Una lieve
nenia danzava nell’aria, il dolce suono del flauto che
Delizia suonava con
maestria lasciando spazio alla mia danza soave. Passo dopo passo davo
vita alla
mia immaginazione muovendomi leggiadra, lasciando che la musa
immaginaria
ispirasse i miei movimenti e la mia grazia. Danzare era il mio
passatempo
quando non rimanevo incantata ad ammirare il mondo reale. Non riuscivo
mai a
capire quanto in realtà ciò che era il mio mondo
vivesse proprio accanto ad un
mondo che ai miei occhi era così surreale. Tutto era diverso
eppure allo stesso
tempo simile, dall’aspetto degli abitanti fino alla natura
che viveva nel loro
mondo. Tutto era simile eppure dissimile. Mio padre diceva sempre che
noi Ninfe
per il genere umano non eravamo altro che favole raccontate ai bambini
nell’attimo prima di prendere sonno. Eravamo creature irreali
che vivevano in
un mondo illusorio, per ora.
Quel giorno
però non era fatto per affliggermi. L’ispirazione
di Delizia era così soave che
era inutile farsi domande su domande.
Un passo dopo
l’altro mi ero avvicinata alle rive del grande lago e
lì finii la mia danza con
i piedi immersi nell’acqua bassa. Delizia finì di
suonare e compiaciuta
sollevai appena lo sguardo per complimentarmi con lei quando, in quel
preciso
momento, una lieve carezza mi sfiorò la caviglia sinistra
inducendo il mio
sguardo a tornare verso il basso.
Un volantino
galleggiava sul pelo dell’acqua. Non era la prima volta che
sulla riva
giungessero oggetti provenienti dal mondo reale, ma quel volantino era
il primo
ce avessi mai visto. Pieno di colori e d’allegria.
Lo presi fra
le mani uscendo dall’acqua e presa dalla curiosità
cominciai a leggerlo. Nel
mondo reale si sarebbe svolta una festa in maschera, come quelle che di
solito
mi ritrovavo ad ammirare dalla cima della rupe.
Era un caso
che forse quel volantino era arrivato dopo un mio desiderio inespresso
il
giorno prima, ma sapevo che semmai ne avessi fatto parola con qualcuno,
quel
qualcuno mi avrebbe negato quella piccola scappatoia dal mio mondo.
Esisteva
un'unica maniera, dovevo attraversare i confini del mio mondo fino ad
arrivare
nella realtà, e c’era un unico modo per farlo. Mi
guardai intorno. Sulla riva
non c’era nessuno ad osservare. Cominciai ad incamminarmi con
leggiadria riuscendo
a stare in equilibrio sul livello dell’acqua.
Era l’unico
modo per raggiungere quella parte di mondo.
Camminai
presa dalla curiosità passando oltre la barriera. La
città si innalzava davanti
ai miei occhi. Le mura dei palazzi con dei balconi ornati con stili
floreali se
ne stavano sontuosi a farsi ammirare dal sole, i piccoli moli al quale
le
gondole erano ancorate in modo che la corrente non li rapisse se ne
stavano
assopite e taciturne. Non vi erano turisti a chiedere che le loro cime
fossero
sciolte.
Mi avvicinai
ad una di esse accostandomi al piccolo molo, diedi una sbirciatina e mi
sedetti
sul legno accaldato. Speravo, con tutta la mia sincerità che
nessuno dei
viandanti che facevano avanti e indietro per le strade di quella
meravigliosa
città si fosse accorta di una fanciulla che se ne stava
tranquilla ad ammirare
i palazzi e ogni particolare mentre camminava semplicemente
sull’acqua. Sarebbe
stato arduo spiegare un tale avvenimento e loro lo avrebbero di sicuro
scambiato per un miracolo.
Il motivo per
cui ero lì mi passò davanti quando due donne mi
passarono davanti mentre una
mostrava all’altra una maschera talmente bella che mi venne
l’assurda voglia di
averne una.
Le seguii
lungo una stretta via piena di bancarelle con dei buffi oggetti fino a
quando
un negozio di abiti non catturò il mio interesse. Sulla
vetrina era attaccato
l’adesivo di un offerta. Davano un abito per il carnevale che
si sarebbe tenuto
in serata ad un prezzo vantaggioso con completo di maschera e ogni
ornamento, e
il vestito era veramente meraviglioso. Un abito di un rosso bordeaux
decorato
di pizzi merletti e rifiniture in oro, ma ad impreziosirlo era proprio
la
maschera, fabbricata in maniera perfetta. Essa era ricoperta con del
velluto
dello stesso colore dell’abito. Era morbida al tatto, attorno
agli occhi erano
incastonate delle piccole pepite d’oro che allungavano la
coda dell’occhio. Era
rifinita con un morbido cordoncino rosso e oro che dava un tocco di
classe
all’intera maschera. Alla coda destra era stata attaccata una
rosa su un letto
di piume con dei ciuffi che arrivavano ad aggiungere un ornamento
all’acconciatura di chiunque la indossasse.
Era talmente
perfetto che non riuscii a resistere dal chiedere loro semmai potessi
averlo,
non ero intenzionata di partecipare ad una festa in piazza, non ero
abituata a
feste come quella dove la gente si riversava in piazza.
Acquistai l’abito. Qualunque andamento della serata,
niente mi avrebbe impedito di tenere quell’abito e quella
maschera come un
ricordo. Almeno su una vita intera di favole sulla realtà
potevo tornare ad
ammirare quel vestito e sorridere pensando che in fondo quelle storie
erano
vere, che al di la della barriera Venezia si ergeva sullo stesso corso
d’acqua
che adesso, onda dopo onda si infrangeva sulla riva e bagnava i miei
piedi
mentre rimanevo lì ad ammirare la città
sull’acqua.