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Autore: teabox    13/01/2012    4 recensioni
“Il modo più veloce per conquistare un uomo è scoprire i suoi difetti e usarli a tuo vantaggio”. Questo le era stato detto.
Cara Miss Adler, avrebbe voluto scrivere Sophie in quel momento, ma come si fa a decidere quali usare, quando l’uomo in questione è tutto difetti?
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Irene Adler, John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sedeva nello Starbucks di fronte all’uscita della banca. Un qualsiasi osservatore esterno avrebbe detto che la ragazza stava solo bevendo un caffè in un grigio pomeriggio londinese. Ma la verità era molto lontana dall’essere così semplice - e ben più ridicola, ad essere sinceri.
La ragazza stava aspettando qualcuno.
Qualcuno che sarebbe dovuto uscire dalla banca in - diede un’occhiata al cellulare - cinque minuti, all’incirca. Qualcuno che, le era stato detto, avrebbe riconosciuto senza bisogno di avere una descrizione particolare.
Un uomo, niente di meno. E un uomo, le era stato precisato, di una specie a parte.
Sherlock Holmes, era il suo nome.

L’ultimo sorso di caffè le andò quasi di traverso quando Sophie - non il suo vero nome, ovviamente, non era mica una dilettante - lo vide uscire dalla banca.
Ah, pensò a corto di espressioni migliori. Capiva adesso cosa “di una specie a parte” volesse dire. Era terribilmente ovvio, a dire il vero, anche solo osservandolo.
Si affrettò ad uscire dallo Starbucks, cellulare in tasca, sciarpa tirata su a coprire quasi metà del viso e il passo di chi ha molto da fare e poco tempo per farlo.
Si tenne a distanza di qualche metro, lo spazio sufficiente per non farsi notare, ma nemmeno perderlo di vista. Di nuovo, non era mica una dilettante lei.
Mr. Holmes e l’uomo che lo accompagnava - il “un Dr. Watson”, presumeva, come da descrizione fornita - camminavano a passo svelto, presi da una discussione che prevedeva un gran numero di gesti drammaticamente teatrali da parte di Mr. Holmes e un numero minore - ma pur sempre considerevole - di cenni negativi da parte del Dr. Watson.

Raggiunte delle strisce pedonali Mr. Holmes ignorò platealmente il rosso del semaforo e attraversò la strada comunque, non curandosi delle macchine che lo avrebbero potuto investire. John Watson, da parte sua, inveì a denti stretti e rimase fermo sul marciapiede ad attendere il verde. Sherlock Holmes, arrivato dall’altro lato della strada, si era reso conto di essere rimasto solo e aveva deciso di aspettare il Dr. Watson con un’espressione ridicolmente spazientita dipinta sul volto. Il che diede a Sophie un’occasione per osservarlo meglio.
Sherlock Holmes, pensò divertita, l’uomo “di un’altra specie”.

Parlando di uomini, qualche tempo prima una donna molto saggia le aveva dato l’unico consiglio che Sophie riteneva degno di essere ricordato. “Il modo più veloce per conquistare un uomo è scoprire i suoi difetti e usarli a tuo vantaggio”. Questo le era stato detto.
Cara Miss Adler, avrebbe voluto scrivere Sophie in quel momento, ma come si fa a decidere quali usare, quando l’uomo in questione è tutto difetti?
La Miss Adler in questione, considerò brevemente Sophie, avrebbe forse apprezzato la frase, ma al momento suonava del tutto fuori luogo, come se le stesse chiedendo aiuto. E non era quello il caso, per carità. Così poco professionale.
Quindi, attraversando la strada dietro al Dr. Watson, Sophie estrasse il cellulare dalla tasca del cappotto e scrisse invece a Miss Adler qualcosa di più rilevante.

A: Miss Adler
Terribilmente alto.

Miss Adler non ci mise molto a rispondere.

Da: Miss Adler
E terribilmente infantile, delle volte.

Sophie soppresse una risata.

*

Diversamente dagli altri clienti, Miss Adler non l’aveva contattata tramite le solite conoscenze o sulle pagine del London Weekly. Si era presentata direttamente al suo appartamento una sera di qualche mese prima, e quando Sophie le aveva chiesto come l’avesse trovato, la sua riposta era stata: «Ho amici che hanno amici che sanno cose.»
Era stato incredibile come Miss Adler fosse riuscita a far suonare quella frase totalmente innocua e allo stesso tempo terribilmente minacciosa. Quella stessa sera, quando Miss Adler l’aveva lasciata, Sophie aveva provato e riprovato a riprodurre lo stesso tono di voce, ma senza successo.

La vedeva ancora camminare lentamente nel suo appartamento, guardandosi attorno attentamente, curiosando in quella parte della sua vita che Sophie amava custodire gelosamente, perché ancora normale. «E dicono che il crimine non paga», aveva detto sorridendo, annuendo ad alcuni dei piccoli lussi che la ragazza si era concessa. «Ma entrambe sappiamo che è una bugia. Piuttosto patetica, tra l’altro.»
Sophie l’aveva guardata togliersi il cappotto dall’aria costosa e lasciarlo cadere senza cura sul divano. Indossava un abito nero e guanti di pelle dello stesso colore. Se li era sfilati molto lentamente. «Ho letto del Vermeer. Complimenti, piano davvero interessante, ben strutturato. Peccato per quel piccolo incidente
Sophie si era trattenuta dal dire che l’incidente non era stato dipeso da lei, ma da quell’idiota dell’uomo con l’organetto che non aveva considerato la sua scimmietta ammaestrata. E neanche si era chiesta come Miss Adler avesse saputo che c’era stata lei dietro a quell’operazione. In fondo, come aveva già precisato, aveva amici che avevano amici che sapevano cose.
Solo dopo un attimo si era accorta che Miss Adler si era fermata a fissarla con un’espressione curiosamente divertita sul volto. Le aveva allora rivolto un sorriso professionale. «Posso esserle di aiuto?»
«Domanda interessante», aveva replicato lei appoggiando i guanti sul cappotto. «Forse si, forse no. Hai talento, su questo non c’è dubbio. Ma mi domando se sia abbastanza.»
«Posso sapere di cosa si tratta?»
Miss Adler aveva preso posto sul bracciolo della poltrona, incrociando le gambe con grazia. «Dovresti rubare qualcosa per me. Qualcosa di inestimabile come il tuo bel Vermeer ed altrettanto unico e insostituibile.» Aveva sorriso divertita dall’idea di qualcosa. «Ma ti avviso fin da subito, si tratta di un lavoro dalle conseguenze incalcolabili. E possibilmente terrificanti.»
Quella sera Sophie, forse per la prima volta, non aveva saputo cosa pensare. Ma fin da subito era stato chiaro quale sarebbe stata la sua risposta.

*

Il 221B di Baker Street sembrava, a tutti gli effetti, un posto normale.
Ma Sophie aveva imparato da tempo che le apparenze ingannano - “e lo fanno particolarmente bene”, per citare Miss Adler - e quel caso non faceva eccezione.
Aveva seguito Mr. Holmes e il Dr. Watson fino all’ingresso della palazzina, per proseguire poi per qualche metro infilandosi nel primo posto che poteva andare bene. Un ristorante indiano, aveva notato distrattamente, con il pregio di avere una grande finestra da cui Sophie poteva osservare a suo agio i movimenti del 221B.
Vide uscire una signora di una certa età - Mrs. Hudson, prese nota mentale - e poco più tardi il Dr. Watson apparve ad una delle finestre del secondo piano. Se tutto fosse andato come previsto, Sophie avrebbe visto lui e Mr. Holmes lasciare l’appartamento in quindici minuti. Tempo sufficiente per ordinare dei samosa, valutò allegramente, e mangiarli di corsa. Infondo al momento non poteva fare altro che aspettare.

Un quarto d’ora più tardi, con il conto già pagato e l’ultimo boccone di cibo in bocca, Sophie osservò Sherlock Holmes uscire dalla palazzina, seguito immediatamente da John Watson. Trovarono un taxi libero con una facilità che aveva del miracoloso e lasciarono alla ragazza campo libero per fare il suo lavoro.
Si ricordò brevemente quello che Miss Adler le aveva detto. Se la porta fosse stata chiusa, poteva entrare da una finestra sul retro - a patto che fosse stata abbastanza brava da non farsi notare. Ma quando raggiunse l’ingresso e girò la maniglia, la porta si aprì senza difficoltà. Scosse la testa allibita. Era Londra, quella, e il ventunesimo secolo, per giunta. Che genere di persone non ritenevano necessario chiudere quando uscivano?

Quando entrò e accostò la porta alle spalle, Sophie si trovò avvolta dalla semioscurità del corridoio. Non sprecò tempo e salì velocemente gli scalini che portavano al secondo piano. Con la mano quasi sulla maniglia dell’appartamento di Mr. Holmes, esitò un istante. “Saprà comunque che sei entrata”, l’aveva avvisata Miss Adler, “perché a Sherlock Holmes non sfugge quasi nulla. Ma tu evita comunque, se puoi, di toccare qualsiasi cosa.”
Sophie inspirò, sentendosi stupidamente nervosa. Per l’amor del cielo, si sgridò mentalmente, piantala ed entra.
Ed entrò.

*

Quando Sophie le aveva chiesto che tipo di persona Sherlock Holmes fosse, Miss Adler le aveva sorriso curiosamente. «Lascio a te deciderlo.»
Il giorno successivo al loro primo incontro, Sophie aveva cercato informazioni. Non era riuscita a trovare molto, solo il blog di Mr. Holmes e quello del Dr. Watson, la cui unica utilità si riassumeva in una foto piuttosto vaga di Sherlock Holmes con un ridicolo deerstalker in testa, che lo faceva sembrare un personaggio uscito dalle pagine di qualche romanzo del diciannovesimo secolo.
Quel poco altro che aveva raccolto, poi, non aveva fatto luce su nulla. Una sola cosa, però, sembrava ovvia. Irrimediabilmente, tutto quello che in qualche modo riguardava Sherlock Holmes assumeva, prima o poi, caratteri confusi e complicati.

*

La prima parola che le venne in mente entrando nell’appartamento fu: caos. Totale e completo. Si costrinse a mettere da parte il senso di sopraffazione che la invase e si diresse verso la camera da letto, per adempiere alla prima parte del suo compito. La vide subito, appoggiata sul comodino. Prese il cellulare e digitò velocemente.

A: Miss Adler
Scatola rossa su comodino, aperta e piena di

Sophie si avvicinò per dare un’occhiata migliore. «Per la miseria», mormorò disgustata. Erano davvero provette di sangue, quelle? Fece un passo indietro e corresse il messaggio.

A: Miss Adler
Scatola rossa su comodino.

Ritenne che Miss Adler non avesse davvero bisogno di sapere che la scatola era attualmente utilizzata come contenitore per test da laboratorio - sperando che si trattassero di test da laboratorio.
Lasciò la camera da letto con un certo sollievo e fu solo sulla soglia del salotto che lo notò. Incredibile come le fosse sfuggito pochi secondi prima. Uno smile piuttosto grande dipinto con della vernice gialla su quella che aveva l’aria di essere carta da parati eduardiana originale d’epoca. «Per la miseria», si trovò a mormorare di nuovo.
Il cellulare vibrò nella tasca del cappotto.

Da: Miss Adler
Il caro Sherlock, così deliziosamente attaccato alle piccole cose.
Un piccolo test per te. Dimmi 3 cose di Mr. Holmes.

Sophie guardò lo schermo del cellulare confusa. Tre cose di Mr. Holmes? Come accidenti poteva sapere tre cose di un persona di cui aveva invaso lo spazio personale da meno di cinque minuti? Si guardò attorno, muovendo solo qualche passo nel salotto.

A: Miss Adler
Disordinato. Suona il violino.

E poi cosa? Era uno psicopatico che teneva provette di sangue di dubbia provenienza sul comodino e teschi sulla mensola del caminetto? Agiva e parlava come se le regole di questo mondo non si applicassero anche a lui? Amava rovinare carta da parati che costava quanto l’affitto di un appartamento in centro a Londra?

Ama leggere.

Premette “invia” e sperò di aver superato il test. La cosa non era mai stata discussa, ma Sophie aveva la chiara sensazione che Miss Adler non amasse essere delusa.
Fece quasi cadere il cellulare quando vibrò un momento più tardi.

Da: Miss Adler
Avresti potuto fare di meglio, ma ci passerò sopra questa volta.
Non aprire il frigorifero se sei facilmente impressionabile.
Divertiti.

Divertiti. Le tornarono di nuovo in mente le provette di sangue. Trattenne a stento una risata isterica.

*

In un oceano di incertezze, l’unica cosa certa era che Sherlock Holmes fosse un punto di domanda. Il che rendeva il secondo compito di Sophie particolarmente difficile.
Era vanitoso in qualche misura, ma non dava l’idea di amare le lusinghe.
Era intelligente, ovviamente, ma il fatto che fosse un genio portava al limite dell’impossibile la probabilità di trarne vantaggio.
Presentarsi con un caso da risolvere sarebbe stata la via più veloce per avvicinarlo, ma una cosa che aveva scoperto su di lui era la fama di essere fastidiosamente capriccioso su quali casi accettare e quali no.
Sophie sospirò. Domandandosi quale parte di lei avesse ritenuto che accettare quella proposta fosse stata una scelta intelligente, si lasciò cadere su di una poltroncina nel centro della stanza.
Non che avesse dimenticato quello che Miss Adler le aveva detto riguardo al non toccare nulla, ma come sua nonna amava sempre dire, “in tempi straordinari sono necessarie misure straordinarie”.
Quindi, se Sherlock Holmes non era toccato dai complimenti ed era intellettualmente irraggiungibile, l’unica cosa che Sophie poteva almeno tentare era, semplicemente, di sorprenderlo.
Se ne sarebbe pentita? Molto probabilmente.
Ne sarebbe uscita viva? Sperava fortemente di si.

  
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