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Autore: Talestri    12/01/2012    7 recensioni
Lo sguardo a perdersi sui giardini di casa Jarjayes, tanti pensieri nella testa, André riflette sulla serata appena trascorsa, sulla sua Oscar, su sè stesso. Gelosia, rabbia, amore albergano il suo cuore poi un po' di sernità: il volto di lei impresso nella mente.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“E’ già da un po’ che la notte è scesa. Tutto è buio fuori, solo la luna rischiara le fronde più alte degli alberi, coi suoi raggi pallidi. Sembra quasi ostile questo  giardino visto così, questo giardino in cui ho trascorso momenti felici, in cui ho giocato, sin dai primi giorni, quando sono arrivato in questa casa. Quanto ero piccolo allora e ingenuo, se mia nonna non me l’avesse detto forse avrei perfino creduto che Oscar fosse un bambino, non una bambina. Già una femmina, una donna. Stasera in quella locanda nessuno se ne è accorto, per sua fortuna, altrimenti quei bruti le avrebbero fatto subire violenze peggiori di una scazzottata … no non ci voglio nemmeno pensare! Non glielo avrei permesso di certo, a costo della vita, no, non avrebbero mai  potuto fare una cosa simile alla mia Oscar in mia presenza. Che stolti però, come si fa a non capirlo?! Molti non lo capiscono, ma io mi accorgo sempre che è una donna ed una bella donna, molto bella. Tutto in lei, al di là dei vestiti che porta, parla della sua femminilità: il suo corpo esile e slanciato, così sottile, le sue mani affusolate, i suoi lineamenti perfetti, così delicati, le sue labbra piene, la linea diritta del suo naso, i suoi biondi capelli ribelli e allo stesso tempo ordinati, il suo sguardo profondo, azzurro come il cielo più terso d’estate, no, nemmeno quel cielo potrebbe aver un colore simile, credo che i cieli del paradiso siano di un blu simile, sì i cieli del paradiso devono essere proprio dello stesso colore degli occhi di Oscar … la mia Oscar.”

Sorrise di sé André, fece un passo in dietro, guardando per l’ultima volta fuori dalla finestra, poi la chiuse. Con le mani appoggiate alla maniglia, rimase un secondo a fissare i vetri, anche se davanti a sé in realtà vedeva il viso di lei, avvolto come da una luce celestiale, angelica.

“Sì angelica è l’aggettivo giusto, è un angelo quella donna. Mi farà impazzire o, se sarà mia e qualcosa mi dice che lo sarà, mi aprirà le porte del paradiso e improbabile o no la seconda possibilità è un sogno troppo grande perché io non lotti per essa, fosse anche solo una chance contro cento, mille, un milione io devo lottare.”

Tolse le mani dalla maniglia della finestra e le strinse in due pugni, con tutta la forza che aveva in corpo, fremeva, stringeva più forte le mani, che teneva ferme davanti a sè, le osservava. Pochi secondi, si distese.

“André, André certo che sei un sognatore!” Sorrise sorprendendosi a parlare da solo.

“Ma in fondo cosa ho da perdere? Tutto forse … confessandole il mio amore potrei allontanarla da me irremovibilmente e a questo non potrei sopravvivere. Devo rimanere in silenzio, al suo fianco, per proteggerla, come sempre. E’ tutta la mia vita, non posso permettermi che le accada qualcosa, proprio non posso.”

Annuiva silenziosiamente ai suoi discorsi interiori il giovane, consumando il pavimento sotto i suoi piedi, avanti e in dietro, avanti e in dietro, calcava lo stesso metro di piastrelle rossicce.

“Questo cotto è qui da un bel pezzo ormai, non sarò io a consumarlo. Ironia pessima Grandier e pensare che bere dovrebbe renderti più divertente.”
Il  bere sì, perché quella sera lui aveva bevuto, con Oscar, riaffiorarono prepotenti  nella mente di André i ricordi ancora freschi  della serata appena trascorsa.
“Volevi bere Oscar per dimenticare Fersen. Eri in ansia per il ritorno delle truppe dall’America. Avevi paura che lui non tornasse e io te l’ho detto che il suo nome non era nè sulle liste dei morti e né dei dispersi …  ho controllato per te. Tu hai finto indifferenza, ma soffrivi per paura di non rivederlo, per paura di cosa sarebbe successo al suo ritorno. Volevi cercare di cancellare il dolore del cuore e hai trovato il dolore fisico delle percosse a rimpiazzarlo, non credo proprio fosse quello che cercavi.”

Scosse la testa “ Che sciocco dovrei proprio evitare di ironizzare, ma forse così tutto mi sembra meno duro: il suo amore per Fersen mi fa impazzire, la gelosia brucia come fuoco dentro di me, incontenibile e la cosa che mi fa più rabbia è che lei può solo ricavare sofferenza da questo amore, se almeno la rendesse felice bè lo accetterei, non dico che benedirei la loro unione, ma lo accetterei, non so come, non so quando, ma almeno proverei ad accetarlo,  anche se devo ammettere che in parte sono sollevato che il conte svedese non ricambi l’amore di Oscar, altrimenti la perderei definitivamente. In ogni modo sono in collera con lui perché è la causa della sua sofferenza, della sua malinconia, della sua suscettibilità, di quel velo sottile che adombra i suoi bellissimi occhi blu … sì lo odio per questo e anche perché lei lo ama, va bene, lo ammetto.”

Si fermò di botto. Mosse alcuni passi verso il cassettone su cui era appeso un modesto specchio abbastanza grande. Fissò la sua immagine riflessa.

“Sei un uomo che soffre André Grandier, un uomo che soffre per amore, proprio come il conte di Fersen. Che ti piaccia o no, non gliene puoi fare una colpa se Oscar lo ama, altrimenti dovresti incolpare lei della tua agonia e lei non ha colpa di questo, lei non ha colpa se provi qualcosa per lei perché non c’è colpa nell’essere ciò che c’è di più simile al mondo alla perfezione, simile? Dicono che la perfezione non esista, ma io avrei molto da ridire a riguardo: ci vivo io a fianco della perfezione, ogni giorno della mia vita e la amo con tutto me stesso. “

Abbassò lo sguardo. Fissò la punta delle sue scarpe marroni. Risollevò gli occhi. Tornò a guardare lo specchio.

“Non sono poi così brutto!” Rise fra sé e sé. “Davvero però.” Si portò una mano al volto carezzandolo. Osservò nello specchio le linee del suo viso, la mascella forte, le guance ben rase, il naso dritto, gli zigomi alti , la fronte liscia, gli occhi, i suoi occhi verdi, profondi, sinceri, gli crearono un moto d’orgoglio in cuore.  Sciolse il nastro con cui raccoglieva i capelli, vi  passo in mezzo la mano pettinandoli, li scoprì soffici, setosi perfino, come non mai.

“Cosa hanno stasera i miei capelli? Sembrano più belli.” Il cruccio pensieroso, che aveva abitato per un istante il suo viso, lo abbandonò per lasciare spazio ad un’espressione enigmatica, neanche lui sapeva come interpretare la risposta datosi: probabilmente niente in lui era migliore di quanto lo fosse stato mai o almeno nell’ultimo periodo, solo che solitamente non ci faceva caso, affatto.

“Chissà se gli altri lo notano, se pensano che sia un bel ragazzo? Gli altri … Oscar.”

Fece qualche passo in dietro, quanto bastava per scorgere nello specchio le sue spalle larghe, forti e il petto muscoloso, che la camicia, in parte slacciata, lasciava intravedere. Non serviva molta fantasia per comprendere quanto basta di quel  fisico, che conosceva bene, si trattava del suo corpo dopotutto.                                                                                                                                                                                                       Scosse la testa, quasi infastidito, non gli era mai piaciuto chi passava ore allo specchio valutando i propri pregi e difetti, nemmeno la sua Oscar lo faceva.

“André sempre con questo chiodo fisso?! Dovresti trovarti un modo per impiegare il tuo tempo. Come se lavorassi poco … considerato di chi sono l’attendente, il lavoro non mi aiuta granché.”

Sbadigliò. Istintivamente si diresse verso il letto. Si spogliò e si trovò, sotto le lenzuola, con le braccia incrociate sotto la testa, a fissare il soffitto. Si accorse che aveva lasciato il lume acceso.

“La spengerò dopo quella candela, non ho sonno. “ Sospirò. “Non ho quasi mai sonno ultimamente. Chissà perché.  Fersen. Lasciamo perdere.”
Rifletté un attimo. Si alzò. Pochi passi e si trovo davanti alla luce della candela.

“Certo che quegli energumeni picchiavano duro.” Pensò accarezzandosi un braccio illuminato dalla candela scoprendovi non pochi lividi.

Soffiò. Buio. Tornò al letto.

“Se ho questi segni io chissà come starà Oscar. Non ho potuto difendere bene nemmeno me stesso, figuriamoci lei e ciò mi crea non poco fastidio. Sono stato solo in grado di sorreggerla quando quei ceffi hanno deciso che ce ne avevano date abbastanza. Mentre camminavamo, il suo braccio sulle mie spalle, stringeva i denti la mia Oscar, orgogliosa, forte come sempre, neanche un lamento, anche se ad ogni passo probabilmente percepiva una fitta. Dio quanto era bella, anche col viso livido, per le botte ricevute, era comunque bellissima, il suo volto rischiarato dalla luce della luna aveva un che di magico, fiabesco, oserei dire divino e in realtà poco importa se è la luna, il sole, una candela o un lampione nel centro di Parigi a illuminarlo, la sua bellezza per me è sempre un colpo al cuore.”

Chiuse gli occhi. Portò una mano al petto sospirando. Un altro sbadiglio. Guardò il soffitto, ora completamente nero. Infine si mise su un fianco, chiuse gli occhi di nuovo e per quella sera non rifletté oltre, si addormentò col sorriso sulle labbra e l’immagine di quel volto perfetto impressa nella mente.  

  
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