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Autore: Black Angel    25/08/2006    14 recensioni
Il rumore di una preghiera è lo stesso della pioggia che cade, lo stesso di un lenzuolo che si affloscia sul pavimento, lo stesso di un abbraccio disperato, lo stesso di due mani che si giungono davanti ad una tomba. Il rumore di una preghiera è il medesimo della preghiera stessa...
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Winry Rockbell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il rumore di una preghiera

 

Il rumore di una preghiera

 

 

Guarda: questo è il corpo di un peccatore… (1)

 

Piove da tre giorni. Tre lunghi ed interminabili giorni bagnati da gocce acide, frammenti della volta celeste troppo pesanti per rimanere nel cielo, troppo curiosi per accontentarsi di quell’infinita distesa di nuvole, troppo legati all’amore per qualcosa di quaggiù. Troppo impuri, forse, quei frammenti di cielo. Troppo impuri.

Il rumore che noi umani udiamo quando la pioggia scroscia fuori dalle nostre case è solo un canto: un canto di gioia per essere riusciti a baciare anche se solo per un secondo la terra, un canto di dolore per essere stati rinnegati. Lacrime del cielo rifiutate persino da coloro che le ha partorite.

La fronte calda, bollente, si appoggia al vetro freddo, gelido. Il fiato si condensa in macchie lattee sulla finestra ed i suoi occhi d’ambra sono immobili, fissi su quella pioggia che non fa altro che scendere, scendere, scendere senza mai fermarsi. Eterna eppure effimera. Forte, dirompente, devastante eppure…così fragile.

La mano si appoggia vicino al volto, riflettendosi su una cascata d’acqua spezzata in mille pezzi. Le dita si muovono teneramente tra quei figli esiliati, quasi accarezzandoli, quasi comprendendoli. Il suo viso si ripete mille volte su quel vetro. Ogni goccia ha il suo volto. Ogni goccia è lui.

- Ed - un sussurro che disegna il suo nome - Ed - un nome che porta peccato, che dona peccato - Ed - un nome da dimenticare, da sostituire con uno pseudonimo, con un sopranome di battaglia - Edward! -

Il ragazzo sussulta contro la finestra, girandosi di scatto. L’espressione sofferente del suo volto viene nascosta da un sorriso nervoso, il medesimo di chi sta nascondendo qualcosa che potrebbe essere stato svelato - Winry…cosa? -

In un dondolio di ciocche dorate, l’amica d’infanzia gli si avvicina con la coperta stretta tra le mani. Il suo viso è risoluto, il suo animo forte come sempre.

- Al è già abbastanza preoccupato così - dice severa, coprendo il corpo semivestito del ragazzo con un volo di calde stoffe - Evita di farti aumentare questa febbre. Fattela passare, piuttosto -.

Ed ha il viso rosso, imperlato di sudore bollente, il respiro è faticoso, impregnato dalla malattia, ciononostante ha il coraggio di dire - Winry finiscila di trattarmi come un bambino. Non ho la febbre -

Lei assume un’espressione sarcastica di chi vorrebbe commentare con un “Come no!”, ma riesce a trattenersi. Sa quanto può diventare infantile il primogenito dei fratelli Elric.

Proprio lui che ha sempre dovuto sopportare pesi più grandi della sua età, che ha sempre dovuto essere un adulto in quel mondo dove gli adulti lo vedevano solo come una creatura eccezionale o come un essere per cui provare pena, che ha dovuto diventare Alchimista di Stato per una promessa. Che ha dovuto lottare contro il Paradiso.

- Dai, mettiti a letto - Winry pronuncia quell’ordine con la gola chiusa, raschiata dai primi bagliori di un pianto malinconico. Ma lei non deve piangere.

Anche lei, in fondo, è dovuta crescere troppo in fretta, troppo velocemente.

Il ragazzo mormora ancora qualche flebile protesta, ma comunque si lascia cadere pesantemente sul letto. L’improvvisata infermiera finge di non sentirlo: paziente, raccoglie la pezza annegata in una bacinella d’acqua fredda e l’appoggia su quella fronte madida di sudore. La pelle dell’Alchimista è scossa da un brivido.

- Hai la febbre davvero alta - commenta, studiando preoccupata il suo volto.

Lui simula un ghigno irrisorio, da ragazzetto di strada, da bambino spensierato. Un pallido ricordo di ciò che era, un’illusione su ciò che vorrebbe essere.

- È solo un’influenza. Mi passerà presto -.

Con un movimento brusco, lei gli rimbocca le coperte fin sotto il mento - Se continui ad alzarti semivestito sarà davvero difficile che ti passi! - dice tentando di preservare un tono casuale, ma Edward riesce a notare senza alcuna difficoltà il rimprovero che la coetanea gli sta riservando. Il ghigno si trasforma in un sorriso, addolcito dalla spossatezza del malanno.

- Winry! - il nome della ragazza riecheggia in un grido di richiamo ed entrambi i giovani si voltano verso la porta, gli occhi che ritrovano immediatamente l’immagine d’associare a tale voce - Winry vieni ad aiutarmi con queste borse -

Gli occhi suoi, azzurri quanto un lago di montagna, si posano su quel volto arrossato, come a voler cercare un motivo per lasciarlo lì, in quelle condizioni.

- La zietta ha bisogno di te - quelle parole si condensano in grumi d’aria infuocata - Stai tranquilla, in queste condizioni non posso scappare da nessuna parte -.

Colei che ha ereditato l’intricata arte degli automail si lascia convincere da quell’espressione da bambino segregato contro il suo volere, da angelo stanco.

- Torno subito - la sua affermazione ha lo strano sapore della minaccia per Edward e mentre si chiude la porta lui non può fare a meno di ridere, in un colpo secco di tosse.

Il suo sguardo cade pesantemente sulle coperte che lo avvolgono, indugiano a lungo sulla piega ordinata del lenzuolo che Winry ha composto nel tentativo di dargli il più totale calore, osservano attentamente la bacinella in cui l’acqua riposa pacifica.

Un’ombra di disagio avvolge il suo petto, stringendosi sempre più attorno ai polmoni, serrandogli il respiro che si fa sempre più fioco. Nella sua testa rimbomba il suono sordo del suo cuore, un battito che accelera ancora ed ancora, fino a diventare un insopportabile martellare senza sosta.

Gli occhi si chiudono, si stringono. Il giovane Alchimista tenta di concentrarsi su altro, su scene piacevoli, su ricordi che riportano il sorriso…quei ricordi che lo vedono ancora bambino, che vedono il corpo ancora intatto di suo fratello, che vedono ancora il bel viso solare della sua mamma.

- Edward - quel suono caldo, quel nome che sembra sacro sulle sue labbra. Il tocco dolce, che profuma lievemente di camomilla…l’odore di casa, l’odore di lei.

Con uno scatto è seduto, ansimante. Brusco scosta le coperte dal suo corpo e, velato appena dai pantaloni azzurri del suo pigiama, si ranicchia in un angolo della stanza, stretto tra le gelide pareti e il freddo pavimento.

Il suo petto batte e ribatte contro le sue gambe raccolte. Fa male, si dice, fa troppo male.

Ha affrontato tante cose nei suoi quindici anni, Edward, ma questi ricordi sono la cosa che più gli danno dolore. I ricordi di un tempo felice, di un tempo che forse è stato solo un sogno.

Inizia a chiederselo, l’Alchimista di Metallo, inizia a chiedersi se tutte quelle immagini baciate da un sole di primavera non sono nient’altro che illusioni, sogni nati per caso e poi incollatisi alla sua mente in un disperato tentativo di possedere qualcosa di felice, anche se una cosa tanto astratta quanto il passato. Perché per lui la sua vita vera è iniziata in quella notte in cui ha perso ogni cosa, persino il ricordo virgineo di sua madre.

Un flash gli graffia gli occhi con l’immagine distorta della sua genitrice, quella grottesca creatura per cui suo fratello ha sacrificato il corpo e lui la gamba. Una chimera morta.

La testa crolla sulle ginocchia, gli occhi si stringono

- Mamma - mormora, la voce flebile della malattia, di un pianto imminente - Vorrei sentire la tua voce ancora una volta. Chiamami ancora una sola volta, giusto per dirmi che sei stata vera, che non sei stata solo un sogno -.

Dopo tanti anni Ed si ritrova a supplicare e quella supplica ha un sapore amaro in bocca. Ha il medesimo gusto acre del sangue.  

Un lampo illumina a giorno l’intera stanza. Un tuono infrange il canto della pioggia.

Il cielo torna buio. Ed è in quell’attimo, in quel preciso frangente in cui la luce celestiale del lampo cede alle tenebre, che il ragazzo vede l’unico ricordo concreto della sua infanzia. L’unica cosa che può dirgli quanto veri possano essere i suoi sogni…

Senza dire nulla s’infila il giaccone rosso e la notte lo accoglie con il suo gelo.

 

- Oh Al, un altro gatto! -

L’accoglienza di Winry non si può dire una delle più calorose. Eppure Al sente una sorta di calore quando entra nella vecchia casa. È un’illusione, lo sa, ma per un attimo vuole crogiolarsi in quella fantasticheria. Vuole sentirsi ancora vivo, dopo così tanti anni.

In modo puramente teorico lui è ancora in vita, o almeno la sua anima lo è. Ma Alphonse sa che non è una questione da così poco. Avere un’anima attaccata ad un’armatura di metallo non è una questione da così poco.

È passato così tanto tempo che inizia a dimenticare: il gusto di una torta, il freddo della neve, la morbidezza del pelo di un micino. Non è unicamente la gentilezza del suo cuore che lo spinge a raccogliere tutti i gatti abbandonati che riesce a vedere, ma è anche la vaga speranza che accarezzandoli possa ricordarsi di quelle sensazioni che ha perso…come il calore del corpo di suo fratello.

Lo ricorda vagamente quel tepore, quell’abbraccio soffice che riusciva a farlo addormentare anche nelle notti più tempestose, anche quando la mamma li aveva lasciati. Il profumo della sua pelle chiara, un misto tra erba e sole estivo. Il suo respiro addormentato contro la sua pelle, come la carezza di un fiore che dondola al vento.

Sta perdendo tutto questo, lo sta lasciando scivolare in quell’angolo di memoria che potrà afferrare solo nei sogni. L’unica cosa che gli è rimasta è guardarlo ed ascoltare il suo respiro mentre dorme, coprire la sua pancia puntualmente scoperta e seguirlo fino a quando non troveranno la Pietra Filosofale, fino a quando non potrà ridargli il suo braccio e la sua gamba. Fino a quando non potrà ritrovare il suo corpo, le sue sensazioni.

Il micino tra le sue mani miagola petulante, distogliendolo dai suoi pensieri.

- Non potresti dargli del latte, per favore? - la prega l’eco metallico.

Impettita la ragazza punta i pugni sui fianchi. Cerca di mantenere un tono severo, eppure sa già che non resisterà molto. Infatti è sufficiente che Al gli metta sotto il naso quel cucciolo bianco e che la supplichi ancora con la sua vocetta, intrappolata in un armatura vecchia almeno di cento anni. Così mentre Winry s’impegna per sfamare il nuovo coinquilino, il più giovane dei fratelli Elric non può che ringraziare con goffi inchini.

- Lascia stare. In ogni caso non l’avrei fatto morire di fame - dice, brusca. Poi si raddolcisce e sorride malinconica come se stesse raccogliendo un ricordo gettato alle sue spalle. Un ricordo caldo, che profuma di fiori primaverili e di pane appena sfornato.

- Anche quando eravamo bambini raccoglievi spesso animali abbandonati. Edward era solito rimproverarti per il tuo buon cuore - il suo bel volto s’incupisce - Mi sembrano così lontani quei giorni -

Se Al avesse ancora un volto espressivo di certo l’amica noterebbe la tristezza dipinta sui suoi tratti. Ma in quei lunghi anni la sua voce è divenuta una perfetta maschera del viso perduto, una musica di sottili tonalità simili ad acquarelli colorati.

Così è sufficiente un suo solo sospiro, che produce il nome della ragazza, perché questa si accorga del sentimento che ha colpito il piccolo Alchimista. Si riscuote della sua malinconia, ritornando ai suoi modi pratici e spigliati.

Non può lasciare spazio alla tristezza. L’ha promesso a se stessa, ai due giovani Erlic, ma, soprattutto, l’ha promesso davanti alla tomba dei suoi defunti genitori.

- Allora, le hai prese le medicine? - chiede, scrollandosi di dosso i suoi cupi sentimenti.

L’armatura animata annuisce, in un cigolio di metallo, e mostra la boccetta bruna per cui è si è incamminato fino al paese. Winry sorride, lieta.

- Dovresti andare a darla ad Ed. Sai quant’è capriccioso, tu sei l’unico che riesca a fargli prendere quella roba -

Alphonse ride, delicato – Sotto certi punti di vista è ancora un bambino - dice, e si trascina su per le scale, con i passi metallici che gli fanno da eco. Gli occhi azzurri della meccanica lo seguono affettuosamente, fino a che non sparisce dietro la porta di legno che divide Edward dal resto del mondo. Poi sospira.

- Già, proprio un bambino -

 

Il buio nella stanza è quasi soffocante. Non è che lui lo possa sentire, visto che non può sentire più nulla. Il metallo non percepisce alcuna cosa. Il metallo è freddo, così terribilmente freddo.

Muove qualche passo nella camera - Fratellino -. Il rumore dei suoi passi è pesante. Il metallo è pesante. - Fratellino -. Nessuna risposta, neanche il respiro profondo di quando è addormentato, neanche il leggero fruscio del cotone che scopre la sua pancia. Piccoli rumori che accompagnano Alphonse nella notte, nella lunga notte che non può dormire. Piccoli rumori che gli ricordano sempre che è a casa, dovunque sia. Lui è a casa dove suo fratello è presente. Edward è la sua casa.

Un lampo illumina l’intera stanza, in un violento bagno di luce. L’armatura trasale vedendo le lenzuola raccolte ai piedi del letto, vuoto. Lui non c’è e tutto crolla nel più piccolo dei fratelli Erlic. La paura, l’unica paura che custodisce ancora la sua anima, si riaffaccia in lui con la forza di un uragano: perdere Edward, perdere tutto. In una guerra o in viaggio, per una malattia o per uno scontro...sempre questa paura l’accompagna, costantemente, come uno spettro, come un animale selvatico fastidioso e petulante.

La sua anima vibra un secondo, le sue membra di metallo rimangono immobili.

Alza lo sguardo e, davanti a lui, le imposte della finestra battono l’una contro l’altra, aperte e impotenti contro il gelido vento. Lui non lo sente quel freddo, ma può scommettere che il gelo attorno al suo spirito è ancora più grande in quel momento.

Lui può scommettere che senza suo fratello morrebbe in un eterno freddo, in un’oscurità senza uscita.

Un altro lampo illumina la sua sagoma immobile e lui vede finalmente dove Edward può essere andato, nonostante la pioggia, nonostante il vento, nonostante la malattia. L’unico luogo dove entrambi andrebbero ad ogni costo. Un tuono vibra lontano, mentre davanti ai suoi occhi la sagoma della collina viene inghiottita dalle tenebre.

 

La carne si unisce al metallo. Si fondono in un’unica forma, in un unico ed inequivocabile gesto: preghiera. Edward Erlic non ha mai pregato in vita sua, eppure ora inizia a farlo. La sua preghiera è semplicemente una ripetizione del nome che legge sulla tomba “Trisha Elric”. Una ripetizione di ciò che era quel nome per lui “Mamma”.

Prega, Edward, supplica quella scritta di trovare la parola. Prega quell’anima abbandonata in Paradiso di perdonargli il Tabù infranto e di discendere dal Cielo, solo per una volta, solo per chiamarlo. Ancora una volta.

La pioggia batte su di lui con forza. L’acqua, ormai, ha impregnato il suo giaccone rosso tanto che rigagnoli accarezzano i brividi che si rincorrono sulla sua schiena. Un colpo di tosse lo piega a metà, ma cessato l’attacco lui è ancora lì, ritto davanti alla tomba di sua madre, a pregare, a chiamarla. Non crede in Dio, Edward. Lui crede solo nella scienza, nell’Alchimia. Eppure non può negare l’esistenza degli Angeli, non può negare che sua madre esista ancora nonostante la morte. Non può perché ne morrebbe.

Ed allora implora, implora di sentire ancora quella voce. Quella dolcissima voce che cantava un allegro motivetto sugli uccellini innamorati quando stendeva i panni al sole. Quella voce melodiosa che raccontava favole celestiali per far trovare il sonno ad entrambi i suoi figli. Quella voce stanca che l’ha pregato di prendersi cura del suo fratellino, prima di sparire in un sospiro.

 

Prenditi cura di tuo fratello, Edward.

Te lo prometto, mamma.

 

Alphonse con i suoi occhi nocciola e con i suoi capelli corti color miele. Alphonse con i suoi sorrisi a trentadue denti così ingenui, così solari, così simili a quelli della loro mamma. Alphonse con tutto il suo buon cuore, con la sua dolcezza e con i suoi modi gentili, tanto gentili da farti sentire sempre in torto, sempre sporco con il suo candore che rimane fanciullo nonostante ogni cosa. È Al il suo legame con il passato, Al è la testimonianza che è stato felice, che può essere ancora felice.

- Fratellino! - Edward sussulta, preso alla sprovvista - Fratellino! -.

Lento si volta e nei suoi occhi d’ambra si riflette un’armatura che corre nella sua direzione. Corre veloce, quasi si trattasse della sua stessa vita.

- Fratellino, finalmente ti ho trovato! - in un assordante clangore metallico, Alphonse s’inginocchia davanti a lui, il quale stupito lo osserva come se si trovasse davanti ad una visione.

- Al - mormora, quasi fosse davanti ad un’apparizione angelica. Ma il suo estasiato rapimento viene a sparire quando un pugno lo colpisce dolorosamente sul capo.

- Ehi, ma cosa ti piglia? - grida furioso, massaggiandosi l’antenna. Il secondogenito rimane in silenzio, lo sguardo truce che traspare dall’atmosfera che gli aleggia intorno.

- Stupido fratello - borbotta. E lui capisce ogni cosa, capisce ogni sentimento che batte in quell’armatura. L’uno è necessario all’altro come l’aria che respirano. Senza l’altro i due Alchimisti sarebbero nulla, morti viventi o forse, più semplicemente, morti.

La mano di metallo accarezza dolcemente il grosso capo del medesimo elemento. Non può sentire quella carezza Alphonse, eppure il suo spirito riesce a percepirla pienamente.

- Scusami, Al. Non volevo farti preoccupare - dice risentito, prima di abbracciarlo forte, tanto forte che il più piccolo può sentire i battiti del suo cuore rimbombargli dentro.

- Fratellino…sono freddo - protesta l’altro, cercando di allontanarlo. Ma Edward non lo lascia, non lo lascerà mai.

Sorride contro il gelido metallo - Non è vero, sei bollente -. Al sospira, paziente, mentre estrae dal suo interno una calda coperta di lana con cui avvolge il corpo sottile del maggiore. - Bugiardo - commenta, ma non può non tradirsi con una nota tenera nella sua voce - Dobbiamo andare, o la febbre salirà ancora - dice, e fa per sollevarlo quando l’altro tenta di fermarlo.

- Restiamo ancora un po’, Al- lo prega.

- Ma fratellino, la tua febbre…-

- Passerà. Restiamo ancora un po’ con la mamma - il suo tono è lo stesso di un bambino che reclama il suo orsacchiotto per andare a letto ed il più responsabile dei fratelli Erlic si lascia traviare da quella supplica, e, deve ammetterlo, lo fa anche con un certo piacere. È da tanto che non sono andati sulla tomba della mamma. È da tanto che non stanno così abbracciati.

- Fratellino perché sei venuto qui? -

- Volevo sentire la voce della mamma ancora una volta -

La pioggia riempie il breve silenzio che anticipa le parole di Alphonse, velate di quella malinconia che accompagna i racconti dei nostri sogni più lieti - Io la sento sempre, sai? Ogni volta che dormi io la sento, là vicino a te che ti canta una ninna nanna -

Le braccia, una artificiale ed una ancora di carne, si stringono con più forza attorno al corpo metallico del fratello - Non la canta a me, la canta a te. Perché tu riesca finalmente a dormire -.

L’Alchimista Immortale vorrebbe piangere - Tu credi? -

- Sì, la mamma era così - s’interrompe e sospira pesantemente, stringendo la coperta sulle sue spalle - Le ho promesso che mi sarei preso cura di te ma invece è sempre stato il contrario. L’unica cosa che posso fare è ridarti il tuo corpo -

- Senza di te non sarei qua, fratellino. Non sarei neppure in vita dentro quest’armatura. Senza di te sarei morto -

- Anch’io lo sarei, Al - è un sospiro, il suo, eppure il fratello lo sente così bene dentro tutta l’oscurità del suo corpo. Per un attimo riesce a ritrovare il calore di un abbraccio, dall’abbraccio di suo fratello. Per un attimo si sente vivo.

Poi si alza e, senza possibilità di replica, ordina che tornino a casa e ad Edward non rimane altro che annuire, stringendosi di più tra le braccia di metallo. Per quanto il corpo di Alphonse possa essere freddo, lui lo sentirà sempre caldo, bollente. Lui lo sentirà sempre, suo fratello.

Edward

Un richiamo lontano, leggero come una brezza estiva gli accarezza dolcemente l’orecchio. Sobbalza e agitato si guarda intorno, come cercando qualcosa.

- Che succede fratellino? -

L’Alchimista d’Acciaio passa ancora il suo sguardo tutt’attorno a se, prima di rilassarsi nuovamente nel forte abbraccio di suo fratello.

- Niente. Mi era come sembrato di sentire ancora la mamma. Ancora una volta -

 

 

Free Talk

Dopo tanto tempo mi ritrovo a pubblicare e, aspetto più spaventevole, propongo una fan fiction ^^’

Nonostante io debba scrivere ben altro (ad esempio il seguito di una storia originale) non ho potuto fare a meno di pronunciarmi sul rapporto straordinario che lega i due fratelli Erlic. Forse mi sono lasciata trasportare un po’ troppo dal sentimentalismo, però trovo che sia Al che Ed siano straordinariamente dolci insieme. Soprattutto trovo che il ricordo che hanno della loro madre sia qualcosa che tutti possono comprendere, perché ognuno di noi nella sua vita ha una persona a cui si è legato così profondamente da avere un ricordo di lui sempre solare, sempre angelico.

Spero, in ogni caso, che sia stata di vostro gradimento e, se così non fosse, accetto volentieri tutte le critiche con cui vorrete aiutarmi ^^

Un ringraziamento speciale va a Shinji, il quale, poverino, forse s’aspettava il seguito di Moment ed invece si ritrova a leggere questa robina insensata ^^’’’ Spero che mi perdoni */me inchin*

E a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggermi, ovviamente, vanno mille ringraziamenti (oltre che una medaglia per il coraggio, aggiungerei NdWhite Angel).

Alla prossima…

  
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