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Autore: Cucuzza2    13/01/2012    5 recensioni
Secondo i professori, dunque, “acqua” voleva dire “due molecole di idrogeno e una di ossigeno”, frase che per Peggy Sue era una bugia bella e buona, che poteva rivelarsi valida solo in un paesino di montagna a mille miglia di distanza da ogni forma di vita. Nella comune bottiglia, quella reperibile in un qualsiasi alimentari, “acqua” voleva dire anche “bicarbonato”, “calcio”, “magnesio”, “sodio”, “silice”, “nitrati” e chissà che altro, ed era proprio questo il problema.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non v’era cosa peggiore, per Peggy Sue Fairway, dell’andare a comprare da bere in quelle mattine soleggiate.
 
A scanso di equivoci, bisogna dire che adorava le commissioni. Era lei a farsi quotidianamente carico dell’acquisto del latte o di ogni altra qualsivoglia necessità primaria, di propria volontà. Era uno stacco dal mondo, da quella famiglia che l’aveva sempre definita “strana”: quando poteva camminare per le vie di quella cittadina, seguita solo dal fedele Cane Blu, tutto andava meglio. Riusciva anche quasi a non pensare al sacchetto di sabbia chiuso in un sacchetto nella sua camera, quello con su scritto, con un pennarello un po’ sbiadito, “Sebastian”.
L’acqua però era un’altra storia.
 
Fra una lezione e l’altra di scienze, nonostante la continua distrazione comportata dagli Invisibili, era riuscita a racimolare qualche conoscenza basilare di chimica. Secondo i professori, dunque, “acqua” voleva dire “due molecole di idrogeno e una di ossigeno”, frase che per Peggy Sue era una bugia bella e buona, che poteva rivelarsi valida solo in un paesino di montagna a mille miglia di distanza da ogni forma di vita. Nella comune bottiglia, quella reperibile in un qualsiasi alimentari, “acqua” voleva dire anche “bicarbonato”, “calcio”, “magnesio”, “sodio”, “silice”, “nitrati” e chissà che altro, ed era proprio questo il problema.
Perché lei, mentre andava a comprare quelle millemila particelle, non riusciva a rimuovere dai propri pensieri quelle tre singole molecole che avrebbero riportato il suo ragazzo alla sua forma umana.
 
«Va’ a prendere l’acqua, Peggy.»
«Non puoi mandarci Julia?»
«Ho detto “va’ a prendere l’acqua, Peggy”.»
Parlarne con la sorella era fuori discussione: fiato sprecato.
 
Così anche quella mattina gettò un’occhiata a “Sebastian”, fece cenno al Cane Blu di seguirla e si diressero entrambi verso il negozio più vicino.
«Una d’acqua pura, grazie.»
«Un euro e cinquanta.»
Prese avidamente fra le mani la bottiglia e lasciò scorrere lo sguardo sui componenti. Al solito, due virgola quattro di cloruri, quattro virgola uno di solfati, quarantotto virgola sei di calcio e un bel po’ di altri componenti minerali. Molti commercianti avrebbero fatto meglio a rivedere sul dizionario il significato della parola “pura”.
«Io la ricompro» borbottò mentalmente al Cane Blu.
«Non so se è una buona idea.»
«Non importa, ho i miei risparmi.»
Gettò il nuovo acquisto nella pattumiera all’angolo della strada, poi svoltò. I suoi risparmi non erano illimitati, perciò probabilmente la cosa migliore da fare era andare al supermercato, dove avrebbe potuto controllare in santa pace ogni etichetta.
Stavolta ce la farò, Sebastian. È una promessa.
«Un nobile intento, anche se un tantino irrealizzabile...»
Sì, talvolta il Cane Blu sapeva essere decisamente insopportabile.
 
«Peggy, ti ho chiesto di andare a comprare l’acqua, non di fare una perquisizione della città! Sono secoli che aspetto.»
Peggy Sue abbassò lo sguardo. «Mi sono persa.»
«Inseguivi le tue voci, scommetto. Non cambi mai.»
La ragazza si morse il labbro, poi senza una parola andò nella propria stanza.
 
«Ma perché Sebastian non può essere come tutti gli altri?»
«Perché, tu ti saresti innamorata di uno come tutti gli altri?» le ricordò il Cane Blu.
Peggy fece una smorfia. No che non si sarebbe innamorata di una persona normale. Questo non tanto per eccentricità o - più appropriatamente - masochismo, ma semplicemente perché nella vita di tutti i giorni non era mai particolarmente attenta al mondo intorno a sé, figurarsi ai ragazzi. Ogni suo amore o amicizia avrebbe finito per essere merito degli Invisibili, prima o poi. Tutto sommato avrebbe dovuto essere loro grata.
Aprì l’armadio, ne estrasse il suo ragazzo e lo strinse fra le mani sudate.
Aspettami, Sebastian. Te ne prego, continua ad aspettarmi.
 
Sedette sul bordo del letto assieme a Sebastian, guardò Sebastian, accarezzò con dolcezza il corpo di Sebastian.
Nove lettere, scritte a stampatello su quel sacchetto pieno di sabbia che tentava disperatamente di spacciare per il suo ragazzo. La B cancellata a metà, sembrava quasi una P, poi la I un po’ troppo lunga, la N scritta in quel modo strano che urlava a gran voce “Peggy Sue Fairway”.
Quelle nove lettere erano Sebastian ed erano Peggy. Erano entrambi.
No, non erano entrambi.
Erano solo nove lettere.
Posò sulle ginocchia il sacco e, lentamente ma senza piagnistei, lo aprì. Lasciò scivolare dentro un dito e sfiorò la sabbia per un attimo, ma solo per un attimo, poi tirò fuori la mano, attenta a non perdere neppure un granello, e si ritrovò a pensare ancora una volta al fatto che quella poca polvere fosse il suo ragazzo. Quella polvere era il suo ragazzo.
 
Ancora un granello era posato sul dito di Peggy. La ragazza lo fece scivolare accuratamente dentro, attenta a non perderlo.
Era un granello. Era il deserto.
Era Sebastian e una vita normale. Era un miraggio.
Sì, Sebastian era un miraggio. Doveva solo sperare che ancora una volta non sparisse al suo tocco, che non si sbriciolasse e tornasse sabbia.
Il loro amore era un miraggio. Era sempre stato un miraggio.  
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Qui il giudizio di Fabi, che ringrazio saltellando qua e là.
   
 
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