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Autore: RubyChubb    28/08/2006    0 recensioni
Anche Deidra si trovava sul volo 815, anche a lei è accaduta la stessa sorte degli altri passeggeri... ma qualcosa in lei è cambiato... ha subito gli effetti di quello strano posto, di quell'isola persa nel mezzo dell'oceano... Che cosa le accadrà? Qual è il suo ruolo in tutta questa storia?
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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1 Mi svegliò un rumore particolare, uno crepito, uno scricchiolio, come quando il fuoco bruciava la legna secca e tutto iniziava a scoppiettare nel camino.
Mi voltai dall’altra parte, sperando di sognare quel bel ragazzo alto e biondo che avevo conosciuto qualche sera prima di partire via da Sidney per tornarmene a casa. Si chiamava Billy… o Bobby… non mi ricordavo molto bene.
Sbadigliai e mi risistemai la coperta addosso… ancora quella sensazione fredda di pericolo mi prese dal fondo della schiena e percorse tutta la spina fino al collo. Aprii gli occhi e vidi che mi trovavo su una spiaggia, in piena notte. Sattai seduta, alzando un cumulo di sabbia che mi entrò dritto negli occhi.
Un uomo mi disse qualcosa, scotendomi per le spalle.
“Non vedo niente, mi fanno male gli occhi!”
“Signorina, non la capisco. Parla inglese?…”, rispose lui.
“Maledetto sogno!”, esclamai, allora, in inglese.
“Questo… non è un sogno, è la realtà. Prenda quest’acqua e si sciacqui gli occhi. Si prepari, quello che vedrà non le piacerà affatto.”


Seduta sul bagnasciuga, guardavo la desolazione intorno a me. Una delle turbine emetteva ancora del fumo, le lamiere della carlinga erano sparse per tutta la spiaggia. Era notte fonda, ma la luna piena illuminava tutto a giorno.
Dove ero? In un isola del Pacifico? Sulla terraferma? Ma ero veramente viva?
Non lo sapevo, nessuno degli altri sopravvissuti sembrava avere le risposte. Mentre l’incidente era successo, io dormivo, non mi ricordavo proprio niente. Eppure, mi ero salvata. Forse perché ero in prima classe? Cercai tra le facce addormentate alcuni dei miei vicini di poltrona in turistica, ma non erano lì intorno a me. Forse erano morti.
“Allora, come ti chiami?”, mi disse qualcuno che si era seduto accanto a me.
“Mi chiamo…”, feci, esitando. Per qualche secondo rimasi in silenzio, non riuscivo a parlare.
“Ti hanno mangiato la lingua?”
“Mi chiamo Deidra.”, dissi, sforzandomi.
“Sei sicura?”
“Ho qualche dubbio.”, risposi, riprendendo un po’ di quella forza d’animo che era tipica di me, anche nei momenti più duri della mia vita. L’altro rise, ma fu una risata amara. “Tu come ti chiami?”
“Sayid.”
Lo guardai meglio: era di carnagione scura e aveva dei lunghi ricci che gli arrivavano quasi fino alle spalle.
“Vengo dall’Iraq.”, disse, vedendo la mia occhiata indagatoria.
“Adesso si spiega tutto.”
“Tutto cosa?”, sbottò lui, offeso per la mia irriverenza.
“Il tuo nome e il tuo strano accento.”, dissi io, sorridendogli, come se gli avessi lanciato una mano tesa per chiedergli perdono della mia ambigua frase.
“Scusa, pensavo che mi volessi accusare di aver causato tutto questo. Anche tu, però, non sei…”
“No, sono italiana.”
“Deidra… che bel nome…”, disse lui, alzandosi e andandosene.
Appoggiai le braccia conserte sulle ginocchia e tornai a fissare le onde del mare, aspettando che parlassero.


“Da quanto tempo sei sveglia?”
Quella voce mi svegliò dalla trance in cui ero caduta. Sentivo che gli altri si erano già messi in azione, alle mie spalle, ma non avevo trovato mai il coraggio di voltarmi di nuovo e rivedere il disastro in cui ci trovavamo tutti.
“Mi sono svegliata in piena notte.”, risposi io, alzandomi.
“Verresti a darci una mano? Abbiamo bisogno di tutte le medicine che si sono salvate.”
“Io ne ho una bella scorta… ne avevo… se la valigia è sempre qua, da qualche parte.”
“Molto bene. Io mi chiamo Jack e sono un dottore. Quando trovi qualcosa, vieni da me…”
“Deidra, mi chiamo Deidra.”
Mi misi subito in cerca delle mie cose: se il mio bagaglio a mano, dove tenevo tutte le medicine, si era salvato doveva pur trovarsi da qualche parte. Con mia cocente delusione, qualcuno aveva già rovistato tra le mie cose. Le magliette e il paio di pantaloni che tenevo di ricambio per le emergenze erano state gettare a terra senza alcun ritegno e le medicine erano già state prese. Raccolsi le mie poche cose e le risistemai dentro la borsa.
Girovagai tra gli altri sopravvissuti e li guardai: c’erano persone sulla quarantina, giovani, un padre e un figlio, individui normali insomma. Nessuno che poteva aver fatto schiantare di volontà sua il nostro aereo. Non mi passò nemmeno per l’anticamera del cervello di accusare quell’iracheno, che era guardato da tutti con sospetto. Secondo me era una persona onesta, non un terrorista…
Rovistai in qualche valigia: trovai un bel po’ di medicine e le infilai tutte in borsa. Mi ci vollero diversi minuti per convincere un signore alto e pelato che non stavo rubando niente, ma che stavo solo raccogliendo farmaci per il dottor Jack. Aveva anche alzato una mano per colpirmi, ma l’iracheno venne in mia difesa.
“Non ti permettere mai più.”, gli sibilò, guardandolo dritto negli occhi, “Sta lavorando per tutti noi. Abbiamo bisogno di medicine per curare i feriti.”
“Le stava rubando dalla mia scorta prima che me ne accorgessi.”, ringhiò l’altro.
“Non esistono scorte private ma una comune, gestita da Jack.”
“E chi cazzo è questo Jack? Quelle le ho comprate io.”
“Basta! Basta!”, dissi io, prima che si picchiassero.
Il pelato si ritirò, l’iracheno lasciò la presa e mi portò dritta dal dottore. Lasciai a lui quello che avevo trovato e chiesi se potevo tornare utile in qualche modo.
“Ho fatto la volontaria in ospedali e case di cura e so come trattare malati e feriti.”, dissi a Jack.
“Hai l’imbarazzo della scelta.”, disse, indicando con la mano la spiaggia, “Prendi quello che ti serve ma usalo con parsimonia.”
“Certo.”, dissi.
Raccolsi vestiti stracciati e qualche bottiglia di acqua. Se ce n’era di ossigenata, era meglio lasciarla a lui. Passai tutta la giornata a fasciare ferite e ad ascoltare persone distrutte dal dolore: mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo.
Arrivata al tramonto, ero così esausta che non ce la feci nemmeno a mangiare. Caddi in un sonno profondo e nero e, in un attimo, mi risvegliai il giorno dopo.

   
 
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