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Autore: _Abbey    07/01/2012    10 recensioni
L'acqua gelida del Tamigi sembra l'unica scelta per sfuggire alla vita.
Sarebbe bastato un secondo in più, e questa storia non ci sarebbe mai stata.
Tutti soffrono. Tutti alla fine muoiono. Ma non tutti vivono.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Please, don't Jump
Il silenzio delle cinque di mattina sul London Bridge era alquanto sconfortante in quel freddo mercoledì di dicembre. Due occhi blu scrutavano con un alone cupo il paesaggio che si prostrava avanti a loro. Il vento era così violento che scompigliava i capelli ramati, lasciandoli muovere in una piccola danza. Quei due pozzi blu come l’oceano si chiusero e la testa si sporse all’indietro. Le braccia saldamente inc astrate nella ringhiera. I piedi piantati per terra. Le labbra di poco socchiuse leggermente tremolanti. Un nodo si formò all’altezza della gola. I battiti del cuore acceleravano e il respiro si faceva sempre più corto.
Due occhi del colore del cioccolato attraversavano la stanza, ripassavano i bordi della grande finestra dell’ennesima stanza dell’ennesimo hotel in cui alloggiava. Si portò una mano sotto il capo, girandosi su di un fianco. Gli si formò un sorriso sulle labbra quando vide sull’altro letto dei capelli biondi arruffati e  una bocca aperta. Dopo qualche minuto passato a tentare di riaddormentarsi si tolse le coperte di dosso, facendo attenzione a non far rumore. Indossata una felpa e dei pantaloni della tuta, si recò fuori dall’hotel. Un brivido gli percorse tutta la schiena. Vide i rami degli alberi muoversi in una danza dettata dalle raffiche di vento. Si portò la zip della felpa grigia fino a coprirgli gli zigomi, e con le mani nelle tasche cominciò a camminare. Si accorse di avere qualcosa nella tasca dei pantaloni. Tastandolo si rese conto che era un pacchetto di sigarette. Si sedette sulla panchina, girandosi e rigirandosi quel piccolo pacco tra le mani. Ripensò ai diversi discorsi dei suoi amici, di sua madre, dei discografici riguardo al suo vizio. Tutti pensavano dovesse smettere. Tutti volevano che lo facesse. Per la sua voce, per non rovinarsi la vita. Chiuse gli occhi, con le dita aprì il pacchetto bianco. Quando li riaprì gli venne naturale contare quante ne rimanessero. Altre cinque. Un buon numero, effettivamente, visto che la data dell’acquisto risaliva a un mese prima. Si portò una sigaretta alle labbra, non prima però di aver tolto un pezzetto di carta che l’avvolgeva. Su di esso, con una calligrafia leggera e riccioluta c’era scritto il nome di Harry seguito da un omino stilizzato con i capelli ricci. I suoi amici avevano pensato di avvolgere ogni sigaretta in un foglietto, scrivendoci sopra il nome di uno di loro. Pensavano che in questo modo i sensi di colpa lo avrebbero colpito: inizialmente era così, poi i diversi disegni o frasi che aveva trovato lo divertivano. Lo ripiegò accuratamente e lo ripose con gli altri quindici che giacevano tra le ormai quattro sigarette. Dopo aver rilasciato una nube di fumo sui suoi capelli lanciò lo sguardo verso il London Bridge. Una sagoma nera lo attirò. Forse era una statua, ma non ricordava ce ne fosse una. Incuriosito si avvicinò, aspirando di tanto in tanto la sigaretta che si faceva sempre più vicina alla fine. A qualche metro da quello che gli era sembrata una statua si bloccò, pietrificato. Cercò con gli occhi qualcosa o qualcuno. Poi il suo sguardo si fermò nuovamente sulla figura. Le esili braccia, coperte solo da una camicia, si tenevano strette alla pietra. Riusciva a scorgere il bianco perlaceo del suo viso e le labbra tremolanti. Non sapeva cosa fare, Zayn. Gli sembrava di non potersi muovere. Tutto quello che avrebbe fatto, molto probabilmente, l’avrebbe spaventata a tal punto da perdere l’equilibrio. E questo non poteva di certo succedere. Per questo, a un metro e qualche manciata di centimetri da lei, il ragazzo era dall’altra parte della ringhiera. Con un respiro profondo si sforzò di non guardare giù. A piccoli passi, si avvicinava alla piccola figura tremolante. Dopo un po’ riusciva persino a sentire l’affannoso respiro. Il moro deglutì rumorosamente, e due occhi blu si posarono sul suo profilo, fino ad incontrare quelli marroni che le riportarono in mente un’immagine di una scaglia di cioccolato al latte.
I-io non.. non voglio s-spaventarti” cominciò a voce bassa lui, mantenendosi saldo alla ringhiera. Non ricevendo alcuna risposta continuò, con un tono costantemente pacato, anche se un po’ della sua agitazione si riusciva a scorgere.
Cosa stai facendo qui?” nell’istante in cui aveva terminato la domanda si pentì di averla fatta. Era lì per buttarsi, no? Si diede dello stupido mentalmente. Nessun suono uscì dalle labbra di lei, pensò fosse svenuta, ma era lì in piedi, perfettamente sveglia. Spinse la propria mano verso la sua. La afferrò saldamente e con un agile movimento -per il quale ringraziò il proprio personal trainer che lo obbligava in palestra a saltare la cavallina- era dalla parte ‘giusta’ del ponte. Si stupì quando la ragazza non oppose resistenza una volta presa per portarla dall’altro lato. Si limitò a guardarlo fisso negli occhi con uno sguardo vuoto. Le braccia le cadevano pesanti verso terra. Le dita si muovevano scosse, forse, dalla paura.
Sedevano, su una panchina, uno vicino all’altra in religioso silenzio. Il sole si scorgeva a malapena, il vento non minacciava di smettere di scuotere i rami degli alberi e i battiti dei loro cuori sembravano ritornare normali.
Perché l’hai fatto?” Zayn non sembrava capacitarsi di aver sentito la sua voce. Era calda e agghiacciante allo stesso tempo. Gli occhi ancora freddi, il viso ancora pallido. “Io non volevo essere salvata” disse lentamente, con un tono neutro. Si portò le ginocchia al mento, e guardava ancora il punto da dove prima stava per buttarsi. Se solo non avesse aspettato così tanto. Se solo quei pensieri non le fossero balenati in testa. Se solo avesse deciso di staccarsi prima, adesso sarebbe nelle acque gelide del Tamigi. Invece no. Era con quello sconosciuto, sbucato da chissà dove. Uno sconosciuto che l’aveva salvata, rischiando la sua stessa vita.
Tu, piuttosto perché volevi farlo?” chiese lui di rimando, sperando di non sembrare troppo insistente.
Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda” affermò.
Il moro annuì impercettibilmente, guardandosi le scarpe. In quel momento si chiese come avesse fatto la ragazza a non riconoscerlo. Eppure erano famosi da un bel po’, forse peccava di modestia in quel momento, ma i One Direction erano fottutamente popolari tra le ragazze.
Chi sei tu? Perché l’hai fatto?” gli chiese per la seconda volta.
Forse non era il momento di chiederle perché non conoscesse il suo gruppo, forse era meglio fingersi un ragazzo normale. “Il mio nome è Zayn” cominciò. “Zayn Malik” girò la testa a cercare un minimo segno di interesse, ma la ragazza si limitava a tenere gli occhi chiusi mentre lui parlava. “E ti ho impedito di buttarti perché penso che quello che stavi facendo era una sciocchezza” gli occhi le si spalancarono. Il ragazzo aveva usato un tono decisamente non cauto.
Tu non puoi capire” sibilarono le sue labbra.
Davvero?” la provocò, girandosi completamente verso di lei. “Pensi che io non abbia mai avuto l’impulso di uccidermi?” le mani che adesso tremavano erano quelle del ragazzo. “Pensi che non abbia mai sofferto così tanto da volerla fare finita?” le parole gli uscivano taglienti senza che se ne accorgesse. Era la prima volta che parlava di questa storia, ma non riusciva a smettere di farlo. Quando si ritrovò a fissare quegli occhi blu, sentì l’impulso di continuare. “Mio fratello” cominciò “è morto quando io avevo dodici anni. Mia madre era entrata in depressione. Mio padre era andato via di casa qualche mese prima. E mia madre si è tolta la vita un anno esatto dopo la scomparsa di mio fratello. Sono rimasto completamente solo.. a tredici anni. Sono stato cresciuto da mia zia che non faceva altro che lodare il suo di figlio, e considerare me un vero e proprio estraneo” si fermò un attimo per cercare di reprimere l’istinto di piangere. “Quindi se pensi di essere la sola che vuole uccidersi, beh, non lo sei. Ma la vita può cambiare.
Rimasero in silenzio per un po’. Nessuno dei due voleva parlare dopo quella confessione così dura.
Io.. io devo andare” gli disse alzandosi in piedi.
 
No!” replicò il moro, forse con troppo entusiasmo.
Perché non dovrei andarmene?” si girò a guardarlo.
Dimmi che starai bene” anche lui si alzò, e le prese un polso tra le mani. “Dimmi che non lo farai più” le si avvicinò parlando a bassa voce. “Ti do il mio numero, così possiamo parlare...” lasciò la frase in sospeso, aleggiare nell’aria. Un piccolo sorriso si fece spazio tra le labbra della ragazza. Il vento le scompigliò i capelli.
Non.. non ho un cellulare.” ammise lei, ancora stretta nella morsa del ragazzo il cui viso assunse un’aria triste. “Oh” disse semplicemente lasciandole libero il braccio. “Almeno dimmi come ti chiami..
Valerie..” sussurrò. “Allora.. ciao Zayn”.
Il ragazzo guardò per l’ultima volta quegli occhi blu. La salutò con un sorriso e la vide andare via.
Ormai era troppo tardi per rincorrerla, troppo tardi per salutarla come si deve. Di lei conosceva solo il nome, nessuna storia, nessun indirizzo.
 
Tornò in hotel molte ore dopo il suo incontro con Valerie. Una volta trovatosi nella suite che condivideva con i ragazzi si abbandonò sul divano, evitando le domande preoccupate degli altri quattro. Accese l’enorme TV, il telegiornale parlava come al solito di politica, ma dopo un nome attirò l’attenzione di Zayn:
 
«Notizia dell’ultima ora: Valerie Johnson, diciassette anni, uccisa da suo padre Carl Johnson, tornato a casa ubriaco dopo una giornata passata in un bar. Da anni abusava sessualmente della ragazza»
 
La foto che accompagnava il servizio, il nome, la notizia. Un colpo dritto al cuore del ragazzo, che se ne stava ancora incredulo, seduto sul divano di pelle bianca. Si alzò buttando il telecomando per terra. Si chiuse in terrazzo e con una sigaretta tra le labbra, una mano tremolante tra i capelli neri, lasciò che le lacrime gli rigassero il volto. 


 
Io. Io non so se voi leggete mai mie storie. Io so che ci siete e che siete fottutamente fighe. Sapete anche una recensione ad una storia che non è proprio il massimo fa piacere. Anzi, sono le più apprezzate, visto che potete spronare a fare di meglio. Io non sono una scrittrice. Non ho mai belle idee. Non so emozionare il lettore. Ma potete aiutarmi voi. 
Dio, sembra stia chiedendo un euro per la fondazione contro il cancro! D:
Vabbè. Dai recensiiite!
   
 
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