Il
bacio dell’aspide – Bonus Track
Bonus
Track 1
Titolo:
“L’uomo che non deve
chiedere mai”
Genere:
Introspettivo,
Romantico, Erotico
Pairing: Andrea/Gabriele
Rating:
n.c.17 (per il
finale)
Warning:
tanto
slash; inizia angst, naviga un po’ nel comico-fluff e termina nel p0rn
Riassunto: Restare soli alla
casa dello studente nel week-end sotto Natale non è particolarmente piacevole.
Tranne nel caso in cui qualcuno non abbia avuto la tua stessa
idea…
Dedica: a Ichigo ? Regalino
di Natale con qualche giorno di ritardo ;))
Natale
20091
La porta della
stanza chiusa a doppia mandata, Andrea si gode i momenti che precedono l’esodo
natalizio, quando il silenzio sovrasta ogni altra percezione, come il freddo del
vetro su cui ha incollato il naso. Cullato dall’alternanza
pioggia-sole-grandine, scruta fuori dalla finestra, la casa dello studente che
si svuota ogni minuto che passa.
L’unica, quella
mattina, ad averlo degnato di qualcosa in più di un’occhiata casuale, è stata
Isa, incurante dei passati dissapori, con una fredda stretta di mano e un “buone
vacanze” biascicato di fretta.
Imprevedibile
Isa. Forse una parte di lei spera ancora di approfittare dell’assenza di Loria
per riavvicinarsi quatta quatta al suo boccone prediletto. Forse è persino in
buona fede. Ma uno sguardo apatico e una risposta ancora più distaccata hanno
chiuso lì la parentesi.
Sorride, Andrea.
Anche Loria è partita: l’ha baciato sulle guance e si è avviata con poco
entusiasmo giù per la discesa dai marciapiedi scivolosi di pioggia, fino alla
fermata. L’ha lasciato lì, con un vuoto in fondo al petto destinato a diventare
voragine.
- Contenta di
stare via per un po’?
Sopracciglio
inarcato, occhiata scettica.
- Sai che palle…!
Il tempo di liberarmi, e sono da te.
Mentre era ancora
con lei, sua madre ha buttato il carico da undici con una telefonata improvvisa,
e lui di nuovo, come sopra: irremovibile. La parte difficile, come sempre, è
trovare le parole giuste. Ci ha provato, ma poi le labbra hanno iniziato a
tremare, un nodo alla gola e la voce malferma.
Si tratta solo di
preservare la pace in casa sua ed evitare piazzate controproducenti in pieno
pranzo di Natale. Evitare il faccia a faccia con suo padre e qualche buon
pretesto per saltarsi alla gola. Quale soluzione migliore, se non evitare
direttamente di presenziare quale ospite sgradito? Sua madre sarebbe stata anche
felice di rivederlo dopo mesi. E Adele. Ma è già tanto che suo padre abbia
accettato un pranzo in amicizia con la ex-moglie per il bene della piccola.
Manca solo lui, la causa di tutto.
- Mi dici almeno
che scusa invento?
- Di’ che ho
fatto tardi… – le ha sussurrato, tagliando corto – Accampa una
scusa.
Perché il Natale
è la tipica festa da trascorrersi in famiglia, mamma papà e Adele, e il sorriso
di sua madre sarebbe stato radioso, il volto di suo padre disteso mentre aiuta
la piccola a scartare i doni, senza il figlio cattivo che turba l’atmosfera e
rovina la giornata. Il pazzo con l’unica ambizione di fare il clown su un
palcoscenico e vendere il proprio corpo per un posto al
sole.
Del resto, suo
padre l’aveva messo in chiaro, che non lo vuole tra i piedi. All’epoca di Neri e
del gran casino che seguì. Decreto sempre valido, l’eventualità di giungere ai
ferri corti una conclusione troppo verosimile per
scartarla.
Forse solo Loria
ha intuito il problema. Non ha fatto domande, ma l’ha capito al volo, che
neppure lui è felice di “staccare”. E sono rimasti così, immobili accanto alla
porta e restii a congedarsi.
- Non posso fare
altrimenti, Andre, davvero. Avrei voluto restare con te…
E lì ha dovuto
farsi violenza per resistere all’implulso di stringerla a sé e non lasciarla
andare. Si è risolto a un sorriso agrodolce per non farle pesare la situazione:
se la caverà. Magari alla fine salterà tutto, oppure suo padre annuncerà
improrogabili impegni di lavoro, tanto per non correre rischi di sorta, e a quel
punto Adele sarà tutta per lui. Se poi riuscisse a trascinare Elena con sé
almeno per una sera, sarebbe un uomo felice.
E invece eccolo
lì, da solo, a rabbrividire contro il vetro e a guardare giù in
strada.
Il secondo
incontro-non incontro della giornata si è presentato come una massa di capelli
ossigenati e un ticchettio di tacchi da “oh, guardate chi arriva!”. Giulia detta
“Barbie” e la sua mascella quadrata e le mani troppo lunghe. Troppo lunghe
addosso a lui.
Si è defilato
dietro un pilastro, lontano dalla sua portata; senza fiatare, ha atteso il via
libera.
Forse
l’intenzione di quella mantide era augurargli semplicemente di passar buone
feste, forse provarci di nuovo con lui o piazzargli qualche domanda
impertinente, procurando così al branco un nuovo pretesto per ridere di lui, lo
sfigato costretto a trascorrere il Natale lì a fare la
muffa.
Nel dubbio,
meglio evitare. Lo sa come la pensano. Loro.
Povero idiota…
Sta sulle palle a tutti.
Nemmeno la sua
famiglia deve sopportarlo volentieri.
Lo credo
bene…!
Parole come
pugnali. E giù altre risate.
No. La volontà di
parlarci e farsi stampare due macchie di rossetto sulle guance, è pari solo alla
voglia di prendersi un cazzotto in un occhio. Ha atteso lì, muto dietro il suo
riparo provvidenziale, fino allo scampato pericolo.
Poi c’è l’sms
equivoco ricevuto la settimana scorsa, che gli ha suggerito un’idea piuttosto
chiara delle vere intenzioni di Barbie. Le allusioni a una sana scopata in
amicizia modulate in modo tale che il passo successivo si chiama stalking.
Sarebbe stata
un’idea niente male, se al posto suo ci fosse stato un altro. Se nella sua testa
non ci fosse stato altro pensiero se non pendere dalle sue labbra e sfruttare la
situazione per sbugiardare la versione ufficiale che lo vuole gay fino al
midollo, gay senza speranza d’appello. E molto, molto
sfigato.
Le occhiate
maliziose seguite al rifiuto di trascorrere il Capodanno con i vecchi amici,
hanno rispettato la prassi del caso, piantandosi come mille aghi sulla sua nuca.
Risate e allusioni a seguire.
E pazienza,
perché sopravvivrà anche con i fancazzisti dell’Accademia che proprio non
riescono a dipanare il dubbio, a inquadrare il suo orientamento sessuale e
farsene una ragione. Che preferirebbe farsi frate piuttosto che assecondare le
avances di Barbie Machiticonosce, è un’idea troppo sottovalutata. Potrebbero,
per una volta, evitare di farne una questione politica internazionale e starsene
tranquilli: non attenterà alle chiappe di nessuno di loro.
Quel pomeriggio,
pochi minuti dall’inizio dell’ultima lezione, è arrivato Riccardi, e i cavoli
hanno rischiato di diventare acidi.
- Hai visto,
Giu’? – ha berciato il suo Babbo Bastardo personalizzato, abbastanza forte da
farsi udire a tre isolati di distanza – Non ti sei ancora convinta? Gli piace
l’uccello, e che cazzo, finiamola qui. Magari non sa nemmeno
scopare…
Okay, quando è
troppo è troppo. Si è voltato di scatto, fulminandolo. Ora. Basta.
- Sicuro,
Riccardi? – gli ha sibilato con voce flautata – Prova a chiederlo a tua sorella:
ti dirà l’esatto contrario, ed è una testimonianza molto
attenibile.
E, veloce come
una freccia, ha raccattato borsa e cianfrusaglie assortite sparse sul banco ed è
corso a rifugiarsi nello spazio provvidenzialmente vuoto tra Gabriele e
Alexander Thompson. Giusto per evitare che la faida proseguisse oltre e Riccardi
ne approfittasse per mettere su una bella sceneggiata napoletana. La rissa tamarra no, ti prego. Posso
sopravvivere.
Il quinto
esemplare che si è degnato di rammentare la sua esistenza, è proprio lui,
l’ultimo acquisto dell’Accademia. Giù nel pianerottolo, gli ha sorriso e
augurato buone feste in uno sfarfallio di ciglia pesanti, gli ha affibbiato un
abbraccio veloce ed è scomparso tirandosi dietro la valigia.
Andrea l’ha
seguito con lo sguardo finché non l’ha visto scomparire l’angolo. No,
decisamente. Deve rivedere alcune congetture: è marcatamente effeminato,
irrimediabilmente ambiguo, ma non è gay. Ché ché ne dicano Alberti arbiter
elegantiarum e Riccardi “se quello non è frocio, giuro che ti regalo un tanga
leopardato” – o il truce gruppuscolo del terzo anno che minaccia di fargli lo
scalpo per motivi X. Il modo in cui Alex si mangia Elena con gli occhi – sguardo
da triglia annesso – è un segnale interessante…
Andrea si stringe
nelle spalle, un velo di tristezza. Restano soltanto lui, Gabriele ed Elena,
frangia estremista e non allineare al sistema, a rigettare con polemica
contrarietà le isterie collettive. Hasta
la victoria.
Non è giornata. O
forse sì: c’è solo da trovare un pretesto per non morire di noia da lì fino a
Santo Stefano, e poi tutto andrà a posto. Più o meno. Tragicomicamente a
posto.
Osserva fuori
dalla finestra. Ancora e ancora. Segue la danza del nevischio nell’aria, il
respiro che condensa contro il vetro. E ricomincia da capo, con metodica
ossessione, a scandagliare i motivi che l’hanno riportato sui suoi passi. Di
solito basta scartare le ipotesi più impraticabili e, se sei bravo, la tua
scelta ti apparirà saggia.
Il regalo per
Adele giace intonso sopra la scrivania, con la carta dorata e la coccarda rossa,
e lui non tarderà un minuto in più del necessario.
La noia filtra
sottopelle. Al momento tutto ciò di cui ha bisogno è un diversivo per stasera –
la prima di quattro lunghe serate in solitudine. Un aperitivo giù al bar pare
un’idea carina: basta cercarsi un tavolo tranquillo, guardarsi un po’ intorno e
perdere tempo. Pochi passi e una rampa di scale, e potrà rilassarsi, depennare
l’ipotesi dell’eremitaggio stretto e godersi l’atmosfera di intimità, un sapore
fresco sulle labbra. Captare qualche voce nel brusio e perdersi in discorsi
afferrati per caso.
- Ehi… – un
sussurro appena percettibile.
La biondina
slavata del tavolo a fianco dà di gomito alla sua compagna di bevute e si sposta
i capelli dagli occhi.
- Lo vedi quel
tipo? – sibila.
- Eh? – l’altra
arriccia le labbra laccate di rosso, il bicchiere stretto tra le
dita.
- Morettino,
capelli lunghi, tutto solo… – la ragazza bionda scuote la
testa.
Andrea per poco
non si soffoca con l’aperitivo.
- Okay, ho
capito. Uno gnocco di classe. E quindi?
- E quindi? È Andrea Nicoletti! Non lo
conoscevi?
- Quell’Andrea
Nicoletti?!
- E quanti altri
ce ne sono? – la biondina soffoca una risata.
Labbra infuocate
strabuzza gli occhi.
- Ma dai…! Quello lì è Andrea Nicoletti?! Il gay?
Quello che si sbatteva Neri?
- Shh, piano coi
nomi!
Pausa strategica,
boccheggiamento stile pesce rosso. Risatina sarcastica.
- Dio, che spreco
di roba!
Andrea aguzza le
antenne. Per un attimo è tentato di ingollare in fretta il suo aperitivo, pagare
e defilarsi in camera sua – e di nuovo, punto e a capo. Ma così il tempo non gli
passerà più.
È un certo
formicolio in fondo allo stomaco a farlo desistere dal proposito di
scappare.
- Ma si è proprio
dichiarato? Magari è solo un
sospetto, una di quelle storie che mettono in giro… È proprio così?
La bionda
annuisce, flemmatica. Si fissa le unghie con nonchalance.
- Bisex,
dicono.
- Che fregatura!
Non era anche amico di Isa, Alberti… loro? È sparito dalla
circolazione.
- Già. È una cosa
che si sapeva da un po’. Loro penso di sì. Gli amici lo
sapevano.
- Ma non voleva
farsi la francesina? O Elena Loria, stanno sempre
appiccicati.
- Nah! – la
ragazza bionda scuote la testa, decisa – Ai piani alti si fa il nome di Derossi.
La sua nuova fiamma.
- Cielo, no! Il
fattone, quello con la mamma hippy…?
Labbra infuocate
guarda di nuovo verso di lui. Lo squadra da testa a piedi in una lunga
radiografia, in cerca di qualcosa che non vada, un capello storto, un difetto di
fabbrica. Poi scrolla il capo, delusa.
- Ma guarda che
razza di figo… Sprecato.
- Figo quello? – Capelli d’oro sorride,
cattiva.
- Beh, dai, ha un
suo perché – Labbra infuocate storce la bocca, soprappensiero. Arrampicata sugli
specchi in corso – Ma se gli piacciono i cetriolini sott’olio, tanto vale. Non
se ne fa nulla.
- A me non piace
– un taglio netto.
Oh, perdonami,
Riccioli d’oro, ma credo non sopravvivrò a tanta delusione. Morirò di
crepacuore.
E per poco non si
strozza. Di nuovo quel nodo che gratta in fondo alla gola.
- Cioè… – pausa
meditabonda, in cerca di inestricabili verità filosofiche nel fondo del
bicchiere – Non è che sia brutto. Ma guardalo: è un nano da giardino. Con una
voce irritante.
Okay, la misura è
colma. Processare i cavoli suoi per direttissima non va bene. Ma passi “non mi
piace, non è il mio tipo”… e chissenefrega. Passi il toto-gay – manca che lo
accoppino con una trave del soffitto, e il resto delle opzioni è stato ben
vagliato. Ma la sua statura, quella no, non si discute: è nella media italiana.
E non ha una voce irritante! È ben impostata. E sexy. Non s’impenna negli acuti
come le macchiette gay delle barzellette.
E questa non sa
dire come gli è venuta, ma in capo a un secondo è lì, braccia incrociate sul
petto, a tre centimetri dal quel tavolo. Con la peggior faccia da suola che
abbia mai sfoderato in vita sua, e un sorriso tirato.
Le due sembrano
orripilate. Labbra infuocate è un tutt’uno con il rossetto. La biondina finge di
trovare interessante la carta del menù.
- No, continuate
pure! – sogghigna, perfido – Però stavate parlando di me, e volevo partecipare.
Ci sono domande, qualche altro cavolo da buttare in padella, o possiamo passare
ad altro?
- Oddio, oddio,
scusami! Non volevo offenderti!
Labbra di fuoco
sembra mortificata. Salta sulla difensiva. Il potere di un’entrata in scena con
i fuochi d’artificio.
L’amica sembra
più scafata, incline alla figura di merda calcolata. Dopo lo shock iniziale si è
assestata sulla faccia di bronzo di rimando. Lo fissa come una sfida, le
sopracciglia che schizzano verso l’alto.
Non è neanche
bionda. È più color carta da pacco.
- Beh, avete
detto che sono uno spreco… Non è
carino.
- No, ma… Non
volevo dire questo.
- E cosa, allora?
– cinguetta Andrea.
Se non fosse
bastardissimo fino al midollo, si limiterebbe a classificare il contrattempo
sotto la voce “figure di merda indotte” e girare sui tacchi. Invece continua a
sorridere in tralice, gli occhi socchiusi e la faccia da schiaffi delle grandi
occasioni.
- Ammesso che io
non sia gay, credi che ci proverei
con te? – arriccia il naso: ora la frittata è fatta, e tanto vale andare fino in
fondo – Potrei non trovare un tuo
perché. O essere già impegnato. O puntare alla
castità.
- Scusa, Andrea!
Noi… – Labbra infuocate punta il dito verso l’amica, tanto per spartire la colpa
– Io e Porzia stavamo solo scherzando. Sai com’è… si fa per
parlare.
- Interessante –
Andrea assottiglia le palpebre, felino – Porzia hai detto? – senza pensarci,
porge la mano a Capelli d’oro come una beffarda offerta di pace, prima a lei e
poi all’amica – Come quella de “Il mercante di Venezia”?
Annuisce. Fa buon
viso a cattiva sorte. Donna intelligente: potrebbe tenergli testa, se lo
volesse, e la cosa a quel punto si farebbe divertente. Ma non sembra molto
interessata.
- Bene – Andrea
si sfrega le mani – Allora posso andare.
Tirate un sospiro
di sollievo.
Fruga nella tasca
interna della giacca – attimo di panico. Il portafogli giace dimenticato da
qualche parte in camera nella fretta. Incrocia lo sguardo il cameriere che l’ha
servito.
- Segna. Sto qui
tutto il fine settimana.
E imbocca le
scale a passi spediti.
- Andrea, aspetta
un secondo!
Di
nuovo?
La tizia con il
rossetto vistoso. E vistosamente sbavato.
- Ti sei
offeso?
Ma per
favore!
- Guarda, non è
un problema! Volevo solo divertirmi un po’…
- Mi dispiace di
aver detto quelle cose. Mi sei anche simpatico…
Ahi. Questa
oltrepassa i confini dell’assurdo. Perché lui è molte cose, ma non è
“simpatico”.
- Ehm… scuse
accettate. Ma non c’è bisogno…
- Posso farti una
domanda?
Eccola
là.
- È vero che sei
gay?
E la speranza
affondò miseramente nel cesso. Speranza che la rivalutazione del coltivare cazzi
propri fosse un discorso recepito.
Calma.
Respira.
- Se dicessi sì, per te cambierebbe
qualcosa?
- Beh, sì.
No.
Andrea solleva
gli occhi al cielo. La situazione è così traballante che l’unico sarebbe
metterci una pietra sopra. Oppure tentarsi l’ennesima
acrobazia.
- Se ti dicessi
la verità, mi daresti un bacio?
-
Eh?!
Perfetto.
Scioccata. Un manichino avrebbe una faccia più espressiva.
Ma si riprende in
fretta: ha fiutato l’affare.
- D’accordo… –
miagola – Ma questo significa che non lo sei, se no non mi avresti fatto una
proposta simile.
- Chi vivrà vedrà
– le sussurra, sibillino.
- E
vabbè…
Silenzio. Un
attimo e la tipa gli si aggrappa addosso in un tripudio di mani agganciate alla
nuca e labbra che indugiano sulle sue con la delicatezza di un aratro – ragazza
poco incline alle mezze misure.
Andrea cerca di
respirare, di scollegare la mente e prendere la cosa per quello che è: un gioco
cretino spinto troppo in là. Perché tra quella cosa che dovrebbe essere un bacio, e
quando bacia Gabriele, ci sono anni luce di distanza. Le poche volte che si sono
baciati, ciliegina sulla torta di discussioni ben intorcinate su sé stesse. No:
non c’è e non ci sarà mai un punto in comune tra i due
universi.
Il sapore della
poltiglia rossa incollata alle labbra è dolciastro e leggermente nauseante. Se
domani si sveglierà con un’eruzione cutanea, saprà a chi dare la
colpa.
Okay, basta!
Credo di aver bisogno di respirare. Non è colpa mia, mi rincresce, ma vivo di
questo.
- E allora? Com’è
stato? – sussurra, staccandosi da lei.
Masochista.
- Non c’è
differenza – Labbra infuocate si attorciglia una ciocca di capelli scuri intorno
al dito indice, civettando.
- Di cosa? –
Andrea scuote le ciglia.
- Tra baciare un
ragazzo etero e uno gay.
Oddio, oddio,
oddio! Andrea distoglie
lo sguardo. E una è andata.
Potrebbe scavarsi
la sua fossa d’imbarazzo e uscirne quando il mondo si sarà dimenticato di lui e
delle sue stranezze. Se non fosse per l’urlo e lo strattone che lo riportano nel
mondo dei vivi.
- ‘anvedi ‘sto
stronzo! Il bello è che si finge frocio…
Andrea fissa il
nuovo arrivato, stordito. L’ha spintonato via che per poco non gli maciullava un
braccio.
E un bel giorno
salta fuori che ti piacciono i ragazzi, e mezza compagine maschile presente si
sente in dovere di coniare nuovi appellativi per descriverti; un giorno fai
l’uomo che non deve chiedere mai, e il risultato è lo
stesso…
Allora fate tutti
pace col cervello e decidete com’è che vi piace. Magari poi il verdetto me lo
metto sotto le scarpe. Ma almeno, datemi un indizio…
È l’ultima
goccia. A meno che Rossettopazzo non abbia un fidanzato. E se è così, tu, Andrea
Nicoletti, sei ufficialmente nei casini.
-
Ehm…
Il tizio appena
sbucato dal nulla scruta la ragazza da capo a piedi senza battere ciglio, della
serie “con te facciamo i conti più tardi”. La mano scivola su quella di lei a
marcarne il possesso. Il che fa molto dramma della gelosia. Lo sguardo torna a
vagare su di lui, scuro.
- Era uno
scherzo. Una scommessa idiota e… beh, è tutto a posto – Labbra infuocate cerca
di tirarsi d’impiccio.
Il tipo potrebbe
esserne convinto. Magari non del tutto, ma i muscoli della faccia rilassati sono
già qualcosa.
- Lo spero bene.
Per lui –
ringhia.
Si
avvicina.
E no, va bene il
Natale da solo. Va bene tutto. Ma da solo e col naso rotto per uno scherzo
imbecille, no. Perché gli è già successa una cosa simile. Tra amiche troppo
esuberanti e fidanzati gelosi. E fa un male cane.
- Volevi
schiarirti le idee… con lei? – mormora il tizio.
Che visto da
vicino sembra meno pericoloso del previsto. Meno brutto di Riccardi, il nemico
giurato.
- No. Era una
farsa.
Chiude gli occhi.
Magari Coso si accontenterà di affibbiargli qualche innocuo
insulto.
Tutto ciò che può
fare è modellare il proprio viso in un sorrisetto finto-ingenuo. Non può farci
più di tanto, se quella gli si è buttata addosso, cosa che non credeva
possibile. Coincidenza, aveva pure un ragazzo, e il suo ragazzo era
lì.
Quasi non ha
udito i passi, la porta che si apre alle sue spalle. Qualcosa che gli si posa
addosso e una sensazione di calore alla spalla, come un tocco magico che lava
via la tensione.
- Ciao,
Andrea.
Gabriele?!
Eri qui?! Ti sei
goduto la terribile commedia degli equivoci?
Bacio sulla
guancia come di rito. Sull’angolo della bocca. Molto vicino alle
labbra.
Ecco. Va
meglio.
Gabriele sembra
radioso – no, non è fatto. Si guarda intorno come se cadesse dalle
nuvole.
- Che c’è? È
successo qualcosa?
Sguardi
imbarazzati. Il fidanzato di Rossettopazzo diventa un sospiro di sollievo con le
braccia e le gambe, lo sguardo fresco e luminoso come un
bambino.
- Niente. Uno
stupido malinteso. Va tutto bene.
Meravigliosamente.
Labbra infuocate
– non più di tanto, dopo il bacio – accenna un timido saluto con la manina. Poi
spariscono entrambi.
E tutto va ancora
più fottutamente
bene.
* *
*
- Sei un idiota,
Andrea! Il padre di tutti gli idioti. Che hai al posto del
cervello?
- Okay, okay. Ti
confesso che nella parte del cavaliere mascherato non ti ci vedevo così bene… Ma
devo ricredermi: ti va da Dio.
Seduto sulla
scrivania di Gabriele, vorrebbe buttarla sul ridere. Arginare il fiume di
improperi che gli si è riversato addosso, da quando Gabriele l’ha trascinato
dentro e si è sbattuto la porta alle spalle. Non ha accennato a
smettere.
- Incosciente.
Pagliaccio. Coglione e autolesionista. Incommensurabile testa
di…
Andrea socchiude
gli occhi. Un sorriso grande come il mondo, una calma celestiale che gli inonda
il petto. Tutto sommato è anche divertente Gabriele che sbarella e misura a
passi furiosi il perimetro della stanza; si prende la testa tra le mani,
esasperato.
- Posso, Gabri?
Adesso che hai snocciolato tutta l’enciclopedia degli insulti, possiamo parlare
d’altro? – cinguetta, angelico.
- Perché, Andrea?
Spiegamelo! – Gabriele scuote il capo, con violenza – Mi spieghi perché devo
passarmi tre quarti della mia esistenza a farti da balia? A tamponare le tue
cazzate? A evitare che qualcuno ti meni per davvero, alla tua ennesima uscita da
psicopatico?
Perché è l’unico
modo per avere la tua attenzione: la risposta
giusta. Ma non può mettergliela giù così, perché l’unico risultato sarebbe
ritrovarsi affanculo prima del previsto.
- Ehi! Stavolta
non c’entro. Ti giuro che non c’entro niente – sospira: non è una verità a
trecentosessanta gradi, ma ci si avvicina abbastanza – Ha fatto tutto da sola. È
colpa mia, adesso, se quella non ha capito che stavo scherzando e mi si è
buttata addosso? E poi neanche mi è piaciuto, ecco.
Contento?
- Sei un
cretino!
Lo yogurt scaduto
gli fa un baffo.
- Sei
geloso?
-
No!
Gabriele si
avvicina per scrutarlo bene in faccia: di solito fa così quando cerca di capire
a che gioco stia giocando – missione impossibile. Non sembra particolarmente
seccato, Gabriele: è solo il suo modo di farglielo pesare. Negargli la cosa a
cui tiene di più: la sua considerazione. È tremendo nel prendere la sua
autostima e farne carta straccia, con quel sopracciglio sollevato e
l’espressione a metà strada fra “mio Dio, cosa mi tocca a fare” e “non mi curo
di te”.
- Non si direbbe
– Andrea sogghigna, e lo scontro ormai è all’arma bianca – Mi è sembrato di
capire che ci tenessi molto a far capire a quel tizio che stiamo insieme… –
soggiunge.
- Così si metteva
il cuore in pace, aveva la prova schiacciante che non ci stavi provando con la
sua ragazza, e ti risparmiava una sfilza di rotture.
Preciso come una
freccia.
- Non avevo
nessuna intenzione di baciarla. Mi ha baciato lei, e neanche mi è piaciuto –
ribadisce – Preferisco questo.
Mille di
questi.
Si alza in piedi
– le gambe leggermente anchilosate.
Il tempo di
afferrarlo tra le braccia e cingergli la nuca – i suoi capelli come un
formicolio sotto le dita.
Il tempo di
chiudere gli occhi e perdersi nel suo profumo così familiare, il naso affondato
in quell’incavo paradisiaco tra il collo e la spalla. La pelle deliziosamente
ambrata, calda sotto l’attacco a tradimento delle sue
labbra.
Okay, Andrea.
Calma. Sta’ calmo e respira. Sta’ calmo e non fare cazzate. Non farlo scappare
di nuovo…
Dov’è il
pericolo? Hai paura di cadere?
L’impulso
razionale è sollevare il viso e catturare la sua bocca con un movimento fluido.
Le labbra che si dischiudono, che cedono al punto di
fusione.
Fa decisamente
caldo. Troppo. Con uno strano torpore che si fa largo in tutto il corpo, una
nenia incessante dentro la testa. Non sa cos’è di preciso: non è solo il bacio.
È la sua presenza così palpabile. Se ne rende conto quando il corpo di Gabriele
aderisce al suo, le mani allacciate intorno alla vita.
Piano, così.
Rischi di spaventarlo.
Di fugare gli
ultimi dubbi – se ancora ce ne sono – che hai perso completamente la testa. Che
sei fritto. Di più: bruciato. Perso in fondo al baratro, in quelle iridi
affilate che non sono semplicemente scure, semplicemente insondabili. Sono ambra
liquida.
E quelle labbra…
Ogni volta che le osservi, è come trovare l’incastro ideale e non venirne più a
capo. È lo scorrere delle mani sulle sue, è cercare le scintille. La
frustrazione di indugiare smarrito intorno all’orlo della maglia senza azzardare
una carezza più audace sulla sua pelle nuda, perché poi sarebbe troppo. La
tentazione abortita sul nascere.
Devo
respirare.
È troppo dischiudere le labbra e staccarsi
piano da lui. Un istante ancora e si perderebbe.
Gabriele gli
sorride. È perfetto, con quel canino vampiresco e le labbra sottili, cesellate
in un’arte sopraffina. Con quella luce strana in fondo alle pupille e quello
schermo tra loro. Che sì, forse Gabriele si lascerebbe anche andare. Fino a un
certo punto. Il respiro sotto stretto controllo, l’esplosione di gioia contenuta
nella piega delle labbra, nel tremore delle ciglia.
È perfetto così,
con quegli aghi di malinconia che gli infila sotto la pelle come ghiaccio.
Perché ogni volta è una conquista, è ripartire da zero e rimettere in gioco
tutto, ogni conquista solo apparente. E ogni respiro come una vittoria, una meta
da sudarsi fino all’ultima goccia di sangue.
- Decisamente non
c’è paragone – esala – Sì, la parte del cavaliere di Camelot in difesa dei
deboli ti si addice.
Gabriele lo
lascia andare. Arretra di qualche passo, sguscia via.
- A te quella del
giullare di corte – gli soffia, gli occhi socchiusi come quelli di un
gatto.
La più bella
dichiarazione d’amore che potesse dedicargli tra quattro pareti di un bianco
abbagliante, senza grilli e violini a fare da base. È così, semplicemente perfetto.
- Hai progetti
per stasera? – si limita a ronzargli intorno, perché Gabriele ha ripreso a
occuparsi dei fatti suoi come se niente fosse – Prepari i bagagli? Vai via anche
tu?
Un’occhiata oltre
le sue spalle gli offre la panoramica della valigia aperta, vestiti e oggetti
random ficcati dentro alla rinfusa.
-
Forse.
Andrea allunga le
braccia – deve giocarsela, perché un’occasione simile non capiterà più. È
sufficiente circondargli la vita con le mani e riprendere a lavorarsi la sua
nuca e il suo collo, la pelle che sa di raso. Il lobo dell’orecchio trafitto da
un anellino d’argento. La cute si è coperta di brividi da quando ha iniziato a
sfiorarlo, a lambirlo con il solo respiro: il segnale che vale la pena di
persistere.
Se non ci fosse
il cellulare che suona e suona. All’infinito. Che urla e ruggisce melodie
astruse, dimenticato in qualche anfratto. Gabriele si stacca da lui; quasi si
scusa per l’interruzione. Scivola verso la porta e apre la
comunicazione.
-
Marina?
- Chi
era?
Se posso
chiedere. Perché potresti ridiventare Mister Hyde da un momento all’altro e
schiaffeggiarmi una risposta sarcastica.
- Marina? Non dirmi che hai una
spasimante… Non mi avevi detto nulla! – lo pungola.
Gabriele scuote
le spalle. Sembra indeciso. Andrea lo blocca contro il tavolo, le mani sulle sue
e il volto che quasi lo sfiora. Qualche centimetro più
giù.
- Andrea! –
Gabriele solleva gli occhi al cielo; soffoca una risata – Marina è mia madre.
- Ah… – Andrea
impiega qualche secondo a riprendersi.
Non che dubitasse
– sa bene che fine hanno fatto i bellicosi progetti delle sue corteggiatrici; e
no, non ci sono Isa, Sara o Blanche che tengano. È troppo sfacciatamente bello
per passare inosservato, e da qui a spargersi la notizia che a lui piacciono i
ragazzi punto e basta, ci sono stati
vari episodi esilaranti.
- Chiami tua
madre per nome? – incalza.
Gabriele
annuisce.
- Le piace
così.
- Non smetti mai
di stupirmi – ridacchia Andrea, scuotendo il capo – Cosa
dice?
- Nulla di
particolare… – Gabriele distoglie lo sguardo, sibillino – Le ho detto che
l’avrei raggiunta domani sera. Poi… c’è stato un piccolo
contrattempo.
- Che genere di
contrattempo? – Andrea torna a riprendere la sua postazione sulla scrivania,
braccia conserte e sguardo inquisitore: la posa che non lascia
dubbi.
Gabriele procede
verso di lui con un mezzo sorriso che gli taglia la faccia. Quattro passi e gli
è quasi addosso, le mani puntate sulla scrivania, alla sua destra e alla sua
sinistra, a chiudergli ogni via d’uscita. Non che abbia intenzione di
scappare…
- Un certo amico che rischia di spararsi quattro
giornate in solitudine, Natale compreso. A quel punto mi ha fatto “no, ma ci
mancherebbe, rimani con lui”. E non c’è stato verso di
insistere.
- Dev’essere
importante questo amico…
Gabriele arretra,
punto sul vivo. È troppo astuto per darglielo a vedere. È una maschera
d’acciaio.
- Quanto
basta.
- D’accordo. Ma
spiegami una cosa: hai un radar? Come facevi a sapere
che…?
Gabriele sorride
di nuovo. Sarà una sua impressione, ma non l’aveva mai visto sorridere tanto e
così a lungo in una sola manciata di minuti. L’angolo della bocca che trema, gli
zigomi leggermente appuntiti che si sollevano. E non è mai stato così
bello.
Chi ha detto che
le cose più belle siano perfette?
- Non pensare,
Andre. Le pareti della tua stanza sono fatte di polistirolo. Il resto lo devo a
un messaggio di Loria, che mi ha spiegato un po’ di cose. Santa
donna.
- Cupido non ne
sbaglia una.
Può rilassarsi:
ha pensato a tutto lei. Come al solito.
* *
*
- Gabri, tua
madre è una forza.
Li ha salutati
pochi minuti fa, portandosi via la chioma ramata acconciata in un migliaio di
treccine, e un volto che è la copia femminile di quello di Gabriele. Stessi
occhi nocciola ben incassati. Chissà quale bizzarra divinità ha deciso di creare
lo stesso prodigio in duplice copia. Ecco da chi Gabriele ha preso
quell’instancabile mania di destabilizzarlo e non dargliele mai
vinte.
Gabriele scuote
il capo, sorridendo.
- È stato
imbarazzante.
Il momento di
leggero “imbarazzo” è arrivato poco prima che madame Derossi togliesse il
disturbo.
- Quindi non
resti proprio, per cena? – le ha domandato Gabriele, caracollandole dietro fino
alla porta.
Lei si è voltata,
lo sguardo sibillino e un sorrisetto obliquo, simile e speculare a quello del
figlio. Ha squadrato da capo a piedi prima Gabriele e poi lui, immobile al
centro della stanza. Ha roteato gli occhi al cielo come a sottintendere qualcosa
di malizioso. Poi ha preso sotto braccio il figlio e ha scosso il capo,
ammiccando.
- Non essere
stupido, sonny! Non è il
caso…
A quel punto
l’allusione è divenuta chiara come il viso di Gabriele ridotto a un tutt’uno con
la tovaglia natalizia.
-
Mamma!
- Marina, per te.
Non farmi sentire vecchia e stasera divèrtiti. Divertitevi.
E si è portata
via la sua scatola magica.
- …e poi cucina
questi piatti vegan2 che sono la fine del mondo – aggiunge Andrea,
proseguendo nella beatificazione di mamma Derossi.
- Ha preferito
andare sul sicuro – risponde Gabriele, sciogliendosi da quel lieve nodo
d’imbarazzo.
Andrea socchiude
gli occhi. Se Gabriele non lo volesse più, potrebbe sempre farsi adottare dalla
signora Marina come genero ad honorem e mandare al diavolo il
resto.
Non contenta di
aver messo al mondo Gabriele, atto per cui la ringrazierà fino alla fine dei
tempi, gli ha recapitato lì la cena già pronta – hanno letteralmente raschiato
il fondo delle pentole – e consegnato suo figlio su un piatto d’argento. Cosa
potrebbe desiderare di più?
- Ti ha anche
dato dei buoni consigli.
- Tipo rimandare
la partenza e non mollarti qui da solo.
- Non era
necessario… Cioè, voglio dire – Andrea si arrotola una ciocca di capelli intorno
alle dita, soprappensiero.
Forse così è
troppo, e Gabriele avrà il diritto di trascorrersi un paio di giorni in casa
propria, tranquillo. Di respirare aria pulita.
- Non
preoccuparti – Gabriele solleva gli occhi al cielo; ammicca – Non mi pesa. So
com’è fatta mia madre e temo abbia capito tutto. Se facessi i bagagli e me ne
rientrassi, mi rispedirebbe indietro come pacco postale. O mi costringerebbe a
trascinarti via.
Ha capito
tutto. Anche la madre
di Gabriele che è stata con loro il tempo di una visita veloce. Tutti tranne loro.
Da una parte c’è
Gabriele che tergiversa e si nasconde dietro a un dito. Cambia discorso e prende
tempo. Dall’altra c’è lui che si perde in strane domande e giri di
parole.
Cosa farebbe una
persona intelligente, al mio posto?
Elena tesserebbe
la sua ragnatela di affermazioni e negazioni. Stringerebbe le maglie,
confondendo l’avversario fino a capire se il gioco vale la candela. E magari al
dunque volerebbe via come un elfo dispettoso, per poi riprendere tutto da
capo.
Isa metterebbe
tutto nero su bianco. Giocherebbe su una raffinata seduzione, a carte scoperte,
e darebbe di matto se le cose non vanno come dice lei.
Barbie gli
sbatterebbe la scollatura sotto il naso – esempio da non seguire, specie se
manchi dell’attributo fondamentale.
Alberti farebbe
lo splendido.
Alex farebbe gli
occhi da cucciolo bisognoso di attenzioni.
Riccardi non
pervenuto. Ma lui non rientra nel novero delle persone intelligenti, quindi non
fa testo.
Andrea si
schiarisce la voce. Diglielo ora. O perdi
ancora tempo.
- Mi giri una
sigaretta?
-
Tabacco?
- Ci mancherebbe
altro…!
Sospira. Il
coraggio che manca e le parole che si inceppano sul più
bello.
E adesso ritenta:
obbedisci. Parla ora o taci per sempre.
- Andre? C’è
qualcosa che non va?
Quasi
sobbalza.
- Assolutamente
nulla.
Bugiardo. Hai una
faccia su cui potresti cuocerci le castagne, e pure lui se n’è
accorto.
- Hai bevuto
troppo? Hai gli occhi lucidi.
Acqua.
- Uhm… – solleva
gli occhi al cielo, Andrea: ora o mai
più – Resti con me stanotte?
Spalanca gli
occhi, in attesa di una risposta.
* *
*
La penombra
soffusa nella stanza, non hanno fatto che ballarsi intorno da quando il silenzio
è calato e la luce è diventata pallida – o forse è un prodotto della sua
immaginazione. È il momento in cui l’attesa si misura con il metro di uno
sguardo o di una carezza.
L’ombra è così
densa che gli sguardi non si allacciano come dovrebbero, e i legami vengono
meno. È come una coltre di fumo. Il paradosso di sentirsi più vicini mentre si
naviga nel buio.
L’ha baciato come
per rassicurarlo, e si è seduto lì al suo fianco, sulla sponda del letto, a
misurare le sue reazioni. Lui che continua a giocare con i suoi
capelli.
Le magliette
scivolano via, e c’è il desiderio bruciante di vederlo nudo – finalmente –, di
tastare l’attesa in punta di dita. Ma lo sguardo continua ad arenarsi tra le
pieghe del lenzuolo, a fuggire e a tremare in una sorta di incantesimo. Poi è
scesa la notte.
Gabriele è
strano. Si ravvia i capelli all’indietro e continua a contargli le costole.
Ipnotizzante come l’effetto del docciaschiuma alla cannella a contatto con la
sua pelle. Come il suo respiro che scandisce i secondi. Ha sempre quell’insolita
mania – da che lo conosce. Cerca di assumere il controllo per non farsi toccare
e non perdere la lucidità. Lo capisce quando si inginocchia davanti a lui, e la
sua bocca lambisce il contorno delle anche, indugia intorno all’ombelico e più
giù, a filo dei boxer.
Sei sadico perché
lo sai, Gabriele, dannazione, lo sai, che potrei morire per una carezza al basso
ventre, improvvisa, a cute scoperta. È come esporre le terminazioni più
sensibili, senza un filtro per proteggersi.
Ha sempre pensato
alla reticenza di Gabriele come paura di essere toccato. Di farsi male. Ora
sembra preoccupato di scalfire lui, scalfirlo fino alle ossa e fargli male.
Magari non adesso: tra una settimana, un mese o un anno. Di uccidere le sue
difese e lasciarlo sguarnito.
Non è il momento
di ribaltare le posizioni, di mettersi sotto i tacchi quelle fisime assurde.
Andrea respira profondamente. Non pensa a mostrarsi troppo, all’effetto che può
fare. È eccitato ed è giusto che sia così.
La lingua di
Gabriele gli brucia addosso; ha iniziato a premere sulla sua erezione, ed è
stato come una scarica elettrica.
Forse ha gridato,
il respiro gli si è spezzato in gola – non sa bene. Si è morso le labbra e ha
artigliato il lenzuolo, ed è sicuro di avere dipinto in faccia lo sguardo di
quando sta per cadere in deliquio, vagamente strabico e prossimo
all’incoscienza. Gabriele dice che così lo fa impazzire. Infierisce e continua a
leccarlo. È il dio del sesso, del preliminare e del durante e del dopo. È
stupendo, e lui vorrebbe abbracciarlo, ricambiare quelle
attenzioni.
È il ragazzo,
l’uomo che ha desiderato prima di rendersene conto. L’ha quasi odiato per la
frustrazione di non poterlo avere, di non poter essere come lui. Invece adesso è
lì, chino su di lui. Che gioca con le sue sensazioni, che lo tende come una
corda e modella il suo respiro come una sinfonia.
Sospira. Lo sente
in basso, una sorta di formicolio mentre sfiora la sua apertura. Lo sente quando
entra in lui con mezza falange, ed è come smarrirsi, perdere la cognizione del
tempo, di prima e dopo, del dentro e fuori di sé, perché lo attacca su doppio
fronte, e il piacere diventa furioso.
Okay. Bandiera
bianca, o mi consumo.
Andrea solleva la
mano aperta in segno di resa. Aspetta.
Stop. Fermo così. Respira e trema, il desiderio impellente di abbattere quei
paletti immaginari tra loro e fare come Gabriele, che fa magie sul suo sesso
proteso ma non si lascia sfiorare, come un gioco a
moscacieca.
Gabriele si
rialza. Ha il volto accaldato, i capelli umidi che gli piovono sugli zigomi –
troppo caldo e troppe stelle, per una notte di dicembre inoltrato Le labbra
arrossate incurvate in una strana espressione, lo fissa e attende la sua
mossa.
Andrea sospira.
Serra le palpebre quando le labbra di Gabriele gli si serrano sulla gola e gli
strappano brividi.
Va tutto bene.
Meravigliosamente…
Gli cinge le
spalle, delicato, lo spinge contro il materasso, lo lascia distendere sotto di
lui. È nudo ed è suo, entrambi liberi dall’ultimo schermo dei
vestiti.
Andrea socchiude
gli occhi, la mente pervasa da un leggero ronzio. Riesce a indovinare i contorni
nella penombra, le anche, le spalle. La linea sottile che si inabissa fino
all’inguine. Si piega verso di lui,
cavalcioni sui suoi fianchi. In silenzio, segue il contorno delle labbra, delle
orbite scure dove si addensa l’ombra. I lineamenti del viso hanno un’impronta
fragile, mentre lo sfiora con le dita per assicurarsi che non sia un miraggio.
C’è ancora quella leggera cicatrice sul naso – lontano episodio di una porta
sbattuta sulla faccia, un pomeriggio di quasi un anno fa lontano come un
sogno.
Ti voglio.
Anch’io saprò fare i miracoli.
Ansima, le sue
labbra indugiano sul collo di Gabriele generosamente offerto al suo assalto, la
carezza reciproca inguine contro inguine che lo fa trasalire come una lunga
scossa, e quasi vede sprizzare le scintille.
Potrebbe fissarlo
dritto negli occhi – se la tenebra crescente non foderasse la sua visuale – e
scherzare con lui, chiedersi da quando e per quanto tempo abbia desiderato quel
momento, vagheggiandolo con la mente. E poi puntualmente arrivava lo schiaffo,
la doccia fredda di una realtà da ridefinire.
- Come va, Gabri?
– una domanda banale, così, infilata tra una carezza e l’altra, lo sguardo che
vaga nel buio per riallacciare il suo.
Come va ora e
come andava un anno, un mese fa, e come sarà domani mattina, perché tutto perde
consistenza.
Gabriele si
limita a sorridere; senza preavviso, la sua mano scivola più in basso fino a
sfiorare il suo sesso, sommando il contatto delle sue dita allo strofinio sul
ventre.
- Sei
sicuro?
Lo dice come se
dovesse morire domani, come se non sia possibile tornare indietro. Andrea
sospira. Darebbe ciò che possiede, per poterlo osservare dritto negli occhi,
leggere nella piega sarcastica delle labbra: l’oscurità ottunde i contorni, ma è
come averlo nudo sotto gli occhi e sotto il sole pieno di mezzogiorno. Può
indovinare le luci e le ombre sul suo viso dalla sfumatura della voce, dal modo
in cui lo tocca e cerca di portarlo al limite.
Chiude gli occhi,
la razionalità che si sgretola – il giorno che cede il passo alla luna. Inarca
la schiena mentre le dita di Gabriele indugiano dentro di lui, stimolandolo fino
al limite.
Avrebbe voluto
possederlo lui, entrargli dentro, sentirlo cedere e ansimare sotto il suo
attacco. Ma forse è prematuro… Forse è troppo presto, le piaghe sono fresche,
bruciano come fuoco.
E allora cedi il
passo. Comincia tu. È ciò che ti riesce meglio tra tutte le cose: ti sei
svenduto per una promessa evanescente, tempo fa, per il tuo orgoglio tracotante,
per un posto in prima fila; ti sei innamorato, ti sei ossessionato, sei stato
illuso e poi deluso. È stato così con Neri, che ti ha preso e gettato al
vento.
Ora, vinci questa
barriera. Vinci la guerra camminando sul filo del rasoio. Dimostragli che ce la
puoi fare, che ce la potete fare insieme.
È su di lui e,
con qualche sforzo di immaginazione, riuscirebbe persino vedere il suo
volto.
La barriera è lì
tra loro, l’ha voluta Gabriele, l’hai voluta tu. È l’eco lunga del malinteso, lo
strascico di ferite dalla lunga rimarginazione. La bolla d’angoscia che vuoi
gettarti alle spalle, disperatamente; la paura di mettere il piede in fallo. Di
tergiversare in eterno e impantanarti nel terreno infido
dell’equivoco.
Non è nulla di
complicato. Lo pensa mentre punta le ginocchia – un passo in avanti –, si piega
e si lascia andare su di lui. È sufficiente rilassare i muscoli e ascoltarlo
mentre si fa largo nel suo corpo. Adagio. Gli basta sentirlo mentre va alla
deriva e urla il suo nome, da qualche parte nella sua mente, e scrolla le anche;
sospira e getta la testa all’indietro in una resa. Basta recuperare un barlume
di coscienza e oscillare su di lui per dirgli ci sono, sono qui.
Tranquillo.
Guardami,
Gabriele…
Poi è la deriva
totale, una cascata di sensazioni, il calore insopportabile al basso ventre che
si arrampica lungo la spina dorsale e spegne ogni altra facoltà. Fa quasi male,
mentre si tende e muove i fianchi. L’istinto è di piegarsi su di lui, di unire
le labbra alle sue prima di rovinare nell’incoscienza, un desiderio annebbiante
che fa da cornice. C’è solo la sua bocca a sradicargli i baci, le mani che gli
scorrono lungo la schiena, intorno ai fianchi, sulla sua erezione. Il piacere
bruciante che gli fa strizzare le palpebre, disperato, come una lunga scossa; la
consapevolezza che stanno facendo l’amore, confusi nello stesso
sogno.
E non sa quanto
sia durato. Sa solo che Elena aveva drammaticamente ragione. E pure la madre di
Gabriele, che nemmeno lo conosce. Sa che ha appena avuto l’orgasmo più torrido
della sua intera esistenza, e che Gabriele è con lui.
Accoccolato al
suo fianco, i capelli bagnati che gli offuscano la vista, lo osserva. Gabriele
si solleva a sedere e sorride. Gli scosta i capelli dagli occhi e si lascia
andare, la fronte contro la sua spalla. Sospira e lo bacia, lo stringe a sé
circondandogli la vita col braccio.
Andrea chiude gli
occhi. È buio, e la notte è ancora neonata. Forse domani si sveglierà su un
letto di rose, e non conterà più nulla, non i giorni che seguono con le loro
strane complicazioni. Nulla, se non la consapevolezza devastante di essere
insieme.
1 – ho tenuto conto dei
tempi in cui si svolge la storia-madre in cui questa storia si situa.
Attualmente dovremmo trovarci verso marzo 2009. Ho fatto un po’ di conti e,
pensando alla scaletta che ho in mente, il 31 dicembre 2009 ne “Il bacio
dell’aspide” dovrebbe essere successo di tutto e di più (e alcuni sono spoiler
anche per me). Questa one-shot natalizia-ma-non-troppo potrebbe tranquillamente
situarsi a poco tempo di distanza dai fatti attualmente narrati ne “Il bacio
dell’aspide” – sembrerebbe una prima volta tra Andrea e Gabriele – ma così non
è. Volevo tenere però l’ambientazione natalizia, tutto qui: insomma, è stata una
licenza poetica.
2 – qui ci ho messo io lo
zampino, e si sente XD
Doveva essere una shot
*breve*, invece sono riuscita a creare un papiro come al solito XD (beh,
speriamo almeno ne sia valsa la
pena).
Ad ogni modo, l’idea mi
è stata ispirata da Ichigo, a cui questa storia è dedicata, come regalo non più
di Natale, ma della Befana! <33333