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Autore: Mork    11/01/2012    1 recensioni
Cosa accadrebbe se i Cybermen non avessero l'inibitore di emozioni?
Genere: Angst, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Companion - Altro
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Riprendi il controllo di te nel momento in cui i portelloni si chiudono silenziosamente alle tue spalle, e tutto ciò che vedi intorno a te è metallo, vapori freddi e umidi e un’inquietante luce rossa. In cerca di una via d’uscita guardi sopra la tua testa, da dove sembra provenire un diverso tipo di luce artificiale, quella bianca e asettica del magazzino. Senti persone sconosciute gridare al di là della tua gabbia d’acciaio, e tu ti unisci presto a loro, quando un ragno meccanico dalle zampe di cesoie e seghe elettriche scende danzando su di te; le tue urla si fanno più acute mentre quelle lame ti dilaniano la carne, estirpando tutto ciò che ritengono superfluo ed estraendoti il cervello dal cranio tremante. Il tuo sguardo si allontana infine da quel morboso e furente occhio di sole acceso su di te, e l’ultima cosa di cui sei consapevole è un gelo improvviso e consumante.
 
Quando torni a vedere, sei ancora una volta circondato da quegli orrori in armature d’acciaio; solo che ora non rimangono immobili e silenziosi in file ordinate, in attesa di ordini, vigili e minacciosi. Un barlume di speranza balena nella tua mente nel vederli così impacciati, disorganizzati, apparentemente nel caos del terrore più annichilente. L’aria è intorbidata dallo stridore dei passi e delle giunture di metallo e dal pulsare isterico delle loro voci. Tenti di spostarti di lato e trovare un passaggio per fuggire, ma le tue gambe sono pesanti e il tuo corpo risponde a fatica ai comandi del tuo cervello: c’è qualcosa che ti annebbia la mente, una sensazione sempre più oppressiva ma che non riesci a definire, come quando si cerca ansiosamente di indovinare una sagoma nell’oscurità più totale. Muovi qualche passo, e appoggi una mano alla parete per sostenerti.
Vieni attraversato da una soffocante scossa di paura nel vedere la tozza mano d’acciaio dei tuoi aguzzini, e fai un goffo tentativo di scansarti, nonostante il tuo cervello abbia già raggiunto quella conclusione che così disperatamente tentavi di ignorare. La sagoma nell’oscurità si è delineata, e con orrore vedi te stesso.
Fletti lentamente le tue nuove dita mentre la tua mente ricollega freneticamente tutti i pezzi nei suoi ultimi attimi di coerenza. Il dolore che il tuo corpo non è più in grado di provare né esprimere si concentra nel tuo cervello, tutto ciò che ti è rimasto di umano, e lo trafigge in lampi di ribrezzo e pazzia. Vorresti piangere, ma non hai più occhi per farlo; vorresti urlare, ma dalla fessura che hai al posto delle labbra esce solo uno sfrigolio elettrico costante, incapace di variare di tono o volume.
Barcolli in avanti scompostamente, urtando quelli che ora riconosci essere i tuoi compagni di sventura: sai che tra loro ci sono i tuoi amici e i tuoi parenti, ma non sei in grado di distinguerli tra la folla di visi tutti uguali – viso che tu stesso sai di avere. Non riesci a sentire il freddo e la durezza delle armature altrui quando ti urtano, né il minimo dolore. Sei all’interno di un involucro che non invecchierà mai, né sarà mai ferito: anzi, tu sei quell’involucro. Sei un corpo incapace di avvertire il caldo e il freddo, incapace di rabbrividire, di arrossire, di provare stanchezza. Se avessi ancora un volto, avresti serrato gli occhi, le sopracciglia aggrottate, e avresti stretto le labbra in una smorfia di disgusto e sofferenza. Ma la tua nuova faccia rimane stupidamente inespressiva, il tuo cuore metallico batte tranquillo, le tue membra non tremano.
Ti sembra che il tuo cervello si stiri e si accartocci, tanto è disperato e penoso il suo tentativo di rimanere sano, di metabolizzare quelle informazioni, di adattarsi alla tua nuova identità; con un movimento istintivo stringi la testa tra le mani.
È allora che ti accorgi di avere ancora una speranza, una via d’uscita dall’esistenza infernale che ti attende. Il cranio metallico si abbozza e si piega sotto la presa ferrea delle tue dita. Accogli questa rivelazione con un furore estatico, la tua mente pervasa da un singolo, martellante pensiero: NO.
La razionalità ti ha abbandonato da tempo, e i ricordi cavalcano disordinatamente i brandelli di cervello che presto tu stesso schiaccerai, nel tuo ultimo ed estremo atto di umanità.
Hai perso l’identità, la ragione, la memoria, e i tuoi sentimenti sono stati pressati e azzittiti dai pesanti stivali del dolore e della follia; l’unica cosa che ancora ti definisce come essere umano è la tua forza di volontà.
MI RIFIUTO.
È il grido con cui vinci la tua battaglia, il lamento con cui piangi la tua sorte, il puro atto di volontà con cui stritoli il tuo cervello con le tue stesse mani.
  
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