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Autore: JohnnyMignotta    11/01/2012    3 recensioni
Nii-san ed io ricominciamo ogni volta da zero.
[ ATTENZIONE! Elricest ].
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Lo so, lo so. l'attesa vi stava distruggendo. Ma tranquilli, ragazzi, zeroschiuma è arrivata. *Ammicca ammicca*. ...XDDDD No, va be', solo: ciao a tutti, questa è la seconda parte di Timeline e queste note saranno perfettamente pointless, dirò molte cose del tutto random e che non interesseranno pressappoco a nessuno, ma devo pur fillare questo spazio. "XD
...Ok, cose serie: qui c'è il calendarietto delle date di pubblicazione, che vi serve, se volete leggere anche la terza ed ultima parte. ù_ù Poi devo assolutamente ringraziare tutti coloro i quali abbiano recensito, seguito o inserito questa storia tra le preferite: credetemi, se vi dico che avete contribuito alla revisione di questa storia, perché veramente, se non fosse stato per voi, non l'avrei fatto. XD ♥
Così, eccoci qua: valgono gli stessi avvertimenti della prima parte, le stesse dediche e gli stessi credits, quindi nient'altro da aggiungere. XD Anche Unchained Melody è sempre la stessa, quindi mi sembra doveroso dire due parole a proposito, visto che l'altro giorno ho skippato la cosa. *_*;; Prima di tutto, mentre scrivevo, non ascoltavo la versione originale del brano, quella di Ghost ._., ma la pucci-cover degli U2. Poi, ragazzi, suvvia, lo vedete anche voi che questa canzone parla degli Elric! è_é Io veramente non riesco ad ascoltarla senza flasharmi armour!Al che sogna di riabbracciare il suo Nii-san! ;_; ...Ed è da questo, probabilmente, che viene l'ispirazione per questo secondo pezzetto. ù_ù
E così eccoci qua. :3 Inutile dirvi che spero veramente di aver reso ciò che intendevo, nonostante purtroppo non abbia mai vissuto in prima persona l'esperienza di non avere un corpo. XDD A mia difesa devo dire, nel caso XD, che il lavoro dello scrittore sta anche nello scrivere di cose di cui non ha esperienza. Io spero di averlo fatto con una certa cognizione di fatto, visto che Alphonse Elric è il mio personaggio preferito da quando avevo 15 anni. ♥♥♥ ("Ma perché ci sta dicendo queste cose?". "Non so, ma lo dice incredibilmente bene...").
E questo è tutto, gente! Ci vediamo dopodomani, o anche prima su Faccia. Buona lettura! :3 ♥








2. Are you still mine?
I need your love,
I need your love
God speed your love to me


Lo capimmo già, guardandola attraverso i finestrini impolverati del treno: Resembool non era cambiata. Né le colline, né il suo sole arrogante; neanche le case, le persone, le abitudini. Era tutto identico a come l'avevamo lasciato in quella notte di ottobre, Nii-san con l'odore di bruciato impigliato addosso ed io che non potevo neanche sentirlo. Era frustrante. Noi, lontani, rischiavamo ogni giorno per riavere indietro ciò che avevamo perduto, dai nostri corpi alle nostre vite, e Resembool se ne stava impassibile, a ridosso delle colline, verde ed azzurra com'era sempre stata nei nostri ricordi.
Ma non c'era più rabbia, negli occhi di Nii-san, verso quel cielo indifferente, verso quel panorama austero, verso ciò che Resembool rappresentava. Lo guardai, mentre il maggiore Armstrong mi teneva in braccio, e vidi che stava sorridendo. Il suo profilo, affilato come una lama, tagliava a metà l'orizzonte.
Quando tornammo, io ero dentro una cassa. Ero grigio ed enorme, sgraziato, informe e rotto, ma il sole rifletteva sulla mia superficie bagnata cangianti pezzetti d'arcobaleno. "Nii-san" mi lamentavo, perché quel matto mi lavava come avrebbe lavato un oggetto senza vita, "mi faresti male!". La sua risata amara, i suoi capelli raccolti in una treccia doppia e lunga oltre le spalle, il suo braccio muscoloso attraverso la canotta di un celeste sbiadito.
"Vorrei proprio farti male" pronunciò lentamente, con una serietà quasi ipnotica, e mi tolse la testa. La lanciò a Den, che ci guardava coi suoi occhi umidi, da cane fedele, stando dritto sulle sue tre zampe, inclinando la testa come per guardare il nostro strano quadretto familiare da una prospettiva differente. Ignorò la mia testa. Per Nii-san era una questione di principio: non poteva non volerci giocare. Rideva della mia disperazione il testardo, ma Den era più testardo di lui e venne a leccare la cassa nella quale la mia armatura, mutilata e decapitata, giaceva ancora. Io ero un mostro di ferro; Nii-san era la più luminosa delle stelle. Lui poteva specchiarsi dentro di me ed io brillare della sua luce. Ma quel cane zoppo venne ai miei piedi e stette lì per un po', rannicchiato, come riappacificandosi con la mia forma.
Come spiegarlo? Non avevo un corpo e provavo i desideri di un corpo. La paura, anche, insieme alla rabbia, non mi facevano battere i denti, tremare o piangere, ma potevo sentirle. Non ero immune a nessuno dei sentimenti che avevo provato quando un corpo ce l'avevo. Purtroppo. Il corpo di Nii-san, nonostante i pezzi mancanti, era ogni giorno più bello. I muscoli si levigavano sotto la stoffa pesante del suo cappotto rosso come il sangue, l'oro dei suoi capelli invecchiava, si illuminava, e la frangia gli ricadeva sugli occhi di giada, d'ambra, di sabbia come una tempesta terribile ed affascinante insieme. Più gli allenamenti lo levigavano, più diventava prezioso come una pietra; più le nostre sfortune corrucciavano le sue espressioni, più i suoi occhi diventavano duri e luminosi, come meravigliosi diamanti gialli. Il mio desidero strisciava attraverso le fenditure dell'armatura, come spiragli di luce, fino al suo petto striato dalle cicatrici biancastre, sottilissime. Non avevo un corpo e desideravo il suo corpo. Era così assurdo? Allora lo credevo. L'armatura non poteva arrossire, ma io potevo; non poteva volere, ma io sì. Non poteva temere, stancarsi, arrabbiarsi, vivere. Io potevo e tutto grazie al mio Nii-san. Strofinava con una spugna la mia superfice pesante e sgraziata ed io desideravo con tutto me stesso di sentire il suo tocco. E di ringraziarlo. E di sentire il suo odore di miele bruciato.
Non ero sensibile, ma il ricordo dei sensi era la mia personale condanna. Divenne chiaro quando vederlo nudo mi sembrò per la prima volta una sorta di rituale, il rinnovo quasi sacro di un voto. Vuoi tu Edward Elric prendere come tuo sposo tuo fratello Alphonse per amarlo, onorarlo e ritrovare il suo corpo ed amare anche quello nonostante la sorte avversa e il vento contrario, nella salute e nella malattia, perché neanche la morte possa separarvi? Nii-san lo voleva, mentre l'acqua scrosciava sul suo corpo nudo, nonostante fossimo nel giardino della casa di zia Pinako, sui sui bellissimi capelli sciolti e lunghi. Vuoi tu Alphonse Elric passare le dita tra quei capelli come un fiume impetuoso, baciare quel corpo martoriato come una pioggia di stelle cadenti, essere stretto dal braccio muscoloso e da quello di ferro come da un anello, contro quel petto meraviglioso, mappa del tesoro che è il cuore di Nii-san? Si, lo volevo. Sì sì sì, io lo volevo. Lo voglio. Ma, se avessi accarezzato quei capelli d'oro e giada con le mani dell'armatura, li avrei di certo spezzati; se avessi toccato quella pelle coi miei movimenti senza grazia, l'avrei strappata; se avessi baciato quella bocca con quella del mio elmo, avrei frantumato l'avorio di quei dentini aguzzi e perfetti. Io ero la balena; Nii-san il cavalluccio marino.
L'acqua scorreva sul suo corpo mutilato. Anche senza un braccio, coi cavi dell'automail in vista, la gamba d'acciaio traballante, era la cosa più bella sulla quale avessi mai posato i miei piccoli occhi rossi, immonde spie senza luce. I capelli bagnati accarezzavano la nuca come un guanto, quando si voltò verso di me. Sussurrò "l'acqua è fredda", perché mi descriveva sempre tutto: i sapori come i dolori, il freddo ed il caldo, l'odore del sangue e quello dell'erba e tutto ciò che col mio corpo mostruoso non potevo percepire. Avevo la vista, è vero, ma potevo vedere solo lui, perché era il mio punto di vista, il mio capo visivo, la lente neutra attraverso la quale guardavo ogni cosa. Era una stella a miliardi di anni luce e l'insetto più microscopico sulla spalliera del letto disfatto in cui non potevo dormire. Nii-san era la mia unità di misura. Contavo i suoi nei come fossero stelle. Mi consumavo nel desiderio di toccarlo ancora.
Guardavo sempre Nii-san addormentarsi, come prima che la mamma morisse. I suoi capelli creavano sempre arabeschi suggestivi sul cuscino bianchissimo. Il suo viso, sotto la luce della lampada, mi sembrava il più bello del mondo. Forse, semplicemente, lo era. Ma era come guardarlo dalla Terra, mentre lui era una stella: il pesce rosso che sogna di giocare col bambino oltre il vetro. Potevo guardarlo, ma non toccarlo; potevo chiamarlo "Nii-san" con un sorriso, ma non invocare il suo nome perché mi toccasse. Il gigante si era innamorato un'altra volta del bambino. Solo che il bambino addormentato al mio fianco, coi capelli chiarissimi a risplendere insieme all'alba, era sempre il mio Nii-san. Nii-san, Nii-san, Nii-san: la mia prima parola, il mio grido d'amore, il ritmo a cui batteva il cuore che non possedevo. Nii-san. Nii-san. A volte anche adesso ha ancora lo stesso suono del mio nome.
Afferrò con quella sua arroganza sensuale la spugna con la quale aveva lavato il mio contenitore grigio e vuoto. Den abbaiò e lui gli fece una smorfia, la stessa che avrebbe fatto da bambino. Si insaponò, si risciacquò. Mi chiese, con quella voce da adulto che aveva, da qualche tempo, quando lasciava che partisse dal diaframma per scaldarsi all'altezza della gola: "quand'è che ti manca di più il tuo corpo?".
Risposi: "quando guardo il tuo". La mia voce dentro l'acciaio dell'armatura, la sua mano nodosa contro lo stesso metallo, la sua fronte chinata: se avessi avuto un cuore, sarebbe esploso come fuochi d'artificio. L'armatura si sarebbe fusa col mio desiderio. Nii-san affondava nella mia carne anche se non ne avevo una. Lui mi stava sorridendo, le sue labbra carnose ed umide, inarcate nel più rassicurante e temibile insieme dei sorrisi.
Ricordo che Winry ci passò davanti, con la chiave inglese nell'elastico dei pantaloni informi, i capelli biondissimi ad accarezzarle la schiena ed un sorriso così diverso da quello di Nii-san, così innocente, così incoerentemente radioso. Averci a Resembool era l'unica forma di felicità che conoscesse. Arrossì, vedendo che Nii-san era nudo, ma lui l'aveva dimenticato, perché "ritroverò il tuo corpo, Al" mi stava dicendo. Io ero il suo unico interlocutore. Le sue parole parlavano solo per me.
Dentro l'armatura, la mia voce disse: "ed io il tuo, Nii-san".
Winry lo chiamava Edward. Era l'unica, insieme a zia Pinako, a farlo, da quando era morta la mamma. Per il Colonnello e gli altri era Fullmetal; per me era sempre, soltanto il mio meraviglioso Nii-san dalla pelle di neve, gli occhi d'oro zecchino, il coraggio indomabile. Le mani nodose. Il respiro mozzato, quando nel sonno diceva, quasi piangendo, "ti voglio, Al".
La verità è che neanche noi eravamo cambiati, proprio come Resembool: Nii-san avrebbe dato ancora l'altra gamba, l'altro braccio, il cuore per me. Ma non lo fece. Quella volta sussurrò, come il più prezioso dei segreti, mentre il sole dipingeva arcobaleni minuscoli sul mio corpo, informe, e sul suo, divino, "rivoglio il tuo corpo, Al". E forse eravamo entrambi dentro l'armatura, come dentro quel letto troppo stretto; eravamo nella stessa boccia, a guardare il mondo attraverso un vetro; languivamo per lo stesso tocco. Forse non eravamo cambiati. Forse eravamo ancora la stessa cosa.
Den ci abbaiava contro, mentre Winry ci diceva che era pronta la cena. Io, se avessi potuto, avrei soltanto sorriso. Ma ero solo un'armatura senza testa.
   
 
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