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Autore: JohnnyMignotta    13/01/2012    8 recensioni
Nii-san ed io ricominciamo ogni volta da zero.
[ ATTENZIONE! Elricest ].
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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...Sono una persona così triste! ;_; Il nostro calendarietto dice 13/1? S. non solo pubblica in tempo, ma alla mezzanotte della data prestabilita. è_é ...Questo fa o non fa di me la peggior sfigata delle terre emerse? ;OOOO; Non-ricordo-chi scrisse che la vita del puntuale è fatta di solitudini immeritate. ...Seriously, che tristezza. ._.
Ok ok ok, vi spiego. XD Domani sono in giro con mia moglie, che deve disegnare non so che facciata di non so che palazzo ;_;, e così... beccatevi la terza ed ultima parte di Timeline con qualcosa come 14 ore di anticipo. XD
Di questa terza parte devo dire veramente poco, quindi strappiamoci in fretta 'sto cerotto e facciamola finita. ù_ù
Alla fine di questa storia, c'è la lemon. Cioé non c'è: diciamo che c'è una wannabe!lemon. XD ...Il motivo per cui non l'ho scritta è semplice: non avrei saputo proprio come mantenere questi toni, questo stile e la prima persona. Alzo le mani: è un mio limite! ;___; E dire che l'avrei fatta Al/Ed, 'sta scena di sesso, proprio in quest'ordine. ù_ù
Il resto, my friends, lo sapete: non so quando rimetterò penna in questo fandom, non so in che termini (anche se sto scrivendo una cosaccia...), ma vivibbì e spero di aver fatto un buon lavoro con questa prima sciocchezza. Intanto vi ringrazio. *Inchino*. ♥
EDIT! - Ho dimenticato di dire che sì, in questa storia Roy Mustang resta cieco. E questo perché secondo mia sorella (...secondo me non so, non ci ho pensato XD) è OOC che decida di usare delle vite umane per riacquistare la vista. ...E le gambe di Jean, sì. T_T
Ok, passo e chiudo. (:
EDIT #2 ! ...STAVO PER DIMENTICARE UN'ALTRA COSA IMPORTANTISSIMA. ;_; Ma perché la mia testa funziona così male? -.-" Da qualche parte, in una delle (molte, ammettiamolo XD) similitudini, paragono Ed ad un cavalluccio marino - ve ne siete accorti, sì? Be', non sono stata la prima a farlo: prima di me l'ha fatto la Caska e l'ha fatto meglio. ...Bisognava dirlo. Io ci tengo a 'ste cose. u_ù Ciao, Caska, grazie! ♥









3. Lonely rivers sigh: "wait for me, wait for me".
I'll be coming home,
Wait for me.

La mia storia comincia con un lieto fine. Un'immagine: Nii-san ed io, stessi occhi, stesso sangue, stessa sorte, in un treno diretto a Resembool.
La prima cosa che sentii col corpo fu il suo tocco. Non era stato il suo ultimo atto da alchimista a ridarmi alla vita, ma il suo sorriso. I nostri occhi, identici, si erano guardati per un tempo che non esiste, in un luogo che non esiste, in tutti i modi esistenti. "Sono venuto per te, Al" aveva detto ed il calco di entrambe le sue mani mi aveva schiuso come un bocciolo: era la combinazione giusta, non avrei resistito un istante senza aprirmi. La mia serratura era scattata. "Torniamo a casa: ci stanno aspettando". Ma c'eravamo solo noi al mondo: Nii-san ed io. I suoi abbracci erano gli unici che non facessero male. Il suo sguardo mi sfiorava, come fossi fatto di vetro. Le sue mani, tutte e due, erano come veli sul mio corpo nudo. Tutti gli altri erano troppo rudi, le loro mani sul mio corpo erano violente, le loro voci troppo alte, le loro lacrime troppo calde. Nii-san era lento come la primavera, accorto come la carezza di un giglio, silenzioso come un bacio senza malizia. Mi disse che aveva fame. Io non lo facevo da anni, ma tutto ciò che volevo mangiare era la sua bocca. Non osai dirglielo, ma la sensazione che lui lo sapesse mi tormentò finché un soldato non ci portò della frutta fresca, un pezzo di pane e dell'acqua. Nii-san aveva detto di aver fame, ma restò a guardarmi mentre mangiavo, con un acino d'uva tra le dita ed un sorriso, finché non ebbi finito. "Bentornato" sussurrò. Da come lo disse, capii che l'aveva sognato a lungo quanto me.
Mi aveva detto: "ci stanno aspettando", ma era chiaro dal suo sorriso che eravamo noi due, quelli in attesa.
In una camera d'ospedale, dormii finché non venne un altro giorno. Poi ne venne ancora un altro, ma io facevo fatica a svegliarmi: sognai di distruggere l'armatura con le mie ossa e, quando mi svegliai, era notte fonda. Nii-san mi aveva promesso che avrebbe acchiappato i miei incubi a mani nude perché dormissi in pace, ma si era addormentato accanto al mio letto. Aveva i capelli sciolti. Sorrideva.
Il terzo giorno Nii-san aprì le finestre. Disse: "questo sì che si chiama recuperare il sonno perduto" e mi strappò le coperte. Sul mio comodino c'era la colazione: latte per due. Brindammo a qualcosa, ma non ricordo cosa. Aveva una canotta nera che gli lasciava nude le braccia muscolose. Mi disse che gesticolavo, mentre parlavo. Io gli dissi che era cresciuto e questo lo riempì di orgoglio. Rilanciò con un "i tuoi capelli sono lunghissimi" ed un sorriso beffardo, complice, che m'ipnotizzò per qualche istante. Poi presi la palla al balzo e dissi, sorprendendomi, quando il riverbero della mia voce non colpì l'armatura, infrangendosi: "tu sei sempre bellissimo, Nii-san". E lo era.
Abbassò lo sguardo. Arrossì. L'avevo mai visto arrossire, prima? Era un bellissimo angelo. Le sue ali profumate di zucchero solleticavano il mio olfatto nuovo come quello di un neonato. Il suo era l'odore del ventre materno, quello a cui associavo tutto ciò che è buono e giusto. Avrei cercato per sempre quell'odore su tutte le cose. "Al" disse. Poi stette zitto, perché arrivò un telegramma del Colonnello, perché dovevo provare a camminare, perché il mondo bussava continuamente alla porta della nostra camera ed a noi non era permesso tenerlo fuori. Questa volta mi addormentai, contando i suoi nei, mentre lui guardava il soffitto con solo le bende addosso. Era una stella vicinissima al mio cannocchiale, 'sta volta, potevo toccarla solo tendendo il braccio. Il suo calore si irradiava sulla mia pelle. E la mia pelle era tutta per lui.
Il quarto giorno ci dissero al telefono che nostro padre era morto. Nii-san fece quello che faceva sempre, quando voleva fingere che il dolore non lo scalfisse: prese una decisione. "Ti taglierò i capelli, Al" disse, come in passato aveva detto: "riporteremo nostra madre indietro" e "ritroveremo i nostri corpi". Lo presi in giro e ridere fu bellissimo. L'aria entrava nei miei polmoni ed io potevo sentirla; la mia bocca si apriva e la mia gola gemeva, facendomi chiudere gli occhi.
Mi aiutò ad alzarmi, fece cambiare le mie lenzuola. Qualcuno gli portò un paio di forbici. Io lo guardavo attraverso lo specchio. I nostri occhi, due diamanti gialli gemelli, si specchiavano gli uni negli altri. Gli chiesi se l'avesse mai fatto. Lui rise. "Al" mi ricordò, "non ci siamo mai separati, quando avrei dovuto farlo?". A me non faceva ridere. Mi riscaldava. Era una sensazione così nuova: non l'avevo mai provata da bambino. All'altezza dello stomaco, il mio corpo cambiava. Diventava fluido. Sotto il suo tocco ogni mio gesto cambiava nome. Muovendomi, lo sfioravo; guardandomi intorno, cercavo lui; mangiando, bevendo, cercando i miei appunti dentro il cassetto accanto al mio letto: tutto ciò che facevo era per lui. Nii-san esisteva e cambiava i nomi alle cose. Le ribattezzava. Sminuzzava gli angoli del mondo coi denti perché non mi ferissero. Mi guardava e tutto era infiammato, bollente, senza forma. Avevo un corpo e quel corpo fremeva per lui. Quando Nii-san tagliò la prima ciocca dei miei capelli, "non saprò mai come ripagarti" sussurrai. Pareva che il suo tocco mi salvasse ogni volta, da quando aveva dato il suo portale per riavermi.
Nii-san è buffo, quando è concentrato: tira fuori la lingua, strabuzza gli occhi, si tocca in continuazione i capelli. Quella volta si fermò con le forbici a mezz'aria e cambiò espressione. "Al" sussurrò, percorrendo con un dito la distanza tra il mio collo e la mia spalla, sopra il cotone chiarissimo della camicia che era stato lui a mettermi addosso, "sei tu la mia ricompensa".
Quella notte dormii con la nuca nuda contro il cuscino. Nii-san rideva tra sé e sé, mentre mi addormentavo, e la mattina del quinto giorno mi disse di non aver chiuso occhio, spalmando della marmellata sul mio pane. Era a petto nudo: gli avevano tolto le bende. Le sue cicatrici risplendevano al sole come chiedendo di essere leccate ad una ad una. Il Colonnello ci fece visita. Aveva con sé una lettera scritta a mano dalla piccola Elycia, una torta della signora Glacier, un mazzo di fiori e la sua cecità. Nii-san fece lo stronzo per tutto il tempo, ma il Colonnello sapeva tenergli testa. Lo ringraziai per tutto quello che aveva fatto per noi. Lui disse: "vorrei vederti. Devi essere bellissimo". Nii-san è uno stupido. Quando il Colonnello lasciò la stanza, stringendomi la mano, non gli fece neanche il saluto. "Prendetevi cura l'uno dell'altro, fratelli Elric" si raccomandò, come gli stesse profondamente a cuore, con Black Hayate a mostrargli la strada.
Il tenente Hawkaye aveva gli occhi lucidi. Nii-san la abbracciò, ma stava facendo le linguacce alle spalle del Colonnello. Era il Generale Mustang, ma noi non ascoltavamo la radio, non leggevamo i giornali, non eravamo stati informati. Per noi sarebbe stato sempre il Colonnello Mustang. Mio fratello avrebbe continuato a prenderlo in giro anche quando sarebbe stato vecchio e sciatto, quando gli avrebbe stretto la mano dal letto di morte. Io sapevo solo che gli dovevamo tutto; Nii-san solo che non avrebbe permesso che le cose cambiassero tra loro. Però quella sera volle andare a dormire presto. Io mi alzai, barcollando, e mi sedetti sul suo letto. "Torniamo a casa" gli dissi, scuotendo la testa. Avevo freddo ed anche quella mi sembrava la più bella delle cose. Era bello avere sonno, avere fame, sentire dolore alle gambe quando provavo a camminare. Era bello sentire il mio cuore che, come per magia, batteva. Era bello vivere. E dovevo a Nii-san tutta questa incontenibile bellezza.
Lui disse: "noi non abbiamo una casa, ricordi?". Io gli sorrisi nel buio. Le sue dita presero a scorrere lungo la mia spina dorsale, lasciandomi brividi minuscoli per tutto il tempo. Lo sentii sospirare così distintamente che mi sembrò di aver sospirato io stesso. Dopotutto eravamo sempre la stessa cosa. "Hai ragione" sussurrò. E lo sentii sorridere. "Ci stanno aspettando" ripeté. Io dovetti mordermi le labbra, per non ricordargli che esistevamo solo noi due, al mondo.
Ancora quell'immagine: Nii-san ed io, stessi occhi, stesso sangue, stessa sorte, in un treno diretto a Resembool.
Ci restammo per due brevissimi anni, ma in quel tempo piovve, grandinò, fece troppo caldo, scese la nebbia, la bruma, ci furono mille tempeste e tutto il sole del mondo: un'infinita varietà di espressioni possibili. Le colline avevano smesso di esserci indifferenti. In qualche modo il più grande sacrificio di Nii-san aveva commosso anche loro.
Io di quei due anni ricordo due cose: il tetto della casa di zia Pinako, che Nii-san non finì mai di aggiustare, e poi la mia carne spaccata in due e Nii-san dentro la ferita, doloroso e bellissimo come un lieto fine.



***





La mia storia - la nostra storia comincia con uno zero.
Aphonse è il più uno; Edward, il meno uno. Le nostre rispettive distanze dallo zero sono le stesse ed è per questo che è proprio allo zero che c'incontriamo.
Il nostro zero è sempre stato Resembool. I suoi colori pastello, la sua aria pungente, i suoi sapori salati. Ci incontreremmo anche all'altro mondo, in capo al mondo, in un altro mondo, se necessario, ma siamo nati per quello zero: Resembool è il nostro posto, anche se non abbiamo più una casa. Continueremo a cercarci, nei secoli dei secoli, ed è sempre lì che ci troveremo.

Nii-san ed io ricominciamo ogni volta da zero.
Nii-san, sto tornando a casa.
   
 
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