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Autore: Brinne    07/01/2012    1 recensioni
Allora avevo dolo sedici anni e ciò che più mi premeva era poter dire ciò che pensavo, poter mettermi la minigonna e una canottiera senza farmi sentire dire che era una puttanella e volevo portare i capelli come mi piacevano e perchè no?, magari tingermeli di verde.
Quando ci ripenso, sorrido e scuoto la testa per la mia igenuità.
Ciò che contava, allora, era poter dire e fare ciò che si voleva.
Nemmeno adesso, mentre mi chiedono il mio orientamento politico e cosa pensavo di quegli anni, so rispondere.
Ero giovane e i giovani, in quel periodo, sembravano poter essere padroni di tutto.
E il cielo mi fulmini se negassi di non essere stata anche io bramosa di libertà e potere di decisione.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1969. Ancora ricordo quell'anno e non perchè mi arrivò una chiave inglese in testa o la tirai io a qualcuno, no.
Lo ricordo perchè quell'anno fu l'inizio di tutto e quando dico tutto, significa proprio tutto.
La mia vita prima di quell'anno era confusa e ora quasi non la ricordo.
Quell'anno fu talmente intransigente con noi studenti e giovani, richiese una scelta, pretese intelligenza e in cambio diede aria di libertà.
Non sto parlando di politica, badate bene: non mi sono mai schierata, però ricordo quelle lunghe assemblee in cortile dove ognuno parlava e commentava.
Era l'anno della grande rivolta, delle innovazioni, della voglia di gridare contro qualcosa che, ammetto, all'inizio non conoscevo.
Urlavo perchè anche gli altri lo facevano e mentre sfilavo per le vie gridando e cantando di libertà e giustizia, mi sentivo così viva e accumunata con tutti i ragazzi che c'erano vicino a me, che non mi importava se a casa mi avrebbero dato della deficiente oppure mi avrebbe etichettato come comunista.
Destra, sinistra, ma che potevo saperne?
Allora avevo dolo sedici anni e ciò che più mi premeva era poter dire ciò che pensavo, poter mettermi la minigonna e una canottiera senza farmi sentire dire che era una puttanella e volevo portare i capelli come mi piacevano e perchè no?, magari tingermeli di verde.
Quando ci ripenso, sorrido e scuoto la testa per la mia igenuità.
Ciò che contava, allora, era poter dire e fare ciò che si voleva.
Nemmeno adesso, mentre mi chiedono il mio orientamento politico e cosa pensavo di quegli anni, so rispondere.
Ero giovane e i giovani, in quel periodo, sembravano poter essere padroni di tutto.
E il cielo mi fulmini se negassi di non essere stata anche io bramosa di libertà e potere di decisione.
Ma non sono sempre stata così, dapprincipio ero un involucro vuoto che nessuno s'era mai preso la briga di riempire.
Le parole dei genitori, degli educatori dell'oratorio, delle insegnanti, erano oro colato.
Dannazione, quante volte i loro discorsi mi hanno impedito di essere chi ero.
A volte mi hanno aiutato, a volte mi hanno distrutto.
Ma se sono ciò che sono, di certo è grazie al movimento che stava nascendo quando ho messo piede nel mio amato liceo.
Odi et amo.
 
Capitolo I, la voglia di vivere.
 
- Vuoi un volantino? E' il momento di rispondere!-
Scansai quel ragazzo quasi potesse trasmettermi qualche malattia e osservai disgustata la kefia che teneva avvolta attorno al collo, giocherellandoci con la dita di tanto in tanto. - Dovrebbe interessare anche a te.- sentii urlarmi dietro, ma non persi tempo a voltarmi per sentire cosa avesse mai da dire quell'anarchico.
Sbuffai nel salire le scale, trovando quantità smisurate di volantini a imperdirmi il passaggio, ognuno che invitava le persone a lottare contro questo nemico comune che però, guarda un po', non veniva mai nominato.
Mio padre diceva sempre che combattevano contro il nulla solo per fare un po' di confusione.
E io ero d'accordo.
All'inizio dell'anno ero stata eletta rappresentante di classe insieme a un mio compagno di nome Luigi, che odiavo con tutta me stessa: era proprio il prototipo di pecorone che oggi si finge rivoluzionario e domani san carlino. Se dovevamo rappresentare davvero la classe, allora lui non era adatto.
Ad ogni modo, nello sfortunato momento in cui avevo deciso di candidarmi, non avevo la più pallida idea delle incombenze che sarebbero gravate su di me, come i comitati studenteschi e quelle idiotissime assemblee di classe che Luigi richiedeva ai professori con la scusa di dover risolvere problemi interni e che poi utilizzava per convincere gli altri a partecipare alle manifestazioni e ai collettivi, quasi che avessero bisogno di lui per fare campagna pubblicitaria.
Io ovviamente ero contraria, ma i miei stupidi compagni si lasciavano eccitare dai discorsi pieni di pathos di Luigi, che, glielo concedo, era un grande oratore.
- Ciao Alicia.-
- Non chiamarmi così.-
- E perchè no? Cos'è, anche dare soprannomi è da anarchici?-
- Io credo semplicemente che dovresti concentrarti su qualcosa come il greco, piuttosto che perdere tempo nel cercare di fare il simpatico.-
Sì mi chiamo Alice e sono odiosa, ma che ci posso fare?
Credo fermamente che la metà del liceo che frequento abbia addosso una sorta di repellente nei mie confronti e io sento l'odoraccio a chilometri di distanza.  Come in quel momento.
Il simpaticone di turno si chiamava Domenico ed era proprio come Luigi e quel ragazzo dei volantini. Aveva un anno in più ed era uno di quelli che conosceva tutti, che dirigeva le assemblee che tanto odiavo e che stava sempre in prima fila in manifestazione.
Per qualche ragione a me ignota, da quando ero malauguratamente capitata seduta vicino a lui a un comitato studentesco, non mi aveva più mollato.
"Voglio averti dalla mia parte, Alicia. Come avversaria non mi piaci"
Questo rispondeva ogni volta che gli chiedevo cosa volesse mai dalla mia vita e, inequivocabilmente, io facevo uno dei miei sorrisetti snervanti e gli dicevo che anche Cesare all'inizio voleva Pompeo come alleato, ma poi gli aveva dichiarato guerra.
Lui rideva sempre a questa metafora e tornava all'attacco.
- Senti Alicia, oggi pomeriggio c'è il collettivo...-
- No.-
- Non sai nemmeno per cos'è.-
- Tu sì?-
La campanella salvò me e impedì a lui di cominciare a narrarmi tutti i problemi in cui si trovava il nostro paese, così mi divincolai da quella situazione e corsi in classe.
Sebbene il mio comportamento possa farvi pensare diversamente, io avevo molti amici ed ero ammirata perfino da Luigi nonostante fosse palese che avessimo idee completamente diverse su ciò che è davvero importante.
Mi piaceva il liceo classico e amavo fare citazioni anche nella vita quotidiana, cosa che invece le mie amiche detestavano, però come non potevo far menzione di Cesare o Plutarco quando loro me lo mettevano su un piatto d'argento?
Come se qualcuno parlasse di un casa in mezzo a un temporale e me non venisse in mente "il Lampo" di Pascoli, assurdo!
- Ciao Ali!-
Laura Rovigo era la mia migliore amica ed era comunista e atea. Sì, era una contraddizione ma forse la nostra amicizia durava da sei anni proprio per questo ed entrambe amavamo scannarci fino alla morte nel portare avanti le nostre opinioni politiche, etiche e religiose.
Quel giorno era più solare del solito e sfoggiava una nuova kefia arancione e nera. Uau.
- Cos'è quella roba che hai al collo?-
Appoggiai la cartella su banco e mi sedetti, tirando fuori astuccio e diario. - Ti prego non cominciare. Ho scelto che regalo voglio da te per il mio compleanno.-
Spalancai gli occhi a quelle parole: ecco, potevo essere acida, antipatica e secchiona ma se c'era una cosa che mi mancava era la memoria.
Insomma, l'anno precedente mi ero scordata persino del mio compleanno, figurati se mi sarei ricordata quello di Laura.
Ringraziai mentalmente il cielo che Laura l'avesse detto, ora avrei solo dovuto tenerlo a mente.
- Sentiamo.-
Laura sorrise ancor di più, se possibile, e si sedette vicino a me. - Voglio che tu venga con me al collettivo oggi.-
- Non puoi chiedermi questo e poi il tuo compleanno è domani, non oggi.-
Mi guardò attraverso quei suoi due occhi a palla e castani come i suoi capelli, sporgendo il labbro inferiore e con la tipica espressione di quando stava pensando a cosa poter ribattere e io sapevo, dentro di me, che non dovevo lasciargliene il tempo.
- E poi oggi devo vedere Edoardo.-
Edorardo Targetta era il mio ragazzo in tutti i sensi: eravamo fidanzati da un anno e sembrava fatto su misura per me con la sua camicia e i capelli pettinati, i suoi bei voti a scuola e la sua famiglia rispettabile che usava tre forchette e tre coltelli durante i pasti.
Era il mio principe noioso.
Ma anche io lo ero, quindi mi andava più che bene.
- Ma per favore Ali, non dire cazzate: tu e Edoardo non vi vedete mai il pomeriggio perchè per lui è più importante lo studio.-
- Non è vero, semplicemente tiene come me alla scuola e io rispetto la sua decisione perchè sono sicura che lui rispetta le mie.-
Mi sciolsi i capelli e li rilegai in una coda alta, tirandoli bene indietro come mi aveva insegnato mia mamma fin da quando ero piccola per essere sempre in ordine. Nemmeno un capello doveva essere fuori posto, se no addio compostezza e chissà cosa avrebbero mai potuto pensare gli altri. - In ogni caso quello lì non mi piace e sono la tua migliore amica quindi dovresti ascoltarmi.-
Alzai gli occhi al cielo e mi chiesi per la millesima volta perchè diavolo avessi scelto una persona così diversa da me come compagna di avventure e non una studentessa di qualche colleggio: composta, disciplinata, coerente.
- Perchè non provi mai qualcosa di nuovo? Cosa mai potrebbe accaderti di tanto malvagio? Io voglio che tu veda e capisca.-
Ecco che saltava di nuovo fuori l'argomento.
- Che cosa, di grazia?-
Qualcuno tirò le tende e la classe venne inondata della timida luce di metà marzo, e quella stessa luce gettò ombre sul volto di Laura, che socchiuse gli occhi e corrugò la fronte.
Ma forse non era la luce, forse erano le mie parole che ogni volta smorzavano quella sua vivacità che tanto amavo.
- Ma qual è il tuo problema? Ascolta io ti voglio bene e lo sai che non mi interessa cosa credi e cosa non credi perchè sei comunque una mia amica, ma davvero non ti importa nemmeno un po' la nostra situazione? Non ti incuriosisce l'esperienza?-
Io adoravo scoprire cose nuove e farle diventare parte del mio bagaglio di esperienze e, da persona intelligente, avrei dovuto sperimentare prima di chiudere in faccia così tante volte la porta a coloro che mi avevano proposto di sentire una delle assemblee, ma allora perchè diavolo non riuscivo proprio ad andarvi?
Ero terrorizzata, in realtà, per ciò che i miei avrebbero detto se l'avessero scoperto.
Io ero il loro orgoglio e se avessero saputo che frequentavo quella gentaglia di certo ne sarebbero rimasti delusi e se ne sarebbero vergognati, tirando in ballo una riunione famigliare. Già potevo vedere tutta la famiglia riunita in salotto e discutere sul piano da adottare per salvarmi.
Ma poi, salvarmi da cosa?
Sì avevo sentito e avevo visto gente boccheggiante in mezzo alla strada e sul giornale non facevano altro che parlare di scontri tra ragazzi di destra e sinistra, ma perchè mai doveva succedere proprio a me?
- Quella è la tua espressione di quando stai per cedere, vero? Dai, fallo per me!-
- Tu verrai alla messa di Pasqua con me?-
Va bene tutto, ma non avrei accettato senza ottenere qualcosa in cambio ed io ero fermamente convinta di poter salvare l'anima di Laura da tutti i suoi peccati, tra i quali essere atea. - Ehi, questo è un colpo basso. E va bene, tutto purché tu venga.-
 
 
Mi guardai intorno e strinsi ancor più forte la borsa come a volerne trarre forza, presi un bel respiro e mi voltai verso un'estasiata Laura che non vedeva l'ora di rientrare a scuola.
Fuori, davanti all'entrata, c'erano un sacco di ragazzi che ridevano, parlavano e alcuni anche ballavano come scimmie.
Però sembravano tutti amici.
Scorsi da lontano Domenico e pregai, per la mia reputazione, che non mi vedesse e continuasse a fare quello che stava facendo con quei fogli. Non sembrava di essere a scuola, anzi: abituata com'ero a vedere l'edificio come luogo di studio e fatica, mi meravigliavo nel scoprirlo così vario e...spensierato?
Non sapevo proprio come descriverlo, però mi piaceva.
Ovviamente eliminai quest'ultimo pensiero caso mai qualcuno dei presenti oltre che essere anarchico fosse anche una sorta di mentalist e distesi le labbra facendo scomparire un sorrisetto appena abbozzato.
Una ragazza si avvicinò e abbracciò Laura, per poi allungarle una sigaretta.
- Tu da quand'è che fumi?- chiesi, osservando disgustata quel piccolo cilindro di morte che Laura teneva tra le labbra e vi avvicinava l'accendino preso in prestito. - Sporadicamente, quindi non allarmarti.-
Lasciai perdere la tortura alla borsa e mi allontanai quel tanto che bastava per non danneggiare i miei polmoni, poi avvenne l'inevitabile.
- Alicia? Che cosa ci fai qui?-
Imprecai e mi voltai, trovandomi davanti uno strafottente Domenico che con il suo tono aveva fatto voltare molti dei presenti, alcuni dei quali mi riconobbero e assunsero la stessa espressione tra il sorpreso e il divertito che aveva il ragazzo di fronte a me.
- Lo faccio per Laura, prima e ultima volta.-
- Certo, ora entriamo.-
Lo seguii, continuando a imprecare contro il cielo e la terra, ma fortunatamente Domenico sembrava troppo preso da altro per poter notare le mie espressioni.
In stagione più calda il collettivo si sarebbe svolto in cortile, ma la giornata era diventata uggiosa quel pomeriggio, così andammo in palestra a prendere la polvere.
Cioè, a parlare.
Mi disse di sedermi e aspettare, mentre lui andava avanti e indietro a salutare e scambiare quattro parole con chi entrava, io intanto cercavo con gli occhi Laura perchè mi supportasse in quella situazione così difficile e nuova per una come me.
Inutile dire che non la trovai e fui costretta a starmene nel mio angolino.
Più di una persona cercò di avvicinarsi a me per socializzare, ma le mie risposte secche e acide ci misero poco a convincere la gente a lasciar perdere.
Non eravamo troppi, forse una trentina, ma la palestra non era enorme quindi sembrava affollatissima e io odiavo i posti affollati.
Ma guarda un po', eh?
Sì, sono anche polemica.
- Mmh quello lì proprio bello, Chiara hai fatto bene a dirci di venire. E' pieno di bei ragazzi.-
Ecco, questi erano i discorsi che proprio non riuscivo a tollerare. Per lo meno io ero lì per costrizione, non perchè i miei ormoni mi obbligavano ad avere una dose giornaliera di bei ragazzi.
Erano sicuramente quartine e non ebbi il bisogno di guardarle per pensarlo.
- Ciao ragazze.- Domenico era tornato per aiutarmi in quell'Odissea e al suo saluto, le quartine proruppero in tante risatine snervanti.
Ok, non sarebbe durato tanto e dovevo solo resistere.
- Quanto dura 'sta roba?- ero seduta a gambe incrociate e non erano nemmeno passati cinque minuti che già fremevo dalla voglia di andarmene. Buono.
Domenico sorrise e si sedette vicino a me, allungando le gambe in avanti e appoggiando dietro la schiena le mani quasi fosse in spiaggia, poi si sporse verso di me. - Dipende, vedi quello laggiù? Bene se sarà lui a parlare ce la sbrighiamo in un'oretta.-
- Se no?-
- Se no andrà Valeria e allora sarà una cosa molto, ma molto lunga. Oggi dobbiamo decidere cosa fare per la manifestazione di settimana prossima.-
Manifestazione?
Oh ma perfetto, perchè non ci avevo pensato prima? Potevo andare al collettivo che decideva se fare o meno occupazione, già che c'ero.
Laura l'avrebbe pagata, poco ma sicuro. - Vuoi scherzare?-
- No, zitta e ascolta.-
E ascoltai davvero, presa, rapita dalle parole di quella Valeria che entro poco tempo sarebbe diventata una delle mie più care amiche ma che in quel momento era solo un punto di riferimento.
Non cambiai idea, sia chiaro: continuavo a credere che la scuola fosse più importante di tutto il resto, però mi piaceva sentirli parlare uno alla volta, liberi di poter dire ciò che volevano senza il terrore di venire interrotti.
Erano sereni e tutti ascoltavano tutti, magari con qualche commento detto sotto voce, ma mai offensivo.
Parlarono di ideali, di giustizia, di mafia e valori.
Mio padre mi aveva sempre detto che gli unici valori sono quelli della famiglia e che quelle persone non li conoscevano eppure, in quel momento, trovai nelle loro parole qualcosa che sentivo mio.
Domenico ogni tanto mi guardava e mi tirava una gomitata amichevole, come a voler dire: "te l'avevo detto che dovevi venire e che ti sarebbe piaciuto" e io di rimando sorridevo e mi voltavo nuovamente verso chi parlava.
Feci milioni di domande e tutte ebbero una risposta. Qualcuna fece anche ridere i presenti perchè rivelava un'ignoranza abissale, ma mi presero in giro cautamente e io, per la prima volta, non me la presi.
La manifestazione era per una nuova legge da poco approvata che limitava i diritti di sciopero sia dei lavoratori che degli studenti e forse era una banalità e a loro non sarebbe cambiato nulla se io fossi scesa in piazza o meno, però per me sarebbe stato fondamentale.
- Mi accompagni in cortile?- Domenico si era alzato e si stava sgranchendo le gambe, attendendo che lo imitassi.
Guardai prima lui e poi Valeria, poi lo seguii di controvoglia. - e così la stronzetta ha scoperto un nuovo mondo.-
- Sono ancora convinta che sia una perdita di tempo.-
Che bugia.
- Quando menti arricci il naso.-
Uscimmo in cortile e io mi misi la felpa, notando come il tempo fosse veloce nel passare da sereno e nuvoloso. Volevo il caldo.
Domenico scese i gradini e si sedette su una panchina, tirando fuori un pacco di sigarette e accendendosene una.
- Vuoi?-
Mi avvicinai, sempre a distanza di sicurezza per i miei polmoni, e scossi la testa. - Non fumo.-
- Ma davvero? Hai mai provato almeno?-
Provare? I ragazzi non dovevano fumare, specialmente se avevano la nostra età.
Mio padre diceva sempre... ancora mio padre, possibile che fossi così condizionata da lui?
- No, mai.-
- Sai, dovresti vivere più serenamente. Tu sei intelligente, eppure c'è sempre qualcosa che ti frena. Vuoi provare?-
Domenico aveva un bel viso dai tratti ben delineati e gentili, ma ciò che mi colpì in quel momento come poche altre persone fecero in futuro, furono i suoi occhi. Forse fu anche perchè erano blu come i miei, ma fu quello sguardo che riservava solo a me quando cercava di capire perchè fosse così maledettamente bastarda e in quel momento era ancora più profondo.
No, profonda è banale.
Era liquido e infame.
Cosa avrei mai potuto nascondere a uno sguardo del genere? Era lo stesso di Laura.
- Stiamo parlando ancora di sigarette o di qualcos’ altro?-
- La domanda è aperta.-
Alzai gli occhi verso il cielo nuvoloso dove alcune rondini si inseguivano, ma forse non stavano tornando ai loro nidi lasciati in inverno, forse la loro era una partenza. Un inizio.
Anche gli alberi si stavano svegliando dalla lunga notte di gelo e manifestavano la loro esistenza con piccole gemme che facevano capolino dai rami rivolti verso il cielo, come una richiesta d'aiuto a qualcuno che da lassù li avrebbe potuti liberare facilmente, con un unico gesto, dal torpore dell'inverno. Ma invece lasciava che ce la facessero con le loro forze.
Era la vita.
- Ho voglia di vivere, ma voglio farlo con i miei tempi.-
Domenico sorrise di nuovo e tirò fuori un'altra sigaretta.
La guardai, io guardai lui e lui guardò me.
Forse io avevo trovato qualcuno che mi avrebbe aiutato a liberarmi dal torpore in cui ero vissuta fino ad adesso.
La presi e fumai per la mia prima volta.
Non fu niente di fantasmagorico, non fu niente di trasgressivo e trascendentale.
Ma fu come volare.
 
 

Occccccchei, salve!
Allora è un esperimento difficoltoso e che mi sta mettendo alla prova, che ne dite?
Fatemi sapere,
Brinne
 

 

 

 

 

  
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