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Autore: Chocoisgood    08/01/2012    0 recensioni
Una vita normale, trasformata dalla semplice voglia di vivere avventure nuove.
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una giornata come tutte le altre a New York. “La Grande Mela”, “la Città dello Shopping” per me erano tutte balle: per Lara Monroe era solo “la città del dolce far niente”. Sorrisi al solo pensiero. Ero distesa su un letto vuoto ormai. Henry mi aveva appena lasciata e, quando aveva detto che si sarebbe portato tutto, intendeva proprio tutto. Aveva addirittura messo nella sua valigetta il cuscino! Adesso, ero una ventiseienne single. Era ora di farsi una nuova vita. Non avevo proprio intenzione di usare un di quei siti nei quali si dice di essere single per trovare un ragazzo. Le troie lo fanno; ed io non lo sono. Mi alzai dal morbidoso letto, lasciando un'impronta profonda del mio corpo. Solo poco dopo mi accorsi che dovevo sbrigarmi: erano già le otto e dovevo correre all'università. Mi vestì di fretta e furia con il nervosismo che mi dava alla testa. Presi l'ipod, quella borsa con tutti i libri, la bici ed iniziai a pedalare. Non volevo pensare ad altro. Veramente non avevo nulla a cui pensare. In quel preciso momento immaginavo la faccia di Miss. Penny Pemberton quando si sarebbe accorta del mio ritardo. Iniziai a ragionare: quale sarebbe stata la scusa perfetta? Provai alcune frasi: -Miss. Pemberton, mi dispiace per il ritardo, ma mia madre...- mi interruppi subito: io non avevo una madre. Era morta quando avevo appena quattro anni. Non la ricordavo bene. Da piccola mi potevo accontentare solo dei video e delle foto, ma non bastavano. Mi ero sempre sentita in colpa per la sua morte, anche se alla fine mi aveva lasciata per un grave tumore al cuore. Scesi dalla bici cercando di levarmi quei vecchi ricordi dalla mente. Attraversai quell'antico portone e corsi dritta in aula: ma con mia sorpresa non trovai nessuno. -Cosa?- sibilai stupita. In quel momento giunse Emily, una mia collega e soprattutto, la mia migliore amica. -Hey Lara, perché tanta agitazione?- -Lascia perdere Emily- le dissi scuotendo la testa. Poi ad un certo punto la fermai:-Ah Emily, sai dirmi se oggi c'è lezione?- -No, tranquilla, oggi siamo libere per fortuna- mi rispose sorridendo. Sorrisi anche io per non farle capire che era la mia giornata NO. Certe volte non riuscivo a capire la mia migliore amica, nonostante ci conoscessimo da ben dieci anni. Forse era lei che non voleva farsi capire pensai ridendo. In quel momento ero proprio in un altro mondo: niente pensieri, responsabilità, solo io ed il mio fottuto silenzio. Salutai Emily con un gesto della mano, uscì dalla grande università, saltai in sella e corsi verso casa con quel poco vento che mi scompigliava i capelli ed il sole che accarezzava la mia pelle. Varcai la soglia di casa stanca, posai le chiavi sul freddo tavolo e mi distesi sul morbido letto. Fu quel giorno che imparai a sognare. Un ragazzo mai visto prima, si avvicinò a me: non riuscivo a vedere il suo viso, solo una forma indistinta. Solo poco dopo mi accorsi di trovarmi in una foresta, così fitta che non riuscivo nemmeno a vedere la luna. All'improvviso sentì una voce:-Lara, non puoi restare qui. Devi andare via prima che sia troppo tardi.- Non riuscivo a capire niente. Io odiavo gli enigmi. E soprattutto odiavo risolverli. Perciò chiesi a quella forma:-Okay, io devo andarmene, ma fermati un attimo. Chi sei? E che cosa vuoi da me?- Feci un respiro profondo, ancora spaventata da quelle gelide parole. -Io sono Luke. E sono qui per proteggerti. Inizia a correre. Loro stanno cercando te. Loro vogliono ucciderti.- All'improvviso tutto diventò nero. Evidentemente il bel “film dell'horror” era finito. Ma mancava ancora una cosa: il perché di questo sogno. Che cosa c'entrava il ragazzo, e soprattutto chi erano Loro? Era tutto così complicato. E la mia vita era già complicata così. sfiorai le mie guance e mi accorsi di avere le mani umide: avevo pianto. Corsi in cucina per farmi una bella tisana e rilassarmi. Giravo la tazza continuamente, pensando ancora a quel stranissimo sogno.
***
Ero ancora distesa sul letto, con la pigrizia del martedì mattina, che mi portava a non pensare, che in quel momento era sicuramente la cosa migliore da fare. Decisi di non seguire il solito rituale, quindi invece di chiamare il “servizio in camera” del mio vicino, mi alzai di malavoglia convinta di potermi reggere in piedi. Quella sera non avevo dormito. Pensavo ad Henry, a quel sogno così strano e ad Emily, che mi era sempre stata vicina, anche quando non ne avevo voglia. Le dovevo molto. Anche se c'erano alcune volte che per non assillarsi con le mie lamentele, si inventava una frase ad OK e poi se ne andava, lasciandomi da sola come una di quelle coglione che non hanno nulla da perdere. Eppure ero sicura che queste tre cose avessero un collegamento, ma il punto era... quale? In bagno non facevo altro che guardarmi allo specchio, mentre le foglie dell'albero di fronte alla mia finestra continuavano a cadere. Ormai si capiva che l'estate era finita. Adesso dovevo sorbirmi questo lungo inverno. Avrei dovuto rinunciare alla bici, e prendere quella vecchia Fiat che mio padre mi aveva comprato l'estate scorsa, ma che io non avevo toccato. Era ancora chiusa in garage tra tutto quel manicomio che era depositato lì. Io e mio padre non avevamo “rapporti” molto affiatati come tra tutte le figlie con i loro padri. Io e lui eravamo simili, mi diceva sempre mia madre. Ma da quando lei era morta, i suoi sorrisi e le sue battute stupide erano sparite. Gli avevo detto più volte di farsi una vita nuova, di conoscere gente nuova e di riprendere a lavorare, visto che si era licenziato dopo la morte di mamma. Lui non voleva prestati dei soldi, ma io qualche volta gliene mandavo un po', con la paga da cameriera nel “Bar De Cola” che era sotto casa mia. Fortunatamente mi pagavano bene, così potevo pagarmi da sola la tassa dell'università. Non avevo mai chiesto a mio padre di prestarmi dei soldi. Lui mi aveva insegnato a prendermi le mie responsabilità, ed io l'avevo fatto, per tanti anni avevo aspettato questo momento, quando mi sarei potuta staccare dalla mia casa a Franklin, così piena di ricordi e di fotografie... che mi facevano stare male. L'unica cosa che mi ero portata da casa era una foto incorniciata, dove io ero con la mia famiglia, che adesso non esisteva più. Presi la borsa con i libri e scesi in garage per prendere la macchina: era ancora lucida, con quella vernice rossa e i suoi bordi bianchi. Saltai su e accesi il motore, fiera di andare all'università in un modo diverso, vivendo una vita diversa.
  
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