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Autore: _emanuela    10/01/2012    1 recensioni
Questa one shot è stata scritta per un contest letterario. Purtroppo è stata scritta in fretta e furia dato che mi sono ridotta a finirla un'ora prima della scadenza prefissata.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Inizialmente volevo chiamarla "Le spine del cuore", ma dato che questa one shot è stata scritta per un contest che è scaduto alla mezzanotte del 10-01 e che ho finito di scrivere un'ora prima della scadenza prefissata, ho buttato giù un titolo a caso, tanto questo racconto fa già pena di suo, non sarà di certo il titolo a rovinarlo.


Legenda
Grassetto= parlato
Corsivo= pensato
Normale= narrato


Un destino segnato

Si era sempre chiesta perché le persone erano così meschine e masochiste. Senza accorgersene, ‎amavano ‎il ‎dolore.
Fu definita pazza se non addirittura figlia del diavolo. Una bambina, un’adolescente che alla vista ‎di ‎una ‎violenza o al suono del pianto di un bambino, voltava le spalle indifferente. Mai una lacrima ha ‎solcato il ‎suo ‎viso.
Nessuno osava avvicinarsi a lei. La consideravano come un mostro che divorava tutto ciò che poteva.
La gente prende conclusioni affrettate, esprimono le loro opinioni su questioni che non li sfiorano. ‎Era ‎questo ‎che ogni singolo giorno scriveva sul suo diario strappato e vecchio. Voleva dare una ‎giustificazione ‎al velo di ‎solitudine che la avvolgeva.
La bambina spaventata, crebbe in un adolescente rassegnata.
Tagliò i suoi lunghi capelli biondi, per lei era un segno di ribellione, un distacco dall’innocenza.
Forse era lei che amava essere sola. Ogni volta che qualcuno tentava di parlarle, lei taceva ‎e ‎indifferente, ‎continuava a vivere la sua vita.
Solo una persona era così ostinata da non voler mollare. Un giovane che aveva qualche anno più di ‎lei. ‎Si ‎chiamava Erik.
Dopo innumerevoli tentativi falliti, il ragazzo decise di lasciar stare, tutto ciò che aveva fatto era stato ‎inutile.
Passarono due anni ed Erik si era ormai diplomato, mentre Anne proprio quel giorno doveva ‎affrontare ‎l'esame ‎orale di maturità.
Non prese il pieno dei voti ma andò molto bene, le sue esposizioni erano chiare e molto dettagliate.
Come suo solito, non mostrò nessun sorriso in segno di gioia, ma era sollevata perché era riuscita ‎a ‎diplomarsi.
Pochi giorni dopo si decise ad uscire dalla sua gabbia. Doveva vivere e per farlo doveva trovarsi un lavoro.
Fuori la porta dell'abitazione la stava aspettando Erik che voleva complimentarsi con lei. La ‎ricordava ‎ben ‎diversa.
‎- Complimenti per esserti diplomata. - disse per poi abbracciarla. Non l'aveva mai fatto prima per ‎rispetto ‎nei ‎confronti della ragazza, ma questa volta era diverso, erano cresciuti e in lei vedeva una ‎persona ‎cara, ‎conosciuta da sempre. Nemmeno lui riusciva a spiegarsi questo sentimento, ma non si pose ‎troppi ‎problemi.
Anne provò una strana sensazione che non aveva mai provato. Non aveva mai ricevuto un abbraccio ‎così ‎sincero. ‎La madre morì alla sua nascita mentre il padre era un alcolizzato che finì in prigione per ‎violenza su ‎minore ‎durante la gravidanza della fidanzata. Fu affidata alla nonna da parte di madre, ma ‎questa morì ‎quando Anne ‎aveva quattro anni a causa di un infarto, e così Anne fu messa in un ‎orfanotrofio e all'età di ‎diciotto anni fu ‎trasferita in una casa famiglia.
‎- Grazie - non riuscì a dire altro.
Erik si offrì di aiutarla e le fece compagnia in quella che fu una lunga e silenziosa passeggiata.
Il sole tramontò e Anne non era riuscita a trovare un lavoro. Tornò in casa famiglia e ‎salutò ‎Erik, ‎ringraziandolo per non essere scortese.
Doveva sbrigarsi e mettere qualche spicciolo da parte per affittare un appartamento, la casa ‎famiglia ‎non ‎l'avrebbe potuta tenere ancora per molto.
Si alzò presto quella mattina, erano le 6:30 circa. Fece un bagno caldo e velocemente indossò ‎un ‎maglione ‎arancione, un jeans e delle scarpe sportive un po’ rovinate. Non fece colazione, il tempo ‎sembrava ‎passare ‎troppo in fretta e Anne doveva stare ai ritmi. Dopo un breve tragitto, si fermò davanti ‎ad un bar, ‎controllò nelle ‎tasche del jeans, aveva soltanto un euro. Entrò nel bar e vide molti uomini ‎leggere il giornale, ‎mentre altri ‎bevevano un caffè e chiacchieravano con gli amici. Ordinò un caffè amaro, ‎lo bevve e si affrettò ‎a pagare. ‎Stava per andarsene quando sentì urlare il suo nome. Si voltò in direzione ‎dell'urlo e vide Erik. In ‎quell'istante ‎avrebbe voluto sorridere, ma nel suo inconscio regnava la paura di ‎essere abbandonata da una ‎persona a lei ‎cara. L'assenza della madre, il rifiuto del padre e la morte della ‎nonna materna, non avevano ‎aiutato la psiche ‎di Anne nella sua infanzia. Si limitò a salutarlo e poi se ne ‎andò.
Un altro giorno che non aveva dato frutti, Anne non era riuscita a trovare ciò che cercava, ma ‎avendo ‎deciso ‎che doveva lavorare, ogni giorno si svegliava e andava in cerca di lavoro ed ogni giorno di ‎fermava ‎davanti a ‎quel bar per vedere Erik. Non riusciva a spiegarsi il motivo di quel suo folle gesto, se ‎non voleva ‎star male ‎perché recarsi ogni giorno davanti al solito bar solo per guardare quel ragazzo, ‎perché era ‎un’ossessione? Non ‎volle soffermarsi troppo sui suoi dubbi e li represse come ogni ‎sentimento che doveva ‎provare.
Passarono svariate settimane e il diciannove dicembre, Anne non vedendo Erik da un paio di ‎giorni, ‎domandò ‎agli amici del ragazzo dove fosse. Si recò in ospedale e quando vide Erik privo di sensi, ‎fu ‎pervasa da un ‎turbinio di emozioni. Era confusa, spaventata, aveva paura che quella storia non avesse ‎un ‎lieto fine. Cercò di ‎restare calma, di nascondere quel suo stato emotivo come aveva sempre fatto, ma ‎non ci ‎riuscì.
Andò vicino alla macchinetta delle bevande e prese una bottiglina d'acqua che costava ‎quaranta ‎centesimi. ‎Doveva stare attenta a ogni spicciolo che spendeva.
Fece dei piccoli sorsi, le sue mani tremavano. Non avevo più il controllo fisico e mentale.
Si sedette e portò una mano sulla fronte, sudava freddo. Perché tanta sofferenza per un ‎semplice ‎svenimento?
Doveva andarsene da quel posto, doveva vivere la sua vita come aveva sempre fatto. ‎Nessun ‎sentimento, ‎nessun dolore.
Il giorno successivo a quell'episodio, Anne nonostante la forte confusione, riuscì a trovare un ‎lavoro ‎come ‎commessa. Era un lavoro part-time che la teneva impegnata solo la mattina e qualche giorno ‎il ‎pomeriggio.
Un paio di mesi dopo, Anne continuava a lavorare e un pomeriggio come tanti altri, mentre rientrava ‎in ‎casa ‎famiglia, incontrò Erik per la strada. La salutò e Anne era come paralizzata. Solo qualche minuto ‎dopo ‎riuscì a ‎pronunciare il nome del ragazzo, balbettando. Gli chiese come stesse e le parole che udì, non ‎le ‎piacquero per ‎niente. Erik aveva un cancro e non sapeva cosa gli sarebbe successo.
Era destino che chiunque si affezionasse a lei, morisse?‎
‎- Non c’è da preoccuparsi, sto facendo una chemioterapia. I medici l’hanno chiamata ‎chemioterapia ‎antineoplastica, mi hanno spiegato che evita la crescita di cellule neoplastiche resistenti ai ‎farmaci. ‎Purtroppo nel mio corpo c’è già stato un accumulo di cellule neoplastiche resistenti ai farmaci, ma ‎i medici ‎sperano che con il tempo queste cellule possano indebolirsi e i medicinali fare effetto ‎eliminandole e ‎preservando la salute di quelle sane. – spiegò Erik per rasserenare Anne.‎
‎- D’accordo. Ti va di fare una passeggiata? – chiese per evitare quell’argomento che tanto odiava.‎
I due iniziarono a chiacchierare, e tra una chiacchiera e l’altra si fece sera. Anne dovette tornare in ‎casa ‎famiglia, mentre Erik in ospedale. Decisero di rivedersi il giorno successivo e così fu. Iniziarono a ‎diventare ‎numerosi incontri che per qualche ora, distaccavano i due giovani dai problemi che dovevano ‎affrontare.‎
Passarono diverse settimane e in quell’asso di tempo Anne capì cosa significasse “essere felice”. Il ‎suo ‎volto che una volta era inespressivo, ora mostrava un bellissimo sorriso.‎
‎-‎ Come ci sei riuscito? –‎
‎-‎ Riuscito a fare cosa? –‎
‎-‎ A farmi vivere. –‎
‎-‎ Io non ho fatto nulla. –‎

Ora ne era sicura. Erik era la sua famiglia, era tutto ciò che aveva sempre cercato.
12 settembre, data del compleanno di Erik. Anne organizzò una piccola festicciola nel suo appartamento che aveva affittato tre mesi prima grazie al suo lavoro da commessa che la vide impegnata anche nelle vacanze estive. Era tutto pronto quella sera, dai primi piatti alle decorazioni, mancava solo Erik. La ventiduenne, conoscendo alla perfezione il ragazzo, non si preoccupò del ritardo finché quella festicciola non divenne una serata in piena solitudine. Non si arrabbiò, non era da Erik scaricarla in quel modo senza nemmeno avvisarla. Provò a chiamarlo diverse volte, ma scattava la segreteria. Si recò in ospedale, dato che non aveva un auto, ci impiegò un po' ad arrivare. Chiese alle infermiere e ai medici di Erik Presley. La risposta fu sempre la stessa: "è in coma, mi dispiace".
La sua paura divenne realtà. Stava per perdere l'unica persona che aveva amato in quella vita.
Passò un giorno, due, tre. Le speranze stavano svanendo.
Fin da piccola vedevo l’amore come un gioco per gli adulti che si divertivano a soffrire.‎ Ora so che questo è vero, ma sono anche consapevole che nessuna persona può reprimere il suo "io interiore" per sempre.
- Non voglio che muoia, se c'è solo un modo per farlo vivere, per salvarlo, sono pronta a sacrificare la mia anima - pregò. Non era cattolica, ma la preghiera fu l'unica cosa che rimanesse da fare, l'unica cosa che assecondasse la sua disperazione.
Ali del demonio spuntarono sulle sue spalle. Avrebbe offerto la sua anima al diavolo.
Una mano accarezzò il viso di Erik. Il suo gelido e robusto corpo, i suoi folti capelli neri come la pece, il suo calore umano. Non rimase niente di lui. Ora era un mostro, un essere disumano. Avrebbe preferito morire piuttosto che essere ciò che era diventato.
I due giovani ragazzi finirono in un luogo desolato, in un luogo dimenticato da Dio. Dovevano scontare il loro patto, la loro punizione per essersi ribellati al Dio. Non potevano far nulla. Inginocchiati in segno di arresa. L'unico conforto erano loro stessi.
- Mi dispiace - sul suo volto deflorò una lacrima.
- Cosa faremo ora? - chiese poggiando la testa sulla spalla di Anne per avere un contatto umano.
- Resteremo qui, per sempre -
  
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