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Autore: Isabelle Dumont    09/01/2012    1 recensioni
Qual è il pensiero, che più fra tutti, è comune agli uomini? Lasciate che qui io vesta i panni d'un uomo e che mi lasci trasportare dalla corrente dei pensieri, così che io giunga all'unica certezza umana: la morte. Vogliate prestar ascolto alla mia voce che da sfogo ai pensieri di un comune uomo. Voi che ne pensate? Basta accettare la morte per sconfiggerla?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Scivolerò nell'acqua buia senza rimpianto. Morte, arido fiume. Immemore sorella, morte, l'uguale mi farai del sogno baciandomi. Avrò il tuo passo, andrò senza lasciare impronta. Mi darai il cuore immobile d'un iddio, sarò innocente, non avrò più pensieri né bontà. Colla mente murata, cogli occhi caduti in oblio, farò da guida alla felicità.” Mi sono sempre interrogato sulla parola morte, sin dall'infanzia. Fissavo un punto del vuoto e, inesorabilmente, ogni pensiero mi portava lì, alla morte. Non sapevo bene se averne paura, se aspettarla o sfuggirle. Nel mondo degli adulti la si tanto nominava spesso, che all’inizio debbo aver pensato che fosse una cosa bella. Ora che sono diventato un uomo, credo che la morte semplicemente non sia. Né bella, né brutta. E’ nulla. Eppure a volte mi sembra che essa sia lo scopo di tutta quanta la vita: inizia nel momento stesso in cui nasciamo. Appena nati le nostre cellule iniziano a morire, lentamente. Prima una, poi due, poi tre. Poi mille, poi diecimila, poi tutte le altre. A pensarci bene non è del tutto sbagliata come cosa: l’intera esistenza è un percorso doloroso che trova pace e ristoro nella morte. Tutto ti prepara ad affrontarla e ti porta inevitabilmente ad essa, che tu sia un politico, uno spazzino, che tu sia ricco o povero, che tu sia uomo o donna, nemmeno l’età è importante, non c’è distinzione razza, di fede politica o religiosa. La morte è assoluta ed assolutamente inevitabile. Ci sono tante parole che sembrano pericolose: acido acetilsalicilico, cianuro, acido solforico, tossicità, ghigliottina, intossicazione. Eppure ce n’è una di sole cinque lettere che annulla le tutte le altre, che annienta l’intero universo, di fronte alla quale persino Dio sembra niente: ed è morte. Almeno in termini relativi: una volta che sarò morto per me nulla esisterà, né il mondo, né qualsiasi altra cosa, tutto smetterà d’essere eppure continuerà a farlo senza di me, come se non fossi mai esistito. Un’esistenza vana come quella di quasi tutti, destinati a morire senza aver concluso nulla. Ma esiste un giusto modo di morire? Ho sempre pensato a come sarei morto, da vile ho sempre sperato in una fine veloce, possibilmente indolore. Non mi auguravo certo di morire sotto un treno o precipitando dal dodicesimo piano, come tutti del resto. Avrei preferito addormentarmi e non svegliarmi più, colto nel sonno senza provare dolore alcuno. Un giorno però mi resi conto di non voler morire. No, non sono così sciocco da voler restare vivo nel senso stretto del termine, ossia nella carne, per vivo intendo immortale nella memoria. Capii che dovevo realizzare qualcosa di grande, qualcosa di utile che mi avrebbe fatto vivere per sempre. Non è vanità o semplice egocentrismo, è la paura di morire che accomuna tutti gli uomini, la consapevolezza di esistere meno di un blocco di pietra e il desiderio di lasciare un’orma indelebile nella storia, così da essere immortale e sconfiggere la morte stessa. La natura dell’uomo è egoista. Di fronte alla sua sofferenza preferirebbe sempre veder soffrire gli altri, così come quando la morte insipida colpisce al momento più inaspettato e spesso rapisce chi amiamo, nell’intimo del nostro infimo cuore siamo lieti che questa non abbia colpito noi.
  
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