Uno sfogo, uno
sfogo perché sto male, perché avevo deciso di crederci... perché forse,
malgrado tutto, posso ancora crederci... anche se, forse, a vent’anni, sarebbe
ora di crescere un po’...
I nomi citati
sono tutti reali (chiaramente privi di cognome).La canzone è “Tragedy”, da La febbre del sabato sera. La canzone che
pensavo avessi ballato per me, Lyubo... “son cose che non succedono mai, ma
quel sorriso era solo per lei...”
Una lei che non
credo potrò mai essere io.
Credo che sarò
sempre la tua Cara Sconosciuta.
Holzpuppe
-A desperate need of being yours-
To Lyubo
Bambola.
Così
si intitolava il pezzo che lui stava ballando la prima volta che l’aveva
notato, splendido, su quel palco.
Meraviglioso,
piccolo burattinaio innamorato di una creatura inesistente.
Proprio
come lei.
Here I lie
In a lost and lonely part of town
Held in time
In a world of tears I slowly drown
Goin’home
I just can’t take it all alone
I really should be holding you
Holding you
Loving you, loving you
La
strada di casa sua non le era mai sembrata così buia e triste e non riusciva
davvero… a capacitarsi di come questo fosse possibile, dato che fino a poche
ore prima le pareva che tutto intorno a lei esplodesse di colori.
Con un
sorriso triste strinse a sé la maglia che non avrebbe più voluto lavare, la
maglia che indossava quando lui l’aveva abbracciata.
Il suo
profumo era impresso in maniera indelebile in quel pezzo di stoffa.
Profumo
acre, pungente, fatto di fatica e divertimento.
Profumo
straniero, sconosciuto e intrigante.
Come
lui, come il suo paese lontano che lei avrebbe fatto fatica persino a situare
su una cartina.
Una
lacrima le scivolò a tradimento giù lungo la guancia destra.
Sopra
la Grecia, un po’spostato verso est, eccolo lì, il suo paese.
Che
ora avrebbe voluto cancellare dal pianeta con una grossa gomma.
La
macchina sbandò leggermente, evitando per un pelo di strisciare la fiancata
contro il muro.
Dio,
quando, in quale momento del viaggio i suoi occhi si erano riempiti di lacrime
a quel modo?
Piano,
asciugandosi gli occhi, accostò in una provvidenziale ansa della strada e si
accasciò sul volante, stringendo forte la maglia grigia, unico legame che
avesse mai avuto con lui.
Innamorarsi
in tre giorni.
Stupida
Elisa... sono cose che si smettono di fare a quindici anni.
E poi
innamorata di cosa? Di un’idea? Di un effimero passo di danza?
Le
mani si strinsero ancora, le nocche sbiancarono.
Non lo
conosceva, avevano parlato appena un paio di volte, eppure, per essere amore
era amore.
Perché
i suoi occhi brillavano di passione quando stava sul palco, proprio come
succedeva a lei.
Perché
erano stupendi, quegli occhi.
Perché
i suoi tentativi di parlare italiano erano quanto di più adorabile le fosse mai
capitato di sentire.
Perché
era diverso dagli altri, anche se con gli occhi di un’innamorata non si può mai
dire con certezza.
Perché
il suo nome era buffo.
Per la
sua carnagione scura.
Per
quelle ultime frasi, che, in fondo, erano anche le prime... Thanks for that thing that you love me. I’ll keep in touch.
Doveva
credergli?
Aveva
sperato di sì, prima di apprendere del suo fidanzamento lungo tre anni.
Con
una ragazza più simile a lui di lei... stessa nazionalità, stesso mestiere...
come accidenti aveva potuto pensare di arrivare da qualche parte con quella
storia da bambina?
Non
era giusto, nulla era giusto... avrebbe dovuto essere tra le sue braccia perché
lui era l’uomo che sognava da una vita, appassionato e delicato, sorridente e
gentile...
E
invece era lì, terribilmente sola, mentre lui stava ancora, ignaro, sotto al
sole della Grecia.
Chissà
se era possibile che lui avesse capito che era proprio lei quella bambola che
si muoveva solo grazie ai suoi fili....
Tragedy
When the feeling’s gone and you can’t go
on
It’s tragedy
When the morning cries and you don’t
know why
It’s hard to bear with no one to love
you’re
Going nowhere
When you lose control and you got no
soul
It’s tragedy
Una
luce pallida, ben diversa da quella della luna prese piano piano
a farsi strada sopra agli alberi di quel bosco che le aveva sempre fatto paura.
L’alba.
Se lui
fosse stato lì l’avrebbe protetta? O avrebbe riso delle sue paure?
In
silenzio, tentando di porre un limite ai singhiozzi che parevano proprio non
volersi fermare, si ravviò i capelli bagnati di lacrime.
Aveva
riso quando gli aveva consegnato quel biglietto con i suoi recapiti? O gli
aveva davvero fatto piacere come le era sembrato? Oppure ancora si era
arrabbiato perché aveva scritto male il suo nome?
L’ennesimo
pugno colpì la gomma scura del volante.
Non era
certo colpa sua se quel nome era così meravigliosamente diverso dai banali nomi
italiani o inglesi a cui era abituata.
Di
certo non l’avrebbe scordato mai: la seconda lettera era una y, non una j.
Si
sentiva terribilmente patetica, ma era così difficile, così terribilmente
difficile...
Ora
che aveva scoperto che esisteva, che aveva degli occhi, un nome e un sorriso,
come avrebbe potuto andare avanti e fare finta di nulla?
Ogni
cosa, intorno a lei, sembrava chiamarlo a gran voce... non aveva capito, non aveva
nemmeno immaginato che quel sentimento fosse così incredibilmente forte.
Tutto,
tutto era Lyubo...
Il
verde delle foglie brillava come quello dei suoi occhi, nel buio.
La
terra brunita aveva il colore della sua pelle e la luna ormai pallida la forma del
suo sorriso.
E
niente, niente al mondo era più simile al suono della sua risata del gorgoglio
della vecchia cascata.
In
quel momento, quel momento in cui il suo cuore, il suo cervello e la sua anima
erano una cosa sola, tutto il mondo sembrava gridare forte il suo nome.
L’avrebbe
rivisto?
In uno
scatto d’emozione più forte degli altri, uscì dalla macchina, di corsa.
Portiera
aperta, luci accese, non le importava di nulla.
Corse
veloce fino alla cascata, inciampando più volte sui sassi bagnati e si inginocchiò,
piangendo, nell’acqua gelida di quel nord Italia che aveva sempre amato e che
ora le sembrava così terribilmente lontano... lontano da tutto ciò che contava.
Il
liquido trasparente le accarezzava piano le gambe, delicato e gentile come le
mani di un amante, freddo come il suo cuore in quegli attimi orribili.
Come
l’avrebbe accarezzata lui, se l’avesse amata?
Night and day
There’s a burning inside of me
With a yearning that won’t let me be
Down I go
And I just can’t take it all alone
Giorno,
notte... cambiava davvero qualcosa? Contava qualcosa?
Forse
sì, pensò con un sorriso, accarezzando piano l’acqua che le lambiva le gambe.
Dopotutto,
in Grecia, come anche in Bulgaria, le stelle e il sole che lei vedeva in quel
momento così strano in cui notte e giorno si contendevano lo spazio del cielo,
erano le stesse che, forse, anche i suoi occhi, così simili al mare greco,
stavano guardando.
E quel
piccolo sorriso, timido, prese ad allargarsi sempre di più sul suo volto, prima
di sfociare in una vera risata.
Dopotutto,
vivevano sullo stesso mondo e, finché entrambi ci restavano, quell’amore non
sarebbe stato davvero impossibile.
Difficile,
ci sarebbe stato da lottare, ma quel fuoco che le ardeva dentro non poteva e
non doveva essere spento né dalla lontananza né dalla presenza di un’altra
donna.
Non
era un amore stupido il suo, no... lei era diversa da tutte quelle ragazzine
sciocche che credevano di amarlo. Lei era una donna, una donna vera con una
vita vera e una passione grande.
E
sarebbe stato suo.
Solo una
lacrima si affacciò, di nuovo, ai suoi occhi, terminato l’attimo di euforia.
Una
lacrima che portava con sé una singola, piccola eppure enorme domanda: quando?
Per un
istante, uno solo, la malinconia e la tristezza ammanettarono di nuovo il suo
cuore.
I really should be holding you
Holding you
Loving you, loving you
All’improvviso
una mano, leggera come un soffio di vento, si posò sulla sua spalla.
Asciugandosi
gli occhi con la manica del vestito si voltò, e il respiro le morì nel petto al
vedere sopra di sé quei meravigliosi occhi verdi.
Che
fosse vero o che fosse solamente un ritratto fatto dalla sua fantasia non le
importava: lui era lì e le sorrideva.
“Zashto plachesh?” Domandò
l’immagine, tanto eterea che, per un momento, le parve sul punto di sparire.
“Non
capisco...”
Il
volto di lui si rabbuiò per qualche secondo, come nello sforzo di comprendere
ciò che lei gli aveva detto.
Sembrava
così reale...
“Printsesata e tuk. Obicham te, printseso. Prosto mi dade vreme da se realizira...”
E
all’improvviso, in quell’atmosfera così magica ed irreale, tutto le parve
chiaro, anche le parole pronunciate da un’ombra in quella lingua sconosciuta.
“Abbracciami...”
Lo pregò, guardandolo negli occhi come da giorni desiderava di fare.
Da
giorni... o forse da tutta la vita.
Piano,
in silenzio, lui si chinò, sedendosi dietro di lei e l’avvolse nel suo
abbraccio fatto di vento e di stelle.
“Ti si moyata printsesa. Shte vi bŭde printsesa. Obeshtavam.”
E, non richiesto,
un nuovo sorriso si dipinse sulle braccia di lei.
Chi lo ha detto
che le promesse fatte dal vento non possono avverarsi?