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Autore: Psy    07/04/2004    4 recensioni
Questa non è una stupida soap-opera o qualche altro raccontino del cavolo. Non è opera di fantasia, è una specie di pagina di diario; ho oggi ho visto una cosa che mi ha fatto riflettere, una cosa abbastanza triste. Se volete leggere fate pure, io vi ho avvisati.
Genere: Drammatico, Generale, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prigionieri

Prigionieri

 

Ogni tanto mi capita di fermarmi e pensare. Anzi, mi capita abbastanza spesso, ed è questo che mi frega. Allora faccio qualcosa per distrarmi, mi metto a fantasticare, mi faccio un po’ di seghe mentali, scrivo fanfiction. Ebbene, stavolta no. Stavolta voglio raccontarvi un cosa che mi è successa veramente, proprio oggi, 7 aprile 2004. Una cosa che mi ha fatto riflettere.

 

Come al solito, ero uscita a fare un giro sui Roller. Anzi, dalla fretta che avevo di scrivere sono tornata di corsa a casa e non me li sono ancora tolti. Mi piace andare sui Roller, soprattutto andare veloce, senza intralci, perché mi dà l’idea di volare, di lasciare indietro i miei problemi. Ma soprattutto mi piace osservare la gente, la gente comune, sempre distratta, che solo raramente alza gli occhi per guardarmi (di solito quando rischio di investirli) e poi decide che non sono tanto importante e torna a farsi gli affari suoi. Loro sono a piedi, io volo. Mi fa sentire diversa, proprio come se fossi su un altro “piano”.  Io li osservo, è come se potessi vederli ma loro non possono vedere me. Non che ci sia bisogno di andare sui Roller per ottenere questo risultato; al giorno d’oggi chi si ferma più a guardare gli altri? Fatto sta che, al terzo giro dell’isolato, ho visto una vecchia (beh, non tanto vecchia, avrà avuto una sessantina di anni) con la sua nipotina, una bambina di 4/5 anni che saltellava al suo fianco, con la spensieratezza tipica dei bambini. Mi ricordava un po’ me alla sua età. Anzi, a dire il vero mi ricordava un po’ me alla sua età in rari momenti di euforia.

Per inciso, io sono quella che a 4 anni ha chiesto a sua mamma se la vita era tutta così, tutta uguale: alzarsi tutte le mattine, andare all’asilo, mangiare, tornare a casa, dormire. Avevo raggiunto un livello di consapevolezza che una normale persona “distratta” raggiunge verso i 30 anni; con conseguente crisi depressiva. È stato allora che ho cominciato a drogarmi… no, scherzo… comunque, è stato allora che ho cominciato a fantasticare, che è una specie di droga che però non fa tanto male alla salute.

Ma tornando al tema principale della “storia”: c’era questa vecchietta, c’era questa bambina, e allora? Un attimo che ci arrivo: la nonna teneva in mano un guinzaglio rosso, a cui era legato un cane. Un bel cane, tra l’altro, un cane lupo grigio. All’inizio mi aveva fatto paura, spesso i cani mi inseguono quando vado sui Roller; poi, guardandolo meglio, mi sono accorta che era vecchio. E stanco. Mi ha fatto una gran pena. Ma chi sono io, per provare pena per qualcuno? Sono forse in condizioni migliori? No, nessuno di noi lo è.

Quel cane seguiva passivamente la sua padrona, chissà da quanti anni. Ho cercato di immaginarmi come doveva essere stato da cucciolo: come tutti i cuccioli, come quella bambina: felice, giocondo, senza un solo pensiero, senza sapere come si sarebbe ridotto. Magari gli sarebbe piaciuto vivere libero, correre in quello che geneticamente dovrebbe essere il suo habitat; invece, eccolo qui: su un marciapiede in periferia di Milano, troppo vecchio e rassegnato perfino per correre con gli altri cani o dare la caccia a un paio di Roller.

Perché a cosa siamo destinati noi, in fondo? A invecchiare, a guardare la nostra vita che ci scorre davanti, come quel povero cane; quanti di noi, una volta vecchi, potranno guardarsi le spalle e dire: “Ho fatto quello che volevo della mia vita”? No, la nostra società non ce lo permetterà mai, a meno di non voler volare basso.

Perché rinchiudiamo i nostri sogni in un cassetto? Perché col tempo ce ne dimentichiamo? Perché sappiamo già che non sapremo realizzarli. Io non ricordo se avevo un sogno. Ho sfornato così tanti sogni, per rinnegare la realtà, che ho dimenticato il mio. Vado avanti alla giornata, cercando di divertirmi come posso. Vado bene a scuola, non ho un ragazzo e ho promesso a me stessa di non innamorarmi più (anche se il mio sogno forse era un ragazzino di nome Carlo che non mi ha mai filato, la bellezza di 9 anni fa, cioè in seconda elementare).

Ma che ne sa quella bambina di quello che la aspetta? La scuola, il lavoro, la famiglia, forse, ma di sicuro un mare di preoccupazioni. Perché si sente in diritto di essere felice? Ovvio, perché non ci pensa; nessuno ci pensa. Tutti lo sanno, ma nessuno ci vuole pensare. Meglio non farsi problemi, finchè c’è qualcun altro che li risolve per noi. Ma un giorno anche lei dovrà crescere, lottare, e invecchiare.

Mi è venuto da piangere quando ho visto questa scena, la vecchia che come gli altri era distratta, la bambina che saltellava al suo fianco, il cane che si trascinava attraverso quei metri e quei suoi ultimi anni. Sapevo che avrei dovuto piangere. Sapevo che era la cosa più umana da fare, anche se non sarebbe servito a niente. Ma non ce l’ho fatta. Come potevo? È una cosa troppo ovvia per piangerci sopra. Magari, lo farò quando sarò vecchia, allora che ne avrò un motivo in più.

Ma ora penso che sia più utile scrivere quello che penso, per farlo sapere agli altri. Lo so, sono una pessimista. Mio fratello direbbe che “un giorno ci guarderemo alle spalle, e non vedremo altro che il nostro culo”, ma io non sono brava come lui a sdrammatizzare, né ci tengo a farlo.

Ora esco e mi faccio un altro giro sui Roller. Buona giornata.

 

 

 

  
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