Il
rumore di una preghiera
Guarda: questo è il
corpo di un peccatore… (1)
Piove
da tre giorni. Tre lunghi ed interminabili giorni bagnati da gocce acide,
frammenti della volta celeste troppo pesanti per rimanere
nel cielo, troppo curiosi per accontentarsi di quell’infinita
distesa di nuvole, troppo legati all’amore per qualcosa di quaggiù. Troppo
impuri, forse, quei frammenti di cielo. Troppo impuri.
Il
rumore che noi umani udiamo quando la pioggia scroscia fuori
dalle nostre case è solo un canto: un canto di gioia per essere riusciti
a baciare anche se solo per un secondo la terra, un canto di dolore per essere
stati rinnegati. Lacrime del cielo rifiutate persino da coloro che le ha partorite.
La
fronte calda, bollente, si appoggia al vetro freddo, gelido. Il fiato si
condensa in macchie lattee sulla finestra ed i suoi occhi d’ambra sono
immobili, fissi su quella pioggia che non fa altro che scendere, scendere, scendere senza mai fermarsi. Eterna eppure
effimera. Forte, dirompente, devastante eppure…così fragile.
La
mano si appoggia vicino al volto, riflettendosi su una cascata d’acqua spezzata
in mille pezzi. Le dita si muovono teneramente tra quei figli esiliati, quasi
accarezzandoli, quasi comprendendoli. Il suo viso si ripete mille volte su quel
vetro. Ogni goccia ha il suo volto. Ogni goccia è lui.
-
Ed - un sussurro che disegna il suo nome - Ed - un
nome che porta peccato, che dona peccato - Ed - un nome da dimenticare, da
sostituire con uno pseudonimo, con un sopranome di battaglia - Edward! -
Il
ragazzo sussulta contro la finestra, girandosi di scatto. L’espressione
sofferente del suo volto viene nascosta da un sorriso
nervoso, il medesimo di chi sta nascondendo qualcosa che potrebbe essere stato
svelato - Winry…cosa? -
In
un dondolio di ciocche dorate, l’amica d’infanzia gli si avvicina con la
coperta stretta tra le mani. Il suo viso è risoluto, il suo animo forte come
sempre.
-
Al è già abbastanza preoccupato così - dice severa, coprendo il corpo
semivestito del ragazzo con un volo di calde stoffe - Evita di farti aumentare
questa febbre. Fattela passare, piuttosto -.
Ed ha il viso rosso, imperlato di sudore bollente, il
respiro è faticoso, impregnato dalla malattia, ciononostante ha il coraggio di
dire - Winry finiscila di trattarmi come un bambino.
Non ho la febbre -
Lei
assume un’espressione sarcastica di chi vorrebbe commentare con un “Come no!”,
ma riesce a trattenersi. Sa quanto può diventare infantile il primogenito dei
fratelli Elric.
Proprio
lui che ha sempre dovuto sopportare pesi più grandi della sua età, che ha
sempre dovuto essere un adulto in quel mondo dove gli adulti lo vedevano solo come
una creatura eccezionale o come un essere per cui
provare pena, che ha dovuto diventare Alchimista di Stato per una promessa. Che ha dovuto lottare contro il Paradiso.
-
Dai, mettiti a letto - Winry
pronuncia quell’ordine con la gola chiusa, raschiata
dai primi bagliori di un pianto malinconico. Ma lei
non deve piangere.
Anche
lei, in fondo, è dovuta crescere troppo in fretta,
troppo velocemente.
Il
ragazzo mormora ancora qualche flebile protesta, ma comunque
si lascia cadere pesantemente sul letto. L’improvvisata infermiera finge di non
sentirlo: paziente, raccoglie la pezza annegata in una bacinella d’acqua fredda
e l’appoggia su quella fronte madida di sudore. La pelle dell’Alchimista è
scossa da un brivido.
-
Hai la febbre davvero alta - commenta, studiando preoccupata il suo volto.
Lui
simula un ghigno irrisorio, da ragazzetto di strada, da bambino spensierato. Un
pallido ricordo di ciò che era, un’illusione su ciò che vorrebbe essere.
-
È solo un’influenza. Mi passerà presto -.
Con
un movimento brusco, lei gli rimbocca le coperte fin sotto il mento - Se
continui ad alzarti semivestito sarà davvero difficile che ti passi! - dice
tentando di preservare un tono casuale, ma Edward
riesce a notare senza alcuna difficoltà il rimprovero che la coetanea gli sta
riservando. Il ghigno si trasforma in un sorriso, addolcito dalla spossatezza
del malanno.
-
Winry! - il nome della ragazza riecheggia in un grido di richiamo ed entrambi i giovani si voltano verso
la porta, gli occhi che ritrovano immediatamente l’immagine d’associare a tale
voce - Winry vieni ad aiutarmi con queste borse -
Gli
occhi suoi, azzurri quanto un lago di montagna, si posano su quel volto
arrossato, come a voler cercare un motivo per lasciarlo lì, in quelle
condizioni.
-
La zietta ha bisogno di te - quelle
parole si condensano in grumi d’aria infuocata - Stai tranquilla, in
queste condizioni non posso scappare da nessuna parte -.
Colei
che ha ereditato l’intricata arte degli automail
si lascia convincere da quell’espressione da bambino
segregato contro il suo volere, da angelo stanco.
-
Torno subito - la sua affermazione ha lo strano sapore della minaccia per Edward e mentre si chiude la porta lui non può fare a meno
di ridere, in un colpo secco di tosse.
Il
suo sguardo cade pesantemente sulle coperte che lo avvolgono, indugiano a lungo
sulla piega ordinata del lenzuolo che Winry ha
composto nel tentativo di dargli il più totale calore, osservano attentamente la
bacinella in cui l’acqua riposa pacifica.
Un’ombra
di disagio avvolge il suo petto, stringendosi sempre più attorno ai polmoni,
serrandogli il respiro che si fa sempre più fioco. Nella sua testa rimbomba il suono
sordo del suo cuore, un battito che accelera ancora ed ancora, fino a diventare
un insopportabile martellare senza sosta.
Gli
occhi si chiudono, si stringono. Il giovane Alchimista
tenta di concentrarsi su altro, su scene piacevoli, su ricordi che riportano il
sorriso…quei ricordi che lo vedono ancora bambino, che vedono
il corpo ancora intatto di suo fratello, che vedono ancora il bel viso solare
della sua mamma.
-
Edward - quel suono caldo, quel nome che sembra sacro
sulle sue labbra. Il tocco dolce, che profuma lievemente di camomilla…l’odore
di casa, l’odore di lei.
Con
uno scatto è seduto, ansimante. Brusco scosta le coperte dal suo corpo e,
velato appena dai pantaloni azzurri del suo pigiama, si ranicchia
in un angolo della stanza, stretto tra le gelide pareti e il freddo pavimento.
Il
suo petto batte e ribatte contro le sue gambe raccolte. Fa male, si dice, fa
troppo male.
Ha
affrontato tante cose nei suoi quindici anni, Edward,
ma questi ricordi sono la cosa che più gli danno
dolore. I ricordi di un tempo felice, di un tempo che forse è
stato solo un sogno.
Inizia
a chiederselo, l’Alchimista di Metallo, inizia a chiedersi se tutte quelle
immagini baciate da un sole di primavera non sono nient’altro
che illusioni, sogni nati per caso e poi incollatisi alla sua mente in un
disperato tentativo di possedere qualcosa di felice, anche se una cosa tanto
astratta quanto il passato. Perché per lui la sua vita
vera è iniziata in quella notte in cui ha perso ogni cosa, persino il ricordo
virgineo di sua madre.
Un
flash gli graffia gli occhi con l’immagine distorta della sua genitrice, quella
grottesca creatura per cui suo fratello ha sacrificato
il corpo e lui la gamba. Una chimera morta.
La
testa crolla sulle ginocchia, gli occhi si stringono
-
Mamma - mormora, la voce flebile della malattia, di un pianto imminente -
Vorrei sentire la tua voce ancora una volta. Chiamami ancora una sola volta,
giusto per dirmi che sei stata vera, che non sei stata
solo un sogno -.
Dopo
tanti anni Ed si ritrova a supplicare e quella
supplica ha un sapore amaro in bocca. Ha il medesimo gusto acre del sangue.
Un
lampo illumina a giorno l’intera stanza. Un tuono infrange il canto della
pioggia.
Il
cielo torna buio. Ed è in quell’attimo,
in quel preciso frangente in cui la luce celestiale del lampo cede alle
tenebre, che il ragazzo vede l’unico ricordo concreto della sua infanzia.
L’unica cosa che può dirgli quanto veri possano essere i suoi sogni…
Senza
dire nulla s’infila il giaccone rosso e la notte lo accoglie con il suo gelo.
-
Oh Al, un altro gatto! -
L’accoglienza
di Winry non si può dire una delle più calorose.
Eppure Al sente una sorta di calore quando entra nella
vecchia casa. È un’illusione, lo sa, ma per un attimo vuole crogiolarsi in
quella fantasticheria. Vuole sentirsi ancora vivo, dopo così tanti anni.
In
modo puramente teorico lui è ancora in vita, o almeno la sua anima lo è. Ma Alphonse sa che non è una
questione da così poco. Avere un’anima attaccata ad un’armatura di metallo non
è una questione da così poco.
È
passato così tanto tempo che inizia a dimenticare: il gusto di una torta, il
freddo della neve, la morbidezza del pelo di un micino.
Non è unicamente la gentilezza del suo cuore che lo spinge a raccogliere tutti
i gatti abbandonati che riesce a vedere, ma è anche la
vaga speranza che accarezzandoli possa ricordarsi di quelle sensazioni che ha
perso…come il calore del corpo di suo fratello.
Lo
ricorda vagamente quel tepore, quell’abbraccio
soffice che riusciva a farlo addormentare anche nelle notti più tempestose,
anche quando la mamma li aveva lasciati. Il profumo della sua pelle chiara, un misto tra erba e sole estivo.
Il suo respiro addormentato contro la sua pelle, come la carezza di un fiore
che dondola al vento.
Sta
perdendo tutto questo, lo sta lasciando scivolare in quell’angolo
di memoria che potrà afferrare solo nei sogni. L’unica cosa che gli è rimasta è
guardarlo ed ascoltare il suo respiro mentre dorme, coprire la sua pancia
puntualmente scoperta e seguirlo fino a quando non troveranno la Pietra
Filosofale, fino a quando non potrà ridargli il suo braccio e la sua gamba. Fino a quando non potrà ritrovare il suo corpo, le sue sensazioni.
Il micino tra le sue mani
miagola petulante, distogliendolo dai suoi pensieri.
- Non potresti dargli del latte, per favore? - la prega
l’eco metallico.
Impettita la ragazza punta i pugni sui fianchi. Cerca
di mantenere un tono severo, eppure sa già che non resisterà molto. Infatti è sufficiente che Al gli metta sotto il naso quel
cucciolo bianco e che la supplichi ancora con la sua vocetta,
intrappolata in un armatura vecchia almeno di cento anni. Così mentre Winry s’impegna per sfamare il nuovo coinquilino, il più
giovane dei fratelli Elric non può che ringraziare
con goffi inchini.
-
Lascia stare. In ogni caso non l’avrei fatto morire di fame -
dice, brusca. Poi si raddolcisce e sorride malinconica come se stesse
raccogliendo un ricordo gettato alle sue spalle. Un ricordo
caldo, che profuma di fiori primaverili e di pane appena sfornato.
-
Anche quando eravamo bambini raccoglievi spesso
animali abbandonati. Edward era solito rimproverarti
per il tuo buon cuore - il suo bel volto s’incupisce - Mi sembrano così lontani
quei giorni -
Se
Al avesse ancora un volto espressivo di certo l’amica
noterebbe la tristezza dipinta sui suoi tratti. Ma in
quei lunghi anni la sua voce è divenuta una perfetta maschera del viso perduto,
una musica di sottili tonalità simili ad acquarelli colorati.
Così
è sufficiente un suo solo sospiro, che produce il nome della ragazza, perché
questa si accorga del sentimento che ha colpito il
piccolo Alchimista. Si riscuote della sua malinconia, ritornando ai suoi modi
pratici e spigliati.
Non
può lasciare spazio alla tristezza. L’ha promesso a se
stessa, ai due giovani Erlic, ma, soprattutto, l’ha
promesso davanti alla tomba dei suoi defunti genitori.
-
Allora, le hai prese le medicine? - chiede, scrollandosi di dosso i suoi cupi
sentimenti.
L’armatura
animata annuisce, in un cigolio di metallo, e mostra la boccetta bruna per cui è si è incamminato fino al paese. Winry sorride, lieta.
-
Dovresti andare a darla ad Ed. Sai quant’è capriccioso, tu sei l’unico che riesca
a fargli prendere quella roba -
Alphonse ride, delicato – Sotto
certi punti di vista è ancora un bambino - dice, e si trascina su per le
scale, con i passi metallici che gli fanno da eco. Gli occhi azzurri della
meccanica lo seguono affettuosamente, fino a che non sparisce dietro la porta
di legno che divide Edward dal resto del mondo. Poi
sospira.
-
Già, proprio un bambino -
Il
buio nella stanza è quasi soffocante. Non è che lui lo
possa sentire, visto che non può sentire più nulla. Il metallo non percepisce
alcuna cosa. Il metallo è freddo, così terribilmente freddo.
Muove
qualche passo nella camera - Fratellino -. Il rumore dei suoi passi è pesante.
Il metallo è pesante. - Fratellino -. Nessuna risposta,
neanche il respiro profondo di quando è addormentato, neanche il leggero
fruscio del cotone che scopre la sua pancia. Piccoli
rumori che accompagnano Alphonse nella notte, nella
lunga notte che non può dormire. Piccoli rumori che
gli ricordano sempre che è a casa, dovunque sia. Lui è a casa dove suo
fratello è presente. Edward è la sua casa.
Un
lampo illumina l’intera stanza, in un violento bagno di luce. L’armatura
trasale vedendo le lenzuola raccolte ai piedi del letto, vuoto. Lui non c’è e
tutto crolla nel più piccolo dei fratelli Erlic. La
paura, l’unica paura che custodisce ancora la sua anima, si riaffaccia in lui
con la forza di un uragano: perdere Edward, perdere
tutto. In una guerra o in viaggio, per una malattia o per uno scontro...sempre
questa paura l’accompagna, costantemente, come uno spettro, come un animale
selvatico fastidioso e petulante.
La
sua anima vibra un secondo, le sue membra di metallo
rimangono immobili.
Alza
lo sguardo e, davanti a lui, le imposte della finestra battono l’una contro
l’altra, aperte e impotenti contro il gelido vento. Lui non lo sente quel
freddo, ma può scommettere che il gelo attorno al suo spirito è ancora più
grande in quel momento.
Lui
può scommettere che senza suo fratello morrebbe in un eterno freddo, in
un’oscurità senza uscita.
Un
altro lampo illumina la sua sagoma immobile e lui vede finalmente dove Edward può essere andato, nonostante la pioggia, nonostante
il vento, nonostante la malattia. L’unico luogo dove entrambi andrebbero ad ogni costo. Un tuono vibra lontano, mentre
davanti ai suoi occhi la sagoma della collina viene
inghiottita dalle tenebre.
La
carne si unisce al metallo. Si fondono in un’unica forma, in un unico ed
inequivocabile gesto: preghiera. Edward Erlic non ha mai pregato in vita sua, eppure ora inizia a
farlo. La sua preghiera è semplicemente una ripetizione del nome che legge
sulla tomba “Trisha Elric”.
Una ripetizione di ciò che era quel nome per lui “Mamma”.
Prega,
Edward, supplica quella scritta di trovare la parola.
Prega quell’anima abbandonata in Paradiso di
perdonargli il Tabù infranto e di discendere dal Cielo, solo per una volta,
solo per chiamarlo. Ancora una volta.
La
pioggia batte su di lui con forza. L’acqua, ormai, ha impregnato il suo
giaccone rosso tanto che rigagnoli accarezzano i brividi che si rincorrono
sulla sua schiena. Un colpo di tosse lo piega a metà,
ma cessato l’attacco lui è ancora lì, ritto davanti alla tomba di sua madre, a
pregare, a chiamarla. Non crede in Dio, Edward. Lui
crede solo nella scienza, nell’Alchimia. Eppure non
può negare l’esistenza degli Angeli, non può negare che sua madre esista ancora
nonostante la morte. Non può perché ne morrebbe.
Ed allora implora, implora di sentire ancora quella voce. Quella dolcissima voce che cantava un allegro motivetto sugli
uccellini innamorati quando stendeva i panni al sole. Quella
voce melodiosa che raccontava favole celestiali per far trovare il sonno ad
entrambi i suoi figli. Quella voce stanca che l’ha
pregato di prendersi cura del suo fratellino, prima di sparire in un sospiro.
Prenditi cura di tuo
fratello, Edward.
Te lo prometto, mamma.
Alphonse con
i suoi occhi nocciola e con i suoi capelli corti color miele. Alphonse con i suoi sorrisi a
trentadue denti così ingenui, così solari, così simili a quelli della loro
mamma. Alphonse con tutto il suo buon cuore,
con la sua dolcezza e con i suoi modi gentili, tanto gentili da farti sentire
sempre in torto, sempre sporco con il suo candore che rimane fanciullo
nonostante ogni cosa. È Al il suo legame con il passato, Al è la testimonianza
che è stato felice, che può essere ancora felice.
-
Fratellino! - Edward sussulta, preso alla sprovvista
- Fratellino! -.
Lento
si volta e nei suoi occhi d’ambra si riflette un’armatura che corre nella sua
direzione. Corre veloce, quasi si trattasse della sua
stessa vita.
-
Fratellino, finalmente ti ho trovato! - in un assordante clangore metallico, Alphonse s’inginocchia davanti a lui, il quale stupito lo
osserva come se si trovasse davanti ad una visione.
-
Al - mormora, quasi fosse davanti ad un’apparizione angelica. Ma il suo estasiato rapimento viene a sparire quando un
pugno lo colpisce dolorosamente sul capo.
-
Ehi, ma cosa ti piglia? - grida furioso, massaggiandosi l’antenna. Il
secondogenito rimane in silenzio, lo sguardo truce che traspare dall’atmosfera
che gli aleggia intorno.
-
Stupido fratello - borbotta. E lui capisce ogni cosa,
capisce ogni sentimento che batte in quell’armatura.
L’uno è necessario all’altro come l’aria che respirano. Senza l’altro i due
Alchimisti sarebbero nulla, morti viventi o forse, più semplicemente, morti.
La
mano di metallo accarezza dolcemente il grosso capo del medesimo elemento. Non
può sentire quella carezza Alphonse, eppure il suo
spirito riesce a percepirla pienamente.
-
Scusami, Al. Non volevo farti preoccupare - dice
risentito, prima di abbracciarlo forte, tanto forte che il più piccolo può
sentire i battiti del suo cuore rimbombargli dentro.
-
Fratellino…sono freddo - protesta l’altro, cercando di allontanarlo. Ma Edward non lo lascia, non lo
lascerà mai.
Sorride contro il gelido metallo - Non è vero, sei bollente -.
Al sospira, paziente, mentre estrae dal suo interno
una calda coperta di lana con cui avvolge il corpo sottile del maggiore. -
Bugiardo - commenta, ma non può non tradirsi con una nota tenera nella sua voce
- Dobbiamo andare, o la febbre salirà ancora - dice, e fa per sollevarlo quando
l’altro tenta di fermarlo.
-
Restiamo ancora un po’, Al- lo prega.
-
Ma fratellino, la tua febbre…-
-
Passerà. Restiamo ancora un po’ con la mamma - il suo tono è lo stesso di un
bambino che reclama il suo orsacchiotto per andare a letto ed il più
responsabile dei fratelli Erlic si lascia traviare da
quella supplica, e, deve ammetterlo, lo fa anche con un certo piacere. È da
tanto che non sono andati sulla tomba della mamma. È da tanto che non stanno
così abbracciati.
-
Fratellino perché sei venuto qui? -
-
Volevo sentire la voce della mamma ancora una volta -
La
pioggia riempie il breve silenzio che anticipa le parole di Alphonse, velate di quella malinconia che accompagna i
racconti dei nostri sogni più lieti - Io la sento sempre, sai? Ogni volta che
dormi io la sento, là vicino a te che ti canta una
ninna nanna -
Le
braccia, una artificiale ed una ancora di carne, si
stringono con più forza attorno al corpo metallico del fratello - Non la canta
a me, la canta a te. Perché tu riesca finalmente a dormire
-.
L’Alchimista
Immortale vorrebbe piangere - Tu credi? -
-
Sì, la mamma era così - s’interrompe e sospira pesantemente, stringendo la
coperta sulle sue spalle - Le ho promesso che mi sarei
preso cura di te ma invece è sempre stato il contrario. L’unica cosa che posso
fare è ridarti il tuo corpo -
-
Senza di te non sarei qua, fratellino. Non sarei
neppure in vita dentro quest’armatura. Senza di te
sarei morto -
-
Anch’io lo sarei, Al - è un sospiro, il suo, eppure il fratello lo sente così bene dentro tutta l’oscurità del suo corpo. Per un attimo
riesce a ritrovare il calore di un abbraccio, dall’abbraccio di suo fratello.
Per un attimo si sente vivo.
Poi
si alza e, senza possibilità di replica, ordina che tornino a casa e ad Edward non rimane altro che annuire, stringendosi di più
tra le braccia di metallo. Per quanto il corpo di Alphonse possa essere freddo, lui lo sentirà sempre caldo,
bollente. Lui lo sentirà sempre, suo fratello.
Edward…
Un
richiamo lontano, leggero come una brezza estiva gli accarezza dolcemente
l’orecchio. Sobbalza e agitato si guarda intorno, come cercando qualcosa.
-
Che succede fratellino? -
L’Alchimista
d’Acciaio passa ancora il suo sguardo tutt’attorno a
se, prima di rilassarsi nuovamente nel forte abbraccio di suo fratello.
-
Niente. Mi era come sembrato di sentire ancora la mamma. Ancora una volta -
Free Talk
Dopo tanto tempo mi ritrovo a pubblicare e, aspetto più spaventevole, propongo una fan fiction ^^’
Nonostante io debba scrivere ben altro (ad esempio il seguito di una storia originale) non ho potuto fare a meno di pronunciarmi sul rapporto straordinario che lega i due fratelli Erlic. Forse mi sono lasciata trasportare un po’ troppo dal sentimentalismo, però trovo che sia Al che Ed siano straordinariamente dolci insieme. Soprattutto trovo che il ricordo che hanno della loro madre sia qualcosa che tutti possono comprendere, perché ognuno di noi nella sua vita ha una persona a cui si è legato così profondamente da avere un ricordo di lui sempre solare, sempre angelico.
Spero, in ogni caso, che sia stata di vostro gradimento e, se così non fosse, accetto volentieri tutte le critiche con cui vorrete aiutarmi ^^
Un ringraziamento speciale va a Shinji, il quale, poverino, forse s’aspettava il seguito di Moment ed invece si ritrova a leggere questa robina insensata ^^’’’ Spero che mi perdoni */me inchin*
E a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggermi, ovviamente, vanno mille ringraziamenti (oltre che una medaglia per il coraggio, aggiungerei NdWhite Angel).
Alla prossima…