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Autore: Changing    07/01/2012    0 recensioni
Sono passati cinque anni da quando le due sorelle Mei e Satsuki hanno vissuto fantastiche avventure insieme al loro amico Totoro. Vivono sempre nello stesso paese e nella stessa casa, ma il tempo non lascia nulla invariato e purtroppo con la crescita si tende ad accantonare la voce del bambino che è in ognuno di noi...
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fiori di maggio


Quella domenica di maggio, pioveva a dirotto su Matsu no Gô. Coltri plumbee di nubi si erano addensate sul paese sin dal cuore della notte, e il temporale che imperversava da quella mattina non accennava a volersi prendere neanche un istante di riposo.

La piccola Mei, che ormai aveva raggiunto i nove anni, stava sdraiata prona sul pavimento del soggiorno, con la testa appoggiata sulle braccia conserte. Le porte scorrevoli in carta di riso erano totalmente spalancate. Fissava le minuscole gocce di pioggia, alcune dopo essersi schiantate violentemente sul terreno, imperlavano il prato riflettendo appena la luce proveniente dall'interno dell'abitazione, altre scivolavano sinuose lungo le pareti.

Suo padre, come Satsuki, era al lavoro; ma ormai, da quando sua sorella era diventata abbastanza grande per contribuire, sebbene minimamente, al precario mantenimento familiare, si era abituata a quella perpetua lontananza.

Per fortuna sua madre era sempre a casa con lei. L'unico frammento della sua famiglia sempre presente nella sua vita di bambina. Era il suo unico appiglio a cui poteva sostenersi per evitare di cadere nel profondo e spaventoso baratro della solitudine. Tuttavia, non si era mai del tutto ripresa dalla tubercolosi che, per anni, l'aveva tenuta rinchiusa in un ospedale lontana dalle sue bambine; così adesso la sua salute era alquanto cagionevole e non le permetteva di occuparsi delle sue figlie quanto volesse.

Per Mei, la sua famiglia era sempre stata tutto il suo mondo; vedere sua sorella, il suo centro di ammirazione, la sua migliore amica, allontanarsi progressivamente da lei, l'aveva rattristata molto. Aveva nostalgia dei pomeriggi passati a inventare giochi, a scorrazzare per i prati con Totoro, il loro amico troll, il segreto che custodivano e legava le due ragazze.

Ma purtroppo, da molto tempo ormai, Satsuki sembrava aver smarrito i ricordi legati a quei giorni tanto difficili quanto spensierati, serbando solo il peso dell'ansia e la paura che la malattia della madre le avevano causato. Il giorno stesso in cui venne dimessa dall'ospedale, persero le tracce di quella buffa creatura, anche se Mei, in gran segreto, era tornata innumerevoli volte a quella cavità nascosta fra le radici dell'immenso albero di canfora, che era l'entrata della tana di Totoro, ma senza alcun risultato.

La bambina, che per tutto il tempo aveva guardato annoiata la pioggia, si alzò in piedi di colpo, dandosi una spinta con la schiena.

Camminò per il lungo corridoio cigolante, fino alla stanza della madre. Con attenzione, fece capolino dalla porta, per assicurarsi che non stesse riposando. Sporgendosi fece scricchiolare le assi lignee del pavimento e per la sorpresa cadde sbattendo a terra il mento. Mentre si massaggiava, una risata dolce e familiare le assicurò che la madre era sveglia.
- Cosa stai facendo piccola Mei? - La bambina si andò a sedere davanti al tatami dove la donna era seduta.
- Mei si annoia tanto, non le piace la pioggia! - Nonostante fosse cresciuta, alla piccola piaceva parlare ancora di sé in terza persona, come un tempo.
- Mmmmm... - La madre assunse un'espressione teatralmente assorta, poi batté la mani. - Potresti fare una danza del sole! - La bambina spalancò gli occhi.
- Una danza del sole? - La donna annuì.
- Certo, se c'è una danza della pioggia, ci sarà sicuramente anche una danza per far venire il sole -
- Ma Mei non la conosce... - Rispose abbassando lo sguardo
- Non importa se non conosci i passi, basta che sia molto allegra e rumorosa, così il Sole riuscirà a sentirti e le nuvole scapperanno via impaurite –

Disse la mamma alzando le braccia e facendo ampi gesti con le mani accompagnando le sue parole. All'improvviso si bloccò e cominciò a tossire con brevi ma frequenti spasmi.

La bambina corse della madre e le mise le braccia intorno alle spalle; lei si quietò quasi subito, rassicurando la figlia e dicendole che era solo un po' di tosse momentanea. Mei, anche se non era del tutto sicura, annuì e scattò in piedi. Cominciò a saltellare in cerchio, a volte strillando frasi di incoraggiamento per far uscire qualche raggio di luce.

Dopo circa un quarto d'ora, in cui la madre accompagnò la figlia battendo le mani a tempo, la pioggia smise di picchiare sul tetto.

Mei spalancò una finestra e osservò il loro giardino come la prima volta quando cinque anni fa, si erano trasferiti lì: con occhi curiosi ma sopratutto pieni di entusiasmo.

Si mise nuovamente a saltellare gridando dalla gioia e uscì subito di fuori. Corse, fece ruote, capriole e giravolte, finché non si rotolò sul prato umido e fangoso in alcune zone, macchiandosi il vestito di terra e di erba, ma poco le importava.

La madre la guardava con il cuore colmo di tenerezza e malinconia: tante volte aveva rimpianto gli anni perduti a causa della sua salute.

Ad un certo punto la bambina si fermò, sdraiata a terra ansante. Osservò il cielo, in cui le nuvole si diradavano pian piano, lasciando visibile qualche tratto brandello di azzurro.

Alzò la schiena e vide sua madre che le sorrideva, la salutò con la mano. Soffiò uno spiraglio di brezza fresca, abbastanza forte da far tossire di nuovo sua madre, la quale fu costretta a richiudere la finestra.

Mei riabbassò la mano lentamente, e la sua radiosa allegria si affievolì allo stesso modo. Poi il suo sguardo si posò su alcune aiuole di fiori che sua madre coltivava nei giorni in cui si sentiva abbastanza in forma, anche se da molti mesi ormai ci pensavano soltanto lei e occasionalmente anche sua sorella. Era una pianta non più alta di mezzo metro, le foglie sottili e allungate, un fusto semplice e adornato da fiori peduncolati, che variavano dal rosa al giallo, e dalla forma piuttosto strana: più o meno tubolare e con due labelli ricurvi verso l'esterno; tuttavia molti boccioli erano ancora semi chiusi.

Sua madre non si sarebbe arrabbiata di certo se ne avesse presi soltanto due o tre. Li strappò con molta cura e tornò nella stanza di sua madre.

La porta era chiusa, bussò, ma nessuno rispose.

- Mamma? - Chiamò.

Poi aprì la porta con cautela.

- Ma... - I fiori le caddero dalle mani. Calpestandoli, corse verso il suo corpo che giaceva a terra disteso, come se dormisse. Le si inginocchiò accanto e cominciò a scuoterla, dapprima con delicatezza, poi con più vigore -

- Mamma... MAMMA!! - Urlò con tutta la voce che aveva in gola.

La paura prese il sopravvento sulla bambina, che disorienta e spaurita fece la prima cosa che le venne in mente.

- Pronto, chi è? - Una nasale voce maschile rispose dall'altro capo del telefono.

- Sono la sorella di Satsuki, me la passi per favore è urgente! -

L'altro, con voce annoiata, le disse di attendere. Poco dopo rispose Satsuki:

- Pronto, Mei? E' successo qualcosa? -

- La mamma è a terra e non mi risponde non so cosa devo fare! Aiutami sorellona! -

- Non ti preoccupare arrivo subito! Tu intanto chiama l'ambulanza – Riagganciò senza salutare.

E' vero, avrebbe dovuto chiamare subito i soccorsi, non lei. Aveva solo perso tempo prezioso.
Compose in tutta fretta il numero del pronto soccorso, con mani tremanti e congestionate dall'ansia, come fossero congelate e intorpidite dal freddo. Sbagliò due volte, ma al terzo tentativo qualcuno rispose.

Nel tempo dell'attesa non fece altro che piangere, accasciata sul corpo inerme della madre, invocandola. Una sirena le annunciò l'arrivo dell'ambulanza e poco dopo si ritrovò nella sala d'attesa dell'ospedale più vicino.

...

Non seppe dire di preciso quando si addormentò, ricordava solo tante persone vestite di verde o di bianco che trasportavano sua madre su... qualcosa.

Venne svegliata con dolcezza dalla voce si Satsuki.

- Mei? Dai su andiamo a casa, sta cominciando a diventare buio -

La bambina ancora assonnata e intontita si stropicciò gli occhi:
- Dov'è la mamma? - Satsuki non rispose subito, si abbassò fino ad arrivare alla sua altezza.
- Vedi Mei, la mamma è... - La sua voce si ruppe, gli occhi le si velarono, brillando.
- Mi dici dov'è la mamma? - Sbadigliò, tenendo sempre gli occhi socchiusi.

La ragazza continuava a guardare la sua sorellina, tenendole le mani sulle spalle e sperando che attraverso gli occhi potesse leggere i suoi pensieri, per non sentire il suono delle sue parole, che le facevano quasi più male della stessa verità. Tentò di scegliere accuratamente i vocaboli giusti, ma non riuscì a formulare nessuna frase che le sembrasse adeguata, che potesse plasmare la realtà e renderla più dolce. Non riuscendo a trattenere completamente le sue emozioni, le gambe cominciarono a tremare. Gettò le braccia attorno al collo di Mei, facendo appello a tutte le sue forze per non far trapelare il suo dolore.

Passò qualche minuto prima che Satsuki riuscisse a riprendere il suo normale autocontrollo. Non poteva permettersi di piangere di fronte a sua sorella. La piccola aveva bisogno di lei, e non doveva mostrarsi debole, come non lo fece cinque anni addietro, quando sua madre ebbe una ricaduta e fu rinviata la sua dimissione dall'ospedale.

Mei era ancora un po' stordita a causa della sonnolenza e non riusciva a capire il senso del gesto della sorella.
- Mei, la mamma adesso è... salita in cielo. E' diventata un angelo sai? -
- Satsuki, dov'è la mamma? - La ragazza non le rispose, non sapendo cosa dire..
- Mei vuole vedere la mamma! -
- La mamma non c'è più adesso – La bambina aprì appena la bocca, il suo viso si contrasse in quella tipica espressione di dolore che precede il pianto, poi le lacrime cominciarono a sgorgarle inesorabilmente dagli occhi, seguite da urla terrificanti che fecero voltare tutti i passanti in corridoio.
- Mei vuole la mamma, voglio vedere la mamma! -
- Ora non puoi vedere la mamma, papà sta... - Ma agile e veloce, la piccola si divincolò dalla stretta della sorella e corse alla cieca per i corridoi, gridando in cerca di sua madre.

Le persone si scansavano, alcuni sorpresi, altri come se dovessero evitare qualcosa di nocivo. Un simile comportamento non era ammesso negli ospedali.

In un momento di confusione andò a sbattere contro un uomo dall'imponente statura e il volto severo, gli occhi incorniciati da un paio di occhiali dalla montatura quadrata. Tutti particolari che sfuggirono alla bambina, per colpa della vista offuscata dal pianto. L'uomo sollevò la bambina che era caduta:
- Che cos'è tutta questa confusione? I tuoi genitori non ti hanno insegnato che non si deve fare baccano negli ospedali? -
- Aspetti dottore, questa è mia figlia. -

Mei riconobbe la voce calda e profonda di suo padre. Gli corse fra le braccia e continuò a piangere. Con fatica il padre la prese in braccio, facilitato però dall'esile corpicino della figlia:
- Se non le dispiace preferirei continuare il discorso domani, verrò da lei la mattina presto per firmare quelle pratiche -
- Per questa volta chiuderò un occhio, ma sappia, signore, che non stiamo qui ad aspettare i comodi di tutti. Questo è l'unico ospedale nel raggio di dieci chilometri e c'è tanto lavoro da fare. -
- Capisco perfettamente quello che intende, ma ora la mia famiglia ha bisogno di me. Le chiedo solo di aspettare un giorno. - Il medico fece un brusco cenno d'assenso e poi si dileguò nel labirinto di corridoi.
- Andiamo a casa -

Quella sera a cena nessuno osò parlare della madre, per paura di spezzare quel fragile equilibrio di stabilità emotiva che si era creato. Mei non toccò cibo; stava seduta in ginocchio, fissando la sua zuppa di miso con uno sguardo vacuo. Il padre e la sorella tentarono invano di convincerla a mangiare qualcosa, ma tutto quello che ottennero fu un debole cenno di diniego. Satsuki però non demorse; smise di insistere solo su richiesta del padre.
- Venite qui – Disse loro facendo un cenno con le mani. Le due ragazze gli si sedettero accanto; lui le strinse a sé e sospirò, volgendo lo sguardo alla finestra, dal quale si intravedeva un frammento di cielo notturno trapuntato di stelle.
- Sapete perché vi abbiamo dato i nomi Satsuki e Mei? - Le due non risposero, ovviamente era una domanda retorica.
- Fu vostra madre a decidere i nomi. Mei, è la pronuncia inglese della parola Maggio, da cui deriva anche il tuo nome* – Disse accarezzando la testa della sorella maggiore.
- Perché avete scelto proprio il mese di maggio? – Chiese Mei incuriosita.
- Vostra madre, come sapete, amava la primavera, perché era la stagione di fioritura delle sue piante preferite. Diceva sempre che desiderava che le sue bambine vivessero la vita come in un fiore che sboccia in uno splendido giorno di primavera: felici, spensierate, ma soprattutto serene. - Sorrise teneramente, contagiando anche la bambina che abbracciò suo padre. Satsuki si alzò lentamente in piedi, anche lei accennò a un debole sorriso.
- Io vado a dormire, sono molto stanca. Domani devo andare a scuola e anche tu dovresti fare lo stesso – Disse rivolgendosi alla sorella.
- Mei non ha sonno! - Rispose lei facendole la linguaccia e appendendosi alla schiena del padre.
- Non farmi arrabbiare si è già fatto tardi e... -
- Non preoccuparti Satsuki, ci penso io a Mei, tu va pure a dormire. - Sebbene negli occhi della ragazza si potesse chiaramente leggere delusione e disappunto, diede solo la buona notte, prima di scomparire dietro le porte scorrevoli che davano sul corridoio

Quella sera prima di andare a dormire, la bambina e suo padre parlarono molto e a lungo, seduti sotto il portico di legno da cui si poteva ammirare l'albero di canfora.. Anche se il dolore non era scomparso, Mei aveva capito che non doveva perdersi nel rimpianto, perché la madre in cielo ne avrebbe sofferto molto.
- Però posso piangere quando mi manca la mamma? -
- Certo che puoi – L'uomo accarezzò la testa di sua figlia e poi, dopo una lunga corsa per acchiapparla e molto solletico, la mise a letto.

L'indomani ripresero tutti l'ordinaria routine. Satsuki preparò il pranzo per tutti, il padre andò prima in ospedale e poi al lavoro, le figlie a scuola. Una persona qualunque non si sarebbe accorto della differenza tra quello e un giorno qualunque, ma la piccola Mei notò subito che la sorella aveva un'aria insolita, meno attiva e reattiva del solito, come anche suo padre suo resto. Decise però di non farci caso.

Le ore di scuola trascorsero lente.

Tornata a casa, Mei decise di andare a vedere in che condizioni erano i fiori di sua madre, dei quali non si era ancora ricordata il nome. Si chinò in ginocchio per osservarli da vicino. Alcuni di loro non si erano ancora schiusi.

Improvvisamente, si ricordò che quelli da lei colti il giorno prima dovevano ancora essere nella camera da letto; era sicura che suo padre, distratto com'era, non si era di certo fermato per buttarli. Infatti li trovò sull'uscio della porta, appiattiti, consunti, e appena rinsecchiti per la mancanza di nutrimento. Li raccolse e li portò in giardino. Appoggiò i fiori vicino ad un'aiuola e prese una paletta da giardinaggio. Scavò una piccola fossa e ve li seppellì. Una voce alle sue spalle la fece sobbalzare:
- Che stai facendo? - Satsuki, con ancora indosso la sua divisa scolastica e la cartella in mano, la guardava indecisa se preoccuparsi o no.
- Curo i fiori della mamma. - La bambina andò a prendere un innaffiatoio e lo riempì d'acqua.
- Non c'è bisogno che te ne occupi te, ci sono io che sbrigo le faccende di casa. -
- A Mei piace – Rispose continuando impassibile la sua attività di giardinaggio.
- Ti ho detto che non c'è bisogno, ora vai a fare i compiti -
- No! - Si alzò in piedi, mettendo le mai sui fianchi.
- E invece si! Fila a fare i compiti! Sei solo una stupida bambina viziata -
- Mei non è affatto viziata. Vuole curare i fiori della mamma! -
- E smettila di parlare in terza persona, non hai più quattro anni. Vedi di crescere un po'! - La guardò con aria truce.
- Smettila di pensare a queste stupidaggini... -
- Tu non sei la mamma, STUPIDA DI UNA SATSUKI! -

Lanciò l'innaffiatoio ai piedi della sorella, che lo evitò con un balzo. Poi si mise a correre più veloce che poté, verso il primo posto che le venne in mente. Il cunicolo di rami intrecciati era ancora perfettamente integro, nascosto fra i cespugli. Lo attraversò a carponi, correndo dove le era possibile, inciampando talvolta, e sporcandosi le mani di terra ancora umida per la pioggia del giorno prima. Scostò le fronde, graffiandosi le braccia per la fretta. Qualche foglia le andò negli occhi ma non se ne curò. Cercò di non prestare attenzione alla voce della sorella che la chiamava.

Uscita scavalcò a grandi balzi le gigantesche radici dell'albero di canfora. Urlò con tutta la voce che aveva in corpo il nome di colui che più di una volta aveva riportato il sorriso sul loro viso, su quello di Mei, ma soprattutto su quello di sua sorella Satsuki.
- TOTOROOOO – Non era stato un sogno da bambina, Mei era sicura dell'esistenza di Totoro, come anche dei Nerini del Buio e di Babbo Natale.

- Ti prego Totoro, dove sei? Ho bisogno di te adesso, non lasciarmi sola... - Proprio quando temeva che sua sorella l'avrebbe raggiunta, la bambina cadde in buco, che, ne era sicura, poco prima non c'era. Ma non l'avvolsero né spavento, né sorpresa. Sapeva benissimo dove sarebbe caduta.

In un attimo si ritrovò in quella familiare radura che era la tana del troll. Come sempre, i caldi raggi del sole penetravano dai rami ricoperti da fogliame smeraldino, illuminando quel luogo di una luce dorata donandogli un'atmosfera quasi magica. Con piacere, e stavolta anche stupore, notò che il prato era ricoperto dagli stessi fiori coltivati nel loro giardino, ma la varietà cromatica era senza dubbio molto più ampia questa volta; vi erano fiori di tantissimi colori diversi: rosso, giallo, viola, bianco, rosa.....

Mei si alzò in piedi; si asciugò gli occhi umidi e il naso colante con il braccio, poi distolse lo sguardo da quello spettacolo meraviglioso e si guardò intorno. Totoro era seduto per terra e stava cogliendo alcuni fiori intorno a lui, sembrava che non si fosse accorto nemmeno del suo arrivo. Lei gli corse incontro e gli si buttò addosso, affondando il viso ancora singhiozzante nel morbido pelo grigiastro. Il troll fu percorso da un brivido e gorgogliò di piacere e contentezza. Avvolse la bambina con una zampa, per ricambiare il suo abbraccio o forse per consolarla.

Quando la bambina finì di piangere dirottamente riuscì a parlare:

- Mi sei mancato tanto Totoro – Lui rispose con un verso indistinto, poi si grattò la testa, come fosse indeciso sul da farsi, e le porse il mazzo di fiori. Lei lo guardò sorpresa e sorrise. Avevano un profumo molto più intenso di quelli di sua madre.

Improvvisamente udì un ronzio indistinto in lontananza, che si fece sempre più forte. Era un urlo. Qualcosa, o qualcuno, cadde da dove, poco prima, era precipitata Mei, facendo volare alcune foglie e fiori lì intorno. I baffi del troll vibrarono freneticamente:
- SATSUKI! - Gridò la piccola, correndo trafelata verso di lei.
- Mei, non scappare mai più via in quel modo – Disse la ragazza rialzandosi e sgrullando via alcuni fili d'erba dalla divisa che non aveva avuto il tempo di togliersi.

Stranamente la bambina non rispose; guardava in silenzio la sorella con sincero sbalordimento. Non riusciva a capire come avesse potuto ad arrivare fin lì, se non serbava alcun ricordo di:
- Totoro! - Esclamò Satsuki avvicinandosi a lui per potergli accarezzare il muso: - Quanto tempo è passato... -

Mei aprì la bocca, ma non riuscì ad emettere alcun suono. La ragazza si girò, accorgendosi dell'insolito silenzio della sorella:
- Beh? Che cos'è quell'aria sorpresa? - Sorrise divertita, vedendo il volto sbigottito di Mei. Il primo sorriso sincero dopo moltissimo tempo.
- Come hai... tu... Allora non ti sei dimenticata di Totoro! - Satsuki si voltò verso il grande troll, che nel frattempo si era messo alla ricerca di altri fiori per creare un mazzo per la nuova arrivata.
- E perché avrei dovuto farlo? -
- Non lo so, ma ogni volta che volevo andare a cercarlo o parlare di lui tu facevi finta di niente! -

Sul volto della ragazza si dipinse un espressione amara, << come quelle che assume quando guarda il cielo >> pensò la piccola Mei. La ragazza non rispose.

Totoro, i cui passi rimbombavano nella radura, attirò l'attenzione di Satsuki e le porse i fiori, lei lo ringraziò. Fissò intensamente il mazzo, rigirandoselo tra le mani. La bambina si sentiva sempre più irritata da quella continua mancanza di risposte e di attenzione.
- Insomma mi vuoi dire perché non volevi parlare di Totoro? - Lei sospirò, tenendo sempre lo sguardo basso.
- Non potresti capire, sei ancora una bambina – Mei sbatté i piedi per terra e strinse i pugni, quella era la frase peggiore che sua sorella potesse pronunciare.
- Io non sono una bambina, perché non vuoi mai parlare con me?! UFFA! Ti comporti come un'adulta, ma non lo sei neanche tu! - Le lacrime si riaffacciarono nuovamente dai occhi.

Una grossa zampa pelosa le mise davanti uno strano oggetto, così vicino che Mei, dapprima storse gli occhi, poi dovette fare un passo indietro per identificarlo meglio. Era uno strano arnese in terracotta, con un buco sul fondo e uno più piccolo dal lato opposto. Dopo qualche istante lo riconobbe, era lo stesso strumento che anni fa, avevano suonato lei Satsuki e Totoro sulla cima dell'albero di canfora. Guardò la figura del troll che imponeva su di lei. Lui aprì la bocca in quello che probabilmente era un sorriso di incoraggiamento a prendere l'oggetto. Mei lo prese, e cominciò a soffiarci dentro, prima piano, poi con più vigore, dando libero sfogo a tutto il suo risentimento. Alla fine, cadde a terra, esausta.

In quel frangente Satsuki aveva osservato con tenerezza la sorella, tentando di reprimere quel peso che, da troppo tempo, le opprimeva il cuore.

Mentre la bambina suonava, Totoro osservava la ragazza, apparentemente inespressivo, per quanto espressivo possa essere un troll dei boschi. Ma lei comprese il silenzio della creatura, come se gli stesse dando voce. Sospirò e aspetto che sua sorella smettesse di suonare.

Andò a sedersi accanto a lei, che fissava ancora ansante il groviglio composto di rami sopra di loro.
- Sai... - Prese a parlare: - Quando la mamma è tornata a casa, sono stata felicissima, non vedevo l'ora di raccontarle di Totoro e di fare tante gite nei boschi con lei... - Si fermò e abbassò lo sguardo.
- Purtroppo però, lei non è mai guarita completamente e non poteva affaticarsi troppo. Papà lavorava sempre fino a tardi, e tu... eri ancora piccola. -
- Vedevo papà sempre stanco e mamma malata, e non potevo fare a meno di preoccuparmi per te, che avevi bisogno di... un adulto, più di quanto ne avessi bisogno io. Così, ho cercato di fare sempre tutto da sola: le faccende di casa, il lavoro part-time, la scuola... Non avevo mai un attimo di tranquillità, e ogni giorno, più le condizioni della mamma peggioravano, più mi sentivo sola. - Guardò la sorella, che nel frattempo di era messa seduta e si abbracciava le ginocchia.
- Mi dispiace se ti ho trattato male, non volevo ferirti.

In quel momento si accorse che Mei aveva cominciato a piangere, di nuovo:
- E adesso che c'è? - Chiese pacata. La bambina tirò su col naso.
- Mi... mi... mi dispiace – Disse con voce stridula. Ricominciò a singhiozzare, gettando la testa nel grembo della sorella, che non poté far a meno di sorridere impietosita e intenerita da quelle lacrime. Le accarezzò la testa per un po', aspettando che si calmasse. Per un tempo interminabile, gli unici suoni che sovrastavano il silenzio della radura erano il fruscio delle foglie e il profondo respiro del troll.

D'un tratto un forte boato riempì la tana. Totoro era dietro di loro e le strinse forte a sé. Si alzò in volo, senza preavviso su quello strano oggetto che a Mei aveva sempre ricordato una trottola. Si aggrapparono entrambe al suo petto bianco.

La più piccola venne pervasa da una crescente eccitazione, mentre l'altra si sentiva più che altra intimorita, per paura di poter cadere.

I rami, le foglie, gli alberi stessi, tutto sembrò spostarsi al loro passaggio, eppure, nessun passante avrebbe visto qualcosa muoversi. Il vento fresco spettinò i lunghi capelli di Satsuki, le cui dita stavano quasi per atrofizzarsi per la forza con cui stringevano il pelo del troll. Un attimo dopo, ebbero l'intero mondo sotto i loro piedi. Le verdi campagne si estendevano a perdita d'occhio, intervallati da ruscelletti che risplendevano sotto la luce del sole.

Lentamente il terrore della ragazza si dileguò, perdendosi nell'ebbrezza dell'euforia e nei ricordi di tanto tempo fa, quando una volta nel cuore della notte, venero svegliate dal loro amico che le aiutò a far sbocciare i germogli, di quello che per ora, era un piccolo albero di canfora nel loro giardino:
- Mei, siamo diventate vento – Urlò per surclassare l'ululato delle correnti d'aria.

Un altro boato, questa volta le due sorelle ne erano sicure, di piacere squarciò l'aria, ma solo loro due lo avrebbero sentito.

Satsuki sentì la libertà che un tempo aveva invaso il suo corpo pervaderla. Le angosce degli ultimi mesi sembravano lontane mille miglia, ma Satsuki sapeva che avrebbe dovuto affrontarle di nuovo, una volta rimesso piede a terra, ma non permise a quel pensiero di smorzare la sua felicità. Era strano come fossero bastati un mazzo di fiori, uno strano strumento e una grande montagna di pelo per placare tormenti così grandi e profondi. A volte, bastano piccole cose, piccoli gesti e accorgimenti per cominciare a guarire una ferita profonda; forse, pensò la ragazza, questo sua sorella lo aveva capito prima di lei, o forse, lei lo aveva solo dimenticato. Perché anche lei aveva avuto nove anni, e si ricordava di aver vissuto la vita con spensieratezza anche nei momenti più difficili, con la leggerezza e la serietà di cui solo un bambino è capace. La causa più grande delle sue paure era stata proprio questa: aveva dimenticato, o meglio aveva messo da parte quel suo lato infantile per paura di non riuscire ad affrontare tutti gli ostacoli, che il suo essere bambina le potesse essere di peso in un mondo che esige maturità, responsabilità e risolutezza. Ma il nostro modo di essere, tutti i nostri ricordi fanno parte di noi e ci apparterranno per sempre. Satsuki non avrebbe più dimenticato.

Adesso sorvolavano le campagne rasoterra. Si avvicinarono persino alla loro casa. La ragazza vide le aiuole di sua madre:
- Mei guarda, le bocche di leone stanno sbocciando! -

<< Ecco come si chiamavano >> pensò la bambina. Osservò di sfuggita quello spettacolo, estasiata al solo pensiero di quei fiori che sua madre avrebbe tanto voluto veder sbocciare. Ma li avrebbe curati con più attenzione al suo ritorno, per ora si sarebbe goduta, insieme a sua sorella, quel bellissimo volo con il loro vicino Totoro.

Satsuki sorrise e chiuse gli occhi per un'istante. I fiori stavano lentamente dispiegando i loro petali alla luce di quella primavera.

 

* Satsuki in giapponese significa maggio.






Purtroppo sono arrivata quarta =P colpa della mia immancabile ed incorreggibile sbadataggine!! Avendo avuto poco tempo a disposizione per scrivere, ho finito la storia in tempo ma non ho ricontrollato la grammatica e i vari errori di battitura così anche se i punteggi negli altri campi erano discreti, la grammatica non mi è andata molto bene xD Questa cosa però non mi sorprende affatto, sono solita fare errori di questo tipo u.u
Al prossimo errore ortografico allora ahahahah
Changing

  
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