aveva tra le mani un vestito
rosso scarlatto…e indicava a terra un paio di slip femminili.
Tipico di
Vegeta, pensò Bulma.
Con Marion era così da sempre. Passione
divorante.
Lei aveva odiato così disperatamente quella ragazza un tempo.
Quando la gelosia sapeva rapire facilmente il suo giovanissimo cuore.
Quando
quegli occhi che ora la fissavano, brucianti di chissà quale sentimento,
sapevano ancora annientarla, o condurla tra le stelle.
- non dovresti mica
stupirti.-
- forse non dovrei neanche essere qui. Grazie dell’invito,
comunque…da quando sono arrivata non ho avuto modo di rivolgerti una parola
neanche per ringraziarti…- disse lei, con un filo di voce, mentre lui si girava
di nuovo, fingendo di non prestarle attenzione.
Il ragazzo raccolse da terra
una sacca, rovistandoci all’interno.
Il suo sguardo intento e, comicamente,
concentrato fece sorridere Bulma.
Era strano che le fossero mancati attimi
così futili con lui.
Bulma sentì il tintinnio di qualche moneta e Vegeta,
gettata bruscamente la sacca a terra, le passò accanto, quasi ignorandola.
-
e ora che fai?- domandò lei, seguendolo fuori dalla stanza.
- qui non c’è
niente da mangiare. Io ho fame.- rispose, brusco.
- ho capito...e
allora?-
- te l’ho già detto…vado a fare colazione!- disse lui, afferrando un
nero spolverino, appeso nel ripostiglio.
- E io vengo con te!- rispose lei,
iniziando ad abbottonare la giacca di lana.
- Cosa?- le mani di lui, che già
avevano afferrato la maniglia, si fermarono improvvisamente.
- Ho fame anche
io…e poi qui dormono tutti! Mi annoio! Non ti darò fastidio…- gli disse,
fissandolo con i suoi occhi di cielo.
Una distratta stretta di spalle fu
l’unica risposta che la ragazza ricevette.
Uscirono entrambi dalla porta.
Vegeta davanti, fiero, e Bulma dietro, con lo sguardo gioioso di una bambina.