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Autore: bambi88    23/08/2006    7 recensioni
Smettere di pensare al passato. Avere la forza di guardare al futuro. Difficile? Lo è ancora di più se il tuo passato è in agguato proprio il primo giorno del nuovo anno. " Vegeta. Il padrone di casa. Colui che l’aveva inaspettatamente invitata. Il suo più vecchio e caro amico d’infanzia. Colui che lei aveva, ardentemente e contro ogni più logico criterio, desiderato ed amato. Colui a cui lei aveva giurato di non rinunciare. Colui che lei si era imposta di dimenticare. Colui che ora la stava guardando. Cercò di mascherare il suo, sempre più evidente, nervosismo con un sorriso, teso e forzato. - sei la solita cretina…- iniziò lui, non ricambiando, come vecchia abitudine, il sorriso di lei. - dopo anni che ci scambiamo qualche parola solamente per i più essenziali auguri durante le feste, non mi sembra il modo più garbato di inaugurare una conversazione civile…scimmione…- sibilò appena l’ultima parola, affondando nella palude di ricordi che fin dalla sera prima l’aveva avvinghiata."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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capodanno1

Ciao a tutte! questa è una bravissima fiction, nata come one-shot e poi divisa in due brevi capitoli. Spero vi piaccia, vi ho messo molto di me... è dedicata a tutti coloro che hanno amato e non sono stati ricambiati, a tutti coloro che il tempo a tagliato il filo della speranza. Aspetto le vostre recensioni!

 

Un soffio di aria gelida le fece aprire gli occhi, ancora annebbiati da fumo, stanchezza ed alcool.
Il cerchio alla testa che l’aveva ferocemente tormentata durante il suo breve riposo l’assalì con ancor più veemenza.
Si massaggiò le stanche meningi abituando gli occhi alla penombra che la circondava.
Per un attimo parve non ricordare dove, quando e perché si trovasse lì…appuntò i gomiti alla morbida e calda superficie che sentiva sotto di sé e si alzò.
Un piccolo gemito, fin troppo ben conosciuto, la scosse.
Abbassò lo sguardo e si illuminò: riconobbe i tratti regolari, le lunghe ciglia e la bocca che più lei amava al mondo; vi impresse un lungo bacio e si adagiò di nuovo tra le sue braccia.
- Yanko…- mormorò a bocca socchiusa, assaporando lentamente il gusto del ragazzo che aleggiava ancora sulle sue labbra.
Non c’era modo migliore di festeggiare, quella mattina.
L’anno nuovo era arrivato in fretta…e quella notte di frenesia aveva scandito il loro addio e benvenuto.
Il futuro non li spaventava; il futuro, ora che finalmente erano stretti ed insieme, non avrebbe potuto spaventarli.
Forse non il futuro…ma il passato si.
Se qualcuno le avesse chiesto dove avrebbe passato la magica veglia di Capodanno solo qualche giorno prima, l’avrebbe vista arrossire ed ammettere che probabilmente sarebbe rimasta a casa, sola.
Nulla lasciava presagire i miracoli di quel Natale: lo spettacolare ritorno di Yanko dopo l’ennesima litigata, il loro primo "ti amo"…la loro passione romanticamente sfogata sotto il cielo stellato.
E La Festa di Capodanno.
Quella festa consumata dentro le mura che ora la circondavano. Quella mura che sapevano di ricordi.
Ecco…quel passato che tornava a tormentarla.
Distolse il pensiero sforzandosi di stringersi al suo ragazzo.
Nel sonno, lui non parve gradire l’avvicinamento del corpo della ragazza e, con un movimento brusco, la gettò a terra dal divano dove riposavano.
Atterrando scompostamente, la ragazza osservò la buffa scena trattenendo a stento un sorriso: quel divano che da bambina le era sembrato immenso, un’oasi infinita dove rifugiarsi, ora le appariva minuscolo, avvolto dalla mole di Yanko e da una consistente quantità di corpi indistinti, mescolati in una dormiente promiscuità.
Caparbia tentò, silenziosamente, di ritrovare il suo posto perduto e già occupato da qualche braccio, gamba che al minimo contatto produceva fastidiosi lamentii.
Accarezzò il volto del suo ragazzo e si alzò, demoralizzata ed oramai completamente sveglia.
Solo allora si accorse del famigliare suono.
Il mare.
Un brivido la percorse.
Quanto aveva amato farsi accarezzare da quel suono…tanti anni prima.
Lei.
Lei che, per il colore dei suoi occhi, o dei suoi capelli, forse al mare apparteneva davvero.
Come un richiamo selvaggio accorse alla finestra che dava sull’ampio balcone.
Rabbrividì al contatto della sua eburnea pelle con la gelida aria di gennaio.
Si strinse al corto vestito, avvolgendo le esili braccia al corpo, in un estremo tentativo di scaldare le spalle.
Respirò profondamente l’odore di salsedine misto a quello di bagnato.
Un odore che aveva imparato ad amare.
Un odore antico…eppure quella mattina, per lei, era completamente nuovo.
Nuovo anno, nuova vita.
Dare addio ai ricordi e salutare il futuro proprio dal luogo che la teneva misticamente avviluppata a sé.
Serrando le mani al parapetto si sporse pericolosamente: avrebbe voluto urlare, liberare la sua anima, intimare al mondo che ora si sentiva donna, che ora era felice.
Ora ne era sicura.
O almeno voleva credere di esserlo.
Un improvviso rumore di passi la fece ritrarre, spaventata, ma soprattutto, imbarazzata.
Quando il suo sguardo si posò sull’inopportuno visitatore le sue gote si imperlarono di un rovente rossore.
Alto, moro,con il suo solito sguardo glaciale come di metallo nero e lucente, lui non era cambiato affatto.
Vegeta.
Il padrone di casa.
Colui che l’aveva inaspettatamente invitata.
Il suo più vecchio e caro amico d’infanzia.
Colui che lei aveva, ardentemente e contro ogni più logico criterio, desiderato ed amato.
Colui a cui lei aveva giurato di non rinunciare.
Colui che lei si era imposta di dimenticare.
Colui che ora la stava guardando.
Cercò di mascherare il suo, sempre più evidente, nervosismo con un sorriso, teso e forzato.
- sei la solita cretina…- iniziò lui, non ricambiando, come vecchia abitudine, il sorriso di lei.
- dopo anni che ci scambiamo qualche parola solamente per i più essenziali auguri durante le feste, non mi sembra il modo più garbato di inaugurare una conversazione civile…scimmione…- sibilò appena l’ultima parola, affondando nella palude di ricordi che fin dalla sera prima l’aveva avvinghiata.
Ma appena si voltò per compiacersi dello sguardo irritato di lui, si accorse che era svanito.
- nel nulla…come sempre Veggy…-
Sparire, pensò amareggiata ma quasi divertita, era sempre stato uno dei suoi punti di forza.
Per cinque anni, prima di qualche giorno avanti, non aveva sentito la sua voce…a volte qualche distratto messaggio…nulla più.
Incrociò le braccia sul parapetto, reclinandovi il capo.
Nulla le spiegava la sparizione improvvisa di tanti anni prima; non un addio, non un ultimo sguardo…
E nulla riusciva a spiegarle il perché di quell’invito.
Cercò nei suoi occhi almeno una lacrima…ma si accorse di non trovarne più…aveva pianto fin troppo per lui.
Sospirò e fissò come incantata la nuvola di vapore che si andava formando con il suo respiro.
Avvertì il lieve frusciò della gonna del vestito…poi la calda e soffice sensazione di lana poggiata sulle sue spalle.
Senza doversi voltare riconosceva il famigliare ed arcano tocco di lui.
- sei gelata Bulma…-
- Vegeta…-
- e non ringraziarmi…- disse, burbero.
Bulma si aprì in un dolce sorriso…quanto le era mancato quel suo terribile caratteraccio!
Vegeta si appoggiò con la schiena alla ringhiera passandosi una mano nei capelli sempre ribelli…
Tra loro scese un silenzio fitto.
Ognuno perso nei propri pensieri.
-perché?-
Tutto il coraggio di Bulma, tutte le sue domande, i suoi dubbi, si erano condensati in quella misera parola.
- i perché Bulma non hanno mai un senso…- rispose lui, rivolgendole uno dei suoi enigmatico sorrisi.
Il cuore di lei si strinse come in una morsa dolorosa…ora ricordava cosa l’aveva fatta così perdutamente innamorare da ragazzina.
Un lamento improvviso di Yanko nel sonno la riportò velocemente alla realtà.
Vincendo il magnetismo che legava i loro sguardi Bulma distolse lo sguardo, forzandosi ad indossare la giacca di lana che lui le aveva poggiato sulle spalle infreddolite.
Con stupore si accorse che era la propria.
- …e come l’hai riconosciuta?...pensavo non mi avessi neanche notata ieri…- disse accorgendosi della nota di rimprovero e, soprattutto, delusione, che si evinceva dal suo tono di voce.
- Ti assicuro di averti notata…anzi…di avervi notati- disse lui, sporgendosi per ammirare il bizzarro spettacolo di Yanko addormentato.
- Yanko è un caro ragazzo…- Bulma si maledì…era l’appassionata amante di quel ragazzo, non la sua mammina…
- Me ne avevi parlato in uno dei tuoi sproloqui alla segreteria…- interruppe lui, sarcasticamente
- Sproloqui?!...io volevo solo mantenermi in contatto…ma tu sei…sei…E ORA DOVE VAI?- il ragazzo si dirigeva a passo spedito verso l’interno della casa.
- A fare colazione- disse lapidario, chiudendo la porta-finestra alle sua spalle.
- …almeno i miei messaggi li ha ascoltati…- si disse la ragazza, trotterellandogli dietro, decisa a non rinunciare ad un chiarimento.

 

Bulma abituò la vista alla poca luce della sala dove dormivano, stipati sul divano o ammassati, come sacchi a terra, decine di ragazzi.
Sentiva intorno a sé il forte odore del sonno mentre i passi dell’amico erano coperti dal leggero russare di quella scomposta folla.
Raccogliendo da terra quello che le sembrava uno dei suoi orecchini, smarrito la sera prima allo scoccare della mezzanotte, perse di vista Vegeta che, come un esperto predatore, si aggirava per le stanze alla ricerca di cibo.
Sbuffò irritata e, scansando ed aggirando i corpi a terra, si apprestò all’ingresso che conduceva alle camere.
Il grande orologio alla parete segnava le 6,50…
- ho fame…- mormorò, rispondendo al richiamo del suo stomaco, che le si contorceva, nonostante fosse ancora illanguidita dalla sbronza del veglione.
- Un mezzo bicchiere di spumante e un panino ai carciofini già morso…è tutto ciò che è rimasto…- la voce di Vegeta alle spalle la fece trasalire.
- Non riesci a perdere proprio il vizio vero?!...vuoi farmi prendere un infarto?!- disse, moderando la voce, sebbene il volto le si fosse arrossato e le vene del collo buffamente gonfiate.
- Qui non c’è niente…- rispose lui, ignorando la ragazza ed entrando in una delle piccole stanze.
Bulma lo seguì, con la mente annebbiata dalla rabbia, mista a quel desiderio di stargli vicina che la confondeva e guidava da quando era una bambina.
Vegeta era arrogante, ostinato, orgoglioso…persino dalla sua camminata, retta, rigorosa, quasi militare, era facile intuirlo.
Colpì con un piede un ragazzo a terra che gemette…per un breve attimo Bulma intravide nei suoi occhi quell’ombra che l’aveva tante volte spaventata…Malvagità?
- idiota, spostati!- ordinò perentorio ad un suo amico che, con la testa affondata in un cuscino, dormiva rumorosamente, stringendo ancora in mano una bottiglia di birra vuota.
Quello era il letto dove Bulma riposava nei pomeriggi interminabili di, ormai, antiche estati.
E quello accanto…
Le gambe lunghe e affusolate che, sensuali,il lenzuolo non copriva, la pelle bronzea, i capelli azzurri sciolti sulle spalle, la linea delicata del viso.
- allora con Marion è una storia seria?- disse lei. Vegeta si voltò verso il suo letto.
Una ragazza, una ragazza che poteva essere una copia della sua amica, riposava, mollemente adagiata sotto le coltri pesanti…Marion.
La copia.
Ma solo una copia sbiadita, si accorse di pensare, fissando la figura di Bulma stagliata contro la porta socchiusa.
- che fai…non rispondi?!- riprese lei, sfoggiando un sorriso luminoso.
- Umpft… zitta donna…- rispose lui, rovistando alla ricerca di chissà quale tesoro nascosto.
- E questo?!- la risata argentina dell’amica lo indusse a voltarsi.
Aveva tra le mani un vestito rosso scarlatto…e indicava a terra un paio di slip femminili.
Tipico di Vegeta, pensò Bulma.
Con Marion era così da sempre. Passione divorante.
Lei aveva odiato così disperatamente quella ragazza un tempo. Quando la gelosia sapeva rapire facilmente il suo giovanissimo cuore.
Quando quegli occhi che ora la fissavano, brucianti di chissà quale sentimento, sapevano ancora annientarla, o condurla tra le stelle.
- non dovresti mica stupirti.-
- forse non dovrei neanche essere qui. Grazie dell’invito, comunque…da quando sono arrivata non ho avuto modo di rivolgerti una parola neanche per ringraziarti…- disse lei, con un filo di voce, mentre lui si girava di nuovo, fingendo di non prestarle attenzione.
Il ragazzo raccolse da terra una sacca, rovistandoci all’interno.
Il suo sguardo intento e, comicamente, concentrato fece sorridere Bulma.
Era strano che le fossero mancati attimi così futili con lui.
Bulma sentì il tintinnio di qualche moneta e Vegeta, gettata bruscamente la sacca a terra, le passò accanto, quasi ignorandola.
- e ora che fai?- domandò lei, seguendolo fuori dalla stanza.
- qui non c’è niente da mangiare. Io ho fame.- rispose, brusco.
- ho capito...e allora?-
- te l’ho già detto…vado a fare colazione!- disse lui, afferrando un nero spolverino, appeso nel ripostiglio.
- E io vengo con te!- rispose lei, iniziando ad abbottonare la giacca di lana.
- Cosa?- le mani di lui, che già avevano afferrato la maniglia, si fermarono improvvisamente.
- Ho fame anche io…e poi qui dormono tutti! Mi annoio! Non ti darò fastidio…- gli disse, fissandolo con i suoi occhi di cielo.
Una distratta stretta di spalle fu l’unica risposta che la ragazza ricevette.
Uscirono entrambi dalla porta. Vegeta davanti, fiero, e Bulma dietro, con lo sguardo gioioso di una bambina.

 

 

  
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