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Autore: ShaekyLoSciacallo    10/01/2012    0 recensioni
“Come sei caduto dal cielo, o stella mattutina, figliuol dell’aurora? come sei stato reciso e abbattuto in terra? come sei caduto…?” Isaia (14, 12)
Genere: Slice of life, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“O somma Luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, alla mia mente
ripresta un poco di quel che parevi;
e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol della tua gloria
possa lasciare alla futura gente:
ché per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si concepirà di tua vittoria.”

Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso XXXIII Canto, 67° verso

 
 “Come sei caduto dal cielo, o stella mattutina, figliuol dell’aurora? come sei stato reciso e abbattuto in terra? come sei caduto…?” Isaia (14, 12)

 
 
Gli occhi, al di sotto dell’alta fronte, osservano con crescente meraviglia lo spettacolo che li è posto innanzi. Il crepuscolo è da poco giunto.
Gli occhi si trovano davanti un basso mare di nuvole rosee, gialle, accese. Lentamente la luce cala, e mentre diminuisce un'altra sembra aumentare in quegli occhi. Un guizzo, uno sguardo verso il basso. Uno spazio vuoto: il mare di nuvole sembra finire in uno strapiombo sul nulla. L’aria calda della sera è densa, sembra essere fatta apposta per essere spezzata.
Le palpebre cadono, gli occhi scompaiono. Il corpo, lentamente poi sembra più velocemente, si lascia andare con un sospiro. Si inclina e cade nel vuoto fendendo l’aria immobile con un dolce sibilo. Entra in una nuvola e ne esce come un sasso. Un sorriso si allarga; il sole rosso spunta per pochi altri istanti e poi scompare dietro l’immensa cresta di montagne inviolate, un improvviso calo di luce: oscurità. Gli occhi si aprono, finalmente, e con essi le ali. Con uno schiocco quattro metri di bianche ali piumate fanno la loro comparsa. Un improvvisa ripresa di quota sembra risvegliare dall’immobilità ogni fibra di quel corpo apparentemente privo di vita. Le gambe si uniscono, i piedi bianchi si drizzano, accostandosi. Le braccia lunghe e muscolose si affiancano al corpo, i palmi rivolti verso l’alto. La schiena si raddrizza, ogni vertebra perfettamente accodata all’altra; il cranio leggermente spostato verso l’alto, il viso che guarda dritto davanti a sé. Il naso che inspira avidamente l’aria più prossima. E giù, nuovamente, in una veloce planata. Una virata a destra, sfiorando una nuvola con un piede. Con due possenti battiti d’ali la figura si capovolge e torna in assetto, sopra al livello delle nuvole. Un lento e cadenzato battito lo porta presto lontano, che già le prime stelle si mostrano.
Il vento soffia ora più forte e freddo i lunghi capelli bruni iniziano a sbattere sul collo. Un altro mezzo sorriso. Una figura esile si avvicina in volo e in breve è a portata di voce. « Una serata niente male per volare, Portatore, non trovi?» chiede la nuova arrivata, gli occhi le tremano dalla gioia. I capelli biondi svolazzano. «Puoi dirlo, Chirurgo, fredda abbastanza» sorride. Una mezza risata esce dalle morbide labbra di lei: « Ah, sì. Dimenticavo che a te piace il freddo. Che tipo!». Tocca a lui ridere questa volta. Gli occhi azzurri di lei lo scrutano con una insolita acutezza: «Forse è per questo che sei il Suo preferito» sorride «Beh, non pagherei un tale prezzo per essere io, la Sua preferita». Lui si finge offeso:« Curioso, potrei dire la stessa cosa…Non desidererei essere strambo quanto te, per avere la tua stessa bellezza. Sempre contando che non sei affatto stramba…» L’offesa fa ridere Chirurgo che si scaglia su Portatore. Perdono velocemente quota, cercando di ghermirsi a vicenda, ridendo. In breve Chirurgo si ritrova in piedi sulla schiena del suo avversario con le ali chiuse. «Non sei mai stato forte nei combattimenti, Portatore». Lui sorride:«A cosa mi sarebbe servito, conoscendo amici così incredibilmente virili?!» Lei pesta i piedi sulla sua schiena, orgogliosamente furiosa, facendolo tossire. Lei guarda verso il basso scotendo la testa e sorridendo. La terra è ancora lontana, ma in rapido avvicinamento. Riapre le ali con uno schiocco, riprendendo quota. Lui la segue a ruota. «Stasera? Ci sarà anche lui?» Lei lo osserva un istante prima di rispondere riassettandosi i capelli scarmigliati:« No, è ancora molto occupato. Sempre di più in questi ultimi tempi.» «Hai idea di cosa stia facendo?» «Più o meno, sai com’è…Deve sempre dirlo a qualcuno.» Lui ridacchia. «Che tipo!». «E’ un grande, sai? Non hai idea di cosa stia facendo!» «Ma che vuole, mi chiedo? Perché non si ferma, perché non la smette?» Lei scrolla le spalle. «Non saprei…» sorride « ma tanto…Si fa come Michele, o?» « “Fidarsi! E’ l’unica!”» Scimmiotta lui, in una perfetta imitazione del gigante. Lei ride: « Esatto.» «Non porsi domande rende felici, d’altronde, o almeno…Michele di certo lo è.» «Sembra esserlo, volevi dire.» dice lei con occhi troppo seri per essere presi alla leggiera. Lui la scruta: «Parli sul serio?» «Beh, insomma…No, fa nulla. Non iniziamo un discorso del genere ora.» Guarda davanti a sé. «Siamo arrivati, ormai.» Anche lui scruta davanti a sé.
Colossale è la struttura verso la quale stanno volando. Sembra una città, costruita a formare un'unica torre. Miliardi di formazioni rocciose di varie forme, dimensioni, colori e consistenze si alternano formando mura e torri, grotte e archi. La base è nascosta dalle nuvole, la sommità non si vede, per quanto è concesso di vedere agli occhi degli angeli. Per sorvolarla da parte a parte orrizontalmente ci si impiegano giorni passando attraverso i fori nella gigantesca costruzione. Volare al di sopra di essa è impossibile a causa della sua altezza apparentemente infinita. La Roccia, è chiamata e il popolo celeste ne utilizza gli spazi a suo piacimento e voglia, secondo i tempi che più li aggrada.
Il tutto venne creato in tre giorni dai Primi, ma in particolare da Gabriele, Michele e Raffaele. Ai tempi in cui i primi angeli imparavano maldestramente a volare, iniziando a solcare i cieli infiniti, tutto era nuovo e pieno di vita. Egli era molto occupato e si dice che tanto creò da creare anche dove non ve ne era bisogno tanto che una piccola pietruzza finì nelle mani di Raffaele che, stupito, la portò ai suoi due amici. Riuniti, i tre, erano così colpiti da quel minuscolo essere così diverso da loro che, mossi da pietà, desiderarono per essa una vita come la loro. Egli se ne accorse e diede ai tre la facoltà di creare, li fece divini. Per tre giorni i tre si prodigarono al fine di fare alla pietra tutto il bene che le potevano augurare, ma inutilmente. Il sasso cresceva, mutava forma, colore e consistenza, ma rimaneva sempre ostinatamente un sasso. Il terzo giorno, quando i tre interruppero i tentativi esausti e con le guance livide dalla rabbia e dalla vergogna osservarono con stupore ciò che avevano creato non volendo. Dietro di loro sorrideva e applaudiva Lui, beandosi del loro felice e ingenuo stupore. «Come è possibile, Maestro?» «Cosa mancava?» Egli sorrise. «Tanto avete creato e non siete ancora felici?» «Non era ciò che volevamo» «Tutto questo, se pur, splendido, è in fondo solo un sasso!» Fece Gabriele additando all’enorme opera alle sue spalle. «Cosa volevate?» «Che diventasse, almeno un po’, più simile a noi.» «Dunque perché non lo avete fatto? Perché non gli avete dato quello che voi e lui desideravate?» I tre lo guardarono, non capendo. Il vecchio sorrise:«Vi sopravvalutate, amici miei, questo è il fatto. Ma capirete.» E sorridendo si allontanò, lasciando i tre più confusi che mai.
Così la Roccia fu creata, e il popolo celeste ci abitò da allora, ma mai amò quei luoghi. Gli enormi saloni restarono sempre spogli. Perché ogni qual volta gli occhi di un Angelo si poggiavano sul Palazzo una domanda tornava ad invadere le loro menti:«Cosa mancava?»
 
 

PARADISE LOST

 
 
 
Le labbra increspate in disappunto si sciolgono:«Egli ha detto che non sei più tenuta a stare qui.» Raffaele la osserva voltarsi verso di lui. Il suo volto è spento, gli occhi azzurri, solitamente vivacissimi, sono appannati; non capisce. «E dove dovrei andare?» «Torna da lui. Egli ha detto che non devi stare qui. Lui ha bisogno di te.» Ester scuote il capo. Un lampo negli occhi di Raffaele e il viso di lei si schiarisce. Batte qualche volta le palpebre e con una voce del tutto diversa chiede, stupita:«Egli mi lascia andare?!» Raffaele annuisce. Lei fa qualche passo all’indietro, perdendo leggermente l’equilibrio. Si gira, apre le ali e si avvicina alla soglia. Si volta indietro per l’ultima volta:«A mai più, amico mio». Si lancia nel vuoto e con qualche veloce battito si allontana. Raffaele scuote il capo affranto, «Addio» sussurra. Non sono solo i suoi occhi che dalla Roccia la osservano allontanarsi tristi, incapaci di fermarla e di capire pienamente la volontà che li ha allontanati da loro. Gli occhi della stessa Volontà, più in alto di una decina di metri, in una stanza che si affaccia sul mare di nuvole, osservano l’esile figura allontanarsi. Appaiono lucidi, ma battono velocemente, e presto si voltano. La figura d’anziano percorre qualche metro allontanandosi dal seggio poco distante dallo strapiombo sul quale era coricato. Michele è seduto su una rientranza poco distante, Gabriele è in piedi accanto a lui. Il vecchio li guarda. «Tornerà?» chiede Michele. Il vecchio non risponde. Un mezzo, triste, sorriso. «Avete del lavoro da fare, andate.» I due annuiscono e sia allontanano.
 
Lei vola. Il vento le urla nelle orecchie. Le lacrime le rigano le guance. Lui gli ha annebbiato la mente per costringerla a tornare a casa. Le sta tornando tutto in mente, ora. “Lo sto facendo per te” aveva detto lui, era l’ultima cosa che ricorda: “per Amore. Non c’è gioia se segui me”. Dunque non sono abbastanza saggia da decidere da sola cosa fare? Devo essere guidata nei miei passi, come uno stupido essere umano? Non ho la possibilità di scegliere da sola cosa seguire, anche se quel qualcosa fosse qualcosa di sbagliato? Non è esattamente come ha fatto lui? Lui fa quel che gli pare, mi sta bene. Ma io voglio seguire lui, e così faro. Nell’infelicità? Può darsi, ma così farò ugualmente. Seguirò lui. Questo è Amore.
Ma Egli?! Perché mi ha lasciata andare? Perché mi ha snebbiato la mente? Mi odia talmente? Non può essere. Penso fami talmente tanto Lui da permettermi da tornare al suo fianco. Lo deve amare sul serio, allora. Lei scuote la testa. Vecchio, amato, pazzo. Ride amaramente, una risata nata da un vecchio ricordo.
Nel frattempo vola, e man mano che si allontana da casa il suo corpo muta. I capelli le si arrossiscono, così come gli occhi, i fianchi le si affusolano, gli zigomi si alzano, la ali si inscuriscono. Splendida, più del normale, appare, nella luce morente. “Dovrei esserci” pensa, e inizia a lasciarsi cullare dalle correnti ascensionali, planando.
In basso, in una radura tra gli altissimi alberi vede ormai gli altri. Chi in gruppo chi solo, ognuno impegnato nella preparazione della battaglia dell’indomani. Un folto gruppo si affolla attorno a Gregorio che, stanco ma felice, risponde alle innumerevoli domande che gli vengono poste. Con cosa si può affilare il legno, come si possono utilizzare le pietre, cosa si può usare come cinghie per i neonati scudi.
Lei atterra, molti la osservano stupiti, ma nessuno le rivolge la parola. Lei cammina veloce, verso la sommità della collina, è sicura di trovarlo lì. Pilar la vede. Seduto su un ceppo d’albero è intento a indurire la punta di una lancia sul fuoco. Per un istante la bocca gli si spalanca dallo stupore. «Tu, qui? Ti ha lasciata andare? Come è…» Lei non lo ascolta, continua a camminare veloce finché non lo vede, solo. Seduto, con la schiena poggiata ad un masso. I segni sul volto sono ancora freschi. Tre tagli paralleli che gli squarciano il volto dalla fronte alla guancia destra. Non alza lo sguardo mentre lei si avvicina, né quando si ferma, a meno di un metro da lui.«Mi hai stregata?!» Lui non dice nulla. «Non capivo nulla! Non mi ricordavo niente! Era come se non fosse accaduto nulla! Come mi vergogno, quanto sono stata sciocca!» Lei sospira rabbiosamente mettendosi una mano tra i capelli. Restano in silenzio finché Lucifero non parla:«Ti avevo fatto solo dimenticare…» Ester lo osserva, scioccata. «E lui ti ha disincantata, vero?» «Si, Raffaele mi ha…» Lui la interrompe bruscamente:«Ci odia proprio così tanto? Non poteva lasciare te, almeno?! Volevo regalarti una vita lontana da tutto questo, dal dolore, dall’esilio…E presto si farà ancora più buio.» Le labbra di lei fremono per l’indignazione:«Tu volevi regalarmi una vita?!» Scuote il capo, arrabbiata, il sangue le arrossisce in un momento le guance. «No, o potente ed eterno Lucifero» ribatte ironicamente «Non hai ancora questo potere. Non mi hai ancora tolto la libertà di scegliere, temo. Ho ancora l’opportunità di decidere da me quel che voglio fare e da che parte schierarmi. E sceglierò la tua, ovviamente, perché ti voglio restare affianco. Ed egli questo lo sa, su questo ti batte, ancora.» Lui si alza, furibondo, costringendola a indietreggiare:«Ma non capisci che lo ha fatto per vederti strisciare?? Ti odia! Perché ti ha lasciata andare?! Perché ci ha lasciati andare tutti?!» Crolla a terra nuovamente, singhiozzando. Ester lo guarda e i suoi occhi tornano a brillare per un istante della loro antica luce. Si inginocchia davanti a lui e gli prende la testa tra le mani, appoggiandosela al petto, cercando di consolarlo. Anche i suoi occhi sono lucidi.«Io non ti lascerò andare, sono qui.» Lucifero alza lo sguardo verso di lei. Per un attimo le ferite sembrano non esserci più. «Resterai con me.» E finalmente si lascia andare, in quell’abbraccio.
Restano così per un pezzo, sulla cima della collina, abbracciati. Sentendosi insieme, pur essendo completamente soli.
In lontananza Pilar li vede e si fa loro vicino. Regge un involucro pesante nella mano destra, ma non è questo il peso che lo fa camminare così lentamente. Quel peso è ben barricato dentro di lui. “Lasciamoli così più a lungo possibile, finché possono”.
«Lucifero, gli altri attendono» dice, quando è ormai troppo vicino per far finte di nulla. Ester è la prima ad alzarsi e si fa ben ritta accanto a Pilar dopo essersi scambiata uno sguardo.
Lucifero è ancora inginocchiato a terra, ben conscio del momento. Se ti rialzi ora, non potrai più accasciarti di nuovo. Poggia una mano sull’erba, con un tocco quasi affettuoso. Finché non si alza.
Ester e Pilar si scostano, cedendogli il passo. Il gigante gli consegna il fagotto. Lucifero lo afferra senza indugio e se lo porta al fianco. Un cenno del capo verso Pilar, ricambiato. Lucifero si avvia per la sua strada. Ester e Pilar, insieme a tutto ciò che li circonda, tremano. Ma a differenza del resto, loro li si accodano, dopo un ultimo, decisivo, momento di indecisione.
 
 
 
E’ sdraiato a schiena a terra, Lucifero, con ciò che resta delle ali, monche e bruciate, crudelmente schiacciate contro la roccia sotto di lui. Le ferite si stanno lentamente rimarginando, le ossa ricostruendo. I capelli lunghi, legati ancora in un residuo di nodo dietro al capo, sono per metà bruciati e grigi. Le carni sulla schiena si aprono nuovamente ad ogni movimento, come se fosse su un letto di spade. E’ caduto, caduto per un tempo interminabile, con le ali inservibili. Caduto. Grosse acide lacrime gli pungono gli occhi: erano così vicini! Stringe dolorosamente i denti e stringe i pugni, conficcandosi le unghie spezzate nei palmi. Così vicini! Avevano sbaragliato facilmente ciò che era rimasto del popolo celeste rimasto alla Roccia, una volta che Lorenzo aveva portato via la maggior parte degli angeli. Mentre gli altri erano intenti a combattere i pochi rimasti fedeli, Lucifero e i suoi avevano volato sempre più in alto, abbattendo man mano i nemici mentre li incontravano. La salita era stata ardua, alla fine erano rimasti solo lui, Ester e Pilar. Avevano volato, volato sempre più in alto dove nessuno era mai andato. Avrebbero finalmente ucciso l’ultima creazione del Vecchio, la sua più amata. Superata l’ultima barriera di nuvole si erano ritrovati sulla cima della Roccia. Un ampio spazio piatto, al di sopra di ogni altra cosa. Lì c’era la culla, dove la cosa giaceva, sopra una piccola collinetta, all’interno di una grotta alla cui imboccatura c’erano i tre. In piedi, uno affianco all’altro, come ultima difesa. Gabriele, con la sua tromba. Michele con la spada dello stesso Lucifero, rubata dal traditore e riportata indietro per avere qualcosa da offrire chiedendo il perdono. Ma era diversa da come Lucifero se la ricordava, era più bella, maledettamente più bella. Raffaele stava in mezzo ai due, a mani nude.
“Torna indietro” gli aveva detto, quasi paternamente “pentiti”. E aveva atteso. Aveva atteso! Attendeva ostinatamente, con un sorriso ipocrita stampato sul suo volto ipocrita. “Pentirmi?!” aveva chiesto Lucifero. Aveva scosso la testa “Levati dalla mia strada.” E gli si era scagliato addosso con un urlo fiero. Lui contro Raffaele, Ester contro Gabriele e Pilar contro Michele.
Che scontro! Titanico. Se la conclusione della giornata fosse stata diversa quello scontro sarebbe stato ricordato in eterno! I tre furono sconfitti, caddero uno dopo l’altro. E proprio mentre Raffaele cadeva a terra chiudendo gli occhi,, Lucifero, ripresa la sua spada, si era avviato verso la culla da dove l’essere vagiva spaventato. Si era avvicinato e finalmente aveva guardato con i suoi occhi quella creatura straordinaria di cui tanto si era parlato. Con la spada alzata, pronta a colpire, vide un essere piccolo, brutto e goffo. Pelato con gengive senza denti, paffuto che scalciava furiosamente in aria con le gambine che cercava con le piccole mani di afferrare qualcosa emettendo strilli furiosi. Lucifero aveva incontrato il suo sguardo e per un istante aveva atteso, colpito dal suo sguardo. Non spaventato, ma curioso. La creatura aveva visto un suo simile. Sciocco, aveva pensato Lucifero, non hai idea di quanto siamo diversi. E aveva spinto la spada in avanti. Solo in quel momento egli si era degnato di comparire. La spada si era bloccata a mezz’aria e un calore improvviso aveva pervaso la zona. Da sopra alla grotta proveniva una luce accecante rendendo impossibile anche solo alzare lo sguardo. Dalla fonte partono miliardi di raggi che colpiscono Lucifero in tutto il corpo, facendolo avvampare improvvisamente come una torcia. Urlando si alza in volo, lasciando la spada. Nella sua fuga scomposta verso l’alto nota Ester e Pilar nella sue stesse condizioni che, urlando si contorcono in aria. Lucifero lancia uno sguardo verso la fonte dei raggi cercando di non cedere completamente al dolore. Nota nella luce due occhi in preda all’ira che ricambiano dolorosamente lo sguardo. Lucifero perde immediatamente l’uso della vista. Il fuoco si propaga sulle ali, che iniziano ad avvampare, facendogli perdere quota. Cade a terra dolorosamente e, al buio, si allontana più che può dalla fonte di calore. Barcolla, con le orecchie piene delle grida di Ester e di Pilar. Cade inaspettatamente e maldestramente nel vuoto. Inizia a cadere con il corpo che brucia sempre più violentemente, nonostante stia cadendo nel vuoto. Il vento e il fuoco si fondono in un unico vortice di dolor. Mentre cade sempre più grida si aggiungono a quelle di Ester e di Pilar e alle sue, benché egli non se ne renda conto. Capisce che tutti i suoi compagni stanno subendo lo stesso trattamento. Finalmente perde conoscenza, cadendo nel più buio oblio.
Mai più così vicini, pensa Lucifero, ora. Il paradiso è stato perduto, la speranza è morta, la vendetta inattuabile. E le lacrime tornano a rigargli le guance.
Una mano tramante gli accarezza gli occhi e il volto sporco e coperto di sangue rappreso. Le carezze sono gentili ma lo fanno sprofondare in uno sconforto ancora più nero. Sente un nodo alla gola finché un bacio non gli si posa sulle labbra. Lo sguardo di Ester gli fende gli occhi. Ha il viso tumefatto, gli occhi lucidi e le guance rigate. «Cosa ci farà tornare indietro?» «Nulla» risponde lei. «Cosa ci ha portati a questo?» esclama lui, con voce rotta. Lei tace, si guarda attorno sconfortata. Lo costringe ad alzarsi. Nuovi dolori gli trafiggono le membra e manda un gemito, non per il dolore ma per ciò che si trova innanzi. Si trova di spalle su uno sperone di una bassa montagna di pietra calcarea nera. Il paesaggio per quanto è dato agli angeli distendere lo sguardo è una piatta distesa di polvere, in lontananza  si notano dei deboli bagliori rossi. Per quanto ne sa potrebbero essere in una grotta: il cielo, o soffitto, è privo di stelle. L’oscurità non è densa e permette di vedere lontano, ma senza scopo. Non tira un alito di vento, l’aria è calda e soffocante.
«Cosa ci ha portati qui?» ripete Ester, al suo fianco. Lui si volta a guardarla. «Una serie interminabile di scelte, prese una dopo l’altra. Cos’altro se non questo?» Lei si volta a guardare la pianura. Lucifero la imita. Solo ora nota dei movimenti. Un centinaio di figure si avvicinano lentamente. Dalla sua destra emerge Pilar, sbuffando. Il suo naso è rotto, il braccio gli pende inerme dalla busto, la guancia di destra non c’è più mettendo in evidenza la fila di denti facendolo apparire ghignante. Annuisce a Lucifero, nonostante tutto.
Le figure si avvicinano sempre più. Tutti gli angeli, una volta bellissimi appaiono ora come uno stuolo di mostri zoppicanti. Deturpati, senza capelli e affranti, in una luce morente si avvicinano tutti a Lucifero come ciechi verso la luce.
Lui li guarda dall’alto.
«Dimenticate. Perché contro di lui, sapete, non c’è vittoria. Non torneremo, ormai avete capito. Forse per poco tempo, ma saremo ricacciati. Dimenticate. Scordartevi cosa vuol dire essere pieni, compagni, perché non lo sarete mai più. Ci inventeremo una menzogna, così grande e così falsa che né voi ne io ne capiamo la portata. Noi ci staccheremo dalle ancore che lui ci ha messo. E giureremo a noi stessi che non ne abbiamo bisogno. Devasteremo, ogni cosa sul nostro cammino. Tutto ha bisogno di lui. Noi lo negheremo, con ogni forza. Distruggeremo, spaccheremo e infangheremo ogni cosa, finché lui stesso non dovrà scendere da lassù, e distruggerci. Solo allora avremo riposo. Con tutte le forze grideremo che no, noi non abbiamo bisogno di lui, e scordatevi del fatto che è una menzogna. Voi siete felici, amici miei. Lo siete. E quando sentirete che non è così, bestemmiate dio e scappate, perché lui lì ha vinto. E’ riuscito a farvi desiderare. E non c’è male peggiore. Dimenticate, amici miei, e alla fine, vinceremo» Li guardava, dall’alto dello sperone di roccia sul qual’era. Veloci gli occhi neri squadrarono tutte le figure a carponi, sulle pietre aguzze. « Cambiate il vostro aspetto, mutate. Sputate sulla forma che lui vi ha dato. Rifiutatela. Siate finalmente ciò che volete essere.» La sua voce era piena d’odio, le mascelle si strinsero, mentre cambiano forma. Il mento divenne sporgente, coperto da una ispida barba nera. I denti
 
 
 
Pilar la osserva: « A te l’ha detto?»Lei scuote la testa, lentamente.«Perché? Perché?» si angustia il gigante, camminando da un capo all’altro della piccola stanza tormentandosi le mani, pieno d’angoscia. «Per carità siediti, Pilar, mi stai facendo impazzire.» il gigante la ignora e continua a camminare, veloce. «Se proprio…» «No, Pilar. Mi rifiuto di fare discorsi del genere.» « No, ascoltami.» La zittisce lui, mettendosi davanti a lei, con tutta la sua mole. « Se accadrà quel che temiano, tu..» Non sa più come proseguire. Lei ribatte secca: «Vuoi chiedermi se avrò il coraggio di seguirlo? » lei annuisce « Si, chiaramente. E te?» domanda alla svelta. Lui la osserva ma tace per un istante, poi annuisce: «Ho alternative?» domanda a sé stesso. Restano in silenzio, entrambi pensierosi.
Finalmente un battito d’ali e dall’uscio entra lui, scuro in volto, silenzioso. I due nella stanza si ritraggono per fargli posto e restano muti, finché lui non parla. In volto ha tre graffi profondi, dalla fronte alla guancia. « E’ deciso» dice lento, infine. « me ne vado. Alcuni mi seguiranno, non occorre che nessuno di voi due lo faccia» «Beh, ovvio che però ti seguiremo entrambi, se te lo fai… » dice Ester mentre Pilar annuisce con vigore. In silenzio, ora, tutti e tre. « Lo fai sul serio?» domanda il gigante. Lucifero annuisce. « Si.» Pilar esclama: « Sta bene, siamo con te.» e si siede a terra. Ester si morde il labbro, rimanendo in silenzio, mentre gli altri la imitano. « No che non sta bene, diavolo!» sbotta con voce pesante «E’ tutto sbagliato. Perché? Non andiamocene, Lucifero.» implora lei. « Io me ne andrò» conclude lui, serio, senza guardarla. Lei si rimorde le labbra. Pilar li guarda entrambi. « Voi siete più importanti di tutti quelli che mi seguiranno, molto di più» le labbra si incrinano in disgusto « quegli stupidi che lo fanno per invidia o per paura o per solo lui sa cosa… » sputa in terra. Poi li guarda, e gli occhi si soffermano sul volto di lei. « Restate qui.» dice semplicemente e si volta. Un piede nudo poggia sulla soglia, a cui dona uno sguardo. Non ci pensa, e salta nel vuoto, oltre essa, lasciando i due nella stanza, soli.
Lei è la prima a seguirlo, scocca uno sguardo indecifrabile a Pilar, e si lascia cadere oltre il parapetto.
Il gigante rimane immobile, per un istante cerca ancora, guarda la soglia, varcata da entrambi e pensa al banchetto, quello dove Gabriele aveva fatto conoscere loro le angurie. Curioso, che tra tutti i ricordi gli sia venuto in mente quello. Si da una pacca alla testa e si dice: « Amico mio, da oggi, se vuoi sopravvivere, inizia a dimenticare.» Una rapida corsetta e si lancia nell’aria calda della sera. Cade per una decina di metri nel vuoto e poi, con un sonoro schiocco apre le sua ali nere. Le nuvole sono colorate d’oro e d’ambra, nella luce stanca ma dolce del sole. Gli occhi scuri indugiano, dietro di sé, sulla Roccia. Espira forte, e si volta in avanti, che già le prime stelle si accendono.
Veloci i fatti della giornata hanno fatto il giro e altre figure si staccano dalla Roccia per seguire le tre sagome, in volo, verso est.
Michele, dall’alto dall’alto di una stanza che da in quella direzione, inspira forte e sussurra: «Ricorda, amico mio.» e pensa alle angurie.
 
Pilar gli domanda:« Quindi? Cosa provi per loro?» Il Diavolo si gira a guardarlo:« Per loro?» Un breve sorriso, sbieco. «Li odio. Tutti. Lassù, a bearsi del suo sguardo. Stupidi. Ma te non capisci. E’ ovvio. Devi ancora fare lo stacco da prima, Pilar. Ti ricordi troppo bene com’era lassù. E’ ovvio, con quello in testa non si può odiare. Non puoi. Sapendo che in fondo si è fatti della stessa pasta, delle stesse domande, non si può odiare. Ma a volte avevo dentro un odio… Un odio tale da affossarmi solo pensandoci. Mi capitava spesso, anche quando eravamo lassù. Mi fermavo, a volte, quando qualcuno che mi infastidiva in un modo o nell’altro. Anche se sapevo perfettamente che non lo faceva volontariamente provavo dentro una carica così enorme d’odio per lui da voler distruggere ogni cosa. Fastidio, dannata pesantezza di alito. Perché non se ne accorge? Vorrei spezzarlo. Ma poi, non facevo nulla, e lui pure. Non facevo nulla perché, in fondo, sapevo bene perché mi infastidiva. Per lo stesso motivo per cui io infastidisco mille e più persone. Perché siamo fatti male.  Abbiamo un tarlo, dentro. Basta poco per scatenarlo, e tutto va a rotoli. Si litiga per le sciocchezze, basta un niente per ricadere nell’odio. Come può un appuntamento mancato mandare all’aria tutto? Posso lavorare per tutta la mia esistenza nella creazione di qualcosa di bello e vero e poi, l’ultimo giorno, perdo un rimbalzo, e sono fregato. Tutto può cadere nel nulla. Siamo fragili. Che odio. Posso stare bene per anni, ma questo non mi da la certezza di svegliarmi un giorno con la luna storta e mandare al diavolo anche le persone a cui vuoi più bene. A volte sembra che nulla sia destinato a cambiare. Sempre la solita merda. Come essere di più? E allora sì. Li odio, li odio di tutto cuore. E mi odio, in una certa maniera. Perché so bene che non vorrei odiarli. Ma non ne posso fare a meno. Vorrei abbracciarli. Vorrei che mi stimassero. Vorrei poterli considerare amici miei, veri, sul serio. Ma poi. Sto zitto e loro pure. Allora capisco che non odio loro. Odio chi non fa accadere nulla. E allora odio loro. E li voglio schiacciare, nella polvere. Così in basso da farmi schifo, ma non mi fermerò, mai, non mi fermerò mai, finché lui non mi dirà:”Cosa stai facendo?” E io, con le lacrime agli occhi gli dirò: “ Non vedi? Lo faccio per te, Padre!”» Il diavolo sputa per terra, come disgustato dalle sue stesse parole, e guarda Pilar: « Per loro, provo solo… invidia. Perché loro sono felici. E io no.»
 
La prima volta che Lucifero apparve nei cieli, si dice, che lo stesso Dio abbia perso un respiro.
  
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