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Autore: Mary P_Stark    08/01/2012    11 recensioni
Cosa potrebbe succedere, se l'Araba Fenice tornasse a vivere ai giorni nostri? Se camminasse come un comune essere umano, sconosciuto ai più e per nulla riconoscibile ai nostri occhi? La storia di Joy è la storia delle molte vite di Fenice che, con i suoi poteri, tenta a ogni rinascita di portare il Bene e l'Amore nel mondo. Ma può, l'amore vero e Unico, toccare una creatura come lei che, da sempre, non vi si può abbandonare poiché votata solo all'altrui benessere? Sarà Morgan a far scoprire a Joy quanto, anche una creatura immortale come lei, può cedere al calore dell'amore, facendole perdere di vista il suo essere Fenice.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.

 
 
 
 
 

 

 

“Io sono il Bennu, l’anima di Ra, la guida
degli dèi nel Duat.  Che mi sia concesso
entrare come falco, ch’io possa procedere
 come il Bennu, la Stella del Mattino.”
 

 

 
 
Sentii il peso della morte sulle mie stanche spalle, l’alito freddo del divenire solleticò le mie piume scarlatte. Non v’era più tempo o, almeno per questa vita, non ve n’era più.

Mi mossi a fatica, il sentore della Falce che si muoveva sempre più vicina a me, pronta a colpire ancora una volta.

Con becco e artigli composi il mio catafalco. Mirto, incenso e sandalo, della più fine cannella per il mio ennesimo viaggio, una spruzzata delle spezie a me più care e legno di cedro per la mia dipartita.

Né palma né quercia, per me, in questa vita, ma un giaciglio immerso in verde muschio e profumo di sale.

Secolari abeti e umidore di decomposizione a farmi da compagni in questo mio viaggio verso la fiamma e, come sempre prima di spirare in un oceano di luce, il mio canto a Ra, al Sole che, come sempre, mi porterà alla morte.
 

 


Il vento spirava leggero dall’oceano.

Scivolava tra le case e i palazzi di Lincoln City per poi inerpicarsi fino alle colline oltre la città, dove la foresta rigogliosa e verdeggiante ammantava i dolci declivi dello Stato dell’Oregon.

Come sempre in primavera, Richard Patterson e suo cognato Peter, assieme agli amici William e Craig, si recarono nelle foreste sopra Devils Lake per la prima uscita in campeggio tra gli alti abeti sitka e i larici centenari.

Muschio verde e morbido ricopriva ogni cosa, dal sottobosco profumato a vecchie carcasse di tronchi caduti, fino ad ammantare robusti massi dall’aria secolare, muti testimoni dell’inesorabile passaggio del tempo.

In una piccola radura ovale, illuminati da un raro bargiglio di sole d’aprile, Richard montò la sua tenda prima di comunicare ai suoi compagni di spedizione l’intenzione di avventurarsi nel bosco per una passeggiata.

Senza trovarvi nulla di strano, Peter e gli altri lo lasciarono fare, ben sapendo quanto Richard amasse immergersi nella natura e ascoltare i rumori del bosco in assoluta solitudine.

Il primo giorno di ogni loro uscita, era sempre così. Non faceva specie che, anche quell’anno, Richard compisse quella specie di rito iniziatico.

Camminando lentamente tra felci enormi, rami caduti e piccole pozzanghere ricoperte di aghi di pino, Richard si fermò in corrispondenza di un enorme masso a punta.

Lì, sedutosi per ammirare il bosco da quel punto privilegiato, inspirò profondamente i profumi di quell’angolo di paradiso, riempiendo appieno i polmoni.

Non appena l’ebbe fatto però, notò qualcosa che, assolutamente, non poteva avere nulla a che fare con quelle lande a lui così care.

Aggrottando la fronte, scese in fretta dal masso e, muovendo i piedi tra rocce scivolose e muschio morbido come cuscini di piume.

Procedette a passo affrettato, tenendo la direzione in cui, secondo i suoi calcoli, poteva trovarsi la fonte dello strano odore che aveva avvertito.

Di certo, la cannella non poteva crescere in un bosco dell’Oregon! E, se qualcuno aveva acceso un fuoco nel bosco per bruciarla, doveva essere fermato immediatamente!

Dopo aver oltrepassato un enorme abete abbattuto dal gelo dell’inverno, Richard si fermò di botto non appena i suoi occhi si puntarono su qualcosa che mai, in tutta la sua vita passata nei boschi, gli era capitato di vedere… o trovare.

Accoccolata sopra un letto di rametti, nuda e sporca, una neonata dalla pelle chiara, e una spruzzata di capelli ramati sul capo, se ne stava lì in mezzo al nulla, senza alcun riparo per la sua giovane carne d’infante.

Un bel sorriso, stampato sull’ovale perfetto del viso, le illuminava i tratti come un sole in miniatura.

Richard, senza parole e quasi convinto si trattasse di un’allucinazione, si avvicinò guardingo e si piegò lentamente vicino alla bimba, indeciso sul da farsi.

Quando, però, la fissò negli occhi, ogni cosa si annullò.

Grandi pezzi di smeraldo lo fissarono con intelligenza e una risata gorgogliante lo salutò.

Richard, non potendo fare altro, le sorrise di rimando, domandando a nessuno in particolare: “Cosa ci fa una bella bimba come te in questo posto sperduto? Chi ha potuto abbandonarti a questo modo?”

La bambina allungò le sue mani paffute verso Richard che, senza neppure stare a pensarci, la sollevò tra le braccia.

Portandola via dal suo giaciglio improvvisato, se ne tornò con calma verso il campo base.

“Ora baderò io a te, piccolina… non ti succederà nulla, vedrai” le sussurrò Richard, sorridendole e ricevendo in risposta un sorrisone tutto gengive che lo fece scoppiare a ridere.

Non impiegò molto per tornare dagli amici, conoscendo a menadito quei luoghi visitati per anni fin dalla prima infanzia.

Quando mostrò il risultato del suo vagabondare per i boschi ai suoi compagni, essi mostrarono sorpresa, costernazione e rabbia assieme.

Da bravo uomo di legge quale era, Peter chiese subito dove l’avesse trovata e se, con la bambina, vi fosse stato un messaggio o qualche traccia riconducibile a chi potesse averla lasciata sola nel bosco.

Richard smentì tutto e disse che, stranamente, non v’era nulla vicino alla bimba, né una copertina, né un foglietto in cui si spiegassero le ragioni di quel gesto insensato, né i segni del passaggio di esseri umani.

Un autentico mistero.

William corse subito nella sua tenda per prendere un tetra-pack di latte e, dopo essersi consultato con Peter che, tra loro, era l’unico ad avere figli, si risolsero per darlo alla bimba, sperando non le facesse male.

La bimba dimostrò ampiamente la gioia per quel dono, gorgogliando allegra dopo aver finito in pochi minuti il poco di latte che le diedero.

Richard, ridacchiando nel vederla così allegra, se ne uscì dicendo: “Dite che Mel mi odierà a morte se le dico che voglio tenerla?”

Peter rise con lui e replicò: “Attento che non te la rubi, piuttosto. Prima, però, lo sai che devo informare i servizi sociali per scoprire chi siano i suoi genitori, vero?”

Richard si adombrò in viso, come pure William e Craig, e replicò piccato: “Se l’hanno gettata in un bosco con il chiaro intento di vederla morire, visto come l’hanno lasciata sola alle intemperie, è palese che non la volevano.”

“Già, ma è giusto che paghino per quello che hanno fatto” precisò Peter, calmo. “Stai tranquillo, parlerò io con Debra, quella dei servizi sociali, e vedrai che non ci saranno problemi. Come dici tu, se anche riuscissimo a trovare i suoi genitori, dubito la vorrebbero indietro, quindi non ci saranno problemi per te e Mel. Avete tutte le carte in regola per adottare un bimbo.”

“Sai quanto ci terrebbe” insisté Richard, fissando il cognato con aria speranzosa.

Peter sospirò leggermente, prima di dire spiacente: “Già… sì, lo so. Farò tutto il possibile, Rich, davvero.”

“Grazie, Pete” sorrise Richard, prima di piegare il capo verso la bimba e asserire: “Vedrai che zio Pete sistemerà tutto, piccolina. Avrai una casa bellissima in cui tutti ti vorranno bene.”

William le fece il solletico sotto il mento, facendola ridere, e aggiunse: “E amici grandi e grossi che ti difenderanno dai cattivi.”
 
 



Il profumo che avvertii quando l’uomo si avvicinò a me, mi ispirò subito fiducia.

Odorava di buono. Non sapevo esattamente il perché fossi lì, o più semplicemente, dove fosse il lì in questione, ma percepivo che di quell’uomo dai capelli scuri e la barba appena accennata sulle guance, potevo fidarmi.

Mi sollevò tra le braccia, un bel sorriso stampato in faccia e che raggiungeva anche gli occhi nocciola, e mi coccolò gentilmente portandomi via dal giaciglio di rami in cui mi ero risvegliata.

Altri uomini dall’aria bonaria mi scrutarono con le loro facce curiose e, anche in loro, avvertii lo stesso sentore di buono.

Mi diedero del cibo, di cui io mi sfamai con ingordigia, mentre frammenti di immagini balenavano nella mia mente di neonata.

Barlumi di ricordi, flash improvvisi, lampi di luce. Tutto era confuso ma, al momento, non me ne importava.

Ero con persone buone, e ciò contava più di tutto. Almeno finché non avessi compreso ogni cosa.

Dovevo solo lasciare che il tempo progredisse, che facesse il suo corso come sempre e, come sempre, tutto si sarebbe sistemato nell’enorme scacchiera che era la mia mente, ora completamente priva di pedoni, ma desiderosa di cominciare la partita che sapevo, presto sarebbe iniziata.

********

Fatemi sapere che ne pensate, se valga la pena proseguire... grazie! :)

  
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