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Autore: Marrs    10/01/2012    4 recensioni
'Mi avvicinai cauto. Non volevo spaventarla, o forse ero più spaventato di lei. Non mi ero mai trovato di fronte ad una situazione simile; ero abituato a ridere di qualsiasi cosa oppure ad evitare gli argomenti più spinosi. In quel momento però, non volevo scappare. Dovevo essere lì per lei, glielo avevo promesso.'
Piccola OS che mi frullava per la mente. Spero solo di aver reso tutto al meglio.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ti va di sorridere con me?

 
 

Dalla notte dei tempi, era diffuso il luogo comune secondo il quale:
‘Donna? Povera creatura sensibile, bisognosa di coccole, capace di innamorarsi e mai di spezzare un cuore, indifesa, tobecontinued… . Uomo? Stronzo.’
Eppure ero sempre stato convinto si trattasse di frasi fatte, stupidi escamotage a cui le persone si aggrappavano per rendere un po’ più comprensibile il cerchio della vita e senza i quali probabilmente non avrebbero trovato neanche la ragione per cui alzarsi ogni mattina.
Ne ero certo. Ne sono certo,  perché io sono un uomo. Un uomo innamorato.
 

 

23 Novembre 2011

 
Freddo. Quella mattina sarebbe passata alla storia come la mattina con la temperatura più bassa degli ultimi decenni.
Eppure il mio corpo sembrava non risentirne se non per qualche piccolo brivido che ogni tanto mi percorreva la schiena fino a dissolversi nel nulla pochi istanti dopo, forse troppo impegnato a registrare ogni dettaglio di quella che ai miei occhi era una situazione molto dolorosa.
Di fronte a me, infatti, si era da poco seduta una ragazza dai capelli color caramello - chissà poi, perché alle ragazze piace sempre associare un colore a qualcosa di materiale -  mentre attorno a lei si erano stretti quelli che sembravano essere degli amici molto intimi.
Passò circa mezzora, durante la quale aspettavamo tutti il treno per rientrare ognuno a casa propria. Se dovevo essere sincero, sapevo con certezza solo che io e lei avremmo preso lo stesso treno; non ero comunque mai riuscito a scoprire quale fosse la sua fermata. Ed ero troppo timido per chiederlo direttamente all’interessata.
Quel giorno poi ero ancor meno propenso a intromettermi in quella che sembrava essere una faccenda privata dove di certo non erano ammessi estranei mossi dalla curiosità.
La ragazza che segretamente ammiravo da circa sei mesi e di cui non conoscevo neanche il nome, sedeva lì dove alcuni ragazzi si alternavano nell’asciugarle le lacrime copiose che non le lasciavano tregua. Non singhiozzava, non urlava, non si disperava.
Silenzio, di quello che uccide. Se non fosse stato per quei lucciconi che le rigavano il volto, probabilmente avrei creduto fosse caduta in stato catatonico. Invece piangeva, silenziosamente.

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Passarono dieci giorni, giorni nei quali mi chiesi che fine avesse fatto quella ragazza.
Mi mancava. Paradossale, eh? Se i miei amici fossero stati a conoscenza di quello che si agitava in me ogni volta che pensavo a quel volto, mi avrebbero consigliato un buon centro psichiatrico.
Per loro ero sempre stato lo spaccone del gruppo, quello che non si faceva mettere i piedi in testa da niente e da nessuno. Quindi scoprire che mi fossi infatuato - così dicono le ragazze quando non vogliono ammettere di essersi prese una cotta da paura, no? - di una ragazza, una sconosciuta per di più, sarebbe stato troppo per loro.
L’undicesimo giorno finalmente la vidi entrare nella sala d’aspetto della stazione di Catania, alle undici in punto.
Il cuore per un attimo sembrò voler uscire dalla gabbia toracica; due capriole, mezzo salto mortale, per poi… Ripiombare in un silenzio quasi esasperante.
Al seguito della ragazza che solo qualche settimana prima avevo visto in lacrime, era entrata una seconda giovane; si comportava in modo strano. Non perdeva un passo, concedendo al massimo mezzo metro all’amica come se temesse che in un attimo sarebbe potuta sparire nel nulla. Aveva bisogno di tenere la situazione sotto controllo, era molto apprensiva.
 
“ Siamo proprio fortunate, eh Cri? Se il professore di greco non fosse stato assente, saremmo dovute rimanere a scuola per altre due ore.”
E il mio cuore perse un battito.
Era la prima volta che sentivo la sua voce, anche se ancora non ne conoscevo il nome. Eppure solo ascoltarne la musicalità, la dolcezza del suo parlare mi metteva di buon umore. Quel tassello non faceva altro che aggiungersi all’immagine ben delineata che avevo di quella ragazza semplice e composta, davvero molto bella.
 
“ Neanche martedì era a scuola…”
 
“ Oh, non lo sapevo. Perché non me lo avete detto? Mi assento per qualche giorno e non mi posso fidare neanche del fatto che mi riferiate tutto ” Si era finta imbronciata.
 
“Valerie…” Fu la seconda volta che la sua amica lasciò cadere la frase, probabilmente aspettandosi che la ragazza recepisse da sé il messaggio.
Udii poco distintamente la risposta di quest’ultima, troppo impegnato a metabolizzare quei pochi scambi di battute per lo più sussurrate. In particolare una. Valerie.
Purtroppo, mentre realizzavo che quella ‘Cri’ mi avesse appena rivelato inconsapevolmente il nome della ragazza che avrei voluto conoscere da mesi, il capostazione annunciò il sopraggiungere del treno che avrebbe portato via con sé un’altra di quelle giornate spese a scoprire qualcosa in più sulla misteriosa ‘lei’. Con la differenza che questa volta avrei portato a casa qualche dettaglio materiale. Il suo nome.
 
Il giorno successivo mi aspettavo uno scenario più o meno simile. Ma si sa, le cose migliori capitano quando meno te lo aspetti.
 
“Annunciamo ai signori viaggiatori che il treno diretto a Siracusa arriverà con …nta minuti di ritardo. Ci scusiamo per il disagio.”
 
No, non consideravo l’ennesimo ritardo del treno una delle cose migliori che potessero accadere. Ritenevo tale il non aver capito di quanti minuti lo fosse.
D’accordo. Forse comincio ad assomigliare ad una delle tante ragazze che parlano, parlano, parlano senza mai giungere ad una conclusione. Forse comincio ad assomigliare ad un ragazzo innamorato, semplicemente. Ancora, però, non sapevo cosa mi spaventasse maggiormente.
Comunque, non avendo capito quanto avrei dovuto aspettare in stazione l’arrivo del treno decisi fosse il caso di chiedere informazioni. Peccato che quel giorno l’intera Catania sembrava essersi precipitata lì e che farsi largo tra la gente era pressoché impossibile.
Fu in quel momento che la vidi, appoggiata a quel muro non proprio bianco per i molti graffiti e il passaggio di troppe persone. Presi così il coraggio a due mani e mi avvicinai.
 
“Scusa?”
Valerie - è normale sentire le farfalle nello stomaco al solo pensiero di conoscerne il nome? Sono un uomo, dannazione! -  si guardò attorno, probabilmente volendosi accertare che mi stessi rivolgendo a lei.
 
“Sì?” Mi rispose allora.
 
“Sai per caso di quanto è in ritardo il treno? Con questa confusione non sono riuscito a sentire bene.”
 
“Mezzora” Mi sorrise. Un sorriso debole, quasi di circostanza.
In quel momento mi tornò alla mente la scena a cui avevo assistito poco più di dieci giorni prima. Avrei tanto voluto conoscere la causa di quella tristezza mal celata, di quello sguardo vitreo. Persino i capelli sembravano aver perso quella tonalità caramellata che le illuminava il viso.
La mia non era semplice curiosità; non volevo intromettermi nella sua vita privata, assolutamente. Volevo solo trovare un modo per aiutare il suo sorriso a riemergere, in modo da poter tornare ad essere felice con lei. Per lei.
Alla fine però, accennai solo un “grazie” e rimasi lì fermo ad aspettare il mezzo che avrebbe dovuto portarmi a casa dopo la mattinata trascorsa in università, immobilizzato dalla ressa.
 
“E’ il terzo, questa settimana” Riprese d’un tratto. Mi voltai a guardarla perplesso.
 
“E’ il terzo ritardo di questa settimana. E siamo solo a giovedì” Terminò la sua spiegazione senza sorriso questa volta, persa in chissà quali pensieri.
 
“Beh, ormai non mi aspetto un servizio migliore di questo. Speriamo solo che il prossimo mese dimezzino il costo del biglietto per ripagare la nostra pazienza.”
 
“Speranza… Mi è sempre piaciuta questa parola” Fu la sua risposta apparentemente senza senso. “Comunque piacere, Valerie” Si riprese subito dopo.
 
Avrei voluto replicare “Lo so, eccome se lo so!”, ma mi limitai ad un semplice
 
“Piacere, Simone”

_______________________________

 
Quella semplice richiesta d’informazioni divenne poi un saluto frequente tutte le volte che ci incrociavamo in stazione, fino ad essere qualche parola in più scambiata sul treno in attesa di giungere alla mia fermata. Ancora non mi era dato di sapere dove scendesse Valerie, ma contavo di scoprirlo prima o poi.
Poi, il lunedì della terza settimana, feci quella che probabilmente fu una domanda indiscreta.
 
“Mat…” Torsi leggermente il collo per leggere meglio ciò che era inciso su quel braccialetto d’argento. “…thew. E’ il tuo ragazzo?”
Lo stomaco mi si chiuse mentre una smorfia contrita, che sarebbe dovuta assomigliare ad un sorriso, si faceva largo sul mio viso.
Valerie spalancò gli occhi, cominciando a tremare. Sembrava un gattino spaurito, come se la mia domanda avesse fatto riaffiorare ricordi tremendi. Ed io non sapevo cosa fare, come scusarmi.
Mentre cercavo di trovare le parole giuste però, si decise a rispondere.
 
“No. Lui era mio fratello.” Mi lasciò spiazzato, non immaginando certo una risposta simile.
 
“Oh, dovete avere un bel rapporto se tu…” E ripensai alle sue parole. ‘Lui era mio fratello’.
Cadde nuovamente un silenzio imbarazzante, questa volta pieno di consapevolezze. Forse non ero più così lontano dal conoscere la verità su quella mattina; però in quel momento non ero più altrettanto sicuro di volerla conoscere. Questo andava ben oltre l’invadere la sua privacy e io non sapevo se sarei stato all’altezza di un compito tanto importante.
 
“La psicologa dice che farei bene a parlarne con qualcuno…”
Probabilmente la mia espressione non fu molto incoraggiante, perché si affrettò ad aggiungere “Non ti preoccupare, mi hanno costretta a sottopormi a qualche seduta perché temevano non mi sarei più ripresa. Ma dicono che stia reagendo piuttosto bene” Sorrise tristemente.
 
“Scusami, non volevo riaprire vecchie ferite od offenderti” La mia voce fu un flebile sussurro.
 
“Ma no, non c’è bisogno che ti scusi. Tu mi stai ascoltando. Nessun estraneo sano di mente starebbe qui ad ascoltarmi mentre gli racconto delle mie sedute dalla psicologa” Sorrise di nuovo.
 
“Allora, ehm… Posso farti una domanda?”
 
“Certamente, purché tu non abbia paura della risposta.”
Solo allora compresi quanta paura dovesse avere quella ragazza, ancora troppo scossa dalla scomparsa del fratello in circostanze a me non note. Temeva che il suo dolore fosse troppo grande per chiunque altro da sopportare; non voleva essere un peso.
La domanda che uscì dalle mie labbra fu completamente differente da quella pensata qualche minuto prima.
 
“Domani è il mio compleanno, ma non ho trovato nessuno con cui festeggiarlo” Piccola bugia ma a fin di bene, pensai. Avrei avvertito gli altri di un impegno improvviso e ci saremmo incontrati al pub quella sera stessa. “Ti andrebbe di farti offrire un gelato? Giusto per passare qualche ora in compagnia.”
 
“Oh” Fu tutto ciò che fu in grado di rispondere.
Attesi qualche minuto, senza risultati.
 
“Non volevo spaventarti, Valerie.”
 
“No, è che ultimamente non sono molto di compagnia. Sai, è passato così poco tempo e io…”
 
“Se ti va, possiamo saltare la gelateria e puoi raccontarmi cosa è successo. Se può esserti di aiuto, io ti ascolto volentieri…” Azzardai. “Non vorrei che la prendessi come una mancanza di rispetto, però. Non ti voglio obbligare a rendermi partecipe della tua vita privata ” Aggiunsi subito dopo.
 
“Beh, si può fare. Non ti prometto di mantenere il controllo però; non ne sono ancora del tutto capace e potrei scoppiare in qualsiasi momento.”
 
“Ed io sarò lì con te, qualsiasi cosa succeda” Mi affrettai ad alzarmi e scesi dal vagone, ormai rosso per l’imbarazzo. Volevo conservare almeno un po’ le apparenze.
 
Se solo mi avessero visto i ragazzi… Al diavolo i ragazzi!
Valerie aveva bisogno di me, sicuramente più di quanto io avessi bisogno di lei.
E io mi stavo comportando da maschio, il tipico maschio stronzo. I ragazzi avrebbero di certo compreso la situazione, magari senza risparmiarmi qualche battuta sul mio improvviso cambiamento - ‘Ehi Simo, non è che sei in crisi premestruale?’ E su questo le donne non potevano fiatare, perché il mito che tutto fosse giustificabile dalle ‘mensilità’ femminili era opera loro! -.
Eppure avrebbero capito e mi sarebbero stati accanto anche in questa follia.
Ricordavo vagamente, a tal proposito, una canzone che citava ‘perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia’. Ed io volevo vivere, volevo insegnarle come tornare a vivere.

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“Matthew aveva diciotto anni. Aveva lasciato gli studi qualche anno fa, ritenendo più opportuno trovarsi un lavoro piuttosto che pesare sulle spalle dei nostri genitori. Non era molto responsabile, ma in quel caso aveva fatto la scelta che riteneva più giusta per tutti. Voleva essere responsabile per noi.
Era intelligente, furbo, bello, dolce e simpatico…” Prima pausa.
“Si faceva voler bene, molto” Scorsi un leggero tremolio nella sua voce.
“Aveva da poco preso la patente, tanto che non molto spesso gli concedevamo l’auto. Era piuttosto vivace, un po’ come tutti i secondogeniti in fondo.”
Probabilmente le tornò alla mente qualche aneddoto divertente, perché accenno una risata in direzione del cielo e scosse la testa, bonariamente. Soffriva, anche se cercava di non darlo a vedere.
“Aveva ricevuto una commissione quella mattina” Riprese. “Doveva recarsi a Taormina per portare dei pezzi di ricambio per conto della sua ditta di consegne a domicilio. Lo avevamo avvertito di stare attento, che quello non era ancora il lavoro adatto a lui che non sapeva ancora cosa potesse incontrare per strada. Per lui, sempre così distratto.
Quel giorno avevo un esame importante e lui mi aveva fatto promettere…” Il primo singhiozzo.
“…mi aveva fatto promettere di mandargli un messaggio…” Altro singhiozzo, nuovo colpo al cuore.
“…non appena avessi saputo i risultati. Se solo non gli avessi dato ascolto…” Ed era scoppiata. Valerie non aveva retto.
Mi avvicinai cauto. Non volevo spaventarla, o forse ero più spaventato di lei. Non mi ero mai trovato di fronte ad una situazione simile; ero abituato a ridere di qualsiasi cosa oppure ad evitare gli argomenti più spinosi. In quel momento però, non volevo scappare. Dovevo essere lì per lei, glielo avevo promesso.
Così mi armai di tutto il coraggio che possedevo, colmando le distanze e avvolgendola in un abbraccio. Senza parlare.
Non so come definire la sensazione che provai; forse perché non esistono parole per farlo. Semplicemente, sentii di tenere tra le braccia qualcosa di importante. Qualcuno di importante. L’attimo più bello fu quando lei si sciolse e mi permise di stringerla ancor di più. Mi resi conto di quanto anche io avessi bisogno di sentire la vicinanza di una persona e Valerie sembrava essere caduta dal cielo per me.
 
“Simone?” Aveva smesso di singhiozzare. Ora le sue lacrime scendevano calde e silenziose senza sosta.
 
“Sì?”
 
“Grazie”
Le baciai la testa. Poi sciolsi lentamente l’abbraccio e la guardai.
Un’ultima lacrima era sfuggita da uno dei suoi enormi occhioni nocciola. Istintivamente la spazzai via con l’indice, soffermandomi ad accarezzarle la guancia. Era bellissima, anche con gli occhi colmi di lacrime.
 
“Gelato?” Decisi di smorzare l’atmosfera tesa che si era creata. Per quel giorno, era abbastanza.
Si stropicciò un’ultima volta la faccia per poi dirmi “Certo”, intrecciando le sue dita con le mie. Non mi aspettavo quel gesto con tanta spontaneità, ma ne fui felice. Era un passo in avanti, no?
Il pomeriggio si concluse tra qualche chiacchiera leggera e timidi sorrisi. Nessuna corsa nel prato o risate a crepapelle, ma fu comunque una giornata speciale. L’inizio di qualcosa.

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15 Gennaio 2014

 
Era il nostro anniversario. Due anni che non avrei barattato per niente al mondo.
Dopo il pomeriggio passato insieme il giorno del mio compleanno un paio d’anni prima, Valerie si era lasciata sempre più andare fino a fidarsi ciecamente di me. Ed io non potevo far altro che ricambiare, seppur non avendo ancora il coraggio di confessarle il mio amore per lei.
Poi era accaduto tutto senza che ce ne rendessimo conto.
 
Il 15 Gennaio 2012, da poco rientrati dalle vacanze invernali, ci eravamo ritrovati in stazione e ci eravamo raccontati del Natale passato in famiglia - il primo per lei senza Matthew - e del Capodanno speso con gli amici.
Avevo notato una piccola differenza nel suo sguardo, come se stesse riacquisendo luminosità. M’incantai ad ammirare ancora una volta quanto belli fossero i tratti del suo viso, quei lineamenti che mi erano mancati più di ogni altra cosa durante le due settimane di lontananza. Finché lei non mi riportò alla realtà dando voce ai miei pensieri.
 
“Mi sei mancato, Simo” Mi fece sorridere, emozionato.
 
“Anche tu, piccoletta”
Sorrise a sua volta. O forse, sarebbe più corretto dire che simulò l’ennesimo sorriso.
 
“Sai, è un po’ che mi tengo questa domanda per me. Ora però vorrei chiedertene la risposta…” La frase cadde in sospeso, in attesa di un suo permesso che non tardò ad arrivare.
 
“Perché il tuo sorriso sembra sempre così…spento? Cioè, non sono così stupido da non capire quale sia la causa e, anche se non l’ho vissuta in prima persona, posso provare a capire. In un certo senso, la vivo con te. Non sopporto vederti soffrire, come non sopporto l’idea di non poter far niente per evitarlo. Ti ho ripetuto tantissime volte quanto sia sbagliato farsene una colpa, perché di certo tu non ne hai. Eppure continui a non darmi ascolto e forse è questo che non riesco a capire. Forse il tuo dolore è troppo grande per poter essere spiegato a parole. Però hai abbattuto molti paletti in questi ultimi mesi, senza mai ritrovare quel bellissimo sorriso che avevi in ogni circostanza prima che…” Speravo di non aver osato troppo.
Non mi rispose. Si limitò a baciarmi. Con dolcezza passionale, con dolorosa lentezza. Un bacio carico di speranza e di… Amore, con la A maiuscola.
Quando ci separammo, non mi diede tempo di fare o dire nulla.
 
“Mi manca, mi manca da morire ogni giorno di più. Eppure quando sono con te, riesco a colmare un po’ di quel vuoto che mi ha lasciato dentro. Nessuno potrà mai riportarmi indietro mio fratello, purtroppo. Sarei un’ipocrita se non ammettessi quanto vorrei fosse possibile farlo però. Anche solo per un secondo, giusto il tempo di gridargli tutto il bene che gli voglio e che sempre gli vorrò - gliel’ho detto così poche volte. Se solo avessi saputo…-.
Ma lo ringrazio anche per avermi mandato un angelo custode come te al suo posto. Perché è suo il merito, ne sono più che convinta.
E sono ancor più convinta che, se vorrai aiutarmi in questa follia, lo ritroveremo. Insieme, ritroveremo il sorriso che ho perso. ‘L’amore può tutto’, o sbaglio?” Concluse con un sorriso timido, rossa d’imbarazzo.
 
Quel giorno tutto ciò che riuscii a fare fu abbracciarla sussurrandole all’orecchio “Ti amo”, suggellando quelle parole con un bacio. “Ti amo” Un secondo bacio. “Ti amo, ti amo, ti amo!” Un bacio da togliere il respiro, in una stazione di fronte a decine di pendolari che ci osservavano curiosi.
E probabilmente le stesse cinque lettere le ripeterò oggi per il nostro secondo anniversario. Le stesse due parole che le dedicherò per il resto dei miei giorni, se me lo permetterà.
Perché oggi mi inginocchierò di fronte a lei, con una scatoletta di velluto blu, e le chiederò:
 
“Ti va di sorridere con me?”
E pregherò in un “Per sempre”.

 
 
 

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Buonasera, lettori e lettrici!
Sono tornata con una pazzia, una one-shot che mi è balenata in testa qualche giorno fa e che ho deciso di mettere a vostra disposizione.
E’ masochismo, lo so. Abbiate pietà, però! Il mio cervellino non mi dava tregua e io dovevo pur condividere le sue idee con qualcuno…
Comunque, passando alla parte seria, che ne pensate? Ho affrontato una tematica che forse non mi appartiene, quindi mi scuso anticipatamente se il tutto possa sembrarvi privo di tatto o in qualche maniera offensivo. E’ tutto frutto di qualche ricordo del passato e di un pomeriggio vuoto in cui avevo voglia di dedicarmi alla scrittura.
Ho deciso di darle i toni di una one-shot per il semplice fatto che sto portando avanti ‘Alle Cinque in Punto’ [mio prossimo impegno è il capitolo quattro, giuro] e, avendo scarse abilità nel produrre più storie contemporaneamente, credo sia meglio così.
In attesa di un prossimo aggiornamento, mando un bacio grande a tutti.
 
 
______________________________Lively_

  
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