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Autore: WYWH    11/01/2012    7 recensioni
Piccola one-shot che parla di fatti precedenti alla long-fic Opera in Musica.
"Aveva voglia di accarezzarlo, e lentamente si mise in ginocchio sul letto, allungando una mano e sfiorandogli i capelli con la punta delle dita, timorosa all’idea che lui si svegliasse con quel tocco; se si sarebbe svegliato, probabilmente si sarebbe alzato subito dal letto, per prepararsi e andare agl’allenamenti della squadra."
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Anche un uomo'
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No Title, No Ending

 

Yayoi voltò il capo verso Jun, guardandolo dormire serenamente, un braccio di lui le sosteneva la testa ed era steso per tutta la larghezza del cuscino; gli guardò il profilo, pensando che il tempo, con lui, era stato gentile, non facendogli perdere niente del suo fascino. Forse, come lei, si era innamorato di lui, e pertanto aveva fatto di tutto per mantenerlo bello com’era.

Dunque anche il tempo era un suo rivale? E quante altre ce n’erano ancora?

Si sentì sopraffare dal quel pensiero, così sconfortante mentre si alzava lentamente, facendo perno con il gomito per poterlo vedere meglio; lui, per rimando, approfittò del movimento per ritrarre il braccio verso di sé e mettersi, da supino, ad una posizione laterale, prendendo un profondo respiro.

La donna, guardandolo, avrebbe voluto essere il fiato che lui aveva inspirato, per poter così raggiungere il suo cervello e conoscere i suoi sogni: sognava le partite di calcio con i suoi amici? Oppure sognava la sua famiglia, aveva il labbro storto, come se ci fosse qualcosa che gli desse fastidio.

Aveva voglia di accarezzarlo, e lentamente si mise in ginocchio sul letto, allungando una mano e sfiorandogli i capelli con la punta delle dita, timorosa all’idea che lui si svegliasse con quel tocco; se si sarebbe svegliato, probabilmente si sarebbe alzato subito dal letto, per prepararsi e andare agl’allenamenti della squadra.

Le avrebbe parlato, le avrebbe dato un bacio veloce e via, poi sarebbe scomparso dietro quella porta; e lei sarebbe rimasta così, ferma, immobile, con nient’altro in mano che l’aria. La stessa aria che, adesso, faceva fatica ad entrare dentro i suoi polmoni mentre si sporgeva ulteriormente, immobilizzandosi spaventata quando vide una ciocca di capelli rossi scivolare dalla sua testa, sfiorando il naso dell’uomo.

Questo, per tutta risposta, fece una faccia scocciata e girò il volto, il respiro pian piano tornava profondo e regolare, per il sollievo del cuore di Yayoi; le sue dita, a quel movimento, si erano alzate velocemente, e adesso rimanevano sospese a mezz’aria, indecise se toccare o meno quella pelle.

Lei gli aveva toccato il volto cos’ tante volte che sarebbe riuscita a riconoscerlo anche ad occhi chiusi: quando era stato bene, quando aveva sofferto per il suo cuore, quando aveva cercato di consolarlo e quando lo aveva sostenuto durante la sua operazione.

Si, lei c’era sempre stata accanto a lui, ma lentamente la donna si rese conto della trasformazione che stava subendo anno dopo anno, continuando a stare con lui: da presenza fatta di carne ed ossa, con un nome e un volto, lentamente era mutata prima in un’ombra, per poi cominciare a sciogliersi come neve al sole. Di questo passo, restando accanto all’uomo, della donna non sarebbe rimasto più niente.

Pensò tristemente all’ultima telefonata fatta con suo padre: l’aveva sgridata, dicendogli che non poteva restare in quella casa, minacciandola di andarli a trovare perché, altrimenti, sarebbe venuto lui stesso a riprendersela, dicendone quattro all’uomo “che sosteneva di essere suo marito, un uomo che non aveva neanche il fegato di tenere la fede al dito!”

E in effetti, tra i due, non c’erano mai stati anelli; Yayoi non ne aveva mai avvertito la necessità, e per Jun erano scomodi quando giocava, così di comune accordo avevano deciso di fare, si, la cerimonia, ma dopo di non tenersi gli anelli. Tanto c’erano i documenti che provavano la loro unione, giusto?

Delle volta la donna si guardava la mano sinistra, il dito anulare sinistro, e in un moto di ribellione si chiedeva se, andando in giro in qualche locale, gli uomini si sarebbero avvicinati a lei, in quanto non aveva alcun segno del suo stato di coniugata; e in caso, lei ci sarebbe stata? Avrebbe provato la tentazione di frequentare un altro al di fuori di Jun?

No, non ci sarebbe riuscita: lo amava troppo e male per riuscire a staccarsene.

Sapeva di essere drogata di lui già prima del matrimonio, quando aveva accettato tranquillamente di lasciare la sua casa, i suoi genitori, per seguirlo a Tokyo, doveva aveva dovuto ricominciare assolutamente da zero mentre lui, al contrario, aveva il contratto con la squadra di calcio come punto d’inizio; si era trovata, così, sola, sperduta e incapace di fare qualcosa. In una parola, inutile.

E Jun? Jun la considerava inutile?

Lo guardò con una tale sofferenza che, ad un tratto, portò la mano al volto, soffocando i singhiozzi per non sposare l’uomo. Lei lo amava così tanto, ma persino fare l’amore con lui era diventato straziante.

Ne era certa: un giorno sarebbe arrivata un’altra, più seducente e sicura di sé, e gliel’avrebbe portato via.

Oddio, se Sanae l’avesse vista così le avrebbe di sicuro dato una scrollata di spalle, incazzandosi; le avrebbe gridato di svegliarsi, di darsi un contegno, che una volta era stata una ragazza ben diversa da quella che era adesso. Ma un tempo Yayoi aveva qualcosa in più: la sicurezza che Jun potesse innamorarsi di lei, così come lei si era innamorata di lui.

Ma ora, ora che era passato tanto tempo e le cose avevano assunto una piega statica, abitudinale, noiosa, la donna si era resa conto che quella sua speranza era morta nel tempo, e lei cieca non se n’era nemmeno accorta. In cosa, adesso, poteva aggrapparsi? In quali certezze, quali speranze?

Avrebbe voluto svegliarlo, scuoterlo e chiedergli se l’amava sul serio, se davvero andava bene continuare a restare sposati; ma non ne aveva più il coraggio, quella stessa forza che l’aveva sostenuta nei momenti peggiori passati con Misugi, ora l’aveva abbandonata, lasciando dietro di se una donna sull’orlo della depressione.

I suoi stessi amici erano preoccupati per lei, ma lei proprio non riusciva a ritirarsi su.

Fin quando stava con Jun … non sarebbe mai riuscita a guarire da quello stato.

Lentamente si alzò dal letto incurante di coprire il suo corpo spoglio, dirigendosi verso la sala da pranzo della casa; lì, accanto al vassoio contenente la frutta secca, c’era la cartellina dei documenti dove, all’interno, c’erano le carte della separazione.

Jun le aveva portate a casa quel giorno, senza però parlarne subito con la donna, evidentemente voleva aspettare il momento buono; peccato che lei, incuriosita, aveva sbirciato, pensando che fossero delle analisi mediche fatte dal marito. Quando lesse l’intestazione e il nome dell’avvocato, le venne un tuffo al cuore, e di colpo la sua intera vita le apparve per quello che era: un inevitabile tuffo verso il fondo.

Aveva sfogliato e riguardato quelle pagine con emozioni sempre diverse: ansia, rabbia, disperazione, tristezza, rassegnazione. Non avrebbe mai avuto la forza per dire a Jun no, che lei si rifiutava di separarsi.

Ma su una cosa era certa: non si trattava di un’altra donna, l’uomo era stranamente fedele a lei, per quanto quei fogli dimostrassero che non l’amava più.

Quelle carte erano semplicemente la soluzione, per Jun Misugi, al problema che si era creato fra loro: l’annullamento della loro storia d’amore. Erano marito e moglie, ma erano al pari di una firma sul foglio di carta.

Una firma su quel foglio di carta, e il problema, magicamente, si sarebbe risolto.

La donna continuava a piangere mentre, silenziosamente, prendeva una penna da un cassetto, avvicinandosi alla cartellina e aprendola, leggendo senza troppa attenzione le varie righe e trovando la riga su cui lei avrebbe dovuto posare la sua firma. Ma aveva lo sguardo offuscato da troppe lacrime, e strinse gli occhi, allontanandosi dal documento mentre le gocce d’acqua salata finivano sul tavolo.

Il suo orgoglio stava prepotentemente cercando di uscire fuori dal catrame della sua desolazione, urlandole: non è quello che vuoi, non è la soluzione che vuoi! Gli devi parlare, ti devi spiegare!

E l’avrebbe volentieri ascoltata, quella voce, se solo la stanchezza non si fosse messa di mezzo, aggiungendo altro catrame dentro di lei: era inutile, non era la prima volta che tentava di parlargli e le sembrava che niente si fosse risolto. Non serviva a niente, tanto valeva … arrendersi.

Si, si sarebbe arresa, non aveva altra scelta.

Però continuò a piangere lo stesso, riprendendo la penna e, trattenendo il fiato, firmando sul documento “Yayoi,Misugi”. Guardò l’accostamento del uso nome con quel cognome, e le venne in mente quel giorno, quando sua zia aveva portato quello stupido libro sull’accostamento magico di nomi e cognomi, e sua madre subito aveva voluto vedere quale fosse il cognome più giusto per sua figlia.

Quando lei, scherzosamente, aveva detto “Misugi”, il risultato era stato pessimo, i kanji di nome e cognome si cozzavano fra loro, sorprendendo la ragazza, la quale poi non ci pensò più.

Forse, se ci avesse pensato un po’ di più … no, sarebbe finita comunque così: la magia, il credere a queste cose non l’avevano mai fatta cambiare idea sui suoi sentimenti; e ancora adesso, mentre accarezzava la sua firma sul foglio, lei non ebbe alcun dubbio di amare ancora Jun Misugi, come sempre.

Sentì freddo sulle cosce nude e sulle braccia, pertanto si alzò in piedi per tornare a letto, asciugandosi velocemente il volto e stendendosi sul suo lato del letto, coprendosi con il lenzuolo mentre sentiva un movimento da parte dell’uomo.

Ecco, ora si sarebbe alzato, si sarebbe lavato, vestito, e sarebbe andato in cucina, e avrebbe visto la sua firma sul documento.

Così, silenziosamente, si sarebbe conclusa la loro storia, senza urla o litigi. Semplicemente … in assoluto silenzio, lo stesso silenzio che schiacciava il petto di Yayoi, impedendole di parlare, piangere o anche solo di dormire, i suoi occhi neri fissavano vuotamente la parete bianca davanti a lei.

 

Ragazza mia sei bella e giovane

ma pagherai ogni cosa che otterrai

devi essere forte ma forte perché

dipenderà da te

tu sei l'amore il calore che avrà

la vita che vivrai.

Anche un uomo può sempre avere un'anima

ma non credere che l'userà per capire te

 

**

Questa è una canzone che ho già usato in “Jeans”, ma la trovo così adatta a Yayoi che, risentendola, ho avuto chiara la scena e non sono riuscita a frenarmi dallo scrivere; si tratta di “Anche un uomo”, di Mina, che è anche il titolo di questo nuovo ciclo. Posso sembrare molto infame nei confronti di questa coppia (ride), ma ho sempre pensato che la loro perfezione nascondesse più crepe della relazione tra Sanae e Tsubasa.

Dedico questa piccola one-shot in particolare a sissi, con tanto affetto, da parte di W.

Ci vediamo!

   
 
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