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Autore: A g n e    09/01/2012    2 recensioni
Come al solito, non ero sicura di inserirlo nella sezione 'storica', ma tant'è.
Questa storia è stata scritta in risposta alla richiesta di una 'educatore/genitore degli educandi' ambientata nell'atica Grecia o nell'antica Roma.
Io ho scelto la Roma post Giulio Cesare ed è uscita questa cosa.
Rating solo per sicurezza. Enjoy.
- Oh, quei due sono dei veri indisciplinati, molto più propensi ad imitare le gloriose imprese del padre adottivo che ad applicarsi nello studio della filosofia… ma conto di sopravvivere. In fondo, amicus Plato sed magis amica veritas, e se per loro l’unica realtà è farsi massacrare nei campi di battaglia…
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Che parto signori miei che parto.

Dunque, la prima cosa che dovete sapere di questa storia è che è il mio primo tentativo di lime. Sofferti betaggi da parte di questa adorabile creatura e della mia migliore amica portarono la storia dall'improbabile che era all'accettabile che è adesso. Quindi festa \0/

Poi. Doctum doces significa 'insegni a chi sa già'. Voi leggetevi la storia e ne darete una vostra interpretazione. Poi, forse, se mi va, vi dirò la mia. 

Questa è tutta per la sadica creatura che mi chiese 'Originale di ambientazione storica, ti lascio libertà se greca o romana, in cui X sia l'educatore dei figli di Y'.


 
Doctum doces

Il liberto entrò nella stanza lentamente, senza fare rumore, e si fermò accanto alla grande anfora nell’angolo, in una muta richiesta di attenzione.
Caio Marco alzò appena la testa, interruppe la lettura del documento appena arrivato dall’Oriente e rivolse al liberto uno sguardo interrogativo.

- Il maestro vorrebbe parlarti, Caio Marco.

L’altro tamburellò con le dita sul tavolo. Che volesse davvero…? No, probabilmente i ragazzi non avevano eseguito i loro compiti… eppure aveva chiesto esplicitamente al liberto di seguirli almeno in questo.

- Fallo pure venire, Luca. - concesse, con un sospiro.

Il giovane fece un cenno con la testa e uscì, per poi tornare in compagnia del precettore.

- Ave, Caio Marco! - salutò, col tono leggero di chi motteggia un superiore per la posizione che occupa. - Spero di non disturbarti.

Marco congedò il liberto e tornò a concentrarsi sul nuovo venuto.

- Salve, Andrea. Nessun problema con i ragazzi, mi auguro.

Il sorriso del precettore si allargò impercettibilmente.

- Oh, quei due sono dei veri indisciplinati, molto più propensi ad imitare le gloriose imprese del padre adottivo che ad applicarsi nello studio della filosofia… ma conto di sopravvivere. In fondo, amicus Plato sed magis amica veritas, e se per loro l’unica realtà è farsi massacrare nei campi di battaglia…

Sul volto di Caio Marco si dipinse un ghigno.

- Devo prenderla come una critica al mio operato in guerra? In fondo, non faccio che obbedire a Cesare Augusto…
- Oh, no, affatto, mio Miles Gloriosus.

Il generale tentò con scarsi risultati di mascherare quanto più possibile l’aria divertita; diede qualche colpetto di tosse e chiese:

- Di cosa volevi parlarmi, dunque? Qualche problema con qualcuno di casa? Luca ha combinato qualche pasticcio?
- Quando la finiremo, Marco?

L’altro non rispose subito. Si produsse nella migliore imitazione possibile di un’espressione sorpresa, che tuttavia non riuscì ad ingannare il precettore. Maledetta esperienza.

- Non capisco cosa vuoi dire. - provò comunque. Magari…
- Lo capisci benissimo. - replicò Andrea con tono duro. Ecco, appunto.
- No, non capisco. - insistette Marco, appena più irritato.

Il maestro sospirò e si accomodò su uno sgabello.

- Marco, non sono stupido. - esordì. – Credi non mi sia accorto di come mi guardi, di come mi parli? Non dirmi che è un caso: non sei sposato… Non interrompermi! - disse veloce, vedendo che l’altro stava già per replicare. - Non dirmi che sei giovane, stai per passare la quarantina; e non dirmi che sei misogino, perché anche le donne ti apprezzano per quello che fai per l’urbe. Non puoi nemmeno dirmi che non vuoi legami, perché quando i figli di tua sorella Livia sono rimasti orfani tu li hai accolti e amati come un padre. Quando finirai di mentirmi?

Marco distolse lo sguardo; l’ultima cosa che desiderava era assumere un’aria colpevole.

- Marco. - lo chiamò il maestro, esasperato.
- Cosa dovrei dirti, Andrea? Cosa?
- Non dirmi che mi ami. L’amore è un sentimento ampiamente sottovalutato, al giorno d’oggi. Dimmi che mi desideri. Ammettilo a te stesso.

Il generale giocherellò con lo stilo e non rispose. Andrea aveva ragione, lo sapeva, ma tra saperlo e ammetterlo esisteva un abisso profondo che Marco non aveva assolutamente voglia di valicare.

- Andrea… - tentò, ma si interruppe quasi subito. Rem tene, verba sequentur, avrebbe detto il precettore, ma la res scarseggiava, al momento.

Continuò a tenere gli occhi fissi alla lettera, così non vide la mano di Andrea che sollevò piano il suo mento; il maestro sorrideva, e nel suo sguardo non c’era scherno o astio quando si chinò sulle sue labbra.

Marco non si scostò né provò ad allontanare il precettore, ringraziando in cuor suo gli dèi che un altro avesse deciso per lui. Si sentì incredibilmente codardo, al pensiero, e pregò che Cesare non venisse mai a conoscenza della sua incapacità decisionale.

Socchiuse le labbra, permettendo ad Andrea di affondare nella sua bocca, e iniziò ad accarezzarlo sopra le vesti leggere dell’estate. Il bacio cambiò ritmo, facendosi più esigente; Marco si alzò in piedi e lo spinse nemmeno troppo gentilmente contro il muro, stringendolo a sé. Andrea ansimò, e un gemito si perse nella bocca del generale quando lui gli allacciò le braccia ai fianchi e spinse il bacino contro il suo, in una richiesta fin troppo esplicita per chi, appena un attimo prima, si era persino rifiutato di ammettere una qualsivoglia attrazione.

- Dillo… dillo, ora. - sfiatò Andrea, scostandosi quel poco che gli permise di far risalire l’orlo della veste di Marco sopra la vita.

Il generale si morse un labbro, aggrappandosi alla tunica del precettore. Poi, nel respiro affannato dell’abbraccio, sussurrò: - Ti voglio.

Si lasciarono cadere sul tappeto, senza più parlare, senza più altri dubbi. Marco si abbandonò alle mani di Andrea, che scivolarono lente e pesanti sui suoi fianchi, e si spinse contro di lui in movimenti che vennero naturali, come se stessero aspettando da sempre quel momento.
Sussultò quando Andrea entrò in lui, ma non si ritrasse, lasciando che si spingesse sempre più a fondo; lasciò svanire tutte le incertezze, conscio finalmente del fatto che, stretto in quell’abbraccio, possedeva tutto ciò di cui aveva bisogno.
Ogni problema poteva attendere almeno l’indomani.

   
 
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