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Autore: Charles Allen    08/01/2012    0 recensioni
"Io ho due vite, due età, quella dove semplicemente respiro e quella in cui vivo"
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sono pazzo, ciò che scrivo non è frutto della mia immaginazione, per quanto fervida essa sia, ma è l'esatta trascrizione degli eventi che il sottoscritto ha vissuto in prima e, perché no, anche in terza persona.
Sono completamente pazzo, non fraintendetemi, non ne potrei essere più felice, ma se non specificassi questa mia determinata condizione mentale i lettori potrebbero pensare che questi eventi siano realmente accaduti. Ma, anche a costo di deviare le loro fragili e insicure menti, devo avvertire che gli eventi qui trascritti sono completamente frutto della mia fervida immaginazione.
Il racconto non inizia ora:
mi trovavo all'interno di un ospedale psichiatrico, settore C, ala est, numero paziente 30021189,
o forse era 30021188.. perdonate la mia incoerenza, ma meditando più attentamente mi sono reso conto che non ci davano affatto codici di identificazione.
Era piuttosto estenuante, vivere li dentro, ci stavi stretto, ansimavi, tiravi calci alle porte, graffiavi le pareti, lanciavi noccioline alle scimmie nella cella di fronte sperando che si svegliassero dal loro letargo. Vanamente .
Era un paradiso, lì dentro, ci stavi da Dio, a volte arrivavo addirittura a confondermi con esso, poi mi guardavo le unghie e capivo che non potevo essere lui, Dio non aveva le unghie sporche, non poteva, insomma lui è il sommo, il padrone della volta celeste, che figura ci fa se un giorno allah bussa alla sua porta e gli vede quelle unghie!? Per carità, non scherziamo neanche.
Non eravamo tanto forzati, detto sinceramente, la mattina potevi svegliarti all'orario che più ti conveniva, basta che facevi in tempo per la visita delle 9, dopodiché susseguiva il colloquio con lo strizzacervelli. Alla fine di quest'ultimo, che abitualmente durava un'ora, un'oretta e mezza, c'era il colloquio con il consulente, che annotava ogni singolo progresso-regresso che compievamo ogni giorno.
Al termine della consulenza, vi erano le 2 ore di libertà vigilata, il massimo che puoi ottenere se un vecchietto con una parrucca bianca ed una veste nera lunga fin sotto ai piedi sancisce , agitando e facendo baccano con un martelletto, che l'unico schizzato presente in quella sala sei tu.
In quelle ore l'attività sociale saliva alle stelle, la mensa principale era la mini-rappresentazione di una vera e propria società, con bande e tutto.
Entrati dall'ingresso principale, sulla destra c'erano i Van Gogh, cioè colore che si erano privati del loro orecchio preferito per svariati motivi.
Sulla sinistra , sempre dall'ingresso, erano situati gli arci-nemici dei Van Gogh, ovvero la tribù dei senza lingua, che per arcani motivi erano infuriati con i Van, si narra che in principio i capi delle bande rivali si incontrarono per raggiungere un accordo, ma non potendo sentire da un orecchio l'uno e non riuscendo a comunicare l'altro, in un modo completamente inspiegabile ed evidentemente logico, venne fuori la notizia che il capo Van aveva dato della mucca reggi-moccio alla sorella del capo senza lingua, che , sentendosi offeso replicò con un arguto “faccia da serpente” portando le gang ad una situazione di faida sovente.
Proseguendo verso destra, al tavolo degli psicopatici, c'erano coloro che, come il nome presagisce, sono affetti da disturbi asfissianti.
Verso sinistra , sempre proseguendo, c'era il tavolo temuto da tutti, quello degli assassini cronici, si narra che all'inizio erano il clan più numeroso, per poi diventare sempre di meno, fino ad arrivare a 20. in compenso con la diminuzione degli assassini è aumentata vorticosamente la presenza dei tortini di carne in mensa.
Io facevo parte del clan degli schizofrenici-paranoici, ma in seguito ad una lite con lo scoiattolo del boss, che sedeva sempre vicino a me, ho dovuto abbandonare il gruppo. Avrei dato la vita piuttosto di dare la mia ghianda a quella creatura malefica. Così feci gruppo da solo.
Eravamo solo due a non far parte di alcun clan, in quell'ospedale, io, che ahimè mi rendo conto solo ora di non essermi presentato, e il conte Brass. Persona alquanto se non del tutto singolare.
Il conte era solito, nelle ore di libertà, portare con sé una piccola radiolina, del tutto modesta, ma delle cui capacità sonore erano apprezzate in tutto il vicinato.
Egli, quindi, con questa radiolina era solito salire sopra il tavolo centrale della mensa, detto palcoscenico, appunto, e deliziare l'intero collettivo con i suoi famosissimi balletti, e la sua egregia e scoppiettante musica, rallegrando l'aria del posto per 15 minuti.
Questo, non era il tempo dell'esibizione, ma bensì il tempo necessario prima che le guardie si accorgessero del misfatto che stava accadendo, e senza troppa delicatezza prelevassero il soggetto per “schiaffarlo” letteralmente all'intero della camera della solitudine.
Accadeva sempre questo, quindici minuti di bolgia pura, seguiti da una mezz'oretta di acchiapparello, per finire in un mare di lacrime, di gioia.
E questo accadde la prima settimana, poi la seconda, la terza, la quarta, e così via. Fino a scaturire in me la più totale curiosità, perché mai quell'uomo faceva ciò?? perché si privava delle sue ore di libertà per divertire un pubblico di decerebrati schizzati?? la curiosità si fece così assidua in me che dovetti chiedere al direttore di avere un colloquio con il conte. Lo ottenni.
Ho trascurato di dire che nel soggiorno passato nell'ospedale, fino al giorno del colloquio, non conferii parola con nessuno, né direttore, né amici né schizofrenici-paranoici. Scrivevo piuttosto, ma parlare mai.
Sta di fatto che entrai nella sala, sorprendentemente adornata, strano che il capo gliela facesse tenere così.
Entrai. Mi sedetti. Mi guardò. Rise. Mi riconobbe. Mi offrì del thè. Rifiutai senza conferir parola.
Mi disse :” cosa vuoi??”. E li accadde. Dopo due lunghi mesi che non aprii bocca, che non parlai, che le mie labbra non si mossero.. parlai. E gli chiesi:” perché fai tutto ciò? Perché ti privi delle tue ore di libertà per quindici minuti di fama??”
dopo due mesi di silenzio rigoroso fu questa la domanda che mi venne da chiedergli. E sapete cosa rispose??.- “ diavolo ragazzo vuoi una mentina??”.per poi proseguire, a mentina accettata.
 
“ dunque vuoi sapere perché faccio ciò? Perché, come tu hai esplicato, io getto via la mia libertà per quindici minuti di follia??”. Annuii. Rise. Istericamente. Fece un sorso di thé. Lo sputò per terra.
Si pulì la bocca con le mani.
“ vedi caro giovane, giovane caro” fece una pausa, “ nessuno decide dove nascere, da chi nascere, perché nascere, non si ha una scelta, la propria vita è condizionata dal primo istante in cui si nasce, non abbiamo tutti le stesse opportunità, il figlio del presidente avrà di certo aspettative più alte rispetto al figlio di uno spacciatore del ghetto.” si accese un sigaro. Me lo offrii. Lo accettai. Lo accesi. Continuò. “quello che voglio dire, mio caro sconosciuto giovane caro, è che non è vero che ad ogni cittadino vi sono pari opportunità, si è condizionati prima ancora di nascere.
Detto questo, mio bipede amico, giovane caro, ecco che vi svelerò il motivo per cui io faccio tutto ciò. La vita è un dono , dal primo respiro all'ultimo, le possibilità che ci vengono offrite, la varietà della vita e della terra che calpestiamo, vanno ben oltre le esperienze di vita che le persone fanno normalmente, la vita comprende uno sforzo maggiore del semplice respirare, è questo che la gente non comprende, che non vuole comprendere, si lasciano sopraffare dalla paura di sbagliare ed inevitabilmente non tentano, non agiscono. Io non sono così, mio caro sconosciuto, io non mi lascio intimidire dai dettagli, vado dritto al sodo, sono obiettivo, come credi che abbia fatto a scalare l'everest? E a tuffarmi dalle cascate thuailii?? o percorso a piedi nudi il più estenuante tratto di terra del pianeta, mettendo alla prova ogni qualsivoglia legge della natura?
Ho fatto queste e molte altre cose. Ma se mi fossi lasciato intimidire dai dettagli, dalle difficoltà che ogni cosa nella vita ci presenta, se mi fossi spaventato della cinghia difettosa a metà scalata, del salvagente bucato sulle cascate, di aver prosciugato l'acqua già a metà marcia, bhè allora sarei rimasto con due piedi gonfi e un bagaglio pieno di sconfitte, ed invece no! Ho continuato per la mia strada, stringendo i denti e andando avanti, collezionando vittorie su vittorie..”
replicai io “ un momento! Lei ha fatto davvero tutte queste cose??”
- “ certo che no, mio caro sconosciuto giovane caro, ma avrei potuto! se solo non fossi nato così.. pazzo! Il punto è che io uso quei 15 minuti per vivere, ogni qualvolta io ne ho l'occasione decido di vivere ogni momento, senza esitazioni. Io ho due vite, ho due età..-diede uno sguardo ad un blocchetto poggiato sul tavolo- ho 48 anni, 10 mesi, 30 giorni e 2 ore di respiro, mentre ho 10 ore di vita, capisci la differenza? Sommo ogni istante passato nel più puro e candido momento agli altri già vissuti, e anche se sembrano pochi, dobbiamo tener conto che ci si sente davvero vivi pochi secondi al giorno, per i più fortunati, altri addirittura settimane, mesi, anni.
Conobbi un uomo che non visse mai, nemmeno un secondo di vita vissuta, stava sempre in silenzio steso lì nel suo letto di legno, non parlava, vestito elegante e con la bibbia in una mano, e la gente capiva che lui non viveva, che sprecava la sua esistenza, infatti lo circondavano e piangevano, diamine se piangevano, tutti vestiti di nero, chiamarono addirittura un prete che celebrò una messa per lui. Per farlo svegliare. Ma niente. Rimase li dentro. Capisci che vita triste??
dimmi caro, non è forse meglio morire con il cuore che pompa sangue fino a scoppiare e con l'adrenalina nelle vene, sapendo di non aver sprecato mai nemmeno un istante di vita, con un grosso sorriso sulle labbra e i 32 denti in mostra, oppure morire di vecchiaia quando ormai non si è neppure in grado di pulirsi il culo da soli??
io non ho intenzione di sprecare la mia vita caro sconosciuto caro, e non farlo neanche tu, io sfrutto quello che posso, purtroppo i miei rimarranno solo sogni, resterò in questo ospedale a vita, ma tu caro, tu puoi , tu uscirai un giorno, vivi anche per me, sogna anche per me, ama, scopa, corri, salta, bevi anche per me, ed io farò lo stesso per te, qui dentro ovvio, ma conta pur sempre il pensiero, no?- si fece incredibilmente serio- ricorda che la vita è un dono, ragazzo, e a caval donato non si guarda in bocca, il mattino ha l'oro in bocca, non ci sono più le mezze stagioni, chi la fa l'aspetti, di spada perisce chi di spada perisce...”
oramai non parlava più con me, parlava al vuoto, all'infinito. Rideva, tra un proverbio e l'altro.
Poi si rifece serio. Prese il vassoio de thé. Lo scaraventò sul muro. Andò in frantumi, mille pezzi.
Rise in modo fastidiosamente isterico. Continuava a dire proverbi ma urlando. Entrarono le guardie e lo fermarono. Lo scaraventarono sul pavimento. Ma lui urlava imperterrito. “ VIVA LA VITA! VIVA L'ORO DI BARBANERA! TU, TU GIOVANE! SALUTAMI JOE DASH QUANDO ESCI!
SALUTAMI JANE BARRY! E ATTENTO LA FUORI, LA VITA E' SEMPRE DIETRO L'ANGOLO!”. Lo imbavagliarono. Mi fecero uscire. Non riuscii mai a capire se quell'uomo fosse un genio o un pazzo. Ma non importava. Stava a me ,come ora sta a voi, decidere se dargli ragione oppure no, io la mia scelta l'ho fatta. E voi?
  
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