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Autore: Me91    13/01/2012    1 recensioni
Il deserto d'oro, un palazzo sfarzoso, un padre malato e... una gemma che cambierà la sua vita.
Sarà pronto l'esiliato principe a dimenticare il passato?
Storia partecipante al contest "Title Contest - I titoli dello zio Emilio" di Satomi91
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al contest "Title Contest - I titoli dello zio Emilio" di Satomi91 e si è aggiudicata il terzo posto e il premio speciale "Eroe Salgariano".
Spero che vi piaccia, buona lettura! ;)

La gemma del re lebbroso

 
Caro Nadir
Innanzitutto, perdonami.
 
Il bel cavallo è lanciato in una corsa sfrenata; il manto fulvo, lucido, diviene un tutt’uno con le dune ramate di quell’oceano di sabbia e spirali di granelli vorticano e si alzano in fitte nuvole al passaggio dei possenti zoccoli del magnifico destriero.
Il bel cavallo corre, corre veloce; corre nel vento, è il vento, e i suoi forti arti non si piegano alla stanchezza che vibra in ogni fibra dei suoi muscoli e il pesante respiro che fuoriesce dalle narici dilatate non viene vinto dalla bruciante aria calda del deserto che, con rabbia, entra in esse.
Il bel cavallo non si fermerà, non ancora: deve correre e deve essere rapido, in modo che il terribile sferzare dell’aria sul viso del suo cavaliere, la dolorosa sensazione ad ogni suo respiro secco, i forti scossoni che l’uomo deve sopportare ad ogni passo del destriero, facciano in modo che la mente si svuoti, finalmente, di quelle parole.
Ma esse non se ne vanno.
 
Perdonami per tutti questi anni di silenzio.
Perdonami se non ti ho mai scritto prima di adesso; credimi, avrei voluto.
Perdonami per averti allontanato. Perdonami. Vorrei poter tornare indietro, vorrei davvero.
 
Uno schiocco di redini e l’uomo incita il destriero ad accelerare. Il cavallo vorrebbe obbedire, ma sta già correndo come il vento.
Non è abbastanza; le parole di quella lettera continuano riecheggiare nella sua mente.
 
E mi sento un vile a scriverti proprio ora, ma non posso fare altrimenti.
Sto morendo, Nadir. Il mio tempo è quasi terminato e c’è una cosa che vorrei chiederti.
Mi odi, lo so. Ma è così importante...
 
C’è qualcosa che brilla in lontananza: tetti d’oro, bandiere color perla, colonne d’avorio.
Il cuore si stringe in una morsa; il cavaliere è quasi arrivato.
 
Torna a palazzo. Sarà per te una breve visita o, se vorrai, potrai rimanere. Non ti impongo nulla, in ogni modo il tuo esilio è revocato.
Torna, Nadir. Anche solo per un attimo: c’è una cosa che devo lasciarti. La cosa più preziosa che mi è rimasta e che tengo si affidata a te.
La mia Gemma.
 
Finalmente il bel cavallo può rallentare. Percepisce la tensione allentarsi, i muscoli rilassarsi, fin quando rimane ad ansimare pesantemente muovendosi ora con passo leggero; il capo sempre alto, fiero, con la criniera bionda che risplende al sole e il torace possente che si apre in profondi respiri.
Fiero, come la figura su di esso: un uomo vestito di nero, con i capelli scuri al vento e gli occhi nocciola segnati da una calma fredda, proprio come i tratti del viso ancora giovane, dalla rada barba e le labbra leggermente tirate, serie.
Il principe Nadir è tornato a casa dopo dieci anni d’esilio.
Varca l’arco d’entrata delle alte mura di cinta; al suo passaggio due guardie si inchinano, ma il suo sguardo non si sofferma su di loro.
Il suono che producono gli zoccoli del suo destriero sulla strada acciottolata risuona nella sua testa. Ha diversi flash di ricordi: corse a cavallo con i suoi vecchi compagni di gioco, risate sotto il porticato della locanda alla sua destra, scherzosi duelli in mezzo alla strada per decidere chi era il più abile, la fuga dopo l’ennesimo scherzo al panettiere. Frammenti di memoria carichi di dolorosa malinconia. Socchiude gli occhi, trattenendo a stento un sospiro.
Il cavallo scuote la criniera, richiamandolo al presente, e Nadir alza allora lo sguardo davanti a sé.
Lì si staglia il maestoso palazzo dalle cupole vivide di colori e cime dorate, le mura e le colonne di un bianco accecante, così come gli stendardi al vento.
La vista della sua vecchia casa, ora a pochi passi, lo turba più di quanto non si aspettasse. Si irrigidisce con quasi l’intenzione di stornarsi. Però, qualcosa, forse un presentimento, lo convince a proseguire.
Non sa perché è tornato.
Con la mano si sfiora il petto; sotto la casacca custodisce quella lettera. La sa a memoria; l’ha letta un centinaio di volte prima di decidere di partire.
 
So cosa provi, capirò se non verrai.
Ma ti prego, Nadir... È importante.
Fallo per me.
Per tuo padre.
 
Padre.
Quella parola ha perso ogni significato per lui. La figura di suo padre è morta dieci anni fa.
Avanza con calma per i corridoi di marmo rosato, senza lanciare nemmeno uno sguardo agli arazzi, gli affreschi e i bellissimi quadri alle pareti: è rimasto tutto come un tempo. È tutto così famigliare; nonostante sia stato via così a lungo, potrebbe chiudere gli occhi e avanzare senza aver paura di urtare nessuna parete. Quei luoghi, quelle stanze, quei dipinti, sono saldamente scolpiti nella sua memoria.
È rimasto tutto uguale, tranne lui: appunto, suo padre.
Giunto nella sua camera da letto rimane sulla porta con una certa esitazione.
Suo padre è là, adagiato sul sontuoso letto dalle coperte di un morbido color panna e dai lenzuoli di fresca seta. A rialzargli il capo sono diversi cuscini dalle raffinate cuciture e bei ricami; lo rialzano di un po’, quanto basta per fargli rivolgere lo sguardo verso l’entrata della camera.
«Nadir...» la sua voce non è altro che un sussurro che sa di morte.
Il giovane viene scosso da un brivido intenso e, nonostante cerca di celare il suo orrore, una scintilla di insicurezza pare illuminare i suoi occhi.
Il grande sovrano, suo padre, è là, sul letto; si trova in quella stanza, è vero, ma in realtà non è nemmeno l’ombra di ciò che era un tempo.
La sua pelle, sia del volto che delle braccia nude che ricadono sulle morbide coperte, è divorata dal demone della lebbra e in un modo così profondo che l’uomo è quasi irriconoscibile.
«Nadir...» lo chiama ancora debolmente «Avvicinati...»
Il principe esita ancora un ultimo istante, poi si fa avanti lentamente, fino a fermarsi a pochi passi dal letto. Cerca di rimanere impassibile, ma a tradirlo è la sua espressione terrorizzata: non riesce proprio a scorgere suo padre in quel mostro davanti a sé.
A spaventarlo di più sono i suoi occhi. Il re è completamente cieco a causa della malattia; questi sono biancastri, spenti.
Nonostante il suo animo sia ancora agitato, Nadir ora riesce a tenere a bada le sue emozioni e mostrarsi un po’ più freddo.
«Sapevo... sapevo saresti tornato...» mormora il morente, con gli occhi tremanti.
Nadir storce le labbra e si ritrova a chiedere:
«Come hai fatto a capire che ero io, lì, sulla porta? ... Sei cieco»
L’uomo annuisce debolmente con il capo e sussurra:
«Perché lo sapevo. Sapevo che eri tu»
L’espressione del giovane si adombra, pensieroso.
Dopo qualche istante di silenzio, l’uomo chiede:
«Figlio... perché non parli?»
«Cosa vuoi che dica?» ribatte l’altro cupamente, irrigidendosi un po’.
Il re tira un poco le labbra tristemente.
«Mi sei mancato così tanto, Nadir...»
Il giovane distoglie lo sguardo, come disgustato.
«Certo» commenta, secco, in un sussurro irritato.
«È la verità» ribadisce suo padre con un sospiro stanco.
Nadir torna allora a guardarlo e parla con un tono freddo, serio:
«Mi amavi, padre?»
«Non ho mai smesso di amarti»
«E mi amavi anche quel giorno?» riprende il giovane, scuro in volto ma senza alzare il tono della voce «Quel giorno di dieci anni fa, quando mi cacciasti dalla città, dalla mia casa, affidandomi solo un giovane destriero fulvo e pochi soldi... mi hai amato in quel momento?»
Le labbra del re fremono e gli occhi ciechi si fanno lucidi.
«Nadir...»
«Rispondimi, padre» pronuncia l’ultima parola con un velo d’odio che il malato percepisce immediatamente.
Il re rimane un attimo in silenzio, prima di iniziare a dire con voce leggermente tremante di malinconia e intima tristezza:
«Ho commesso molti errori in passato. Il più grande è stato quello di allontanarti... ma non potevo fare altrimenti. Mira era morta e io non sapevo cos’altro fare...»
«Credi che non stessi già soffrendo abbastanza?» sta volta Nadir si ritrova ad alzare un po’ la voce, mentre, involontariamente, i suoi occhi si caricano di lacrime «Non ha bastato la sua morte, la morte della donna che amavo follemente, ho dovuto subire anche questo: l’esilio da parte di mio padre»
«L’altra soluzione sarebbe stata la tua decapitazione!» esclama il re in un rantolo disperato «L’ambasciatore dell’Est, il padre di Mira, pretendeva che le leggi fossero rispettate: o la morte, o l’esilio. Quale delle due cose avrei dovuto scegliere, Nadir?»
L’espressione sul volto del giovane si fa rigida. Con le labbra tese e uno sguardo spento, Nadir sussurra:
«La mia morte, ovviamente»
Le lacrime scendono lungo le guance dell’uomo malato, bruciando sulle ferite fresche del suo volto.
«Figlio mio...»
«Mira si è spenta a causa mia» Nadir chiude gli occhi, colto da un fremito doloroso «Ero stato io a farla uscire da palazzo in piena notte; a condurla nel deserto al buio... per cosa, poi? Solo per ammirare la struggente bellezza delle dune accarezzate dalla luce argentata della luna» stringe con forza i pugni a quel ricordo dolce-amaro «Non ho saputo difenderla da quei banditi, non sono stato in grado di salvarla»
«Nadir, tu stesso hai rischiato la vita...» prova a dire l’altro, ma il giovane lo interrompe con forza, riaprendo gli occhi lucidi:
«Solo io meritavo di morire, padre. Lei non aveva colpa»
«Nemmeno tu!»
«Invece sì!» scuote il capo «E in tutti questi anni non ho fatto che pensarci. Avrei voluto volentieri ammazzarmi, ma non l’ho fatto. Non merito una fine così dolce: merito di soffrire, lo so»
«Nadir...» il re si interrompe sospirando debolmente.
Il principe ritrova la calma e si asciuga velocemente le lacrime. Dopo essersi ricomposto afferma, sicuro:
«Non rimarrò qui a palazzo. Lo so che l’ambasciatore è morto l’anno scorso e quindi il mio esilio può essere revocato, ma non mi interessa restare. Se sono passato, probabilmente è solo perché sapevo che stavi morendo» si interrompe un attimo, per poi riprendere senza esitazioni:
«Non so cosa sia questa gemma di cui mi hai parlato. Sappi che non mi interessa. Non ho bisogno di niente, non voglio niente da te. Soprattutto, non voglio ricchezze»
Il re scuote stancamente il capo e sospira ancora.
«In realtà, non è di una pietra preziosa che stiamo parlando» mormora con voce sempre più fioca «Ma il suo valore è per me ugualmente alto»
Nadir increspa leggermente la fronte, confuso.
«Nadir, mi sono risposato otto anni fa» inizia a dire suo padre e il giovane alza un sopracciglio, commentando:
«Questa mi è nuova»
«Dopo la morte di tua madre credevo non mi sarei più innamorato... mi sbagliavo» alza gli occhi in alto, come perso in un bellissimo ricordo «È successo e forse in parte sono riuscito a ritrovare un po’ di serenità con lei. Finché non si è spenta, giusto un paio di anni dopo»
Nadir rimane in silenzio.
Il re volta il capo alla sua sinistra, verso una grande finestra che dà su un fiorito cortile illuminato dal sole e prosegue a parlare:
«Ma non se n’è andata senza lasciarmi niente. Anzi, mi ha lasciato la cosa più preziosa che potesse donarmi. Si è spenta donandomi lei: la mia Gemma»
Allora Nadir alza gli occhi in direzione della finestra, verso il cortile variopinto, e nota così una piccola bambina seduta a terra e intenta a giocare con delle piccole pietrine colorate. Dà le spalle a Nadir, lui può solo osservare i suoi lunghi capelli neri, sciolti, e l’abitino azzurro che ricade dolcemente sul prato.
Il giovane si incupisce, capendo.
«Tua sorella ha sei anni, Nadir, e si chiama Gemma» l’uomo sospira «Gemma, perché è la mia gemma più preziosa»
«Io non ho sorelle» si ritrova a dire il principe, scuro in volto.
Il re torna a voltare il capo verso di lui, dicendo:
«Sapevo non avresti voluto prendere il mio posto come sovrano. Il mio successore sarà quindi uno dei miei fratelli, Baahir, perché è il più grande dopo di me. E sai bene come sono visti i figli bastardi del precedente re... un peso, nient’altro»
Nadir alza appena un sopracciglio, chiedendo:
«La tua seconda moglie non era una nobile?»
«No, era solamente una cameriera» mormora l’uomo.
Nadir si passa una mano sul volto, scuotendo il capo.
«Quella bambina sarà uccisa» afferma, storcendo le labbra.
«Infatti» conferma il re, poi torna a voltarsi verso la finestra «Mentre tu, Nadir, se rinuncerai ufficialmente al trono, non sarai perseguitato. Purtroppo, però, non ci sono leggi che garantiscano l’immunità di un figlio bastardo...» abbassa per un attimo le palpebre, per poi rialzarle lentamente e aggiungere in un sussurro:
«A meno che... tu non dichiari che Gemma è tua figlia»
Nella stanza scende il silenzio.
Il re si volta ancora verso suo figlio. Quest’ultimo si è irrigidito e non riesce a dire nulla.
«Nadir, è l’ultimo desiderio di un vecchio malato...»
«No» lo interrompe il giovane, serio «Non intendo fare nulla del genere»
Il volto del malato si tira in un’espressione sofferente.
«Voi due siete tutto ciò che mi rimane. Non voglio andarmene con il pensiero che uno di voi morirà con me...»
«Non sono affari miei, padre» afferma Nadir, freddo «Non voglio avere più niente a che fare con questo palazzo, con questo regno e con te. Sto già soffrendo abbastanza, non voglio più legarmi a niente e nessuno»
«Lo so come ti senti, figlio. Ma cerca di capirmi... è solo una bambina...» l’uomo torna a piangere, disperato «Ti prego...»
«Tu non sai come mi sento. Non lo sai» sibila il giovane, duro, sporgendosi un po’ in avanti «Non sai la disperazione che ho provato in questi lunghi anni. Anni vissuti all’agghiaccio, spesso affamato e costretto a lottare per un po’ di pane e ad uccidere per non essere ucciso. Non potevo fermarmi da nessuna parte che venivo riconosciuto come il principe assassino ed ero costretto a fuggire di nuovo. E tutto questo non ha fatto altro che aumentare la mia frustrazione e i miei sensi di colpa, facendomi scivolare in un baratro nero del quale ancora non riesco a vedere un’uscita, una luce. Tu non lo sai quello che provo, padre» ritorna impassibile e si raddrizza, sentenziando:
«Però forse ora lo puoi capire, perché sta per morire qualcuno a causa tua. Qualcuno che ami enormemente»
Il re è scosso da un singulto sofferente; le lacrime non si fermano.
«Riesci a vederlo, padre?» prosegue Nadir, terribile «Il buio? Ecco, stai sprofondando in quel baratro senza via di fuga. Ed è freddo, è silenzioso, è vuoto. È molto simile alla morte, ma è anche peggio. Hai presente, adesso, di cosa sto parlando?»
L’uomo piange e inizia lentamente a chiudere gli occhi, mentre la vita si allontana sempre di più da lui.
L’espressione di Nadir è lontana, gelida. Guarda suo padre morire e mormora:
«Prima ancora della morte, è la disperazione più nera che ti avvolge. Orribile, vero? ... Io lo so bene»
«Nadir...» rantola il re con un fil di voce «Nadir... perdonami...»
Caro Nadir
Innanzitutto, perdonami.
La vita lascia del tutto il corpo dell’uomo, mentre il giovane rimane immobile accanto il letto.
È scesa una calma surreale nella stanza; l’aria è pesante e fredda, il tempo si è fermato.
Infine Nadir si muove; fa un passo indietro e si ferma ancora, soffermando lo sguardo sul volto spento di colui che una volta era suo padre. Poi sussurra, impassibile:
«Non intendo perdonarti. Mai»
E si allontana, senza nemmeno guardare la bambina che ancora ignara del suo destino prosegue nei suoi giochi, serena.
 
Nadir... perdonami...
Il principe apre gli occhi di scatto, mentre il sole va a sorgere dolcemente in quella calda mattina.
Lui rimane ancora sdraiato, supino, a fissare il soffitto bianco sopra di sé. Il letto della camera degli ospiti in cui si trova è particolarmente comodo; sono anni che non si riposa su un giaciglio così morbido.
Non è voluto tornare a dormire nella sua vecchia stanza; a dire il vero avrebbe preferito partire subito dopo la visita a suo padre, ma si stava già avvicinando il tramonto e inoltre sa che dovrà aspettare l’arrivo di suo zio, il nuovo successore al trono, e firmare le carte di ufficiale rinuncia davanti il nuovo sovrano.
La notizia della morte del re si è sparsa in fretta: suo zio, infatti, giungerà entro quella mattina a palazzo.
Meglio così, pensa, sollevato al pensiero che già per pranzo sarà di nuovo sul suo cavallo. Si è stancato di viaggiare; probabilmente stazionerà vicino la costa, finirà per vivere di pesca e si costruirà una piccola casa dove, forse, ritrovare la pace. Da solo.
Ovviamente da solo; non ha mai pensato e non vuole pensare ad altre alternative.
Sospira, turbato dal discorso che ha fatto con suo padre. Anche il suo sonno è stato agitato: ha sognato il deserto di notte, i banditi, il sangue, poi gli occhi ciechi del re, i riflessi di luce delle pietruzze con cui giocava quella bambina rivolta di spalle, i capelli di lei al vento, poi ancora sangue e morte. Un miscuglio vorticoso di voci, sussurri e grida, colori e lampi di luce, lo ha tormentato tutta la notte. Ora si sente un po’ velato di sudore sul viso e il suo respiro è leggermente più affrettato del solito.
Chiude gli occhi e ritrova in fretta la calma.
Presto finirà tutto.
Con questo rassicurante pensiero in testa, si alza, si riveste e chiama un servo per farsi portare la colazione.
Gli servono cibi raffinati, frutta fresca - tra cui datteri ed uva- , poi latte di capra e pane fragrante appena sfornato. Mangia tutto con appetito: sono giusto un paio di giorni che non mette quasi nulla sotto i denti al pensiero dell’imminente incontro con il padre. Ma ora che è tutto passato si sente quasi più leggero. Si è quindi davvero tolto un peso? Probabilmente è così.
 
Quando suo zio giunge a palazzo viene accolto calorosamente con musica e canti, proprio come un eroe.
La gente dimentica in fretta: il ricordo del magnanimo re lebbroso - così nominato negli ultimi anni segnati dalla malattia - è stato relegato in un angolo della memoria e ora l’entrata in città del coraggioso nobile Baahir, che al comando del suo esercito ha sconfitto i barbari del Nord giusto pochi anni prima, garantendo di nuovo la pace per il regno, porta con sé speranza di prosperità e fortuna per il destino del popolo.
Baahir spicca sul suo cavallo bianco, vestito con abiti chiari rifiniti d’oro che fanno contrasto sulla sua pelle abbronzata; ha un’aria solenne e sicura, è dritto e ha lo sguardo fisso in avanti, come a sottolineare che non c’è niente che possa fermarlo. Ha poco più di quarant’anni, ma ne dimostra almeno dieci di meno, anche se il viso inizia ad essere segnato dalle prime rughe e i capelli sono leggermente brizzolati.
Fa ingresso nella sala del sovrano con fierezza e calma; l’attraversa, accarezza per un istante l’elaborato bracciale del trono e poi vi si siede, gustando quella sensazione di onnipotenza che si sprigiona dal suo petto, accompagnata da un grande orgoglio. È orgoglioso di essere arrivato a quel punto, di aver vinto così tante battaglie, di essere considerato un eroe.
Prende un bel respiro, pregustando l’aspettativa di una vita da sogno da quel momento in poi.
Decidendo di non perdere tempo fa entrare immediatamente Nadir per discutere con lui del trono.
Il ragazzo, appena trentenne, si mostra freddo, lontano: senza girarci troppo intorno firma le carte come promesso e chiede il permesso di andarsene.
«Molto bene, Nadir» commenta Baahir tranquillamente, alzando un sopracciglio «Però non riesco proprio a comprendere la tua rinuncia al titolo che ti aspettava di diritto, ma posso dire che prendere il tuo posto non mi peserà affatto»
«Naturalmente, zio» mormora il giovane, tirando un po’ le labbra.
L’uomo si raddrizza fieramente.
«Da questo momento sono il tuo re, Nadir» sembra un po’ punto dal tono leggermente sprezzante dell’altro «Questo comporta rispetto»
Nadir si prostra in un piccolo inchino, affermando con voce neutra:
«Scusatemi, mio signore»
Baahir fa un gesto secco con la mano, scuotendo il capo, e dice:
«D’accordo, d’accordo, noi due abbiamo finito. Puoi andare»
Nadir si inchina ancora e, senza aggiungere altro, esce dalla stanza.
Appena fuori, nel bel atrio adiacente, nota una guardia avviarsi dal nuovo re strattonando dietro di sé una bambina. Nadir si ferma e riconosce il vestitino azzurro e i lunghi capelli neri della figlia di suo padre.
La guardia rallenta, accorgendosi del giovane davanti la porta della sala del trono, e la bambina che tiene per mano si ferma alla sue spalle, lanciando uno sguardo spaventato al suo fratellastro.
Nadir percepisce di non riuscire più a respirare.
Quegli occhi, quegli occhi grandi che lo guardano, sono di un verde così intenso da sembrare meravigliosi monili pregiati.  
Non è di una pietra preziosa che stiamo parlando... Ma il suo valore è per me ugualmente alto.
Quella è Gemma, sua sorella. E allo stesso modo pare una piccola dea dagli occhi simili a gioielli.
Gemma, perché è la mia gemma più preziosa.
Ora capisce cosa intendeva dire suo padre. Quella bambina è di una bellezza struggente, ma la cosa che lo turba di più è che in qualche modo gli ricorda Mira. Mira non aveva degli occhi così particolari, ma i suoi erano ugualmente meravigliosi, ugualmente profondi e vivi... Mira era altrettanto bella e aveva un sorriso che lo faceva rinascere ogni volta. Ha un improvviso desiderio di vedere anche quella bambina sorridere; ha voglia di tornare a vivere; ha voglia di essere di nuovo felice.
E quegli occhi, quegli occhi verdi, di Gemma, ora lo turbano enormemente: occhi spaventati, lucidi di lacrime, occhi tristi. E presto gli stessi saranno spenti: la sentenza di morte è assicurata.
Il volto di Nadir si incupisce, colpito improvvisamente dai sensi di colpa. Quel piccolo gioiello, quella dolce gemma, morirà a causa sua.
Rimane immobile, spiazzato e confuso da ciò che prova, mentre la guardia decide di superarlo ed entra nella sala con la piccola al seguito.
«Cosa significa? Chi è questa bambina?» chiede subito Baahir, storcendo le labbra, infastidito.
«Mio signore, gira voce che sia la figlia bastarda del re» si sbriga a spiegare la guardia «Anche se nessuno finora vuole confermare» porta avanti la bambina per mostrarla al sovrano; la piccola piange silenziosamente, terrorizzata, ma l’uomo non si commuove affatto.
«Non sapevo nulla di lei» commenta, annoiato «In ogni modo voglio evitare problemi. Sbarazzatevene»
Un piccolo singhiozzo esce dalle labbra rosee della bambina, mentre la guardia le afferra il braccio in malo modo; quel tenero e indifeso suono fa improvvisamente irrigidire Nadir, ancora fermo poco oltre la porta.
È la mia gemma più preziosa...
Ti prego, Nadir...
È come un improvviso richiamo alla realtà.
Quel suono è vita, sa di fresco, di nuovo. Un’imprevista boccata d’aria buona che dirada di colpo le nubi che opprimono la sua mente; c’è un improvviso squarcio tra i suoi cupi pensieri da cui si affaccia la luce. Finalmente riesce a vedere una via d’uscita da quel baratro in cui è caduto; è una sensazione così forte da scuoterlo violentemente. 
Il giovane chiude con forza gli occhi, mentre una lacrima scende lungo la sua guancia.
La guardia si avvia verso una porticina laterale trascinando a forza la piccola che tenta una debole ribellione, provando a liberarsi il braccio, ma inutilmente; intanto continua a singhiozzare, spaventata.
Baahir prende in mano le pergamene che gli sta passando un suo funzionario, pronto a passare alla parte burocratica, quando ode una voce in fondo alla sala.
«Mio signore, perdonatemi, ma credo ci sia stato un errore»
Il nuovo re alza gli occhi, seccato da quell’interruzione, e nota Nadir davanti la porta, serio.
«E di che cosa si tratta?» domanda, raddrizzandosi.
Anche la guardia con la piccola si ferma per ascoltare.
Nadir indica con il capo proprio in quella direzione ed afferma:
«Quella bambina che state facendo portare via...» esita solo un istante, fino a quando non incontra con lo sguardo quelli occhi accesi, lucidi, in cerca di aiuto, quindi riprende subito, senza ripensamenti:
«Beh, è mia figlia»
Baahir rimane per un attimo in silenzio, sposta l’attenzione prima alla bambina e di nuovo a suo nipote, e poi chiede, storcendo ancora un po’ le labbra:
«E come puoi dimostrarmelo?»
«Non posso» risponde subito Nadir, sicuro «Ma vi offro la mia parola. E suppongo non sia conveniente andarvi contro; non vorremmo un incidente diplomatico, giusto?»
«Ah! Hai appena rinunciato ufficialmente al trono!» scatta immediatamente l’uomo, teso.
«Sì, ma potrei risentirmene se uccidete mia figlia» il giovane fa un passo avanti, deciso «Non mi vorrete certo come vostro nemico...?»
Baahir rimane a riflettere, stringendo a pugno le mani; no, non vuole problemi di nessun tipo. Nadir è comunque il degno erede al trono e quello che ha firmato è, in fondo, solo un pezzo di carta; potrebbe essere pericoloso trovarselo contro, potrebbe perdere favori dal popolo...
Snervato da questa situazione, ancora non cede.
«E chi sarebbe la madre? Non mi risulta che ti eri sposato»
«Infatti non lo sono e sua madre è morta» dichiara Nadir, cupo «E non era nobile. Quella bambina non vi creerà nessun problema»
«Di questo non posso esserne sicuro» sibila Baahir, alzando di scatto il capo.
«Avete la mia parola» ribadisce il giovane, determinato ad andare fino in fondo.
Con un gesto seccato, suo zio torna a rivolgere lo sguardo alla bambina che ora lo guarda enormemente impaurita.
Con un’aria scura commenta, ostinato:
«Non credo sia una grande garanzia»
Nadir porta rapidamente una mano sull’elsa della spada al suo fianco e si ferma in quella posizione tesa; un paio di guardie sfoderano immediatamente le loro armi, puntandole alla gola del giovane. Baahir si irrigidisce, colpito in pieno dallo sguardo deciso di suo nipote.
«Mio signore, potrei trovarmi costretto ad andare contro le vostre guardie e anche contro di voi, se fosse necessario per salvare la vita a mia figlia» il tono di Nadir è sicuro e inflessibile «Evitate un inutile spargimento di sangue»
«Non usciresti vivo di qui!» sibila Baahir, terribile, digrignando i denti con rabbia.
«Questo è vero, ma provate a immaginare che orribili voci si spargeranno tra il popolo» il giovane stringe con più forza l’arma «Il nuovo re che uccide il legittimo erede al trono...»
«Perché costretto!» lo interrompe l’altro, alzandosi di scatto in piedi.
«Anche peggio: così mostrate debolezza. Non siete riuscito a tenere a bada un giovane insolente e siete stato costretto ad ucciderlo» Nadir lo fissa negli occhi, gelido.
Baahir rimane qualche istante in silenzio, aggrottando un po’ le sopracciglia, irritato, infine si lascia ricadere sul trono, sentenziando:
«E sia, siete liberi di andare» volge uno sguardo tremendo al nipote «A patto che non torniate» il tono risuona perentorio.
Il giovane si rilassa e si raddrizza, mentre anche le guardie indietreggiano. Nadir si inchina, ancora leggermente teso.
«Ve lo assicuro, mio signore»
 
Il bel cavallo è tornato a correre tra le dune; è di nuovo un tutt’uno con il vento, è il vento, e sa che non si dovrà fermare finché non sarà abbastanza lontano da quella città d’oro e colori.
Il suo cavaliere ha lo sguardo perso all’orizzonte; i tratti del volto sono rilassati e la mente è altrove, viaggia in un futuro tutto nuovo per lui. Un futuro rischiarato da una strana luce rassicurante, che non è più nero e cupo come se lo immaginava un tempo... Socchiude gli occhi, godendo di quell’emozione che gli sale dal petto e  si irradia in tutte le vene del suo corpo: si sente libero e non più schiavo dei sensi di colpa. Ed è bellissimo!
Alle sue spalle, una piccola bambina dagli occhi color smeraldo gli cinge con forza la vita per evitare di cadere; la sua espressione è serena, calma. Fissa le spalle del cavaliere, provando una forte curiosità nei suoi confronti: ma chi è questo giovane? Perché l’ha aiutata e ora la porta con sé? Quello sconosciuto ancora non ha detto una parola, non si è nemmeno presentato. Sembra assorto ogni volta che la guarda, come perso in un ricordo. Continua a fissarlo, come cercando di leggergli i pensieri, giusto per capirci qualcosa di più.
Nadir sente di essere osservato, lancia uno sguardo indietro e si perde nella bellezza di quegli occhi verdi. Si guardano per un po’, finché il volto di lei non si apre in un timido sorriso.
L’immagine di Mira si sovrappone a quella della piccola. Nadir si ritrova a piangere; torna a guardare avanti, mentre le lacrime si perdono nel vento.
Caro Nadir
Innanzitutto, perdonami.
Sospira, alzando gli occhi al cielo; continua a piangere.
Chiude gli occhi.
Fa un bel respiro.
Solo luce nei suoi pensieri e una missione: rendere felice quella piccola vita.
Il sorriso di Gemma che gli irradia la mente.
Finalmente è rinato.
Ma certo, padre.
Grazie.
 
Fine
 
  
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