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Autore: Artemisia Black    26/08/2006    6 recensioni
è una storia che ho scritto di getto...un po' strana...spero vi piaccia. ps: giuro, stavolta non ho ucciso nessuno....mi raccomando! sarei molto felice se mi diceste cosa ne pensate. sinceramente! bax Misia
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cocaine

Cocaine

 

L' ho conosciuto quando avevo pressappoco diciannove anni. Lui e i suoi occhi blu tendente al verde. Mi trafissero il cranio come chiodi piantati nel muro.

La stessa violenza.

La medesima certezza.

Che era stato creato solo per me.

Aveva trentun anni.

Ezra.

Non era splendido, per farla breve non era neppure bello. Ma aveva quello sguardo infantilmente sincero che mi metteva ansia ad ogni respiro. Ricordo perfettamente il timbro della sua voce: leggero ma con una nota dolente appena percettibile nelle erre dolci e nelle v.

Soprattutto in quest'ultime.

-" hai voglia di un gelato?" -

Fatto. Sciolta come il burro dimenticato fuori dal frigorifero.

Quella nota triste nella sua voce…quella parola, voglia, così sensuale…il comparire fugace dei suoi incisivi a stringere il labbro inferiore…Dio mio! Avrei distrutto il mondo per lui. Perché pronunciasse quella parola mille altre volte.

La mia risposta fu un annuire muto.

Suonala ancora Sam!

La stessa importanza di una frase stupida al momento giusto in un film indimenticabile.

Solo che lui non era Humprey Bogart…

Cioccolato e limone. I gusti del mio cono gelato in una gelateria mobile sul lato opposto della strada davanti alla Stazione Centrale. Milano non era mai stata così bella.

Lui nemmeno, credo.

Ma in quel momento lo adoravo.

Per il modo in cui sapeva manovrare il tempo. Forse da dove veniva lui il tempo non era poi così importante da appuntarlo come una farfalla morta su un disco legato attorno al polso…Ezra veniva da qualche parte nella Foresta Nera, Germania. E di quel posto mitico ne prese i colori, sempre immersi nella penombra, anche nell'estate milanese. Ezra era tedesco…presumo lo sia tutt'ora…ma di ariano non aveva nulla. Era alto, molto alto direi, e un'andatura flessuosa, quasi incerta a volte, sospesa tra l'erotico e il timoroso. Non era un colosso, ma una struttura fasulla, del finto magro…lo si poteva capire dalle mani: agili e delicate, con i tendini ben visibili sul dorso, come sottili creature in moto sotto la pelle chiara.

Non ricordo bene se avesse avuto capelli castano scuro o neri con riflessi rossastri. Ogni volta che mi fissavo sul suo volto venivo catturata dal suo sguardo.

E dall'attesa di quelle v pronunciate tra gli incisivi irregolari.

Avrei voluto che mi toccasse…almeno una volta…almeno la mano.

Ma aveva un certo timore di me…come fossi un qualcosa di proibito, o come se fossi stata in grado di avvelenarlo con i miei miseri diciannove anni.

Parlavamo e parlavamo.

Lui e le sue v, e io che ce la mettevo tutta per non sorridere come una povera scema. Poi partì. Nessun messaggio, nessun segnale.

Partito, via, puff! Ezra lontano da me.

Ed io sola qui con me stessa ed un ricordo spinoso piantato nelle dita.

Ogni volto che incrociavo lo scrutavo inconsciamente alla ricerca del verde nei suoi occhi.

L' ho odiato per questo.

E più l'odiavo e cercavo di convincermi che non l'avrei mai più rivisto, più sentivo una bestia dilaniare col suo dorso squamoso l'interno della mia anima.

Poi un bel giorno mi svegliai con sei anni di più.

Era l'alba dei miei venticinque anni.

È un quarto di secolo!…ti dà da pensare…

Come disse Marylin in "Some like it hot".

Solo che io non ero Marylin.

E non ho mai conosciuto un sassofonista.

E nemmeno uno come Tony Curtis…

Dopo sei anni quella bestia nella mia pancia s'era assopita.
Quel giorno si svegliò, calcolatrice alla mano.

Ezra aveva trentasette anni.

Da brava dittatrice di me stessa soppressi qualsiasi moto sovversivo che dichiarava la libera fantasticheria appena dopo il risveglio. Ma quel volantino propagandistico mi rimase impresso nella mente.

Avrei voluto rivederlo.

Avrei voluto lui.

Toccare le sue mani, infilare le dita tra i suoi capelli scuri, sentire ancora quelle v, distruggermi in quegli occhi…

Poi svanì.

Passarono altri anni e conobbi mio marito.

Capelli chiarissimi quasi bianchi e occhi colore del piombo fuso.

Ogni volta che lo guardavo mi ritornava alla mente quella giornata davanti alla Stazione con Ezra.

Lo stesso cielo chiaro ovattato dall'afa e il grigio dell'asfalto.

Il dolce zuccherino del gelato sul palato ogni volta che mi baciava. Zeno era albino. Ed era chiaro come il sole del mattino.

Ezra era ombra solida. Netta, chiara e incontrastata, ma sfuggente come fumo nell'aria. Sarei crudele se affermassi di aver sposato Zeno solo per far un dispetto all'animale nella mia pancia. Era il mio vicino di casa. Non lo vedevo mai, ma lui mi disse che non mi perdeva mai di vista.

-" chi è Ezra?" -

Mi volto verso di lui. So di essere sorpresa per quella domanda. Mio marito mi guarda tranquillo, la luce dell'alba s'infrange nei suoi occhi calmi. - " chi?" - domando tanto per fare la scema. Lui si gratta il naso e deglutisce stancamente.

-" l' hai nominato stanotte" - afferma. Scivolo fuori dal letto dopo aver notato che si sta facendo tardi. Non rispondo e mi infilo in bagno. - " allora?" - la sua voce è divertita. -" è il mio nuovo amante!" - gli strillo da sotto la doccia.

Poi improvvisamente me lo vedo comparire davanti nudo come un verme, dopo che ha spalancato la porta del box doccia con una faccia falsa da cucciolo ferito.

-" Zeno…farò tardi…" - lo rimprovero. Lui non risponde. - " se avessi un'amante saresti il primo a saperlo!" - gli dico chiudendolo fuori.

Zeno è sempre stato uno spirito libero.

Mai geloso, mai possessivo. Mi segue sempre, in ogni mio viaggio. Fa il fotografo e adora vedermi tornare a casa cotta dal sole.

Esco dalla doccia e mi preparo. Lui se ne sta sdraiato a pancia in giù sul letto sfogliando una rivista. - " sbrigati…" - " chi è il cliente?" - domanda.

-" un gruppo di belga cretini sulla mezza età che non hanno altro da fare nella vita se non masturbarsi tramite qualche eccitante avventura pericolosa a seguito di una donna milanese poco attraente…" - lui comincia a ridere divertito, poi si passa la lingua sulle labbra voltandosi e coprendosi le parti intime con la rivista.

-" mi piace quando dici le parolacce…" - " Zeno…" - "sfogliami, mia dea delle montagne!" - " Zeno per favore…" - " che c'è! T'imbarazza saltare addosso a tuo marito?" - " m'imbarazza arrivare in ritardo…" - " sono solo le sette, e ci sono venti chilometri di strada praticamente sgombra che col traffico del week-end si fa in venti minuti…e l'appuntamento è alle nove…" - " cosa mi vuoi dire?" - " che ho voglia di fare le porcherie…" - " è il modo di parlare ad una donna di trentasette anni?" -

E mentre pronuncio quella frase sento la terra virare sotto i piedi…

trentasette anni…

L'età si Ezra quando ne avevo venticinque…ora lui ne ha quarantanove.

Un malessere alla gola mi ricorda il dorso tagliente della creatura dentro me che cerca di squarciarmi in due metà… e so che ce la farà…prima o poi.

Zeno si mette a sedere guardandomi perplesso. - " c'è qualcosa che non va?" - domanda. E io avrei voglia di schiaffeggiarlo per quella domanda a bruciapelo.

-" primo a poi riuscirò a farti volare accidentalmente giù da un dirupo…" - gli dico sorniona, non mi sembra il caso di fare scenette strappalacrime alle sette del mattino…pardon: sette e trenta…-" mi accontenterei di volare e basta…per esempio con te aggrovigliata addosso, possibilmente tra le lenzuola…" -

Lo adoro e lo odio quando fa così.

Raccatto i suoi pantaloni e glieli lancio addosso.

Zeno non guida mai. Lascia fare a me l'autista. E mentre guido ce la mette tutta per farmi distrarre. Dice che mi trova sexy con la cintura di sicurezza che schiaccia tra i seni. Dove inevitabilmente cerca di infilare la mano tra un tornante e l'altro. La giornata è splendida ma prevedo brutto tempo in serata , proprio come accadrà al mio umore e a quel dannato ricordo di vent'anni fa. Stiamo in silenzio mentre la radio suona Cocaine di Clapton. Ad ogni giro di volante il mio zaino rotola nel bagagliaio del pick-up. Zeno viaggia sempre con la sua Canon che ha molti più anni di lui…di seconda mano, era di suo padre, e ha gli spigoli scrostati…lasciando intravedere il dorato della ghisa come una frattura esposta.

Arriviamo al paese nel fondovalle in meno di un quarto d'ora. Parcheggio e mi infilo nell'ufficio lasciando che lui recuperi i bagagli e sistemi la sua macchina fotografica. Il lunedì mattina c'è sempre un gran via vai, soprattutto l'estate, quando le escursioni diventano una moda da sfoggiare con gli amici durante l'inverno in città. I miei passi rombano sul pavimento di pietra. Ho i piedi rigidi come quelli di un gigante di roccia…e la cosa mi fa sentire bene… annuncia il mio arrivo. Nel salottino stübe mi attendono Max e il rappresentante dei belga intenti a sorridersi come due merde di cane sul marciapiede appena cagate. Max solleva il capo, mi vede, si alza solare e mi viene incontro abbracciandomi. - " eccoti qui! Puntuale come al solito!" - esclama presentandomi al cliente che rimane perplesso scoprendomi donna. -" su su! Non faccia quella faccia! È la migliore guida alpina in circolazione!" - continua Max dando per scontata l'affermazione.

Max è un uomo strano. Gioviale, sorridente eppure sempre malinconico. Guarda le vette con amore malsano, come fossero le curve della sua amante stesa su un prato grande come il mondo. È piccolo e robusto ma instancabile. Zigzaga per i sentieri come una marmotta, come se il terreno fosse steso in piano. Quando scala ha la grazia di un capriolo e la ferocia di un rapace. Il belga - un calvo sulla cinquantina - assume un'espressione perplessa e annuncia di aver preso accordi per un nostro collega austriaco di nome Geertz.

Izi Geertz per la precisione.

Mai visto se non come puntolino nero contro il rosa dolomitico, mai sentito se non attraverso il gracchiare acidulo della cornetta. Qui il telefono non è un granché…l' ho scorto in qualche foto, bardato come ci si barda su a quattromila metri: irriconoscibile con occhialetti da sole tondi, cappello rosso e spessa sciarpa di lana blu a nascondergli il viso.

E molto, molto abile.

-" ah si…Izi…so che si è preso una pausa per dar battaglia, solo, al ghiacciaio…tornerà in settimana, non prima di giovedì…" - il tono risentito di Max mette sull'attenti il belga che si affretta a garantire che non c'entra nulla il fatto che io sia una donna. In quel momento spunta Zeno e la stanza pare illuminarsi. Ha il passo leggero e la grazia di chi sa confondersi tra la folla, anche con una zazzera chiara come la sua. Saluta cordiale e comincia a vantarsi della sia Fata delle Vette. Per inciso: io.

-" peccato non ci sia Izi…" - mi volto e lo fisso….lo ammetto, un po' male. Lui solleva le spalle, fa un gran sorriso ai presenti e se ne esce dicendo che almeno sarei stata tra le sue grinfie per una settimana intera. - " Zeno è il mio lavoro…" - lo rimprovero. Il belga si fa avanti e stringendomi la mano annuncia che siamo d'accordo per partire subito dopo pranzo.

Cosa che io trovo stupida.

In montagna si parte presto, e non con lo stomaco strapieno e il sangue avvelenato dall'alcool! Ma il cliente paga bene e io non sono nessuno per placare la sua sete di spendere…non quando le sue uscite bilanciano le mie entrate…

Usciamo. Fuori il sole illumina tutto come una cartolina a colori ritoccata al computer. - " e così alla fine c'è andato…" - afferma il mio adorabile maritino che non vede l'ora di mettermi in imbarazzo davanti agli sconosciuti…peggio se sono clienti…-" di chi stai parlando?" - domando mentre sistemo i ganci dello zaino.

-" di Geertz…" - " lo conosci?" - domando stupita. - "ci siamo fatti un paio di grappini assieme…ogni tanto…quando eri via…" - " ah!" - esclamo. Non sapevo Zeno conoscesse Geertz. Non sapevo nemmeno se ne andasse in giro a sbevazzare quando io non ci sono…-" poi saresti tu preoccupato per i miei possibili e reali amanti…" - gli dico facendo brillare la punta della piccozza sotto il sole dorato d'agosto. Zeno si mette a ridere. Smette. Mi fissa. Poi s'avvicina e mi bacia sollevandomi il volto con entrambe le mani. - " cos'è, il bacio di Giuda?" - gli domando. Lui si mette a ridere mentre fa un cenno con la mano a Max oltre la mia schiena.

Pranziamo in una locanda davanti all'unico distributore di benzina di tutta la valle. Io mi prendo un panino con speck e funghi, lui s'ingozza con una doppia porzione di gulasch.  -" guarda che non ho intenzione di rallentare il mio passo perché tu non sai frenare le tue voglie…" - lui solleva gli occhi dal piatto. Il sole accende il suo capo di una soffusa aureola. Poi continua a mangiare dopo aver sbuffato.

-" non mi hai mai detto se volevi dei figli…" -

Non so perché gli ho fatto questa domanda…non so neppure perché ho scelto questo momento…non ne abbiamo mai parlato…mai. È da più di dieci anni che lo conosco e non ne abbiamo mai parlato.

-" a volte Paula sai essere davvero crudele…"- risponde serio. E forse ha ragione.

Credo di averlo amato nell'esatto momento in cui sfoderò quell'espressione triste e affranta che ha ora sul volto.

Non gliel' ho mai detto.

Non gliel' ho mai confessato.

Taccio. Ora che ho parlato e ho gettato il sasso, ho ritratto la mano vilmente.

-" ne abbiamo già parlato… a che ora è l'appuntamento?" - cambia improvvisamente tono riaccendendosi. Rispondo meccanicamente.

Ne avevamo già parlato. Vero. Zeno non può avere figli. Vero anche questo.

E io non mi sono mai sentita una donna da figli.

Ma lui non mi ha mai detto se ne avrebbe voluti. A volte credo mi mentisse a riguardo. Penso ne soffra. E penso ne soffrirebbe ancora di più sapendo che se mai avessi un figlio questo non sarebbe suo…

A volte la scienza sa essere più crudele della morale.

-" scusami…" - dico bevendo un profondo sorso di birra scura. Posa la forchetta e solleva lo sguardo. Senza espressione. Piatto come un lago d'alta montagna.

-" Ezra ne avrebbe voluti?" -

Sento il cuore fermarsi e un formicolio bruciante partire dallo stomaco fin giù alle dita dei piedi. -" non lo so, non so nemmeno perché stanotte ho detto il suo nome…è da quando avevo diciannove anni che non lo nominavo… "-

Falso. Ma questo lui non lo sa. E non lo deve sapere.

Perché Ezra è l'amore di un ricordo.

E basta.

Zeno è l'amore della mia vita.

Albinismo, sfacciataggine e pellicola fotografica.

E so che ne è comunque, in qualche modo geloso…

-" tanto per la cronaca…il fatto che lo pronunci di notte mi irrita" -

Avanza a passi lunghi e ben distesi…

-" perché dovrebbe?" - " posso ridermela se qualche cliente ti fa un apprezzamento, sogghignare leggermente infastidito se qualcuno ti fissa al ristorante, comparire in difesa della mia burbera metà quando il benzinaio osa troppo…ma non posso evitare di sentirmi oltraggiato se qualcuno s'azzarda a comparirti in sogno" -

-" ma Zeno…non l' ho sognato! Non so…magari…oh! Insomma! Lascia perdere questa storia, la fai sembrare un dramma quando invece non significa nulla!" - cerco di giustificare.

-" sbagli…" - " Zeno! Stavo dormendo!" - lui si fa serio. E io capisco che non ho speranze di fargli abbandonare l'idea…-" quello è l'unico posto dove non posso nulla…e so che se l' hai nominato dopo così tanto tempo, in sogno mi avresti abbandonato per lui….e forse anche adesso, se comparisse da quella porta…" -

Quello che ha detto mi svuota del tutto. Non credo abbia ragione, ma resta il fatto che se Ezra comparisse qui, ora non riuscirei a mantenere vivida e chiara l'immagine di mio marito nella mia testa.

Non molto a lungo credo…

-" credo non ci sia modo per toglierti quest'idea dalla testa…basta che quando torno non mi farai il muso e mi soddisferai a dovere, altrimenti si! che mi cercherò un'amante! Possibilmente molto più giovane di te!" - dico facendo la sfrontata. Lui arriccia le labbra. - " la fai sempre franca…" - " so quali tasti pigiare…" - sogghigna. Bene. -" ti darò io qualcosa da pigiare quando…ahi!" - " te lo sei meritato…" - sibilo alzandomi dal tavolo e andando a pagare mentre lui si massaggia lo stinco offeso.

Come sempre Zeno s'accoda alla comitiva senza disturbare. Viene con noi fino a quando non comincia il ghiaccio poi se ne torna indietro. Non vuole disturbare la mia attenzione verso gli escursionisti paganti e quindi preferisce tornarsene a casa a sviluppare le sue foto, accontentandosi della mia macchina digitale sovraccarica di candide e gelide immagini quando scenderò dai picchi.

Ovviamente criticando i pixel come fossero tommyknockers, invece che innocui puntini digitali…

Questa volta si ferma la notte. Domani attaccheremo i ghiacci perenni e lui ha deciso, senza dir niente a nessuno, di infilarsi nel mio sacco a pelo e impedirmi un sonno comodo e tranquillo. I belga sono sovraeccitati ma simpatici. Accendiamo il fuoco riparandolo dal vento sotto un costone di grigia roccia modellata a conca dai soldati durante la guerra. Fa freddo. A tutti sono comparse rosse guance paffute e nasi rubicondo come ciliegie. La faccia di Zeno, candida come panna, sembra una graziosa torta con due candeline negli occhi furbi.

Sistema la Canon con mani rattrappite dal freddo, poi abbandona l'impresa scocciato e si arrotola su sé stesso abbracciandosi le ginocchia e dondolandosi sul sasso dove è seduto. Sorrido tra me e me continuando a guardarlo mentre s'imbroncia come un bambino non sapendo bene come far fronte alla situazione.

-" vieni qui accanto al fuoco!" - gli dico. I suoi occhi si fissano su di me spuntando da sopra la spessa sciarpa che tiene fin sul naso. Poi rapidamente si alza e mi si siede accanto. I belga ridono divertiti. Lui pure.

Facciamo l'amore. Chiusi nel mio sacco a pelo. Entrambi infilati nel mio maglione per tenerci al caldo mentre la tenda fischia nel vento come uno zufolo in mani esperte.

Al mattino l'aria è gelida e buona in bocca. I raggi del sole accecano rompendosi sui ghiacci. E nel minuscolo accampamento è già un fervido spentolare e parlottare belga. Zeno si stiracchia e sulla sua faccia c'è scritto a lettere cubitali che stanotte s'è fatto il capo del gruppo che per pura coincidenza è anche sua moglie.

Mi volto dall'altra parte, anche se il resto della comitiva pare non aver voglia di condividere con lui la sua gioia e con me il mio imbarazzo.

Perché ho sognato Ezra.

Di nuovo.

E per un attimo ho immaginato ci fosse lui al posto di Zeno…

Ma poi scaccio quel ricordo non appena lo vedo rotolare giù per il sentiero mentre ancora sto richiudendo la tenda e aiutando gli altri a fare altrettanto.

Mentre aspetto i belga seguo il puntolino blu scivolare rapido per i depositi morenici, fermarsi accucciato scattando foto qua e là.

Il cli-click dell'otturatore è quasi impercettibile nel vento veloce, ma lo sento come fosse accanto a me…come quando lo becco a fotografarmi mentre dormo.

Così lontano.

Così vicino.

Va via veloce Zeno.

A volte impacciato sui sassi, a volte baldanzoso salta sugli speroni di roccia con entusiasmo quasi febbrile alla ricerca di una bella inquadratura.

Poi gira dietro una lunga pendenza e scompare alla mia vista tra i cirmi scuri.

In quell'attimo rivivo il momento in cui realizzai il fatto che non lo avrei mai più rivisto.

Ezra.

L'ossessione della mia esistenza.

Nelle due notti seguenti, gelide come l'inverno, non ho fatto altro che sovrapporre gli occhi di Ezra a quelli di mio marito, obbligandomi ad un risveglio invaso dai mostri del rimorso.

La mia bestia assassina non è mai stata così attiva e in vantaggio su di me.

Il ghiaccio grigio striato di neve scricchiola sinistro sotto i ramponi affilati come lame di rasoio. Ferisco il gelo con la piccozza sperando che quel gesto si ripercuota sui miei stessi pensieri.

Su Ezra.

La terza notte quelle v mi fanno sentire brividi per tutto il corpo.

Forse non avrei dovuto accettare quest'incarico…

Forse non avrei dovuto lasciare che Zeno accendesse il mio desiderio l'altra notte…

All'alba del quinto giorno la mia radio comincia a gracchiare rumorosa come un avvoltoio, in quel silenzio assoluto che tutto avvolge sopra i quattromila metri.

Il cielo è uguale ai suoi occhi.

Agli occhi di Ezra.

E la luce del sole brilla come la zazzera di Zeno. Lì ad accusarmi dei miei pensieri.

Il belga cinquantenne calvo - oggi sfoggia un vistoso berretto di lana viola col pompon e uno stancil di Snoopy sulla fronte - mi allunga la radio. - " signora Paula, forse è urgente…" - dice. Lo squadro sorridendogli cordialmente e afferro la creaturina strillante.

-" Max! Max sei tu?" - rumori inconsulti come risposta.

Una nuvola attraversa il mio campo visivo. L'aria entra nella mia bocca gelandomi il palato. Sembra di parlare dopo tanto tempo di silenzio. - " Paula! Paula mi senti?"- strilla il capo. - "si! si Max ti sento! Che succede?" -

Non era mai successo. La radio non aveva mai gracchiato.

Serviva solo per le emergenze.

Quando me ne ricordai, l'immagine di Zeno che s'allontanava dietro i cirmi e la sensazione che provai in quel momento mi costrinse a sedermi sulla neve ghiacciata ad occhi sbarrati.

-" Zeno ha…" - " cosa! Che è successo a Zeno?! Max! MAX!" -

La mano del belga s'appoggiò docile sulla spalla. Volsi lo sguardo. Sorrideva e nei suoi occhi era chiara la paura di una valanga.

Nei miei la paura di perdere Zeno.

Se ne accorse. S'allontanò portandomi poco dopo una tazza di caffè fumante. Ringraziai col capo. Mi posò un'altra volta la mano sulla spalla e tornò dagli altri.

-"Paula! Paula sono io!" -

Era Zeno.

-" Dio mio! Hai intenzione di uccidermi con un infarto vero?" -

Dalla radio sgorgò la sua risata.

Breve. Stirata. Faticosa.

Brutto presentimento.

-" Paula mi senti?" - "si Max, ti sento…"- "Zeno ha fotografato il Picco delle Aquile…crede di aver individuato qualcuno appeso lassù…la foto non è molto chiara, ma se qualche svizzero si è avventurato senza dire niente ed ora è in pericolo…bè, ci passi vicina…ci daresti un'occhiata?" - " diamine Max! Non puoi mandarci qualcun altro? Non fraintendermi ma con i belga al carico ci impiegherò tre giorni!"-

Silenzio.

-" volevo mandarci te per poter avere Zeno come guida…la foto non è chiara ma lui ha visto bene il punto e non è proprio inesperto…" - " Zeno sei lì?" - " eccomi!" - " non ce la faccio ad arrivarci in tempo!" - " andremo io e Max ok?" - " non preoccuparti Paula! Ci aggiorniamo!" -

Quando la trasmissione si chiude la bestia nella mia pancia si sdoppia come per mitosi. -" tutto a posto signora Paula?" - fa il belga. - " tutto a posto, grazie del caffè…può chiamarmi semplicemente Paula…" - " Matze" - fa lui. - " Matze" - ripeto sorridendo.

Ho paura.

Paura per Zeno.

Paura per i sogni che faccio.

Paura di non essere all'altezza della situazione.

Tre giorni.

Tre giorni dopo siamo di nuovo al primo accampamento. La sera Zeno e Max cercano di contattarmi ma la trasmissione non resiste. Il brutto tempo percuote la mia tenda facendo da colonna sonora ai miei sentimenti.

Ezra.

Non ricordo più bene il suo volto…ma la sensazione che l'accompagnava è ancora intatta dentro me.

E alimenta l'animale squamoso.

Ho sognato le mani di Zeno diventare le sue. Le labbra chiare di mio marito aprirsi su quegli incisivi irregolari.

E le v morsicate.

E camminata strana, e mani chiare, e note dolenti nella voce.

Non vedo l'ora di riavere mio marito.

Voglio che cancelli questa cosa. Che la spazzi via.

Voglio che riempia le mie giornate completamente, come sempre.

Voglio fare l'amore con lui fino a quando il volto e il ricordo di Ezra scompariranno e diverranno divertenti ricordi per cui sentirsi imbarazzati e ottusi.

Saluto i belga che mi pagano con un sostanzioso assegno dal quale preleverò un cinque percento da destinare all'associazione. Esco dalla banca che sono ancora carica di scarponi e attrezzatura alpina. A passo veloce arrivo all'ufficio.

Zeno non c'è. Max è con lui a casa mia. Il pick-up è parcheggiato davanti all'ufficio. Guido più spinta dalla curiosità che dalla voglia di farmi una doccia.

Quando arrivo Max mi accoglie con un sorriso strano dicendomi che gli dispiace ma se ne deve proprio andare, Zeno mi dirà tutto.

Chiudo la porta, mollo lo zaino in terra e salto addosso a mio marito chiedendogli in silenzio di stringermi a sé.

Che mi è mancato.

Che ho avuto paura.

E che non ci sarà mai più nessun Ezra né nei miei né nei suoi pensieri.

Ma lui mi allontana da sé e mi dice che un collega è morto.

Si tratta di Geertz.

-" Max ed io l'abbiamo trovato ancora vivo…era stremato, una corda aveva ceduto ed era da tre giorni che lottava per rimanere aggrappato alla roccia. Aveva entrambe le braccia lussate per lo sforzo, le dita blu irrigidite dal freddo…" -

Avrei voluto dirgli che non mi interessava, che non lo conoscevo, che volevo solo sentire che lui, Zeno, era vivo. Ma silenziosamente lo incitai a proseguire.

Capro espiatorio delle mie paure…

-" non siamo riusciti a tirarlo su…aveva uno sperone di roccia piantato nell'addome…devo dirtelo Paula…quello che ci ha chiesto…" -

Gli occhi di Zeno si fanno tristi. Non posso immaginare cosa sia stato per lui. Accarezzo il suo volto mentre lo faccio sedere sul divano circondandogli le spalle con le braccia.

-" ha voluto morire lassù…ci ha chiesto di farlo cadere…quello era il posto e il momento migliore…così ha detto…di non chiamarti, non disturbarti…che io e Max eravamo le uniche due persone che avrebbe voluto lì…in quel momento…" -

La voce di Zeno si rompe.

Non voglio sentire altro.

Non voglio pensare che per un attimo ho immaginato fosse successo a lui.

Da quel momento ho deciso di cancellare Ezra dalla mia vita.

Ho ucciso la bestia squamosa nella mia pancia.

Voglio solo stringere questo uomo spaventato che si aggrappa a me pregando che non mi capiti mai una cosa del genere e che forse non avrà mai il coraggio di chiedermi di cambiare lavoro. La paura di perdermi è più profonda. E lui ama l'odore della montagna sulla mia pelle.

E quando torno a casa cotta dal sole.

Passano due giorni.

Due giorni.

Abbiamo fatto l'amore per tutto il tempo.

Leggendo e guardando le sue foto e le mie nella digitale.

Non abbiamo mai nominato Ezra.

Voglio continuare a credere che non sia mai esistito.

Il terzo giorno è dedicato ai funerali di Geertz.

Scendiamo a valle diretti verso la vecchia chiesa. S'è radunata molta gente.

Ho raccolto un frammento di granito rosa dal giardino tra le rocce di casa.

Non ti ho mai conosciuto Izi Geertz, ma di una cosa devo ringraziarti:

avermi fatto ritrovare mio marito.

Non ti ho mai conosciuto.

Ma abbiamo conosciuto le stesse vette.

Le stesse montagne.

La stessa dura e fredda roccia.

Che ora lascio accanto alla tua tomba ancora aperta.

Zeno ha una grande busta tra le mani. Che non ha ancora voluto farmi vedere.

So che contiene una foto. Vorrei vedere il volto di Izi sulla lapide ma il via vai di gente mi costringe ad allontanarmi seguendo Zeno e Max verso la locanda in piazza. Ci sediamo mentre la stessa gente che era presente in chiesa lentamente si riversa nel locale. Max estrae una busta stropicciata dal taschino della camicia e me la porge.

C'è scritto il mio nome.

-" cos'è?" - domando toccando la carta rovinata. - " era nell'armadietto di Izi…è per te…" - guardo Zeno. Ha gli occhi velati ma non ricambia la mia sorpresa.

 -" come…" - "non so Paula…" - risponde Max.

-" ho portato la foto" - aggiunge Zeno porgendogli la busta. Max afferra la busta e seguito da mio marito va verso il gruppo di persone riunito lì apposta per Izi.

Mi apposto in un angolo seguendo l'aureola di capelli chiari di Zeno farsi strada tra la folla. È Max a parlare.

-" Ezra Geertz, che noi tutti chiamavamo amichevolmente Izi…" -

Ma il resto del discorso non passa nelle mie orecchie. Abbasso gli occhi sulla busta tra le mie mani mentre un vortice di nero e silenzio inghiotte la mia anima.

È solo una coincidenza Paula.

Nient'altro.

Cerco gli occhi di mio marito.

Vorrei dirgli che è stato uno stupido a pensare qualcosa di strano, ma a metà pensiero mi sono già resa conto che Zeno non ha mai pensato male…

Probabilmente ha capito molte cose…

Molto tempo prima…

Apre la busta.

E in quella foto riconosco i capelli di Zeno alla penombra di un locale. Lo stesso locale dove siamo ora.

Sorride.

E accanto a lui quegli occhi blu verdi di un Ezra molto più vecchio.

Il volto increspato dal sole e dal vento impietoso…gli incisivi irregolari…

Le v tra le labbra sorridenti…

Improvvisamente capisco quello che Zeno mi disse due giorni fa…cosa Ezra gli aveva chiesto…detto…

E quella foto che ritrae i due uomini della mia vita…

La luce e l'ombra.

Le due bestie gemelle nella mia pancia.

Improvvisamente sento di essere furiosa con lui. Ezra. Izi.

Non mi hai mai detto nulla.

Avrei preferito non averti mai incontrato…

Avrei preferito non averti mia amato…

E mentre sento levarsi frasi confuse dal gruppo alle mie spalle, avverto la necessità di uscire da quella stanza soffocante. Le montagne…

…ho bisogno di vedere le montagne…le vette innevate.

L'aria è fresca. Respiro a fondo. Il sole s'infrange sui picchi gelati.

Il ruvido della busta nelle mani.

E l'inutilità del suo esistere a questo mondo.

È l'ultima crudeltà Ezra?

La apro.

E le mie dita stringono un fazzolettino di carta di una gelateria di Milano.

Stropicciato. Usato.

Il segno di labbra sporche di cioccolato.

Il ricordo di molto tempo prima.

Agosto, Stazione Centrale, Milano.

L' ho conosciuto quando avevo pressappoco diciannove anni…

 

 

  
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