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Autore: Freccia_9    08/01/2012    7 recensioni
Questa storia (la mia prima :3) parla di un ragazzo, Franklin, per tutti (pochi, in realtà) Frank. Frank non si ritrova nella sua vita, non si ritrova nella sua generazione, non si ritrova nella sua cultura. Non si ritrova in sè stesso. Ma chissà che non si ritrovi in qualcosa, o in qualcuno.
Grazie dell'attenzione, e buona lettura **
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se qualcuno vedesse da fuori la scena che sto per descrivervi, non ci noterebbe nulla di particolare. Semplicemente il tetto del più alto grattacielo di Chicago. Bianco, scolorito, la vernice disastrata qua e là, l'enorme antenna, l'altrettanto enorme comignolo. Niente di particolare.
Solo dopo alcune occhiate si farebbe caso a quella macchia nera sul cornicione, quasi insulsa, fastidiosa, come una mosca su un quadro perfetto. Eppure, quella macchia ha una vita propria, addirittura un nome. Franklin. Per tutti (pochi, veramente) Frank.
Eccolo lì, ora si riesce quasi ad inquadrarlo. Fisico quasi rachitico, cappotto nero, jeans scuri, scarpe alte in pelle. La faccia di chi non dorme decentemente da un secolo, i capelli giusti, ma spettinati come al solito. Esteticamente non è esattamente lo sconosciuto da cui ti faresti dare un passaggio, diciamo così. Ma non era quello il suo problema, ci si era abituato, alle occhiataccie di tutti, quasi gli piacevano. Infatti, Frank era un sedicenne atipico. Nato in una famiglia onesta, alla periferia di Chicago, fin da bambino aveva capito di essere diverso. Diverso da tutti quelli della sua generazione, diverso da una società omofoba e razzista come quella di oggi. Diverso da un mondo che ha perso tutti i valori. Per questo aveva sviluppato un carattere taciturno, silenzioso, molto introverso.
Ma torniamo alla nostra macchia sul tetto. Frank prese un bel respiro, e assorbì ancora un tiro della sua sigaretta, osservando le sue gambe penzolare nel vuoto. Si sentiva bene, solo con se stesso, con i suoi pensieri. Si lasciava trasportare dalla sua mente, come una busta di plastica viene trasportata dalle onde del Lago Michigan.
Mentre era ancora immerso nei suoi alquanto strani pensieri, contemplando grattacieli, cantieri di grattacieli e cartelloni pubblicitari, sentì sbattere la porta di accesso al tetto, dietro di sè. Aveva paura di sapere già chi avrebbe trovato se si fosse girato. E infatti si dimostrò quasi veggente, vedendo Nick sedersi accanto a lui. Nick era il suo migliore amico, e uno dei pochissimi al mondo con cui proprio non riusciva a non andare d'accordo. Erano complementari, come veri amici.
«Ciao, Frank.» Mormorò l'amico. Aveva sempre quel tono tenerissimo da cane sotto la pioggia.
«Altrettanto.» Oramai era automatica la risposta “scazzata”, e Nick lo sapeva, come suo solito, quindi, scoppiò a ridere.
«Simpatico al solito, eh?» I due si guardarono e sorrisero.
«Piuttosto, che ci fai qui, seduto sul ciglio del grattacielo più alto di questa fottuta città, a 350 metri da terra? Ho sempre detto che ti mancano delle rotelle, ma per farla finita bastava un palazzo più basso, da 100 metri, tipo, non sopravvivi mica!» Altra risata sincronizzata.
«Vivo, semplice.»
«Ah! E non potevi vivere un po' più in basso? Così non mi toccava sfidare le mie vertigini per dirti due parole.»
«Scusa, ma io mi sento vivo solo qui, a fumarmi una sigaretta più in alto di ogni altra merda di persona in questa città. Mi fa sentire libero.»
L'occhiata di Nick fu di quelle che gli rivolgeva di solito, di quelle che si riservano a chi non ci sta troppo col cervello.
«Comunque, quante volte devo ripetertelo che quella roba ti uccide i polmoni?» Ora aveva l'aria da papà premuroso.
«Lo so, ma il mio cervello ha bisogno di questo, altrimenti davvero a volte non saprei come tirare avanti. A pensarci bene, tutto me ne ha bisogno. Dalla testa ai piedi. I miei polmoni dureranno abbastanza.»
«Lo spero! Mi mancheresti, altrimenti.»
Era tenero, e in genere gli amici maschi non lo sono. Troppo, tenero. Frank lo trovava diabetico, per tutta quella dolcezza. Ma sotto sotto gli faceva piacere.
Passò una buona mezz'ora tra chiacchiere e risate, e la cosa tirò entrambi (più Nick che Frank, per la verità) su di morale.
Fino a quando, dopo aver chiuso con una battuta un discorso su come sarebbero stati i Muse senza Matthew Bellamy, Nick si alzò, e si girò verso la porta che riportava al palazzo.
«Io vado, aperitivo con Jessica!» fece, accompagnando la frase con un occhiolino da vero playboy. L'amico non disse nulla, si arrese al fatto che come al solito lui era il migliore con le ragazze.
«Senti, stasera ti va di venire da me? Ho noleggiato Into The Wild, e prenotato la tua pizza preferita! Poi i miei sono fuori.»
«No, amico, non ne ho voglia. Anche i miei sono fuori, quindi mi cucinerò qualcosa da me, ma come se avessi accettato.» rispose senza neanche girarsi, continuando a contemplare le sue scarpe appese nel vuoto.
«Merda, lasci da soli gli amici. Bella riconoscenza, grazie!» ancora il tono da cane bastonato.
«E va bene, alle nove sono da te.»
«Così ti voglio!»
Frank concesse all'amico un sorriso non troppo vero, e Nick scomparve saltellando nell'oscura porta. Lui era l'unico che rendeva Frank un po' più allegro.
Tuttavia, ora che era solo, il ragazzo si pentì amaramente di aver accettato. Avrebbe preferito di gran lunga stare a casa a distruggersi, come le altre sere. Lo avrebbe fatto stare bene.
Comunque, si impose di non pensarci, e realizzò solo in quel momento che si era fatto buio. Chicago era illuminata da una miriade di luci e neon. Un vestito lucido ed attraente per nascondere molta merda. Tirò fuori dal fodero la sua chitarra acustica. Ora era il momento di lasciarsi un po' andare. Come al solito aveva voglia di stare solo con se stesso, era malinconico, ma quelle sei corde vibranti tornarono a far viaggare la sua mente, fuori dalla realtà, a sognare.
Seduto penzoloni sul tetto di un grattacielo, di notte, con le luci a fargli compagnia, e soprattutto con la sua Kay. Così Frank trascorse l'ora più bella degli ultimi tempi, con la convinzione che ci sarebbe voluto molto tempo prima di risentirsi ancora così. Vivo.



Ciao a tutti! Io sono un ragazzo di 14 anni, e questa è la primissima cosa che scrivo, quindi vi prego di non essere troppo cattivi c.c
Comunque, grazie con tutto il cuore se mi state leggendo, mi farebbe immensamente piacere sapere che quello che scrivo interessa a qualche anima ** Ciao, a presto!
  
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